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Autore: Ser Balzo    25/09/2013    2 recensioni
STORIA IN REVISIONE (tanto per cambiare)
Nel cuore della Polonia c'è una vecchia e grande foresta. Da tempo immemore domina le terre e le genti circostanti, venendo adorata e temuta come un'antichissima divinità. Nessuno ha mai contestato il suo immenso potere.
Nessuno, fino ad oggi.
È il 1807: Napoleone domina l'Europa. Tra nemici implacabili, commilitoni esuberanti e una infida e onnipresente neve, il giovane Dastan si ritrova improvvisato protettore di una strana ragazza con un elegante vestito rosso.
La fanciulla non ha casa, ne' famiglia, ne' amici. Ma una cosa è certa: qualcuno la rivuole indietro.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La Dama del Bosco



Il sole era tramontato da un pezzo quando Dastan, Principe e la ragazza giunsero nei pressi del villaggio di Anon. Si udiva ancora qualche colpo di cannone, ogni tanto, ma la battaglia era ufficialmente finita già da qualche ora.

Anon era uno sputo di case di legno nei pressi della foresta, circondate da una solida palizzata di legno. Dastan aveva avuto modo di scoprirlo durante i giorni precedenti, quando il suo reggimento aveva avuto l’ordine di perlustrare i dintorni del campo di battaglia in previsione dello scontro. Era un luogo tranquillo, silenzioso e appartato: l’esercito pernottava fra le case semidistrutte di Eylau, e l’ultima cosa che Dastan voleva erano altri lupi affamati in divisa.

Due soldati nell’uniforme blu scuro della fanteria leggera montavano la guardia fuori dal portone d’ingresso. Uno dei due aveva poggiato il moschetto alla porta, per sfregarsi le dita congelate, mentre l’altro aveva tutta l’aria di essersi addormentato in piedi.

Dastan imprecò fra se’. Non si aspettava la presenza di militari in quel luogo. Magari qualche sparuto cavalleggero in pattuglia, ma quei due fanti di guardia mostravano chiaramente che un nutrito gruppo di soldati (un battaglione, una compagnia o addirittura un reggimento) aveva scelto Anon per passare la notte.

Rimase lì, sul ciglio della strada, incerto sul da farsi. Ben presto sarebbe calata la notte,  e non poteva dormire all’addiaccio: sarebbe morto congelato, sepolto dalla neve. Gettò uno sguardo alla foresta, accarezzando l’idea di trovare riparo fra gli alberi.

Potrebbe funzionare...

Lì in fondo, in mezzo agli alberi, qualcosa si mosse.

Ok, no. Tutto sommato, anche nella foresta rischio di congelare. E poi, se accendo un fuoco, magari mi beccano... no, non è fattibile. Purtroppo, il villaggio è l’unica opzione.

Come se gli avesse letto nella mente, Principe sbuffò divertito.

«Io non farei tanto lo sbruffone, se fossi in te. Guarda che ho visto come faticavi per non dartela a gambe, oggi.»

Principe agitò pigramente la coda, cercando di ostentare sicurezza.

«Sì, certo. Forza, muoviti, prima che questa poveraccia muoia di freddo.»




I due soldati di guardia riconobbero la giubba verde dei Cacciatori a Cavallo e, con un’occhiata stranita al suo carico particolare, lo lasciarono entrare.

Dastan attese che la porta si aprisse aspettandosi di vedere giubbe blu da ogni parte: oltre l’entrata, invece, non c’era nessuno. Le strade erano deserte. Anzi, la strada: la rete viaria di Anon consisteva in un unica, ampia via, attorno alla quale sorgevano praticamente tutte la case del villaggio.

Gli zoccoli di Principe non facevano quasi alcun rumore mentre calpestavano la neve. Dopo l’ululato della bufera e il clangore della battaglia, tutto quel silenzio aveva un che di innaturale.

Da una casa sulla sinistra della via uscì una donna grassoccia con una cuffia in testa ed un secchio in mano. Dastan colse l’occasione per chiedere ospitalità.

«Scusatemi, signora» disse, con quel poco di polacco che sapeva.

La donna si fermò, sorridendo al cavaliere. «Buonasera anche a voi, monsieur» rispose in un dignitosissimo francese.

Dastan non poté fare a meno di sorridere. «Parlate francese?»

«Quanto basta. Mio marito me ne ha insegnato un po’.»

«Magnifico. Sentite, madame, avrei bisogno di ospitalità. Questa povera ragazza morirà di freddo se non riceve un po’ di calore entro breve.»

Il volto della donna si tramutò in una maschera contrita dalla compassione. «Oh, povera cara. Che le è successo?» domandò avvicinandosi alla ragazza svenuta.

«Degli uomini l’avevano circondata. Non avevano buone intenzioni.»

La donna lo guardò con ammirazione. «Siete un brav’uomo. Voi...» Non appena la donna vide i lunghi capelli neri della ragazza e il suo vestito rosso, cacciò un urlo acutissimo. Principe scartò di lato, spaventato.

«MALEDETTO PAZZO! SCIAGURA, SCIAGURA SU DI TE!» gridò con tutta la voce che aveva in corpo.

Dastan era troppo stupito per replicare. «Madame, io non...»

«PHILIPPE! PHILIPPE! AIUTO!» strillò di nuovo la donna, tirando il secchio addosso a Dastan con sorprendente forza.

Il Cacciatore schivò il grosso proiettile, e istintivamente estrasse la pistola.

Quant’è vero Iddio che la freddo, a questa maledetta cicciona!

Continuando a berciare maledizioni, la donna corse in casa, sprangando la porta. Si udirono voci all’interno della casa, poi la finestra del piano superiore si spalancò, mostrando un uomo sulla sessantina in camicia da notte e berretto. Fra le braccia stringeva un grosso fucile da caccia.

«Vattene, valletto di Satana!» gridò l’uomo, puntandogli il fucile addosso.

«Ehi! Statemi a sentire, signore, si è trattato sicuramente di un malinteso. Io non ho alcuna intenzione di...»

«HO DETTO VATTENE, MALEDIZIONE! PORTA LA TUA MALIGNITÀ LONTANO DA QUI!»

«Ma io non...»

Con uno scoppio, un proiettile sibilò accanto alle zampe posteriori di Principe e si conficcò nella neve con uno sbuffo. Dastan decise che ne aveva avuto abbastanza, e spronando il suo fido destriero mise quanta più distanza possibile fra lui e quella famiglia di svitati.

«SCAPPA, SCAPPA, GUITTO INFERNALE!» gridava ancora l’uomo col fucile.

Galoppando a briglia sciolta, Dastan raggiunse la fine della strada in un battibaleno.Tirando le redini, mise bruscamente fine a quella corsa disperata.

Alla fine della via c’era una piccola piazza rotonda, vuota ad eccezione di un lungo palo di legno, annerito dal fumo e dal fuoco, conficcato nel terreno. Emanava un’aura di solenne e terribile punizione. Dastan non ci mise molto a capire qual era lo scopo di quella semplice ma inquietante struttura.

Ma che gradevole comunità di psicopatici.

Aveva appena localizzato la locanda del villaggio, contrassegnata da una vecchia insegna di legno marcito con su scritto la Dama del Bosco, quando cominciò a nevicare di nuovo. Stavolta, però, i fiocchi cadevano lenti e gentili, morbidi e aggraziati.

Non credere che ti perdoni così facilmente, maledetta bastarda.

Legò Principe davanti alla locanda, poi si issò la ragazza ancora svenuta sulle spalle e fece il suo ingresso nel locale.

Proprio in quel momento, intorno ad un tavolaccio vicino all’entrata della locanda, Charles, Bernard, Victor e il sergente LaBeouf discutevano sulle sorti del loro amico.

Dopo la battaglia, il Tredicesimo Cacciatori a Cavallo aveva avuto il compito di perlustrare la zona, in cerca di beni strategici rilevanti: feriti importanti da salvare o da trarre prigionieri, cannoni abbandonati, vessilli lasciati a terra... tutto poteva essere importante, in guerra.

Il rendezvous era stato fissato per l’indomani mattina alle porte di Eylau. Era singolare tanta libertà affidata ai soldati, ma i Cacciatori a Cavallo erano un corpo di cavalleria leggera, ed era normale che si ritrovassero a svolgere missioni in piccoli gruppi.

Il sergente LaBeouf aveva preso con se’ Charles, Victor e Bernard e insieme si erano messi alla ricerca del loro compagno scomparso. Dopo una giornata di infruttuose ricerche, avevano trovato riparo in quel piccolo villaggio, trovandovi un distaccamento di una trentina di uomini della fanteria leggera comandato da un tenente rubizzo e allegrotto, che in un gran vociare e con numerose pacche sulla spalla gli aveva indicato la Dama del Bosco.

«Io dico che i russi l’hanno fatto secco» sentenziò Charles, trincando vino dal suo boccale.

Il sergente LaBeouf si accarezzò i baffi con una mano, meditabondo. «Nah, il ragazzo è troppo furbo. E poi, il suo corpo non l’abbiamo trovato.»

«Nossignore» rispose Victor «lo abbiamo cercato dappertutto. Ma forse io un’idea ce l’ho» aggiunse, sporgendosi in avanti sul tavolo con fare cospiratorio.

«Illuminaci, Victor» disse Charles con una smorfia.

Victor sorrise, soddisfatto della completa attenzione che gli era rivolta. «Vicino al luogo dello scontro ho trovato quattro cadaveri, tutti Dragoni, e nessun cadavere russo intorno. Quattro morti, da soli, appena dentro la foresta.»

«E quindi?»

«E quindi l’ultima volta che ho visto Dastan, stava galoppando dritto verso di loro.»

Il silenzio accolse quelle parole, cadendo come un macigno su quella tavola.

«Stai dicendo» disse Charles «che li ha ammazzati lui?»

«E’ probabile» confermò Victor «conosciamo tutti Dastan, e sappiamo che ne è più che capace. Quello che non so, è perché l’ha fatto.»

Il sergente LaBeouf era perplesso. «Quindi pensi che li abbia fatti fuori, e che poi sia scappato per evitare il plotone di esecuzione?»
 
«Non lo penso» sentenziò Victor «ne sono certo.» Si stiracchiò soddisfatto, inarcando la schiena all’indietro. «A quest’ora sarà in viaggio verso qualche luogo esotico: ci scommetto la virtù di mia sorella.»

In quel momento, proprio dietro alle sue spalle, fece il suo ingresso di gran carriera l’oggetto delle sue supposizioni, portando sulle spalle qualcosa nascosto da un voluminoso vestito rosso.

Victor vide le facce sbigottite dei suoi compari, e il sorriso beffardo scomparve dal suo volto. «Beh, ma che vi prende? Avete visto il diavolo?»

«Meglio, amico mio» rispose Charles fissando qualcosa proprio sopra le sue spalle «di’ un po’, è carina tua sorella?»

Victor rimase per qualche istante interdetto, poi si voltò sulla sedia con la rapidità del lampo.

Dastan marciava a passo di carica dritto contro il bancone della locanda.

«Che mi venga un colpo! E che diavolo ha in...» appena comprese cosa trasportava il giovane Cacciatore, Victor rimase a bocca aperta.

«Una ragazza. Ho saccheggiato il campo di battaglia per tutta la giornata, e il massimo che ho trovato è stato un orologio d’argento scassato. Lui sparisce per un po’, e torna con una ragazza» disse Charles, vivamente sconfortato.

«Buon Dio, ma dove l’avrà trovata?» si chiese il sergente LaBeouf.

L’unico a non essere sbigottito era Bernard. Fissava la ragazza con manifesto sospetto. «Non mi piace. Le femmine portano guai. Sopratutto se ben vestite.»

Mentre i suoi compari rimanevano impalati ad ammirare la sua entrata in scena, Dastan raggiunse il bancone, dietro il quale si trovavano un uomo tracagnotto e completamente pelato e una giovane donna magra e bionda. L’uomo pelato, che era il proprietario della locanda, si rivolse a lui mentre asciugava un boccale con uno straccio, lanciando uno sguardo ostile alla ragazza che trasportava.

«Posso esservi d’aiuto, signore?» chiese in un francese stentato.

«Ho bisogno di una camera, possibilmente con un camino o una stufa» replicò Dastan, in tono sbrigativo.

L’uomo non si lasciò turbare dal fare brusco del Cacciatore. «Spiacente, signore, le camere sono già state tutte occupate. Anche se volessi, non saprei dove mettervi.»

«Non è per me, è per la ragazza. Se non fate qualcosa, morirà di freddo.»

L’oste distolse lo sguardo, concentrandosi sul boccale di vetro. «Spiacente signore, ma non ho tempo da perdere per soddisfare la vostra lussuria. Se volete darvi da fare con quella baldracca trovate un altro posto.»

Dastan rimase un attimo interdetto. «Io... che cosa? Aspettate, voi avete frainteso...»

«In tal caso, signore, vi faccio le mie scuse. Buona serata.»

Dastan prese un respiro profondo, cercando di mantenere la calma. Poi, con serenità e autocontrollo, estrasse una delle sue pistole dalla fondina e la posò pesantemente sul bancone.

L’oste smise immediatamente di pulire il boccale.

«Ho la vostra attenzione? Bene. Sono appena arrivato in questo villaggio, e già lo odio. Tutti non fanno altro che mettermi i bastoni fra le ruote, e quando la gente mi mette i bastoni fra le ruote divento nervoso. Adesso, o mi andate a cercare una camera, o io vi sparo e me la cerco da solo. Sono stato abbastanza chiaro?»

L’oste guardò la pistola, poi il Cacciatore, poi di nuovo la pistola.

«Forse... forse ho una stanza libera, all’ultimo piano. Vado... vado subito a vedere» e detto ciò, si allontanò dal bancone in tutta fretta.

Dastan lo guardò allontanarsi. Sospirò pesantemente e poggiò una moneta sulla superficie consumata del bancone, rivolgendosi alla donna bionda, probabilmente la moglie dell’oste. «Un po’ di vino, per favore.»  

La pallida e minuta signora sgranò gli occhi con vivo terrore. Il suo sguardo saettò sul truce Cacciatore, poi sulla ragazza che aveva sulle spalle e infine sulla pistola che era ancora sul bancone. Dopo aver esaminato la situazione, emise uno squittio e svenne, accasciandosi pesantemente a terra.

Dastan rimase immobile, la bocca semiaperta.

Ma cosa gli faccio io alle donne?

«Dastan, maledizione!»

La figura imponente di Charles veniva dritta verso di lui, gli occhi ridotti a due fessure. Un senso di pericolo gli formicolò i muscoli, preparandolo allo scontro.

«Charles, quanto tempo.»

Il grosso Cacciatore si fermò davanti a lui, piantando i pugni enormi nei fianchi. In combattimento a mani nude, non avrebbe avuto scampo.

«Dove l’hai trovata?» ringhiò Charles.

«Non è affar tuo.»

«Non te la meriti.»

«Io cosa?»

«Ho sgobbato in mezzo ai cadaveri per tutta la giornata mentre tu andavi a spassartela in cerca di femmine. Non lo trovo giusto.»

Dastan lo guardò scandalizzato «Io non sono andato a donne! Lei era vicino...»
 
Dietro il grosso Cacciatore fece capolino la faccia furba di Victor. «Bonsoir, Dastan. Ti sei dato da fare, vedo. Tutti qui eravamo convinti che fossi scappato. Io starei attento, fossi in te: le belle fanciulle come quella tendono a portare sgradite malattie. Cos’è, vomito quello?» aggiunse poi con un'occhiata alla giubba di Dastan.

Bernard si unì al gruppo, con le mani intrecciate dietro la schiena e l’aria corrucciata. «Quella ragazza porta male, Dastan. Te ne devi liberare.»

«Adesso basta!» esclamò il Cacciatore, esasperato. « Finitela tutti con questa storia! Non ho alcun interesse verso questa ragazza, e non ho intenzione di liberarmene o di approfittare di lei. Ora me ne vado a dormire, prima che perda la pazienza e spari a qualcuno.»

«Come vuoi, Dastan, ma ci devi una spiegazione quanto prima» disse Victor.

«Già. Quei quattro Drag... ehi!»  grugnì Charles, interrotto da una gomitata di Victor. «Di un po’, improvvisamente sei stanco di vivere?».

«Ti facevo solo presente che una mezza dozzina di nostri compatrioti sono giusto in fondo al locale. Non ci hanno sentito, ma prima finiamo questa conversazione meglio è. Non vogliamo che si sparga la voce di questo... imprevisto» sussurrò Victor.

Per una volta, Dastan fu grato all'ex tagliaborse. «Perfetto. Ora, se volete scusarmi, questa ragazza è uno scricciolo ma comincia a farmi male la spalla. Domattina vi spiegherò tutto, promesso.»



La camera era piccola, ma confortevole. Il fuoco danzava allegro nel caminetto, e il letto profumava di lenzuola pulite. Da una piccola finestra tonda si vedeva la neve cadere copiosamente.

Devo ricordarmi di minacciare più spesso i locandieri.

Con un grugnito liberatorio, Dastan adagiò la ragazza sul letto. Le mise una mano sulla fronte, per controllarle la temperatura, e dopo qualche istante ritrasse la mano sorpreso.

Questa ragazza scotta da morire!

La fanciulla era stata troppo tempo sotto la neve. Il suo fragile corpo non avrebbe resistito ancora a lungo.

Dastan meditò se toglierle il vestito prima di infilarla sotto le coperte: sarebbe stata più comoda, senza dubbio.

Ma era solo per gentilezza che stava meditando di farlo? No, non del tutto. La ragazza era parecchio graziosa, e lui aveva rischiato la vita per salvarla. Glielo doveva, era suo diritto dopotutto...

La mano si avvicinò ai lacci del corsetto.

Maledizione, ma che mi prende? Passo troppo tempo con Charles.

La mano deviò dal corsetto e finì sotto l’incavo del ginocchio. Con molta cautela, Dastan sollevò la ragazza e la ficcò sotto le coperte, coprendola fino al mento.

Forse grazie al tepore della stanza, la fanciulla riaprì gli occhi. Le iridi azzurro profondo fissarono il giovane Cacciatore. «Dove... sono?» chiese in un sussurro.

Dastan si chinò sopra di lei. «Non temere, sei al sicuro e al caldo adesso.»

Gli occhi della fanciulla migrarono verso la giubba macchiata. «Mi dispiace.»

«Cosa? Oh, questo... non fa niente. Eri spaventata, è normale.»

«Farah.»

«Prego?»

«Mi... chiamo... Farah.» La ragazza fece un timido sorriso, poi si addormentò.

«Farah» ripeté a se stesso Dastan. «Nome particolare.»

Un po’ come il mio, in effetti.

Prese l’unica sedia della stanza e le mise vicino alla porta, poi si tolse lo zaino, la bandoliera e la cintura con la sciabola e con un gemito soddisfatto si sedette.

Rimase per un po’ in silenzio, ad osservare la ragazza dormire.

Chissà da dove vieni.

Poi le palpebre si fecero pesanti e scivolò in un sonno profondo.

 

***


I suoi sogni sono turbati. Strane immagini le turbinano nella mente: volti confusi, oscurità rossastre, gemiti striduli. Tutto è buio e malvagio.

Ha paura.

Si sveglia all’improvviso. E’ un una stanza. Il fuoco danza, proiettando ombre inquiete sui muri di legno. Vicino alla porta, l’uomo che l’ha salvata dorme, con le braccia conserte e il capo reclinato sul petto.

Il letto è morbido. Le piace stare lì. Vorrebbe sonnecchiare ancora per molto. Ha avuto paura, tanta paura, e ha bisogno di riposo.

L’unico rumore è quello dei ceppi che schioccano nel caminetto. Il resto è silenzio.

Quiete, calma, silenzio. Come nella sua foresta. Come nel grembo materno.

Poi, lo sente. E’ attutito dal rumore della legna ardente e dal respiro pesante del suo salvatore, ma lo riconoscerebbe dovunque, e fra mille suoni.

Il rumore della neve.

Come una scarica di adrenalina, la curiosità pervade le sue membra. Vuole vedere, vuole sentire, vuole scoprire. Non è più nella foresta: è da qualche altra parte.

Non era mai stata fuori dagli alberi. Si sente eccitata, gioiosa. Il mondo l’attende per essere esplorato.

Scosta le coperte e scende dal letto. Sa come non fare rumore, e senza il minimo sospiro si avvicina alla porta. Indugia per un attimo sul viso del giovane Caccitatore, poi socchiude la porta e scivola fuori.

Sul pianerottolo non c’è nessuno. I suoi piedi sembrano sfiorare il suolo mentre scende delicatamente le scale.

Nella sala principale c’è solo un uomo, un soldato profondamente addormentato. Ha le guance rubizze e russa sonoramente. In mano stringe un boccale.

Affascinata, si avvicina all’uomo addormentato. Piegando la schiena, avvicina il proprio viso a quello dell’uomo. Ha uno strano odore, che sembra farsi più forte in corrispondenza del boccale. Lo annusa, poi storce la bocca disgustata. Qualunque cosa l’uomo stesse bevendo, ha un odore terribile.

Gli uomini la affascinano. Sono così variopinti, rumorosi, strani. Non è come nella foresta: lì vige pace e tranquillità. Forse anche troppa.

Fuori dalle finestre, la neve cade copiosa, una cascata silente di fiocchi leggeri. Estasiata, corre fuori.

La piazza è completamente bianca. La sua gioia è incontenibile, appena frenata da quel brutto palo al centro dello spiazzo.

I fiocchi di neve la toccano, accarezzandola col loro bacio gentile. Euforica, comincia a danzare, sollevando la lunga gonna, girando su se stessa, saltellando euforica. Si muove accompagnata da un orchestra silente, eterea, eppure così intensa che la lascia stordita.

La musica è bellissima. Potrebbe andare avanti per sempre.

Poi però qualcosa la blocca, facendole spalancare la bocca in un muto urlo di angoscia.

Una presenza potente si insinua a forza nella mente. Qualcuno la cerca, la vuole, la desidera disperatamente.

Con gli occhi spalancati dal terrore, si volge verso la strada.

Sono qui per lei.

Stanno arrivando.






 
  
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