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Autore: Aching heart    22/09/2013    1 recensioni
"Malefica non sa nulla dell'amore, della gentilezza, della gioia di aiutare il prossimo. Sapete, a volte penso che in fondo non sia molto felice." [citazione dal film Disney "La Bella Addormentata nel Bosco"]
Carabosse è una principessa, e ha solo dieci anni quando il cavaliere Uberto ed il figlio Stefano cambiano completamente la sua vita e quella dei suoi genitori, rubando loro il trono e relegandoli sulla Montagna Proibita. Come se non bastasse, un altro tragico evento segnerà la vita della bambina, un evento che la porterà, quattordici anni dopo, a ritornare nella sua città ed intrecciare uno strano rapporto di amore/odio con Stefano. Ma le loro strade si divideranno, portando ciascuno verso il proprio destino: Stefano a diventare re, Carabosse a diventare la strega Malefica. Da lì, la nascita della principessa Aurora sarà l'inizio del conto alla rovescia per il compimento della vendetta della strega: saranno le sue forze oscure a prevalere alla fine, o quelle "benefiche" delle sette fate madrine della principessa?
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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10. Learnign how to hunt…
Dopo averle mostrato il suo alloggio, Stefano era rimasto tutto il giorno in compagnia di Rosaspina: le aveva fatto visitare la città, le aveva spiegato alcune delle tradizioni del regno e parte della sua storia – evitando accuratamente quella che riguardava lui come principe. Usurpatore, per di più – sorprendendo perfino se stesso con quell’insolita premura. Non sapeva a cosa fosse dovuta… insomma, lui, un principe, abituato ad un rispetto reverenziale e ad essere servito e riverito, si ritrovava a fare da cavalier servente ad una qualunque contadinella che per di più lo aveva umiliato e gli aveva mancato di rispetto fin dalla prima occhiata che si erano scambiati. Eppure, dopo aver giocato con quella bambina, la piccola Aurora, sembrava quasi che entrambi si fossero ammorbiditi, a dispetto dei toni sarcastici e delle parole taglienti con cui si erano parlati fin dall’inizio.
Forse il principe era spinto dall’orgoglio di mostrarle quella magnifica città per poi rivelarle di esserne il futuro sovrano – una parte di lui pregustava già l’espressione che avrebbe assunto il viso di Rosaspina una volta saputa quella notizia – o forse voleva dimostrarle che, in barba a quanto lei insinuava, lui era davvero un cavaliere… o forse voleva solo tentare di rimediare al loro rocambolesco primo incontro, nel bosco, e ripartire con il piede giusto. Qualcosa però gli diceva che lui avrebbe potuto metterci tutta la buona volontà che aveva, fare mille sforzi in quella direzione, ma Rosaspina non avrebbe semplicemente voltato pagina e ricominciato a scrivere il loro incontro daccapo, lei non avrebbe messo da parte la sua antipatia e sarebbe rimasta convinta e irriverente, pronta a tirare fuori quell’episodio e rinfacciarglielo quando lo avrebbe ritenuto più opportuno. Ma tutto quello che lui voleva era davvero trascorrere del tempo serenamente, per una volta che era lontano dal palazzo e poteva essere se stesso, senza obblighi né aspettative che incombevano su di lui – o almeno poteva provarci; tutto quello che voleva era stare in compagnia di quella strana ragazza che, senza saperlo, gli stava facendo un favore immenso a trattarlo come un qualunque cacciatore e forse anche peggio; tutto quello che chiedeva era di poter stare ancora un po’ in sua compagnia e lasciare da parte per un giorno l’ansia e la frustrazione dell’imminente matrimonio. Tutto quello che voleva era rivedere ancora una volta quella sconfinata dolcezza negli occhi di Rosaspina, anche solo per un momento: una semplice, fugace apparizione di quella dolcezza gli sarebbe bastata, se avesse saputo che era dovuta a lui e destinata a lui.
E forse, più di tutti gli altri, era stato quello il motivo che lo aveva spinto ad accompagnarla ovunque andasse per tutto il giorno, ma non aveva avuto i risultati sperati. A dispetto della frase che le aveva sussurrato prima di entrare nella locanda, “sei la dolcezza fatta persona”, non era del tutto convinto che fosse vero. Rosaspina aveva continuato con il suo atteggiamento sostenuto e adorabilmente ribelle per tutto il pomeriggio e gli aveva riservato non pochi dei suoi commenti sarcastici, e sebbene il principe percepisse che si era ammorbidita si era ritrovato a chiedersi se per caso non si fosse del tutto immaginato la ragazza dolce che lo aveva guardato insieme ad Aurora. Si era quindi rassegnato a non rivedere quella parte di lei – vergognandosi anche, perché lui era un principe, diamine, non un moccioso in cerca dello sguardo rassicurante della madre. Lui era forte, orgoglioso e indipendente, e non si sarebbe messo a elemosinare sguardi come una servetta innamorata – e aveva ripreso a ricambiare le sue battute mordaci con altrettanta combattività, ma stavolta provava quasi gusto nel farlo.
Avevano camminato per le vie della capitale, fermandosi ai banchetti di legno dei venditori delle merci più disparate, con Rosaspina che sembrava avere interesse in qualsiasi piccola cosa. Si guardava intorno con palese interesse e nulla sfuggiva al suo sguardo, e andava da una parte all’altra del mercato con un entusiasmo degno della piccola Aurora. Molto probabilmente non si era neanche accorta di avere il suo sguardo puntato addosso, sinceramente curioso di tutto quello che riguardava lei. Quella ragazza era un mistero umano, un enigma vivente… non che si fosse mai preoccupato di decifrare le personalità di coloro che lo circondavano, a palazzo, ma col tempo aveva imparato benissimo a quale categoria appartenessero: leccapiedi, adulatori, persone meschine che cercavano solo di entrare nelle sue grazie, con uno spessore psicologico praticamente nullo. Ci aveva fatto l’abitudine e, per carità, non gliene era mai importato granché, da loro pretendeva solo il dovuto rispetto, e quelli glielo dimostravano ampiamente. Era addirittura compiaciuto dal loro gareggiare per i suoi favori e si divertiva nel vederli affaticarsi appresso a lui quando sapeva che mai e poi avrebbe concesso loro il più piccolo privilegio. Poi, col passare degli anni, perfino lui era maturato e aveva perso gusto nel tormentare così i suoi cortigiani, che erano considerati alla stregua di  animali da compagnia di cui si era stancato, ed era sprofondato in una specie di apatia nella quale la sua arroganza e la sua boria spiccavano ancora più nettamente. Certo, il fatto che suo padre sembrava essere contento di quel suo comportamento non lo aveva aiutato a cambiare.
E invece Rosaspina lo provocava, risvegliava la sua curiosità, dimostrava di avere una personalità forte, complessa, affascinante, tutta da scoprire… e c’era qualcosa che gli sfuggiva, perché in fondo non era abituato a decifrare sguardi e comportamenti, ma sentiva che tutto ciò di cui aveva bisogno era più tempo in sua compagnia per poterla capire. Ci avrebbe potuto mettere mesi, ma sentiva, assurdamente, il bisogno di farlo. Forse perché era stata l’unica, fino a quel momento, ad essere riuscita a riportarlo indietro dal suo stato di apatia quasi perenne, e voleva capire come aveva fatto. Come poteva una ragazza qualunque, e soprattutto, una donna avere quel potere su di lui? Ne era affascinato, certo, ma non l’avrebbe mai ammesso.
Perciò fu a malincuore che, al calare del sole, lui la riportò indietro alla locanda e la salutò. Anche lei non sembrò essere troppo contenta di doversi separare da lui, ma credette di esserselo immaginato, perché quella ragazza sembrava essere davvero immune al suo fascino.
Quello avrebbe dovuto essere un addio, perché per quale motivo lui sarebbe dovuto andare a trovarla? Avrebbe voluto dire ammettere qualcosa, non sapeva neanche lui esattamente cosa, ma anche solo il pensiero di dare all’altra quel piccolissimo, insignificante vantaggio offendeva a morte il suo orgoglio. E poi lui era il principe, non poteva sparire in eterno dal castello per passare del tempo con quella sconosciuta. L’aveva incontrata, l’aveva aiutata facendo il suo dovere e le aveva fatto compagnia come un perfetto cavaliere, ora non c’era più nulla che potesse o dovesse fare e avrebbe dovuto lasciarla proseguire per la sua strada, esattamente come avrebbe fatto lui. Lei si sarebbe fermata forse per un po’ nel regno, ma poi avrebbe ripreso il suo viaggio alla ricerca di qualcosa che fosse abbastanza da convincerla a fermarsi, e si sarebbe stabilita in un luogo che lui non avrebbe mai saputo. Avrebbe messo radici e si sarebbe sposata, avrebbe avuto una famiglia… si ritrovò a sbuffare a quell’idea, mentre lo stomaco si stringeva con una contrazione ben poco piacevole. Prima di dover ammettere a se stesso qualcosa, qualsiasi piccolissima cosa, la voce del suo orgoglio intervenne, suggerendo che quel fastidio era semplice e pura incredulità, perché quella ragazza non avrebbe mai potuto trovare un posto nel mondo che andasse bene per lei, né tantomeno si sarebbe sposata e avrebbe avuto una famiglia come tutte le donne comuni. Era troppo fuori dall’ordinario, troppo… troppo, per una vita normale. Ma non era cosa che riguardasse lui: Stefano avrebbe vissuto la sua vita da principe quale era, lei avrebbe visto cosa fare della propria.
Perciò la questione avrebbe dovuta essere risolta… già, avrebbe dovuto. La cosa lo fece pensare e rigirare nel letto per tutta la notte, e fu così che la mattina dopo Rosaspina se lo ritrovò davanti mentre usciva dalla locanda per andare a fare una cavalcata, con arco e faretra in spalla, il suo stallone tenuto per le redini e lo sguardo che si sforzava di essere assolutamente impassibile.
Perfino lei stentò a nascondere un sorrisetto soddisfatto che a Stefano non piacque per niente – non perché non fosse effettivamente bello, anzi, un bagliore così a prima mattina poteva essere davvero dannoso all’autocontrollo di un qualunque uomo – ma stranamente non fece commenti di sorta. Si limitò a salutarlo e lui le propose una nuova sfida con l’arco, e lei stavolta non si preoccupò di nascondere il suo sorriso, che aveva una sfumatura vittoriosa e compiaciuta, come se non avesse aspettato altro… o come se sapesse già che avrebbe vinto. Orgoglio ferito a parte, Stefano non si sentiva propriamente di darle torto, e probabilmente in un’altra occasione avrebbe dato via la propria corona piuttosto che umiliarsi una seconda volta in quel modo di propria spontanea volontà, ma era l’unica scusa che gli fosse venuta in mente per rivedere Carabosse.
E così la giornata si era ripetuta quasi uguale alla precedente: la sfida e le successive rivincite erano state vinte da Rosaspina, con grande scorno di Stefano, poi lui si era offerto di farle compagnia ed erano ritornati in città e dopo aver mangiato insieme alla locanda (Stefano aveva detto che viveva completamente solo e non aveva nessuno da cui fare ritorno a casa) erano andati ad esplorare le parti della città che ancora lei non aveva visto.
Quella volta, al momento di separarsi, ognuno dei sue aveva rivolto all’altro uno sguardo furbo e consapevole, perché entrambi sapevano che quella giornata era stata piacevole ma nessuno dei due l’avrebbe ammesso, e perché sapevano che l’indomani si sarebbero visti nuovamente.
Infatti il mattino dopo  Stefano fu di nuovo da lei, e lo stesso il mattino dopo, e quello dopo ancora, e tutte le giornate scorrevano uguali alle precedenti ma sempre con qualche elemento nuovo. Per esempio, entrambi stavano imparando qualcosa di più sull’altro tramite domande interessate mascherate da uno strato di indifferenza; Stefano passava sempre qualche secondo di più ad osservare la figura sinuosa ed elegante di Rosaspina mentre tirava con l’arco e gli importava sempre meno delle sue sconfitte, anche se non rinunciava a dar voce al suo orgoglio ferito; tutti e due continuavano a rapportarsi all’altro usando il sarcasmo e l’ironia, ma quei battibecchi avevano assunto una connotazione più intima… quasi amichevole; Stefano riusciva ogni giorno di più a inquadrare meglio la personalità della ragazza e aveva capito con precisione cosa poteva dirle per farla arrabbiare, dando il via ad una delle tante schermaglie di parole taglienti che tuttavia, stranamente, lo confortavano; Rosaspina sembrava sapere benissimo cosa invece lei poteva dire per provocare lui e, a volte, metterlo a tacere. Era come se tutti e due volessero intensamente quello scambio di parole in origine acuminate che venivano costantemente smussate ogni volta che si parlavano: era qualcosa di strano e completamente nuovo per entrambi, e Stefano sapeva che mentre con lei quasi anelava questo strano rapporto che ancora non aveva ben identificato, se qualcun altro si fosse mai permesso di parlagli così lo avrebbe punito immediatamente. Ma quella ragazza era riuscita, non sapeva come, ad affascinarlo in una maniera tale da volere di più anche di quell’irriverenza sconfinata.
Era un gioco a cui giocavano in due, sebbene con scopi diversi.
Uberto aveva notato quelle assenze, ma non aveva fatto domande né aveva rimproverato suo figlio: aveva accettato di buon grado che Stefano si prendesse dei giorni per sé, di liberta, se questo significava che lui si era rassegnato al matrimonio. Non che avesse altra scelta, d’altra parte.
Ma quelle poche volte in cui riusciva a vederlo, durante la cena, sembrava preso da tutt’altre cose e non aveva mostrato la minima ribellione, né si era lamentato. Anzi, sembrava piuttosto soddisfatto e stranamente su di giri, come se gli fosse capitata una piacevole esperienza che era impaziente di ripetere. Forse aveva trovato una donna con cui sfogare la sua tensione e la sua frustrazione, e di questo Uberto era soddisfatto: Stefano aveva certamente capito che quel matrimonio non avrebbe voluto dire nulla di importante per lui. Se la sua futura moglie non gli fosse piaciuta avrebbe avuto centinaia di donne a disposizione per consolarlo, l’avere un anello al dito sarebbe stato irrilevante. Non lo sfiorava neanche l’idea che suo figlio potesse aver trovato quell’entusiasmo nella compagnia di una contadinella, semplice compagnia senza doppi fini: per lui era un’idea così assurda, uno scenario così estraneo da non ritenerlo neanche possibile.
E così, non frenato in alcun modo dall’autorità paterna, Stefano tornava ogni giorno da Rosaspina e se ne separava sempre al calar del sole. A volte, in città, si erano nuovamente imbattuti nella piccola Aurora e avevano giocato con lei. In quei momenti entrambi accantonavano i rispettivi caratteri forti per dedicarsi alla bambina, alla quale si affezionavano sempre di più. Era davvero impossibile non volerle bene, con quella sua gioia e tenerezza insite dentro di lei, con quei boccoletti biondi e le guanciotte rosee; era molto bella e in salute per essere una semplice popolana e si vedeva che era la beniamina di molte massaie del vicinato, sebbene nella sua famiglia non venisse considerata che un peso. Del resto, a cosa poteva servire la sua bellezza? Solo ad attirare guai.
Loro però la coccolavano e giocavano amorevolmente con lei, entrambi pensando a come sarebbe stato avere una sorellina più piccola; Carabosse però spesso si incupiva durante quelle riflessioni, pensando che fosse stato un bene non averne avuta una, perché probabilmente una bambina più piccola di lei non avrebbe retto la vita sulla Montagna Proibita. Quando pensava ciò, non poteva fare a meno di voltarsi con occhi accusatori verso Stefano, che fortunatamente non vedeva quasi mai quelle occhiate che lei gli rivolgeva, ma ogni volta era sempre più difficile credere davvero nel suo odio per lui. Quando lo vedeva giocare con Aurora, sorridente, dolce, intenerito, con una luce speciale negli occhi – quella stessa luce che, a sua insaputa, lui ricercava in lei – sentiva come se una massa scura e ghiacciata attorno al suo cuore si stesse lentamente sciogliendo, e in pochi secondi abbandonava i pensieri cupi per lasciarsi coinvolgere nel loro entusiasmo. Capitava spesso che si sfiorassero, e Rosaspina riusciva a stento a reprimere i brividi che le davano quei contatti; a differenza di lui, non aveva problemi ad ammettere che lo attraesse fisicamente, insomma, quello che le stava davanti non era più un ragazzino ma un uomo fatto, alto, quasi statuario, con le spalle ampie, le braccia forti,  i capelli corvini ondulati lunghi fino al collo, e quando i suoi occhi color smeraldo, che da bambina l’avevano inquietata, sorridevano con lui – quasi sempre a causa di Aurora – non poteva fare a meno di pensare che quelli fossero gli occhi più belli che avesse mai visto, gli unici in cui valesse la pena perdersi per non riaffiorare alla realtà mai più. Ma lui era solo una pedina, solo uno strumento per giungere alla sua vendetta, e lei non lo dimenticava mai: poteva trovarlo attraente, ma non poteva permettersi di provare nulla nei suoi confronti che non fosse qualcosa di negativo, e tuttavia diventava ogni giorno più difficile vedere in lui lo stesso ragazzino arrogante che la disprezzava, era difficile vedere in lui il figlio di Uberto.
Passava tutti i suoi giorni in sua compagnia, e ognuno di loro si stava pian piano assuefacendo alla presenza dell’altro, tanto da non riuscire più a pensare ad una giornata che non comprendesse una delle loro gare con l’arco o almeno una loro litigata.
 
-Non mi hai ancora detto perché sei in fuga dal tuo villaggio – disse Stefano a Rosapina circa una settimana dopo il loro primo incontro. Erano nel bosco, a dimostrare l’un l’altro le proprie abilità venatorie: Rosaspina, sempre facendo sfoggio della sua superiorità e non perdendo mai occasione per umiliarlo, gli aveva dato qualche consiglio e lui stava visibilmente migliorando, sebbene già di suo fosse un discreto arciere.
-Diciamo che… mi stava troppo stretto, ecco. Non l’ho mai sentito come casa mia. Avevo bisogno di andarmene e trovare la mia strada, che non era lì. C’erano cose da cui volevo scappare – disse in tono grave. Quella era una delle rarissime confidenze pure e sincere che lei gli faceva. Si conoscevano solo da pochi giorni e lei sembrava essere un tipo abbastanza diffidente, sì, ma questo non toglieva che lui fosse l’unica persona che conoscesse lì con cui potersi aprire. Del resto, Stefano pensava che tutti avessero bisogno di qualcuno per sfogare il proprio dolore; a tenersi tutto dentro, come aveva sempre fatto lui, si finiva per soccombere e trasformarsi in qualcuno che non si era. – Certo, non avrei mai immaginato che la mia strada fosse tanto  impervia e dissestata da condurmi in un regno primitivo nel quale i cacciatori non sanno cacciare e pensano che le donne siano esseri inferiori – buttò lì con ironia riappropriandosi del suo consueto modo di fare.
Stefano però non aveva intenzione di lasciar correre quel momento in cui l’aveva sentita, per una volta, del tutto sincera e senza riserve, così decise di donarle a sua volta un momento di assoluta sincerità. – Sai qual è la cosa strana? Che prima di incontrare te davvero pensavo che fosse vero… adesso che ho incontrato te, invece, la penso diversamente.
-Avevi proprio bisogno di ricevere una bella lezione, insomma – disse lei, apparentemente incurante del fatto che lui avesse detto ciò che pensava senza preoccuparsi di nasconderlo con ironia o boria, come al suo solito.
Sebbene effettivamente ciò che aveva detto Rosaspina fosse vero, a Stefano quella frase provocò un moto di irritazione, ma del resto era per quello che continuava a cercare la sua compagnia: per la capacità che aveva di tenergli testa e trattarlo come un qualunque asino dalla testa dura. Anche se non l’avrebbe mai ammesso.
-Dove hai imparato a tirare così bene? – le chiese cambiando argomento, dopo un suo tiro particolarmente aggraziato.
-Da alcuni amici particolari, molto particolari. Non credo ti andrebbero a genio.
-Ah sì? Perché? – chiese con giusto un pizzico di gelosia.
-Se proprio lo vuoi sapere… erano bracconieri.
-Non ci credo!- esclamò incredulo. Quella ragazza era una continua sorpresa... e doveva avere un qualche problema particolare con le convenzioni, dal momento che si comportava sempre in maniera diametralmente opposta a come ci si aspettava che una ragazza della sua età si comportasse. Ma non aveva proprio alcun pudore né timore per la propria incolumità?!
-Non crederci. Resta il fatto che sono comunque un’arciera migliore di te – proferì con un immancabile sguardo provocatore.
-E la tua famiglia… come ha reagito sapendo che imparavi a cacciare dai bracconieri? I tuoi genitori non sono andati su tutte le furie?
-Non lo sapevano – rispose lei semplicemente.
Seguì una pausa in cui nessuno dei due seppe cosa dire, finché Stefano parlò di nuovo, con voce leggermente tremante, sembrando quasi reduce di un veloce conflitto interiore.
-Com’è? La tua famiglia, intendo.
***
Com’è? La tua famiglia, intendo.
Ecco l’ultima domanda che Carabosse si sarebbe mai aspettata da Stefano. Si stava dimostrando gentile e completamente diverso da come lo ricordava, ovvero un ragazzino borioso e del tutto disinteressato a coloro che lo circondavano, come fra l’altro gli si era presentato una settimana prima. Eppure, man mano che i giorni che passavano insieme aumentavano, lui si rivelava poco a poco così diverso… Non sapeva dire, tuttavia, se quella gentilezza e quel riguardo fossero la dimostrazione che la sua tattica di seduzione stava avendo successo.
E la sua famiglia era in assoluto l’ultimo argomento di cui avrebbe potuto – e voluto – parlare con Stefano.
-Nulla di speciale, una famiglia come tutte le altre… genitori contadini, un sacco di fratelli e sorelle – disse quasi con noncuranza, distogliendo subito gli occhi da lui. Era davvero ironico che lui le chiedesse notizie della sua famiglia, quando suo padre l’aveva distrutta, eppure si sentiva lei quella in colpa. Aveva potuto avvertire dal tono della sua voce che lo reputava un argomento molto delicato e c’era qualcosa dietro – tristezza, amarezza, forse perfino dolore – che gliela aveva fatta incrinare, ma lei gli stava mentendo senza ritegno, per di più dicendo cose che non potevano essere più lontane dalla realtà dei fatti. Si sentiva quasi sporca, indegna, nel dire quella menzogna, come se stesse gettando fango sulla memoria dei suoi genitori, anche se era necessario per mandare avanti la messa in scena.
Tuttavia, per quanto velocemente i suoi occhi avessero rifuggito lo sguardo del principe, egli qualcosa doveva avervi letto, perché le si fece più vicino. – Scusa, forse non avrei dovuto chiedertelo. Immagino sia una cosa troppo personale – le disse, e lei riusciva a percepire che era davvero, davvero dispiaciuto. Si stava scusando sinceramente, cosa che non avrebbe mai creduto possibile per lui. Quanto ancora quel ragazzo l’avrebbe lasciata spiazzata, senza parole; quanto ancora si sarebbe dimostrato diverso da quello che pensava?
-Io… l’ho solo chiesto perché… ero curioso. Non volevo rivangare ricordi poco piacevoli, te lo assicuro, e se così è stato ti chiedo perdono, ma… io non ho alcun ricordo di mia madre – confessò infine, lo sguardo basso, infinitamente triste. – E’ morta quando avevo due anni, a causa delle febbre rossa, e da allora sono rimasto solo con mio padre. Io… mi sento così in colpa per non riuscire a ricordare nulla di lei…
Carabosse sentì i suoi occhi farsi pericolosamente lucidi; era assurdo che si sentisse così tanto coinvolta nel dolore di chi, a conti fatti, era suo nemico, ma non poteva estraniarsene. Non ci riusciva, perché sebbene lei non avesse perso sua madre prematuramente, il suo dolore era comunque gemello a quello di lui. Sapeva cosa stava provando in quel momento, e sapeva, perché lei era come lui, quanto gli costasse parlarne con qualcuno… e allora perché lo stava facendo? Perché con lei?
-Mi dispiace – fu tutto quello che riuscì a dire. – Io posso capire come ti senti…
-No, non puoi – la interruppe subito Stefano, il tono amaro e tagliente, pensando a suo padre e a come era stato vivere solo con lui: a volte era stato certo di non farcela.
Quelle parole furono come una frustata, e riuscirono a immobilizzare e a far tacere una attonita Rosaspina, riecheggiando fra loro due, congelando entrambi e mettendo immediatamente le distanze fra principe e contadinella, una distanza che per qualche secondo erano riusciti a colmare. Ma Stefano non voleva permettere che fra loro si ricreasse quel vuoto.
Forse era ancora scosso per essersi lasciato sfuggire quella confidenza, forse era ancora amareggiato dai ricordi poco piacevoli della sua infanzia, turbato da ciò che aveva detto sulla morte di sua madre, ma sentì il bisogno di avere Rosaspina vicina a lui. Non sapeva come rimediare alle sue ultime parole, perciò le prese dolcemente una mano, sperando che capisse il suo bisogno e le scuse che le stava porgendo con quel gesto e che non gli negasse quel contatto. Lei non glielo negò, e quando la mano del principe si avvolse gentilmente sulla sua un brivido corse sulla schiena di entrambi, come una scarica che si era diramata dalle loro mani, dal loro contatto, lungo tutto il corpo. Tutti e due avevano gli occhi lucidi e lo sguardo di chi nasconde qualcosa di doloroso dentro, qualcosa che poteva essere visto solo da chi era come loro.
Il cuore di Carabosse batteva forte, molto più velocemente del normale, e quello non era un buon segno, decisamente no. Le lacrime premevano per uscire e lei si chiedeva perché, dopo tutto quello che aveva passato, stesse per piangere proprio in quel momento, quando per anni aveva tenuto un controllo tale da farle sembrare di essere stata temprata nel ghiaccio. Il suo corpo fu presto scosso da tremiti di freddo, ma non un freddo naturale, perché si irradiava da dentro di lei, e sentiva che fosse quanto di più insopportabile ci fosse al mondo, perché a poca distanza da lei c’era Stefano, caldo e con il suo stesso dolore negli occhi, che rappresentava quanto di più simile ci fosse ad una presenza rassicurante, un porto sicuro. Ma era assurdo, perché Uberto era stato la causa del dolore della sua famiglia, e allo stesso tempo non lo era, perché paradossalmente lo era stato anche del dolore di suo figlio.
-Io ho perso tutti quelli che amavo – disse lei in un soffio,  e non sapeva se lo avesse detto per rispondere a lui che l’aveva accusata di non poter capire il suo dolore, o semplicemente perché era stata sola per troppo tempo, e quel peso andava condiviso con qualcuno.
Non appena lo ebbe detto sentì più freddo che mai, ma fu solo un attimo, perché anche l’altra mano di Stefano andò a cercare la sua, che gli andò incontro. Si fecero ancora più vicini e i loro occhi si specchiarono gli uni negli altri; il respiro di Carabosse accelerò sempre di più finché non si mozzò del tutto, e sentì chiaramente che qualcosa si agitava nel suo petto, risvegliandosi dal profondo del suo cuore e mettendolo sotto assedio dall’interno, stritolandolo in una morsa gelida e ferrea. Quel giorno aveva rivissuto troppo del suo passato, che invece doveva essere tenuto sotto chiave e attentamente sorvegliato fino ad essere quasi dimenticato, e  gli occhi del principe non la aiutarono di certo. Provò irrazionalmente paura, non sapeva neanche lei di cosa.
Anche Stefano appariva angosciato, e fu con un’espressione tormentata, quasi con disperato bisogno, che si chinò su di lei e cercò le sue labbra. Rosaspina, immobile, sapeva cosa stava succedendo, ma non voleva che accadesse, non ora che si sentiva così fragile da poter andare in pezzi al minimo movimento, e quando avvertì le labbra del principe vicine alle sue sentì la terra sotto i piedi mancarle, tutto il mondo iniziare a girare vorticosamente, e trovò la forza di sottrarsi a quell’attrazione che la spingeva inesorabilmente verso Stefano. Tutto era confuso, guardava senza vedere ciò che le stava intorno, il cuore batteva così forte da farla star male e per quanto si sforzasse di respirare non aveva aria, non ne trovava.
Realizzò con disperazione che stava avendo una delle sue crisi e si voltò, nascondendosi allo sguardo deluso e confuso di Stefano. Non voleva che la vedesse così, non doveva vedere quanto grande fosse la sua debolezza, perché lei avrebbe dovuto ucciderlo. Quale assassino mostra i suoi punti deboli alla propria vittima?
Cercò di scappare via, senza prestare attenzione alla mano di Stefano che si serrava attorno al suo polso, cercando di farla voltare, e che mormorava le sue scuse. Non c’era spazio per lui in quel momento. Trovò la forza di sottrarsi completamente alla sua stretta e corse via nel bosco, quasi alla cieca, perché non aveva davvero importanza dove stesse andando. Doveva solo allontanarsi.
Stefano rimase a guardarla dileguarsi fra gli alberi solo per qualche secondo, poi scattò al suo inseguimento.
Non era mai stato un gran cacciatore, ma questa volta non poteva permettersi di lasciarsi scappare la sua preda.
Quella era una caccia nuova, e lui ne stava imparando le regole.


*Angolo Autrice*
Sì, ce l'ho fatta finalmente. Vi avviso che questo capitolo ha visto la luce con innumerevoli difficoltà e molto tempo passato davati allo schermo di un pc; ci ho buttato sangue, come si suol dire, e ho fatto una bella fatica, ma spero ne sia valsa la pena. Anche se non lo fosse, temo che dovrete accontentarvi, perché questo è il meglio che so fare.
Dunque, nella prima parte del capitolo c'è un po' un riassunto di quella che sta diventando routine per Stefano e Carabosse (a proprosito, spero che si sia capito nel testo quando e perché Stefano ha chiamato lei "Rosaspina". Ad ogni modo, se vaete dubbi, chiedete, chiedete pure), principalmente per due motivi: questa storia sta prendendo pieghe piuttosto lunghe e ancora ne devono accadere delle belle, e io non voglio  rompervi l'anima con venotordici capitoli, perciò devo velocizzarmi un po'; e poi perché sono una mezza cartuccia nel descrivere gli innamoramenti, come accadono, come si evolvono ecc. ecc. Per questo ho preferito risolvere in questa maniera; spero almeno che per il resto il capitolo sia stato di vostro gradimento.
Per quant riguarda l'ultima parte, beh... non avrete creduto davvero che li avrei fatti baciare così presto e così facilmente? Eh no, prima ne devono passare, di acque sotto ai ponti... 
Allora, alcuni di voi già ne fanno parte, ma per chi non lo sapesse ho creato un gruppo su Facebook per questa storia e per quelle e venire della stessa saga, in cui fare sondaggi, scambiarsi opinioni, leggere spoiler sulla storia ecc. ecc. Per chi volesse, il gruppo si chiama Once Upon a Time Fiarytales: Sleeping Beauty, e potete trovarlo qui: https://www.facebook.com/groups/633954589962852/.  Sul gruppo ho già pubblicato i primi volti dei personaggi, quindi, per chi non può essere presente su Facebook, li metto anche qui. E' importante ricordare che è praticamente impossibile trovare attori che rispecchino in tutto e per tutto i personaggi, e non ho neanche il tempo o la capacità di usare Photoshop, perciò se ci saranno colori di capelli o di occhi diversi lavorate di fantsia, ok?
Dunque, per questo "primo round" abbiamo: Blàthnaid McKeown, ovvero Carabosse da piccola:

Jonathan Rhys-Meyers, che presta il volto a Thomas:

e Annabelle Wallis, ovvero Elsa:


Prossimamente arriverann anche gli altri personaggi. Penso di aver detto tutto e comunque se anche così non fosse sono stanchissima, perciò volente o nolente devo ritirarmi.
Ringrazio quelli che hanno aggiunto alle ricordate/seguite/preferite questa storia, i lettori silenziosi e vanessa_loves1D e Beauty per aver recensito.
A presto!
   
 
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