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Autore: Zia Enne    24/09/2013    2 recensioni
[A real life in New York City GDR]
Suo cugino legge sempre.
Legge spesso anche per lui, anche se non glielo chiede.
Spesso passano i pomeriggi così, con Harry in silenzio, steso accanto alle gambe pallide e fine di Simon, che con voce placida gli fa dono delle storie che ama, forse convinto che siano l’unica cosa buona che lui stesso abbia da offrire agli altri.
Harry non si lamenta, a lui piacciono le storie.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Reaching you'
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The little prince.



Caldo.
Harry associa da sempre quel grande palazzo bianco con il giardino immenso al caldo.
Perché è sempre e solo d'estate che può entrarci.
Che può vedere suo cugino Simon.

A lui piace, Simon.
Non è come i suoi amici compagni di scuola, certo, è molto più silenzioso, molto più educato.
Le poche volte che si vedono è sempre a casa sua, in quel palazzo enorme, e suo cugino lo aspetta sempre sul portone, lo guarda avanzare con i suoi sul vialetto e ha i muscoli tesi, come chi aspetta il fischio d’inizio per cominciare a correre, ma non lo fa mai.
Si tortura l’interno della bocca, guarda verso due figure accanto a lui, dritte e rigide come statue di marmo e la sua postura diventa più composta di quanto non sia già.
Poi Harry lo raggiunge e Simon sorride di più, perché Simon sorride sempre, sempre quando lui lo vede.
Solo dopo che i grandi si sono salutati, che loro bambini sono lasciati liberi di correre verso il giardino, dopo che sono lontani da quei due paia di occhi severi che suo cugino gli getta le braccia al collo e ride e gli dice “Mi sei mancato, Hazza”.
Harry non è un tipo da abbracci, ma non lo allontana mai.
Gli lascia invece una piccola pacca maldestra sulla schiena, perché nessuno dei suoi compagni di scuola lo abbraccia mai così e si scosta appena, sbuffando con enfasi.
Mi sei mancato anche tu, Boo” pensa distrattamente, ma non lo dice mai.
Non ha mai ben capito il motivo per cui lui e suo cugino possono vedersi così poco.
Le poche volte che si è azzardato a chiederlo, sua madre ha liquidato la domanda con un “Sono cose che riguardano i grandi, Harold” e spesso ha avuto la tentazione di rispondere che Simon era suo cugino e il fatto di non poterlo vedere riguarda lui, non i grandi.
Quando la tentazione diventa molto forte ma non ha tuttavia voglia di scatenare la stizza della sua mamma, lo sguardo si sposta verso il volto placido di suo padre.
Al che Colin Hamilton sospira e dice “Ai nonni di Simon non piaccio tanto”, beccandosi un’occhiata dalla moglie.
Cose da grandi.
E allora Harry non domanda più, ma si chiede se i grandi prendano in considerazione il volere di lui e Simon, nelle loro decisioni.

 
"It is the time you have wasted for your rose 
that makes your rose so important."
 
-Boo, perché ai tuoi nonni non piace il mio papà?
Simon sussulta appena, ma basta quello a far sfuggire il piccolo libro che tiene nelle mani magre.
A volte, suo cugino gli sembra così debole che basterebbe un soffio di vento a portarselo via.
Sono nel giardino del Palace, come sempre, in uno spiazzo tra gli alberi del boschetto compreso nel terreno della grande tenuta.
Una coperta è stesa sul terriccio, i fili d’erba e le poche foglie cadute per le brezze estive, e su di essa ci sono stesi loro.
O meglio, Harry è steso, con le braccia dietro la testa e la t-shirt di Captain America che Simon adora, appena alzata a scoprire una striscia della pelle tenera del suo ventre infantile.
Suo cugino è a gambe incrociate accanto alla sua testa, la schiena dritta, le spalle abbassate, tutto in lui è rigido, sempre.
Lo guarda con quei suoi occhi grandi e azzurrissimi, sorpreso e quasi spaventato dalla domanda che gli ha appena posto.
Harry sta per dirgli che non fa niente, che è meglio cambiare discorso, ma Simon abbassa il capo, stringe due fili d’erba tra le dita sottili e tira appena, senza strapparli.
-Penso sia perché non gli piace nemmeno il mio, di papà.
Questo, Harry, non se lo aspettava.
Che a qualcuno potesse non piacere la figura silenziosa, discreta, gentile e sorridente di suo zio David, proprio non se lo spiega.
-Ma che cazzata!- sbotta, senza riflettere e Simon inarca le sopracciglia in una strana espressione tra l’imbarazzato e l’ammirato, come fa sempre ogni volta che Harry dice una parolaccia –Perché non dovrebbe piacergli?
-Perché dicono che non andava bene per la mamma.
Le parole di Simon sono un farfuglio di chi sta raccontando un segreto che aveva promesso di mantenere.
Harry sta per sbottare di nuovo con la stessa imprecazione di prima, ma non lo fa.
Perché odia ripetersi, mica per altro.
-Quindi io e te possiamo vederci pochissimo perché secondo i tuoi nonni tuo padre è sbagliato per tua madre?- dice ironicamente.
Simon si morde il labbro nervosamente e non risponde.
Poi si avvicina titubante al suo orecchio, con la voce bassa, tremante –I miei nonni dicono che io e te non possiamo vederci troppo perché potresti essere un cattivo esempio per me.
Lo dice in tono totalmente dispiaciuto, come se si stesse scusando al posto loro per i loro giudizi.
Harry non è troppo indignato: è stato considerato il cattivo esempio di molte persone.
Rimane in silenzio, assimila l’informazione.
Suo cugino è rattristato dal suo silenzio, ha paura che se la sia presa, si allunga a raccogliere il libro cadutogli dalle mani prima per avere non pensare all’imbarazzo.
-Tu credi che io sia di cattivo esempio, per te?
Di nuovo, il libro minaccia di cadergli dalle mani, ma riesce a rimanerci –No, certo che no Hazza!- è quasi scandalizzato.
Allora Harry vorrebbe chiedergli perché non si ribella, perché non si fa sentire, non vorrebbe forse vederlo anche lui più spesso?
Ma poi ripensa a quando lo aspetta sulla porta e a quegli occhi che lo gelano sul posto, e tace.
Perché si rende conto che sì, ovvio che vorrebbe vederlo più spesso.
Ma pensa che non deve essere facile crescere nel terrore della propria famiglia.
E quindi, tace.
Simon si sistema con le gambe incrociate e sfoglia il libretto, un po’ rincuorato.
Suo cugino legge sempre.
Legge spesso anche per lui, anche se non glielo chiede.
Spesso passano i pomeriggi così, con Harry in silenzio, steso accanto alle gambe pallide e fine di Simon, che con voce placida gli fa dono delle storie che ama, forse convinto che siano l’unica cosa buona che lui stesso abbia da offrire agli altri.
Harry non si lamenta, a lui piacciono le storie.
La storia di oggi era Il piccolo principe, e per tutta la durata della lettura Harry non ha potuto fare a meno di associare il protagonista al bambino che aveva accanto.
Forse è un paragone azzardato, pensa, ma potrebbe ribattere che è assolutamente innegabile che Simon sia piccolo e la cosa più simile ad un principe che conosce (e gli viene da storcere il naso, perché è un pensiero decisamente troppo da femmina, quello che ha appena formulato).
E inoltre, non ha dubbi sul fatto che Simon metterebbe tutto sé stesso per prendersi cura di una rosa.
Per un attimo, si chiede cosa si proverebbe ad essere la rosa di quel piccolo, triste principe.

 



Corner:
Dedico questa storia a quella matta di nervesaythree, e mi dispiace se le nda sono corte, ma avevo fretta di pubblicare.
Ti amo, babe.
   
 
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