Anime & Manga > Vampire Knight
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Autore: nozomi08    24/09/2013    1 recensioni
La storia parla della 16enne Yame Minashigo, giovane studentessa appena entrata nella prestigiosa Cross Accadeemy. Sebbene sia a conoscenza dei tempi bui che affliggono sia la società degli umani che dei vampiri, le uniche volontà della ragazza sono quella di scoprire il mistero che si cela dietro alla morte dei suoi genitori e la possibilità di vendicarsi per il dolore e la solitudine che l'hanno attanagliata per molti anni. Ben presto però il suo cuore verrà scosso dalla presenza di un giovane hunter che le farà riscoprire l'intensità di sentimenti perduti e che verrà a sapere un terribile segreto dietro la natura di Yame e il suo passato. E intanto, la guerra contro il vampiro Sanguepuro Rido Kuran imperversa...
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti, Zero Kiryu
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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La Cross Accademy era una delle perle più brillanti, tra gli innumerevoli istituti del Giappone: un corpo docente egregiamente qualificato e prestigiose borse di studio erano solo alcune delle carte vincenti delle quali disponeva e che assicuravano, insieme ad una tassa d’iscrizione dalle basse pretese, l’iscrizione di migliaia di studenti ogni anno, provenienti da tutto il paese ed appartenenti a tutte le differenti classi sociali. Per entrare a far parte di questa scuola, oltre a possedere una raccomandazione di un istituto gemellato o affiliato, occorreva superare un complicato esame orale e scritto, ai quali, una volta ammessi, si sarebbero succeduti intensi corsi di studio ed approfondimento. Tutto ciò decretava a fine del ciclo triennale l’uscita di giovani menti aperte e brillanti, pronti a mettere in luce le loro doti e a far fruttare gli insegnamenti acquisiti.
Degne della sua fama e del suo prestigio erano anche le dimensioni: la scuola infatti possedeva decine e decine di ettari di terra, tra cui uno splendido lago, che facevano da sfondo paesaggistico al fulcro del sapere, e fungevano anche da utile mezzo per studiare le scienze naturali…
Gli studenti avevano il permesso di aggirarsi in questo meraviglioso paradiso verde, traboccante di un’affascinante flora, intrattenendosi in lunghe passeggiate e piacevoli soste sulle panche in pietra vicino alle varie, piccole fontane circolari sparse qua e là, per godersi un po’ di relax e bearsi di una bella vista. Anche i dormitori, le dimore degli studenti, insieme alla fitta rete di stradine, annegavano in quell’oceano verde smeraldo, riuscendo così a trasmettere al luogo una rilassante e quieta atmosfera.
Gli enormi e lavorati cancelli in ferro battuto e le massicce porte di legno di ciliegio poi, delimitavano i vari ingressi alle strutture, mentre mobili dalla pregiata manifattura e muri dalle tempere calde costituivano l’arredamento principale delle centinaia di aule e camere.
Sembra quasi il palazzo di Minosse, vero?
Ecco, nascosto in quest’ angolo di paradiso, nelle vicinanze del dormitorio Sole, vi era un edificio, di dimensioni assai modeste, presso il quale molti studenti sostenevano di aver avvistato aggirarsi una figura sospetta, che altri non era che… il direttore.
Era ovvio il motivo per cui quella sottospecie di hippie fomentato saltellava felicemente da quelle parti: c’era casa sua.
Già, quella, era la confortevole dimora del preside.
Una piccola casa dotata di tre camere, un bagno, un ampio salone ed una bellissima cucina, di quelle che tutte le donne sognano d’avere, nella quale si divertiva a sperimentare le sue nuove e (secondo lui) rivoluzionarie ricette. Senza dimenticare del giardino esterno, dove, nelle ore di riposo, si dedicava al giardinaggio.
Si poteva dire di tutto su quell’idiota di Kaien, tranne che fosse un pessimo giardiniere (escluso il fatto che sia uno dei più grandi hunter).
I suoi fiori erano semplicemente magnifici.
Lo so, perché l’ho visti. In quel periodo, passavo spesso lì i weekend, dato che, a differenza degli altri, non avevo alcun posto in cui stare, né uno in cui tornare.
Dell’orfanotrofio, non volevo neanche sentirne nominare. Mi sarei trovata Talya alle calcagna…
Per questo motivo, allora decisi di accettare la proposta del direttore di passare da lui i finesettimana, insieme a Yuki e Zero.
Pensai che tanto non avevo nulla da perdere, ed inoltre avrei potuto approfittarne per starmene un po’ per conto mio, magari ad allenarmi. Un po’ di calma da tutto quel fracasso giovanile ci voleva.
Ricordo che quando Kaien ebbe la brillante idea di accogliermi in casa sua due giorni a settimana fu esattamente il giorno in cui andai alla residenza per il mio primo addestramento. Quasi non dormii la notte, per quanto ero emozionata ed in fibrillazione, tanto che il mio gallo cantò alle cinque di mattina. Due ore d’anticipo sulla tabella di marcia…
A quel punto, stufa di assecondare la mia nervosa camminata su e giù per la stanza, afferrai al volo il mio pugnale ed uscii all’aria aperta, ignorando completamente la porta ed i corridoi deserti e saltando, di nuovo, dalla finestra. Ammetto che incominciò davvero a piacermi passare da lì, perché mi trasmetteva l’eccitante sensazione del brio dei giochi proibiti.
Non appena fui fuori, indugiai un momento, gustandomi l’ebbrezza della pungente aria mattutina. Non c’era niente di meglio che assaporare con gli occhi la dolce visione dell’alba: un cielo terso, tinto d’una leggera sfumatura rosa pesca, ed il brillante cerchio dorato che troneggiava all’orizzonte, oltre la distesa verde smeraldo, estasiavano la mia vista. Sorrisi, ed alzai le braccia, inarcando la schiena, per stiracchiarmi un po’. Nessuno in giro, solo io e la mia pace. Direi che era l’ideale per cominciare la giornata con il buon umore. Andai a farmi due passi in giro, stavolta stando attenta a non incappare nel dormitorio Luna. Non volevo affatto tornare lì, non dopo quello che successe con Kaname, non ora che sospettavo con quasi certezza della natura vampira degli studenti all’interno.
Un brivido improvviso mi percosse la schiena, ripensando a quella notte. Ancora non capivo come potè succedere una cosa così rivoltante.
Scossi la testa. Non dovevo pensarci. Non volevo rovinarmi subito la giornata.
“Chissà cosa staranno facendo ora…” pensai assorta, guardando in direzione del dormitorio.
Riflettendoci con calma, mentre proseguivo la mia passeggiata, conclusi che, in fondo, con quell’ipotesi, tutto incominciava a delinearsi nel giusto senso: cogliendo un po’ di informazioni in giro, venni a sapere che la Night Class frequentava le lezioni esclusivamente di notte, al calar del sole, per poi rientrare nelle loro camere all’arrivo dell’alba. Pensai che quest’aspetto coincideva con due cose: primo, la sensibilità dei vampiri alla luce del sole, in quanto li indebolisce molto fisicamente, creandogli non poche grane; secondo, la sicurezza per gli umani. Nonostante i rigidi controlli e le rigorose norme del regolamento scolastico, poteva sempre esserci qualcuno pronto a trasgredire e a tentare di passarla liscia per assecondare il proprio famelico istinto. C’era anche un terzo punto, che io stessa fui in grado di constatare: la loro riprovevole bellezza. Una caratteristica fondamentale per attirare a sé gli umani, così da poter bere il loro sangue e riempirsi quella loro disgustosa pancia affamata. Per non parlare poi dell’assurda questione delle differenti classi sociali, programmi di studi e quozienti intellettivi. La scusa perfetta da recapitare agli ingenui studenti umani, che ci abboccarono come pesci lessi. E così la verità veniva tranquillamente celata, al sicuro.
“Ora che ci penso, anche il ruolo dei Guardian acquisisce un senso…” pensai.
I Guardian, i disciplinari, coloro che hanno il compito di assicurare il rispetto delle regole scolastiche, tanto da doversi aggirare di notte. Adesso era chiaro. Il loro ruolo principale non era quello di far rispettare le regole, ma di sorvegliare la Night Class per proteggere gli altri studenti. Questo spiegava le ronde, e anche la reazione di Yuki alla mia domanda dell’altra sera. Troppo agitata, ma nella giusta dose quando sei consapevole di dover nascondere qualcosa che non va detta. Sospirai esausta, portandomi una mano sul viso. Forse la mia mente stava correndo troppo, ed io odio le cose incerte e, soprattutto, intricate come questa, che mi fanno pensare e pensare. Come se non pensassi abbastanza.
Forse avrei dovuto chiedere direttamente al direttore e farla finita. Ma mi chiesi se era proprio il caso di immischiarsi così tanto per una cosa che, con me, non aveva niente a che fare.
Arrivai in una piazzetta circolare, avente al centro una fontana di marmo, anch’essa a pianta circolare. Mi sedetti sul bordo, per poi distendermi sulla fredda pietra, socchiudendo leggermente gli occhi, infastiditi dalla luce ora più densa. Mi soffermai a guardare il cielo, un po’ delusa. Era piuttosto noioso guardarlo, se non c’era neanche una nuvola da osservare. Sospirai di nuovo.
“Che noia…” brontolai tra me e me.
 Voltai la testa per guardare il getto d’acqua della fontana, spostandomi verso il bordo interno per accarezzare la piccola cascata lucente ed incolore. Allungai il braccio, per tangire quell’immagine di perfezione, portando la mano sotto il tenue getto. L’acqua sembrava debordante di diamanti per quanto luccicava, e la sua freschezza deliziava i miei polpastrelli, propagando la sensazione di benessere ai muscoli tesi, che si rilassarono. Lo scroscio dell’acqua era così piacevole… regalò pace ai miei sensi, come raramente mi capitava.
E fu tra le braccia di quella dolce sensazione di pace, che caddi nell’abisso dei sogni.
 
 
Correvo.
Correvo a perdifiato, tra le centinaia di cadaveri sparsi per la radura, sferzata dalla fitta pioggia e dalla brutalità del vento, persa nell’oscurità.
Tuoni e lampi flagellavano la terra con la loro furia. L’etra vibrava della loro potenza.
Le gambe mi dolevano; parevano terribilmente pesanti.
Mi mancava l’aria; ma l’ossigeno pareva una freccia scoccata in pieno petto, intrisa d’un fatale veleno.
Però continuavo a correre, a scappare.
Ma da chi? Da cosa?
Perché?
Un sibilo. Sentii qualcosa afferrarmi la caviglia, e caddi nel lurido fango. Mi guardai le mani, intrise di fango e sangue secco, fin sotto le unghie.
Sangue?
Provai velocemente a rialzarmi, ma qualcuno sopraggiunse all’istante e mi bloccò, costringendomi poi a girarmi. Provai a dimenarmi dalla stretta, ma la sua presa era d’acciaio. Non riuscivo a muovere il bacino, provavo un forte dolore ai polsi.
Cos’è tutto questo?
Scorsi un delicato volto virile con due palpitanti iridi scarlatte, per poi essere risucchiate da due profonde pozze dalle sfumature cobalto.
Bellissimo.
Percepii un intenso pizzicore agli occhi e le lacrime cominciarono a scendere lungo il viso, mischiandosi con la pioggia.
Perché piangevo?
Cos’era quest’emozione che mi premeva nel petto come un macigno?
Perché desideravo ardentemente stringerlo, baciarlo?
Perché, allo stesso tempo, non volevo che mi toccasse, che mi stesse lontano?
Ero io?
Mi portò le braccia sopra la testa, fermandole ai polsi con una mano.
Non avevo nemmeno la forza di oppormi. Il mio corpo tremava, in preda agli spasmi. Volevo chiudere gli occhi, ma non lo feci.
Come se non fossi… io.
Lo vidi chinarsi sul mio volto, ipnotizzato da quelle due pozze, e lambire con dolcezza le mie lacrime, per poi scendere lungo il collo, per torturarlo con teneri baci roventi, ed incominciare a leccarlo lascivo con la sua calda e morbida lingua, indugiare esitante sulla carotide pulsante. La sua mano accarezzava lussuriosa le mie cosce, le natiche, salendo sempre più su.
Una lunga serie d’ardenti e sensuali fremiti percossero tutto il mio corpo, facendomene desiderare ancora, e ancora, come se fosse stata l’ultima volta.
E poi, senza neanche rendermene conto, provai un’acuta fitta di dolore.
Sentivo uno strano scroscio. Stava succhiando avidamente il sangue, dissetandosi la gola, riempiendosi la bocca del mio metallico sapore.
Lo sentivo scorrere via da me, ed annaspavo per quel piacevole tormento che mi straziava cuore e corpo.
Mi sentivo violata del mio essere, dei miei ricordi, delle mie emozioni.
Eppure, ne ero immensamente felice, perché era lui.
Ma lui chi?
Piccoli rivoli scarlatti mi solleticarono il collo, scendendo svelti verso il seno, ma lui li leccò voglioso tutti, come a voler custodire gelosamente per sé ogni singola goccia, gustandosi il sapore della mia carne con piccoli morsi che mi fecero rantolare. Gemetti quando mi mordicchiò il lobo dell’orecchio, mentre il suo seducente respiro caldo sulla pelle mandava il mio corpo ancora più in estasi. Insinuò frettoloso la mano sotto la sudicia maglietta strappata, accarezzandomi rude il bacino con la sua mano fredda e bagnata.
Poi, all’improvviso, sentii delle soffici ed umide labbra premere con violenza sulle mie, cogliendomi di sorpresa.
Restai immobile, attonita, mentre un turbinio d’estuose emozioni mi attraversava il corpo con la forza distruttiva di un ciclone. Il cuore stava per scoppiare. I muscoli mi dolevano per quanto tesi sotto il suo peso.
Le premeva con disperata passione, bramoso di approfondire il bacio.
Mi sentivo dannatamente confusa, e accaldata, tanto da sentirmi bruciare, e presa da una tale sofferenza che nemmeno immaginavo di poter provare.
Perché lo amavo, così tanto che lo consideravo tutto il mio mondo, se nemmeno sapevo chi era?
Al limite delle forze, dischiusi leggermente le labbra, in cerca d’aria, e tanto bastò per permettergli di insinuare scaltro la lingua, rendendo il bacio ancora più passionale, intimo, mandandomi in visibilio, mentre nella bocca sentivo scorrere il sapore delle sue labbra e del mio stesso sangue. Con la mente ormai completamente annebbiata da quel che mi stava succedendo, mi abbandonai allo spudorato istinto e alle emozioni che mi premevano dentro, rispondendo con altrettanto trasporto a quel tangito patto d’amore.
Era un turbine d’affetto e disperazione, forte come la pioggia che scendeva giù dalle minacciose nuvole, nel quale annegai senza fare resistenza. Sentivo la razionalità prendere il largo, lasciando spazio unicamente ai miei impulsi animaleschi.
Il ragazzo si staccò di malavoglia dalle mie labbra, cacciandomi fuori un mugolio di disapprovazione. Sentii di nuovo le lacrime scendere copiose, per la vergogna, la frustazione, la confusione. Lui mi guardò, in un modo che mi tolse letteralmente il fiato: vi vedevo il dolore, la costernazione, la passione, l’amore, il desiderio, la gratitudine e la nostalgia.
Come poteva una persona provare tutti quei sentimenti contrastanti, e tenerseli dentro senza dir nulla?
Come poteva, solo con quello sguardo, farmi sentir morire?
Senza distogliere il contatto dai miei occhi, avvicinò il suo bellissimo volto al mio, poggiando la fronte sulla mia tempia. Chiuse le palpebre con un leggero sospiro tremante, mentre calde lacrime vi uscirono silenziose.
-Ti prego di perdonarmi, onee-san- soffiò accorato sulle labbra, mentre la sua mano destra saliva, indugiando trepidante sul mio seno.
Fu un attimo.
Un dolore lancinante, nel petto, e trattenni il fiato, spalancando gli occhi per il terrore. Qualcosa si insinuava feroce tra le viscere, come la lama di un coltello. Una morsa attorno al mio cuore, le vene ed i capillari che si tendevano allo stremo, fino a spezzarsi. Trattenni il fiato, incapace di urlare. I polmoni si comprimevano, in cerca di ossigeno. Non sentivo più fluire il sangue. Sgorgava invece abbondante dalla parte sinistra del mio torace, imbrattandomi di un minaccioso color rosso. La vista incominciò a sfocare pian piano.
Rilassai i muscoli, ormai senza più alcun briciolo di forza, nel frattempo che la concezione del corpo sfumava dalla mia mente. Sentii “la cosa” sfilarsi dal mio petto, e guardai stordita la sua mano, coperta del viscoso liquido scarlatto, che teneva saldamente il mio cuore, che ancora batteva.
Non pensai a nulla.
Sentivo solo inebriarmi di una languida pace, che mi intorpidiva corpo e anima
Stavo per… morire?
Spostai a fatica la testa, per immergermi ancora in quel meraviglioso cobalto. Stranamente, non lo odiavo per quello che mi aveva fatto; anzi, mi sentivo addirittura grata, tanto che mi scappò un flebile sorriso, notando con gioia il suo volto divenire meravigliato tra le lacrime che continuavano a scendere delicate sulle guance perlacee. Con sguardo perduto e distrutto, il ragazzo portò il mio cuore alla sua bocca fremente, trangugiandolo a piccoli, avidi morsi. Poi, senza neanche badare all’enorme quantità di sangue che lo insudiciava insieme alla pioggia, mi sollevò con forza e mi strinse a sé, baciandomi con più trasporto di prima. Anche questa volta, non feci nulla per oppormi, e godetti del suo odore dolce e pungente unirsi al mio; godetti del sapore della sua bocca, mischiata a quello acre del mio sangue e della pioggia; godetti del calore del suo corpo avvinghiato al mio, tanto da poter sentire il suo cuore battere prepotentemente contro le costole; godetti della sua pelle liscia e dura; godetti delle sue braccia forti che mi abbracciavano come se fossi la cosa più preziosa di questo mondo infausto.
Lo amavo. Lo amavo così tanto da non poterne fare a meno, da volerlo fare solo mio. Anche se significasse procurargli ferite incancellabili.
Sarei stata ad osservarlo fino alla fine del creato.
Senza lasciarmi dalla tenera stretta, staccò lentamente il suo volto dal mio, guardandomi con lo stesso sguardo che prima mi aveva tolto il fiato. Il suo viso era contorto dal dolore che provava dentro. Chiuse gli occhi, avvilito, incapace di guardare oltre le mie iridi, e la sua voce proruppe in una frase strozzata.
Ed io, assaporai con gioia la dolcezza di ogni sua singola parola.
-Ti ho amata, cara sorella, e amarti è stata la ragione per la quale sono nato, Adhara-
Sgranai gli occhi, incredula
Adhara?
 
-Ehilà, sveglia!-
Spalancai le palpebre. Due iridi lucenti, d’un tenue verde prato, circondati da folte ciglia ben disegnate e da un mare di soffici fili color platino stavano ad un palmo dal mio naso. Sussultai per la sorpresa e cacciai un urlo, perdendo l’equilibrio, per poi fare centro dentro la fontana.
-Che cavolo!- strillai adirata, prendendo a pugni l’acqua fresca. Evidentemente non era cosa buona lasciarmi in pace almeno per un giorno. Inveì contro le forze avverse che si divertivano a farsi beffe di me, scatenando tutta la mia ira.
Ecco, tanti saluti al buon umore.
-E-ehi, stai bene?- chiese, trattenendo a stento le risate
Lo fulminai con lo sguardo, facendo forza sulle mie gambe per alzarmi, e uscii dalla fontana
-Mai stata meglio- risposi piatta
-Sono terribilmente mortificato, credimi- ammise agitato
-Sì, sì come vuoi- continuai con il mio tono piatto
Vedendo che il mio tono freddo non veniva scalfito da alcuna nota dolce, il ragazzo si preoccupò ancora di più. Mi succede sempre così, quando sono nera dalla rabbia.
-Non era mia intenzione fatti cascare lì dentro. Sai, stavo facendo una passeggiata (ricerca di pezzi per la mia collezione) quando ti ho visto sdraiata sulla fontana. Eri agitata, e stavi mugugnando sprazzi di frasi senza senso. Ho pensato che magari eri in preda a qualche incubo, e così ho ritenuto che sarebbe stato meglio svegliarti…- disse
“Ah, già, il sogno…” pensai d’un tratto, ricordandomene ogni momento. Mi passai una mano sul volto, incerta di come avevo fatto a fare un sogno del genere. Era stato talmente straziante da farmi tremare il cuore.
 Che quel maledetto di Rido avesse ragione? O quella era stata solo opera sua?
-Ok, ok, ho capito, non c’è bisogno che tu dia delle spiegazioni. Mettiamoci una pietra sopra e vissero tutti felici e contenti, va bene?- tagliai corto, volenterosa di stare da sola
-Va bene, ma sei sicura che è tutto apposto? Insomma, andare in giro conciata così…- disse imbarazzato. Mi diedi un’occhiata ai vestiti zuppi, e feci spallucce.
-Non è un dramma, per me- risposi, mentre l’altro alzava un sopracciglio
-Non hai paura di prendere qualche malanno?- chiese preoccupato
-Sono sopravvissuta a cose peggiori- risposi prontamente
Il biondo mi guardò crucciato, indeciso se intervenire o meno. Quasi mi fece tenerezza. Sospirò, avvicinandosi, per afferrarmi un braccio. Lo guardai meravigliata, non capendo cosa volesse fare.
-Non mi piace lasciarti sola in questo stato, perciò, che tu lo voglia o no, ti accompagnerò al tuo dormitorio- sentenziò deciso. Lo guardai imbronciata.
-Ti ho già detto che non c’è bisogno!- ribattei, svincolandomi dalla stretta.
“Perché insiste così tanto?! È appiccicoso!” pensai irritata, bloccandomi di colpo quando vidi la sua espressione: sorrideva, e anche di gusto, a quanto sembrava.
-Carattere difficile, eh?- mi stuzzicò ridendo -Beh, se insisti tanto, allora farò come vuoi tu, ma sappi che mi voglio sdebitare. Il mio nome è Takuma Ichijo, e se hai bisogno di qualcosa, potrai cercarmi nel dormitorio Luna, sempre che il direttore acconsenta- disse facendomi l’occhiolino, ed incamminandosi verso la parte opposta –Ci si vede, Yame Minashigo!-
Io rimasi immobile come pietra, incredula.
Dormitorio Luna? Quindi era un vampiro? Un vampiro che, pergiunta, camminava tranquillo in pieno giorno, come se fosse cosa comune. Come se fosse uno di noi, povere creature mortali.
E poi, come aveva fatto a sapere il mio nome?
Che soggetto.
Riscuotendomi dallo stato di sbigottimento, convenni che forse era proprio il caso di mettere addosso dei vestiti asciutti, dirigendomi di nuovo verso il dormitorio Sole. Ciò che mi preoccupò, lungo il tragitto, fu che incominciai seriamente a dubitare di essere finita in qualche sperduto manicomio di pazzi.
 
Mi sentivo ancora abbastanza scossa, dopo quello che accadde poco prima alla fontana. Nella testa mi ronzava con estenuante insistenza il nome di Adhara, crucciandomi con le immagini di quel doloroso sogno, così intenso, così reale, da parer far parte dei frammenti dei miei stessi ricordi.
Eppure, non era mio quel ricordo. Apparteneva ad Adhara, alla cacciatrice.
Fu come se mi fossi riflessa sulle sue memorie, e ciò mi diede da pensare sulle misteriose parole proferite da quel demonio di Rido, del quale ormai nemmeno provavo a negare l’esistenza, non dopo tutto quel che di veritiero mi accadde.
Qual’era il mio legame con lei? Esisteva veramente?
Mille domande angustianti fiorivano dal prato del mio inconscio, circondate dal profumo pungente della frustrazione.
Non era forse abbastanza quanto era successo con Kaname?
“Se hai bisogno di qualcosa, potrai cercarmi nel dormitorio Luna…”
Sorrisi amaramente. Avrei proprio avuto bisogno, d’una mano. Peccato che mi ritrovavo con le mani legate. Chi mai mi avrebbe creduto? Sarei stata presa per un folle.
L’intensità di quelle emozioni che provai nel sogno ancora scuotevano il mio giovane petto, sconcertandomi.
Uccisi dal proprio amato fratello. Che triste sorte.
Vagavo per i corridoi semi illuminati del Dormitorio Sole, persa così tanto nella cupa nebbia delle mie riflessioni, che nemmeno m’accorsi d’essermi addentrata in un’ala del dormitorio che non conoscevo. Mi guardai intorno un po’ spaesata, quando notai una porta aperta. L’unica. Mi avvicinai circospetta, con cautela, affacciandomi appena sull’uscio.
Rimasi paralizzata.
Zero era seduto sul letto, vestito d’un lungo cappotto, mentre si puntava addosso la sua amata Bloody Rose. L’indice pallido e sottile era poggiato contro il grilletto. Spalancai gli occhi.
Aveva intenzione di ammazzarsi?
No, non poteva. Non sotto i miei occhi, non dopo quello che avevo promesso a Yuki.
“Prenditi cura di Zero…”
Dovevo farlo.
Nella follia dell’attimo, gli saltai al collo, scansando con panicata irruenza il braccio avente la lucente pistola. Lo guardai con affanno dritto negli occhi, dove vi lessi una punta di sorpresa. Provai un moto di rabbia. Perché non capiva?
-Cosa volevi fare eh, stupido?!- gli urlai fremente.
-Niente- rispose lui, con il suo solito tono impassibile. Eccola di nuovo, la maschera. Sentii la rabbia salire ancora di più. Avevo davanti ai miei occhi il riflesso della parte più profonda e fragile di me stessa, quella che non riesco ad assopire.
-Bugiardo! Dì la verità, volevi spararti!- gli gridai -Sei così debole e codardo che non vedi l’ora di farti fuori!- continuai adirata.
Zero rimase in silenzio, mentre le sue iridi violacee si velavano d’un sentimento che conoscevo fin troppo bene: la colpa.
-Perché sei venuta?- chiese d’un tratto.
-Cos…? Non cambiare discorso, razza di… Ah!-
Con un agile colpo di reni, aveva capovolto la situazione iniziale: ora era lui a cavalcioni su di me. E avevo anche i polsi bloccati. Involontariamente, ripensai al sogno di Adhara.
Anche lui mi avrebbe strappato il cuore dal petto?
Mi martellava frenetico, contro le costole, ma continuavo a tenere lo sguardo fermo, adirato. Sfiorò il mio collo con la sua mano. Sentivo dei brividi espandersi per tutto il corpo, dopo il suo lieve tocco, come una malattia. Sfoggiò un sorriso sfacciato.
-Tu sai… cosa è successo a Yuki, l’altra notte, vero?- sussurrò seducente, con tono minaccioso, avvicinandosi al mio orecchio. Potevo sentire il suo respiro accarezzarmi la pelle –Il rumore che facevo mentre succhiavo il suo sangue… lo sento ancora qui, nelle mie orecchie. Nessuno sarà mai al sicuro, vicino a me- disse. Si staccò da me, e scese dal letto, per poi dirigersi verso l’uscio, afferrando il suo borsone.
-È meglio che tu stia lontana da me-
Furono le ultime parole che proferì, prima di sparire nel labirinto di corridoi.
Rimasi stesa sul suo letto, immobile, annegata tra le pieghe delle candide lenzuola. Sentivo prepotente il profumo della sua pelle, su di esse, e lo assaporai con profondi respiri. Mi sentivo abbattuta, e vuota, come il soffitto che incombeva sopra di me.
“Hai tentato di spaventarmi facendo il minaccioso, nella speranza di tenermi alla larga da quello che sei. Hai voluto proteggermi. Ma sono io che devo proteggere te, che voglio proteggere te. Voglio aiutarti a portare questo peso che ti trascini da chissà quanto tempo. Prima che sia troppo tardi”
Lui voleva rimanere solo. Non sapeva di essere amato. Non capiva che non lo avremmo mai lasciato naufrago di sé stesso.
Mai.
E lui se ne voleva andare. Lontano da qui, lontano da noi.
Uscii di fretta dalla stanza, correndo a perdifiato per i corridoi, nel cortile, cercandolo morbosa.
E poi, la vidi: la sua chioma argentea, mossa da un delicato vento che spifferava tra le fronde, facendo danzare le foglie ambrate. Camminava silenzioso, verso il confine della scuola.
Non lo avrei fatto andare via. Si sarebbe solo fatto ancora più male.
Era proprio uno stupido.
Gli corsi incontro per fermarlo, aggrappandomi alla sua schiena, in quello che sembrava l’abbraccio disperato di un’amante che vedeva partire il suo re. Affondai il viso nel tessuto del suo cappotto grigio, aumentando l’intensità della stretta. Il suo corpo era teso per la sorpresa, lo sentivo sotto la stoffa.
-Yame?- mormorò incredulo, voltando di poco la testa.
Ero stufa del dolore. Ero stufa delle pene.
Era il momento di dire basta a tutto questo.
-Non ti lascerò andare via. Non adesso. Non dopo avermi spiegato perché decidi sempre di scappare!- dissi frustrata. Lui mi afferrò le mani, e si sciolse dall’abbraccio. Non mi opposi; mantenni lo sguardo basso, colmo della collera che provavo verso di lui, verso l’ingiustizia di questo stesso mondo nel quale ero costretta a perseverare la mia misera esistenza. Anche se non lo guardavo dritto negli occhi, potevo percepire addosso l’acume del suo sguardo.
Chissà cosa stava pensando…
Forse si chiedeva perché non lo lasciavo semplicemente in pace.
-Ti conviene andartene. Non capisci? Ora che ho morso Yuki, non posso più fermarmi dal farlo. La prossima volta che accadrà, potrò anche arrivare ad uccidere- mi disse. Una punta di rabbia scomponeva il tono indifferente della sua voce. Strinsi con forza i pugni, ancorati ai fianchi.
-Ah, sì? Per questo hai deciso di andartene? Perché la bestia che è in te è troppo forte?- alzai di scatto la testa, fulminandolo con le fredde iridi. La voce copriva a stento i sentimenti che provavo –No Zero, non è la bestia che è troppo forte, sei tu che sei troppo debole!- urlai all’improvviso, mentre lo vedevo stupirsi della mia reazione –Dì la verità: hai così paura di te stesso che preferisci lasciare tutto al caso, sparendo dalla circolazione! Abbi le palle Zero, affronta te stesso diamine!- sbraitai infine tutto d’un fiato, scuotendolo per le spalle.
-E se non dovessi farcela lo stesso?- chiese scettico, con aria di sfida, avvicinandosi pericolosamente al mio viso –E se dovessi attaccare ancora, cosa farai?- soffiò sulle labbra. Voleva provocarmi, ma non caddi al suo gioco.
-Ti fermerò- risposi semplicemente, con fermezza –E poi ti prenderò a pugni- dissi sorridendo boriosa.
Lui sfoggiò un mezzo sorriso, dal gusto beffardo –Tu…-
-Non mi importa quante volte potrai perdere il controllo: io continuerò a fermarti, perché io, a differenza di te, ho la volontà di non arrendermi, per quante volte possa abbattermi- continuai, interrompendolo.
Zero rimase in silenzio, guardandomi dritto negli occhi, immergendosi nelle limpide acque grigie per esplorare l’oceano delle mie emozioni. Non se l’aspettava, una tale reazione da parte mia.
Se pensava di avermi conosciuto abbastanza per quello che sono, si sbagliava di grosso.
La vera Yame, è molto più raccapricciante di quanto si creda.
una maschera di dolore, di fronte alla quale rimasi sconcertata.
-Perché?- mormorò soltanto, tenendo i suoi bellissimi occhi fissi nei miei.
Agendo d’istinto, portai una mano sulla sua guancia, poggiandola con delicatezza, per poi sorridergli dolcemente. Vidi gli occhi di Zero sbarrarsi, diventando come quelli d’un bambino di fronte all’incanto illusorio dei giochi di magia d’un mago. Le sue guance si erano leggermente accaldate, sotto il mio tocco.
-Perché ti amiamo- fu la mia risposta.
 
 
ANGOLO AUTRICE:
Salve a tutti! Allora, che dire… che faccio schifo, forse? Tre mesi, dico QUASI TRE MESI DI RITARDO! Con questo, ho seppellito l’ultimo sprazzo di dignità per me stessa. Credo che qualcuno peggiore di me non esista. Inoltre, adesso che è ricominciata la scuola, andrà di male in peggio, lo so.
Se mi odiate, beh, fate bene. Mi odio già da sola per il mio status di bradipo. Anzi, loro sono anche più veloci di me. Mi dispiace di avervi fatto passare tutto questo tempo, crogiolandovi nell’ansia dell’aggiornamento. Vi chiedo scusa, davvero, perché so come ci si sente. E questo fatto mi disgusta ancora più. Comunque, che mi seguiate o meno, sono decisa a finire la storia. Non mi insudicerò dell’oltraggio di lasciarla incompleta, qualsiasi cosa succeda.
Perciò ora vi saluto, sperando che un giorno mi possiate perdonare.
A presto,
nozomi
 
 
 
 

 
  
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