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Autore: Evilcassy    19/09/2013    2 recensioni
"Il paesaggio cambiò quasi quando al crepuscolo attraversammo il cancello di ferro battuto della tenuta Usher.
La stradina passava in mezzo ad una galleria di alberi talmente fitti ed alti da non lasciare trapelare la luce. Vi erano un paio di statue cadute a terra e divorate dal muschio e dalle foglie, rami spezzati e morti ed erba incolta: rimanemmo colpiti dall'incuria di quel giardino che sembrava aver vissuto un fastoso passato, e la penombra ci fece perdere la serenità che aveva contraddistinto il nostro viaggio sino a quel momento, come se fossimo entrati in una dimensione diversa, un mondo grigio e decadente.
Anche il clima sembrava più freddo che sulla strada che avevamo appena percorso, e una leggera foschia si alzava tra gli alberi e i rami bianchi abbandonati a terra. Venni pervaso da un insistente stato d’angoscia, un senso di squallore e abbandono. Non sembrava esserci nulla di vivo, pittoresco o colorato in quel giardino e la quiete ovattata era la stessa di un cimitero."
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Spett

Il Palpito di Casa Usher

 

 

 

Capitolo1: La Tenuta.

 

 

Ho sempre avuto un’alta considerazione di mio figlio Francis. È sempre stato un ragazzo intelligente, dotato di acuto spirito di osservazione, diligente e serio.

Sapendolo così straordinariamente dotato, ho fatto in modo che ricevesse la migliore istruzione che l’Inghilterra poteva offrirgli, sicuro che i miei sacrifici non sarebbero stati vani.

Terminati gli studi, è entrato a far parte della compagnia di famiglia, mostrando subito un buon senso degli affari.

 

Frequentando le scuole delle migliori aveva compagni che provenivano da ottime famiglie ed il buon carattere di mio figlio gli ha permesso di instaurare buone relazioni con molti dei suoi compagni, con cui intratteneva una fitta corrispondenza. Talvolta qualcuno di loro ci onorava della sua presenza a cena, o invitava Francis a passare il tempo libero in compagnia.

Di tutti loro quello a cui Francis era più legato era il suo caro amico Roderick Usher, che, stranamente, era anche l’unico che non avevo mai visto. Dai suoi racconti trapelava che si trattava di un giovane ricco e malinconico, che abitava in un'antica dimora dispersa nelle brughiere del Leicestershire amministrando i beni di famiglia dopo la morte del padre. La fortuna che aveva ereditato, purtroppo, non compensava la sua salute cagionevole, motivo per cui il giovane raramente lasciava la sua tenuta.

 

Un giorno, a colazione, mio figlio ricevette una lettera dal suo amico con cui gli comunicava la perdita della sua amata madre, malata da tempo. Francis se ne dispiacque molto: “Povero Roderick!” sospirò, con una costernazione tale che travolse anche me e il resto della famiglia “E povera Madeline!” aggiunse poi, riferendosi alla sorella.

 

Fu triste e pensieroso per tutto il giorno e quello seguente, e solo a cena che espresse un suo desiderio: “Vorrei tanto, padre, andare a trovarlo e porgli le mie condoglianze. Dev’essere un tale brutto periodo per lui! Non oso pensare come potrei essere, nei suoi panni, privato dei propri cari genitori e con l’angoscia di una tenuta a cui badare, insieme alla propria sorella. Anche nell’ultima lettera scritta trapela tutta la tristezza in cui è sprofondato, Vorrei davvero aiutarlo.”

Non avevo motivo per proibirglielo: lo trovai davvero accorato: Gli diedi il mio permesso e mi ringraziò riconoscente.

 

Mi stupì il giorno dopo, quando mi propose di accompagnarlo: il suo spostamento poteva trasformarsi in un viaggio d’affari, approfittanrne per gettare le basi del nostro commercio a Leicester, che distava a poche ore dalla Casa degli Usher.

Fui piacevolmente colpito da questa sua proposta, oltre che pienamente d’accordo.

La risposta di Roderick non tardò ad arrivare: era lieto ed impaziente di poterci ospitare presso la sua magione, ospiti graditi che avrebbero portato un po’ di luce nella sua casa.

 

 

Impiegammo un giorno intero per arrivare a Leicester. Esauriti i nostri incontri d’affari, organizzati egregiamente da mio figlio, ci dirigemmo verso la tenuta degli Usher.

Il viaggio da Leicester durò quasi quattro ore, in cui attraversammo la brughiera pregna dei mille colori autunnali; Francis ne era estasiato:“Oh, sì, Roderick me ne ha parlato tanto, e aveva ragione! Questo posto è così pittoresco!”

 

Tuttavia il paesaggio cambiò quasi quando al crepuscolo attraversammo il cancello di ferro battuto della tenuta Usher.

La stradina passava in mezzo ad una galleria di alberi talmente fitti ed alti da non lasciare trapelare la luce. Vi erano un paio di statue cadute a terra e divorate dal muschio e dalle foglie, rami spezzati e morti ed erba incolta: rimanemmo colpiti dall'incuria di quel giardino che sembrava aver vissuto un fastoso passato, e la penombra ci fece perdere la serenità che aveva contraddistinto il nostro viaggio sino a quel momento, come se fossimo entrati in una dimensione diversa, un mondo grigio e decadente.

Anche il clima sembrava più freddo che sulla strada che avevamo appena percorso, e una leggera foschia si alzava tra gli alberi e i rami bianchi abbandonati a terra. Venni pervaso da un insistente stato d’angoscia, un senso di squallore e abbandono. Non sembrava esserci nulla di vivo, pittoresco o colorato in quel giardino e la quiete ovattata era la stessa di un cimitero.

 

L’ampia ed oscura dimora era preceduta da uno stagno artificiale, una pozza d'acqua nera e che emanava un forte odore putrescente, circondata da giunchi secchi e spezzati e cespugli informi e privi di foglie.

Mentre la carrozza si fermava per farci scendere, un giovane varcò la soglia dell’ingresso vendendoci incontro.

Era alto e pallido, la sua magrezza sottolineata dagli abiti scuri del lutto. I capelli castani, striati di grigio, incorniciavano un volto pallido e stanco dai grandi occhi, liquidi e luminosi, e le guance glabre si increspavano in un lieve sorriso delle sottili labbra incolori.

Povero ragazzo! Pensai, guardando quel bel volto già così provato, mentre Francis si avvicinava salutandolo calorosamente. “Roderick! Mio buon amico! Quanto tempo…”

Lord Usher sembrava pervaso da un’agitazione quasi fuori luogo. Stringeva freneticamente la mano di Francis, sgranando gli occhi bruni sino quasi a farli uscire dalle orbite. “Mio caro, carissimo amico! La gioia che provo a vederti non la riesco a descrivere!”  Si rivolse dunque verso di me, senza calmare la sua agitazione:  “Voi dovete essere il Signor Anderson. Suo figlio mi ha parlato tanto spesso di voi, sono davvero onorato di conoscervi. Permettetevi di presentarvi mia sorella Madeline.”

 

Lady Madeline Usher era comparsa sulla porta senza che nessuno di noi se ne fosse accorto. Assomigliava al fratello nei lineamenti così pallidi e affilati, e nella sua altezza e magrezza; avanzò verso di noi in un modo così leggero che pareva trasportata dalla stessa brezza che aveva fatto alzare la nebbia.

"È un piacere conoscere un amico così caro a mio fratello, e suo padre” disse con voce bassa, mentre le presentavamo i nostri convenevoli e le nostre più sentite condoglianze.

“Accomodatevi pure, ho dato disposizioni alla governante di preparare il the.” Francis le sorrise e la ringraziò con quasi troppa vivacità per il suo carattere. La graziosa Madeline Usher doveva averlo colpito davvero, così come a me erano rimasti impressi i suoi occhi scuri screziati d'ombra.

La malinconia di Roderick per i tempi passati ci fece compagnia nel thè. Mentre mio figlio si premurava di ricordare all’amico episodi piacevoli dei loro trascorsi accademici, lui sospirava, volgendo gli argomenti verso il loro lato più tetro. Una cosa insopportabilmente incomprensibile: le ultimi tristi vicende, unite all’abitare in quella casa così opprimente non potevano che logorare un fisico e una mente già corrosi da una salute cagionevole.

 

Imbarazzato dal silenzio in cui mi ero immerso, cercai di trovare un argomento di conversazione guardandomi attorno:  Il mobilio del salotto era così sfarzoso ed eccessivo da risultare quasi stonato: Non vi era angolo disadorno da un’armatura, né una superficie chiara e priva di numerosi soprammobili di diversa fattura – vasi di ceramica, argenteria, cristalleria- posti in ordine quasi maniacale.

Il tutto era illuminato da un ampio camino, che gettava ombre guizzanti sulle pareti tapezzate e coperte di quadri e stemmi di famiglia.

Lady Usher osservava il fratello in silenzio, sorseggiando il suo thé; forse erano le ombre del camino, ma mi pareva molto stanca: “Milady, permettete una domanda?”

“Certamente, Signor Anderson” mi rispose con un tenue sorriso.

“Vivete in questa casa per i mesi estivi o è anche la vostra dimora invernale?”

Lei appoggiò la tazza sul tavolino di cristallo tra il canapè dove sedeva e la mia poltrona: “Da qualche anno a questa parte è diventata anche la nostra residenza fissa. Sia mia madre che mio fratello preferiscono la quiete di questa tenuta che la casa che abbiamo in città.” Spiegò.

Roderick asserì: “Questa casa ha un’anima” mormorò guardandosi attorno, un sorrisetto nervoso ad attraversargli il volto ed un lampo quasi folle gli occhi. “Ogni oggetto, ogni quadro, ogni mobile possiede un alito di vita che solo pochi possono percepire.”

Sia io che Francis rimanemmo per qualche istante interdetti a quella frase. Non riuscii –o non volli- coglierne il senso.

Tuttavia, dopo questa strana uscita, l’umore di Roderick parve migliorare di un colpo, tanto che invitò mio figlio ad una partita a biliardo.

Preferii ritirarmi nella stanza a me concessa, per prepararmi alla cena. Anche Lady Usher si ritirò nelle sue stanze. Mi soffermai a guardare di sottecchi la sua figura scura attraversare il corridoio silenziosamente. Senza apparente motivo, rabbrividii.

 

Scesi a cena rinfrancato dal lungo viaggio, per scoprire Lord Usher e Francis parlare seduti sul divano. Roderick sembrava sprofondato nuovamente nella più bigia malinconia, il volto tra le dita lunghe, mentre mio figlio tentava di rincuorarlo. Lo vidi molto preoccupato, ma non indagai oltre.

Lady Madeline mangiò poco o nulla, partecipando poco alla conversazione. Notai che era sempre Francis a tentare di coinvolgerla, cosa che la giovane donna pareva timidamente apprezzare e di cui sembrava esserne riconoscente. Mi sembrò improvvisamente una farfalla tenuta prigioniera, e non feci in tempo a formulare questo pensiero che posò i suoi occhi neri su di me, rivolgendomi anche un debole sorriso. 

 

Come quando la vidi nel corridoio da sola, venni pervaso da un brivido sconosciuto.  Poco dopo si accomiatò, ritirandosi nelle sue stanze. Rimasi anche io per poco in compagnia di Roderick e Francis: ora il primo sembrava di nuovo pervaso dalla frenesia, raccontava di battute di caccia memorabili in compagnia di suo padre, mentre Francis lo ascoltava, annuendo con veemenza, quasi lo volesse incoraggiare a continuare a dimostrare il rinnovato buonumore.

 

Tornato nella mia camera mi ritrovai intorpidito, assonnato. Feci appena in tempo a sistemarmi nel letto che mi addormentai.

E successe una cosa per me impensabile.

Sognai Lady Madeline Usher.

 

Cavalcava a pelo nella brughiera colorata che avevamo attraversato, spronando al galoppo un destriero nero. La semplice veste bianca ed i lunghi capelli sciolti la facevano assomigliare ad una libera amazzone, o una baccante in preda alla mistica frenesia della sua fede appena uscita da un dipinto d'arte classica. Mi passò vicina ridendo e mi gettò uno sguardo gioioso.

La guardavo estatico incitare il cavallo, farlo voltare, disegnare salti e movimenti eleganti, le gambe bianche e nude che spuntavano dall'orlo della gonna strette al ventre dell'animale. E poi, improvvisamente, eravamo sulla sponda dello stagno nero della tenuta, che era però un grande lago d'acqua marcia.

Inizialmente lady Madeline ne parve impaurita, facendo retrocedere l'animale. Poi mi gettò uno sguardo determinato e lo spronò nuovamente, facendolo correre verso il lago e tuffarsi dentro.

 

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Questa Fanfiction ha una storia un po' particolare. I primi due capitoli erano già stati pubblicati ed abbandonati, sotto al titolo 'The Ushers', un po' di tempo fa. Riprendendoli in mano li avevo trovati scritti in modo molto pesante e poco coinvolgente, così li avevo eliminati.

E poi li ho ripresi in mano. Perché? Perché ho fatto un sogno in cui leggevo Poe e lo commentavo ad alta voce davanti ad un gruppo di persone. Cosa strana, che anche se comunque i racconti di Edgar Allan Poe mi siano sempre piaciuti non è di certo il mio autore preferito. E svegliandomi mi sono ricordata che anche questa fic era nata da un sogno: un sogno generato probabilmente dalla visione di 'Profumo' in cui recitava Alan Rickman, e che appunto alla sua figura mi sono ispirata per il narrante Signor Anderson.

Quindi l'ho ripresa in mano e l'ho sistemata e finita, ed ora che ho tutti e quattro i capitoli nero su bianco ho deciso di riprovare a pubblicarla.

Spero che possa suscitare un qualche interesse.

Vi ringrazio in anticipo se vorrete passare di qui leggere e commentare, ma vi ringrazio comunque per aver solo aperto questa pagina ed essere arrivati alle note.

Alla prossima,

EC.

 

   
 
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