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Autore: Rena_Ryuugu    21/03/2008    4 recensioni
Tutti avevano alzato lo sguardo, pieni di stupore e preoccupazione, verso l'eclissi solare che lentamente rubava al mondo la luce del Bene. Tutti tranne una. Fu allora che vidi, nascosta tra la folla, Eloise, accecante nella sua bellezza angelica, che mi fissava. Era la prima volta, dopo 8 anni, che mi rivolgeva lo sguardo. Mi sorrise delicatamente. Ma non come si sorride ad una persona amata, con quel velo di dolcezza e affetto che ti sciolgono il cuore. No. Il suo era un sorriso di odio, misto a malizia e qualcosa di anche peggiore. Dischiuse le labbra rosee e mi sussurrò con il labiale. - Buon compleanno, Gemellina mia. Fu allora che nel mio cuore tornò alla luce una nuova emozione ormai sopita. Fu allora che compresi di avere paura.
Genere: Dark, Drammatico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Noire Narcisse – Il Narciso Nero

Noire Narcisse – Il Narciso Nero

 

<<Due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana. Ma del primo ho ancora dei dubbi>> (Albert Einstein)

 

 

Prologo

Un giorno lessi in un libro una frase che mi colpì particolarmente. Vi era scritto infatti: “Il giorno in cui sono nato, sono anche morto”. La mia giovane mente ancora non poteva comprendere il vero significato di quelle parole. Credevo fossero solo frasi di qualche scrittore depresso, che non aveva nient’altro in mente se non deprimere se stesso e la sua vita. Come era possibile che una persona, nel momento in cui vede la luce, deve per forza morire ? Io respiro, il mio cuore batte, i miei occhi vedono, il mio naso annusa, le mie orecchie sentono, la mia bocca gusta, le mie dita toccano. Come potevo essere morta ? Sicuramente non stava davvero bene.

Ora capisco perfettamente le sue parole.

 

 

Capitolo I: Specchio

 

Il sole si alzò lentamente all’orizzonte, annunciando finalmente un nuovo giorno. Mi alzai delicatamente dal mio piccolo letto a baldacchino e mi avvicinai all’unica finestra della piccola “cella” in cui ero rinchiusa. Una fresca brezza mi inondò, facendo danzare le ciocche dei miei lunghi capelli neri.

-Ancora la luce- dissi tra me e me, concludendo la frase con un amaro sospiro. Abbassai lo sguardo tristemente. Un nuovo giorno era appena iniziato, insieme al pensiero che durante la notte il cuscino non mi aveva soffocato, qualche veleno dentro il cibo non mi avesse tolto la vita una volta per tutte. Mi allontanai dalla finestra, andando alla vasca dei lavacri e aprii il rubinetto dell’acqua calda. Attesi che la piccola vasca si riempisse. Dal rubinetto scendeva silenziosamente l’acqua calda, che colmava la vasca. Scivolai a terra, accomodandomi sulle ginocchia. Le punte delle mie dita disegnavano alcuni disegni a forma di 8 sulla superficie dell’acqua calda, in silenzio.

Chiusi gli occhi lentamente mentre le mie dita accarezzavano l’acqua. Era così calda e delicata. Mi piaceva aspettare che l’acqua si riempisse. Vederla crescere lentamente, fino a raggiungere il bordo della vasca ed eccedere, gocciolando sul pavimento. Mi faceva ridere e ancora oggi mi chiedo il motivo di tutto ciò.

Chiusi lentamente il rubinetto e mi tolsi la camicia nera da notte, mentre mi legavo i lunghi capelli in una coda abbastanza alta da impedirli di bagnarsi. Alla fine mi immersi nell’acqua

-Che bello…- commentai, mentre il mio corpo si rilassava e un brivido saliva lungo la mia spina dorsale, fino a raggiungere la nuca. Mi abituai subito al calore della vasca e mi rilassai con dolcezza. Chiusi gli occhi e li riaprii lentamente, mentre osservavo i leggeri disegni della muffa sul soffitto che componeva strane figure, quasi affreschi alternativi di qualche pittore astratto. Ho sempre amato quei disegni. Ricordo ancora quando li vidi la prima volta, mentre mi rilassavo sul mio “nuovo” letto. Vidi chiaramente l’immagine di una capretta, un’aquila e qualche altro animale che solo la mia fervida immaginazione poteva inventarsi. Dopotutto avevo 6 anni e la mia vita era appena andata in frantumi. Ero appena stata fatta prigioniera dallo stesso uomo che aveva messo incinta mia madre, mentre gli occhi imploranti e le lacrime di dolore della donna che nove mesi dopo mi aveva messo alla luce cercavano di salvarmi da un destino già segnato. Ancora adesso odio quella donna. Poteva abortire subito ma non l’ha fatto. Che stupido orgoglio materno. Anzi no, che stupida che sono io.

Sbuffai, cercando di scacciare quegli inutili pensieri che attanagliavano la mia mente e che mi deprimevano in modo insopportabile. Uscii dall’acqua e presi l’asciugamano sopra il tavolo. Rimasi nuda pochi istanti, tanti, troppi, perfetti per notare come quel pallido e ghiacciato candore del mio volto ricopriva interamente tutto il mio corpo. Mi allacciai l’asciugamano e mi diressi verso il mio “Specchio delle Brame”. Avevo letto una storia su uno specchio delle brame, una strana favola di Charles Perrault. Parlava di una regina talmente arrogante e vanitosa da chiedere ogni giorno al proprio specchio chi fosse la più bella del reame. Lo specchio allora le rispondeva che la più bella era lei, finchè non rispose un giorno, dicendo che la sua figliastra era la più bella di tutte. La regina furibonda, colta da un’inquietante invidia nei confronti della fanciulla, decise di ucciderla. Fortuna che il mio specchio non si degna mai di rispondere.

Lo specchio era posizionato quasi dinanzi il letto, dall’altro lato del muro. Aveva sotto di sé un vecchio comò antico in legno di pino o forse di abete. Me lo sono sempre chiesta. La particolarità di questo specchio era l’enorme crepa che lo attraversava: in questo modo, ogni volta che provavo a vedermi allo specchio, il mio volto era rigato a metà da questa spaccatura, che diramava poi in varie crepe minori. Il mio volto era così diviso in tante piccole parti che io mi divertivo ad osservare. Ogni giorno le osservavo in maniera diversa e ogni giorno mi davano punti di vista diversi. Ma tutte con lo stesso cupo riflesso. Un ragazzina di 15 anni, lunghi capelli neri che giungevano lisci e tristi lungo la fredda schiena, uno sguardo pallido e inespressivo, con degli zigomi delicati, una pelle morbida e due occhi rossi troppo grandi per un viso tanto piccolo e fragile. Le labbra piccole e sottili, un leggero schizzo di una mano frettolosa di un pittore non curante dei dettagli. La corporatura gracile e minuta, di bassa statura, forse un metro e cinquantacinque con qualcosa di meno. Una bambina con un cervello troppo grande.

Ricordo ancora la prima volta che vidi il mio riflesso. A casa della Signora non vi erano specchi e la Signora non mi permetteva nemmeno di osservare il mio riflesso in una pozzanghera. L’unica concessione era osservare il pallido colorito delle mie mani, sentire il tepore freddo della mia pelle, tastare delicatamente i contorni del mio viso, accarezzare i miei lunghi capelli neri. Ma in realtà, io chi ero ? Com’ero fatta ? Che colore avevano i miei occhi ? Quanto era delicato il mio sorriso ? Mi ponevo continuamente queste domande senza trovare una risposta. E finalmente le mie domande trovarono risposta.

-Specchio… Specchio delle mie Brame…- dischiusi le labbra, iniziando a parlare e sorridendo maliziosa – Chi è la più ingenua e sciocca del Reame ??- chiesi infine. Poggiai il gomito sopra la superficie polverosa del comò, in attesa di una risposta che non venne mai. Le immagini contorte di quello specchio rotto si muovevano ad ogni mio piccolo spostamento, dando una forma sempre più inquietante al mio volto. Sospirai e mi allontanai, dirigendomi verso l’armadio alla destra dello specchio; aprii l’anta e osservai uno ad uno, scrutandoli come un attento chirurgo sul proprio paziente, ogni vestito: pizzo nero, camicie di seta bianca, fiocchi neri. Un abbigliamento tipico di qualche bambolina dark. Li feci scorrere lentamente, con sguardo spento e inespressivo. Potevo benissimo non indossare vestiti, rimanere nuda; magari sarei morta di freddo, accovacciata sul pavimento, contando i secondi che mancavano a quando i miei occhi si sarebbero chiusi per sempre.

Scacciai via quei pensieri, prendendo un abito lungo di pizzo nero, con ricami bianchi. In poco fui vestita, lavata e pettinata, pronta ad un nuovo giorno di solitudine e apatia. Che pensiero rallegrante. Di certo non potevo sapere che giorno fosse realmente quello, finchè non mi affacciai, come ogni mattina, alla finestra che dava sul giardino reale. Immenso diversi ettari, contornato da piantagioni e fiori. Qualche statua e fontana, posizionata nei pressi della via principale, donava un’atmosfera quieta e pacifica. La torre in cui ero rinchiusa era la torre più ad ovest del castello, ma che mi garantiva una vista spettacolare di tutto il panorama. In lontananza, diversi chilometri più a nord, potevo benissimo vedere Fallen, il mio villaggio cosiddetto “natale”, anche se nei pochi anni in cui ho vissuto lì, ero costretta, come ora, a restare rinchiusa in casa, senza vedere quasi mai la luce del sole.

-Questione di pregiudizi e di occhi- mi diceva sempre la Signora, ad ogni mia supplica di poter uscire a giocare. –In che senso, Madama, questione di occhi ?- le chiesi una volta io, incuriosita non poco dalla risposta. Avevo all’incirca 4 o 5 anni e non potevo minimamente comprendere le sue parole. Ricordo chiaramente che alla mia domanda esplose in una risata fragorosa, rimanendo comunque nella sua severa e pacata compostezza – Oh, Noire – aveva il vizio di chiamarmi sempre Noire, vizio che poi presero tutte le poche persone che erano a conoscenza della mia esistenza – Ti ricordi la lezione sulla percezione visiva umana nei confronti del mondo, vero ?- Io annuii sincera e ricordai ad alta voce la nozione che la Signora mi aveva insegnato – Ogni essere umano ha la possibilità di vedere solo il 5% circa di ciò che ci circonda- risposi correttamente alla domanda della donna. Lei sorrise e mi accarezzò la fragile testolina di bambina –Esatto Noire. Ne vede il 5% e ne comprende il 2%. Quindi gli occhi degli esseri umani che popolano il villaggio di Fallen non sono capaci di apprezzarti per la tua vera bellezza. Nasconderti per poi mostrarti a loro quando sarai pronta. È questo che il Fato ha deciso per il tuo glorioso futuro…-

Che risposta stupida. Non trovo nulla di glorioso nel vivere rinchiusa in una cella sulla torre più nascosta del castello, mentre la solitudine logora il mio cuore, la pazzia si nutre giorno dopo giorno della mia mente e il mio fisico diventa sempre più debole e stanco.

 

Nel giardino si era radunata nel frattempo una gran massa di persone, tutte intenzionate a preparare banchi e tavolini. Stavano organizzando sicuramente qualche grande festa a cui io, ovviamente, non ero invitata. Sospirai e mi accomodai sull’orlo della finestra, per meglio osservare i preparativi. Tavoli pieni di leccornie di vario genere, candidamente posizionate sul giardino. Dal cancello principale tantissime persone ben vestite giungevano impazienti, allegre e felici per la quella festa. Salutarono alcune persone che erano sotto il tendone principale al centro del giardino e andarono a posizionarsi ai loro tavoli. Il loro chiacchierio giungeva fino alle mio orecchie. -Sarà un compleanno fantastico… Com’è bella la festeggiata… Tanti auguri… Hai sentito l’ultima sulla signora Marceau… Il vestito di quella donna è davvero indecente…-. Tappai con le mani le mie orecchie, doloranti di quel parlare insulso. Scivolai a terra, reggendomi sulle ginocchia, mentre il chiacchierare aumentava d’intensità. Com’era possibile ?? Ero a centinaia di metri da loro, ma il loro parlare mi inondava la mente, facendosi posto con forza attraverso le mie mani, per giungere verso le mie orecchie. Il dolore aumentava e io a fatica restavo sulle ginocchia. La mia testa voleva esplodere da un momento all’altro; il loro disgustoso parlare e ciarlare voleva uccidermi. No. No. Per la prima volta non volevo morire. Non volevo morire a causa dei pettegolezzi impuri degli esseri umani.

-Basta !!!!!- urlai con quel poco di energie che il corpo mi aveva gentilmente risparmiato. E ci fu il silenzio. Riaprii gli occhi e tolsi le mani dalle orecchie. Il silenzio aveva invaso ora la mia cella. “Possibile che abbiano sentito il mio urlo ?” pensai incuriosita dall’improvviso silenzio. Mi alzai da terra, scuotendo delicatamente la gonna del mio abito, e mi avvicinai di nuovo alla finestra, nel tentativo di capire il motivo di tale silenzio. Ma non feci in tempo a guardare all’esterno, che una luce accecante inondò i miei occhi. Un gemito di dolore, mentre le mie mani proteggeva questi occhi così rari quanto macabri. Il loro rossore opaco s’infiammò all’improvviso. A stento riaprii di nuovo gli occhi, mentre si abituavano sempre di più alla luce. Alzai gli occhi per comprendere cosa stava avvenendo. Il sole emanava una luce insolita e rossastra. Il sole stava eclissando. Tutti avevano alzato lo sguardo, pieni di stupore e preoccupazione, verso l'eclissi solare che lentamente rubava al mondo la luce del Bene. Tutti tranne una. Fu allora che vidi, nascosta tra la folla, Eloise, accecante nella sua bellezza angelica, che mi fissava. Era la prima volta, dopo 8 anni, che mi rivolgeva lo sguardo. Mi sorrise delicatamente. Ma non come si sorride ad una persona amata, con quel velo di dolcezza e affetto che ti scioglie il cuore. No. Il suo era un sorriso di odio, misto a malizia e qualcosa di anche peggiore. Dischiuse le labbra rosee e mi sussurrò con il labiale.

- Buon compleanno, Gemellina mia.

Fu allora che nel mio cuore tornò alla luce una nuova emozione ormai sopita. Fu allora che compresi di avere paura. Mi nascosi dietro il muro, evitando il suo sguardo pieno d’odio. Il mio cuore pulsava con velocità, tanto da udire solo il suo battito irregolare. “Perché mi aveva sussurrato quelle parole ? Il mio compleanno ??? E soprattutto… Perché mi aveva chiamato… Gemellina mia ???” pensai in fretta, presa da un fremito di agitazione. La mia fronte sudava a freddo. Quell’agghiacciante sorriso… Cosa significava ?

La mia schiena scivolò lungo il muro freddo, lasciandomi sedere sul pavimento di pietra. Avevo paura. Sentivo che presto sarebbe successo qualcosa di cui mi sarei dovuta pentire. Oppure dovevo solamente seguire l’istinto e… raggiungerla ?? Potevo benissimo farlo. La porta da alcuni giorni era misteriosamente non chiusa a chiave, come fosse un invito a lasciarmi uscire. La consapevolezza che la mia libertà consisteva nell’aprire un vecchio portone di legno, chiuso a chiave da 10 anni, mi metteva in uno stato di profonda inquietudine. All’improvviso, come un fulmine a ciel sereno, un pensiero tornò a galla. Mi alzai in fretta e corsi verso il comodino, accanto al mio letto, dove giaceva immobile un libro sulle eclissi solari. Inizia a sfogliarlo attentamente e mi appuntai sopra un foglietto alcune informazioni. -Eclissi solari… 20 anni di differenza…- borbottai a bassa voce alcune informazioni, mentre la mia mente pensava con rapidità ed eseguiva calcoli teorici e matematici. Mi sedetti sul letto, sfogliando il libro e scrivendo alcune informazioni sul foglietto. La soluzione era vicina.

A quel punto la penna scivolò via dalle mie dita fredde, precipitando sul terreno di pietra della cella. I miei occhi rossi erano accesi più che mai. Era il 6 Giugno 2666. Giorno di eclissi solare totale visibile perfettamente in quella zona del globo, che era l’antica Europa e ora Regno del Mondo di Mezzo. Precisamente il distretto della Gallica, l’antica Francia secondo i miei libri.

Quel giorno di 16 anni fa, io sono nata… E sono anche morta.

  
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