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Autore: Mimiwitch    01/10/2013    6 recensioni
Mille anni.
La gente tende sempre ad arrotondare le cifre, forse per impressionare il prossimo.
Perché dire mille anni fa molto più effetto che dire novecento ottanta nove o mille e due; o forse la gente trova la cosa solo più semplice da scrivere e ricordare.
E così la bella addormentata viene svegliata dopo cento anni dal bacio del principe, ma per quel che ne sappiamo avrebbero potuto essere settantasette o cento ventidue; per chi racconta non fa nemmeno differenza arrotondare per difetto o per eccesso, purché le menti di chi ascolta siano aggiogate alla storia.
Numeri buttati a caso, per impressionare.
Mille anni.
Eppure, per chi aspetta, il tempo non è così clemente, non si può raccogliere in un unico mucchio come se fosse sabbia senza importanza: per chi aspetta, ogni secondo si trascina infinito e angosciante, lungo come l'eternità, scavando un buco di dolore nel cuore, come una goccia su una pietra, lentamente.
Per chi aspetta senza sapere se e quando ciò che brama avverrà, il tempo diventa nemico e compagno eterno, in una lotta senza fine, trascinandosi.
*"Spoiler 5x13. Au, futuro alternativo. Una nuova avventura per Merlin e Arthur, una possibilità per un futuro assieme."*
Genere: Avventura, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Gender Bender, Spoiler! | Contesto: Nel futuro
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Ad Asfo, che mi ha fatto conoscere e amare Merlin,

che mi sopporta e sprona, mi beta con infinita pazienza

e mi psicanalizza, anche.

Grazie di cuore





Mille anni.
La gente tende sempre ad arrotondare le cifre, forse per impressionare il prossimo. Perché dire mille anni fa molto più effetto che dire novecento ottanta nove o mille e due; o forse la gente trova la cosa solo più semplice da scrivere e ricordare.
E così la bella addormentata viene svegliata dopo cento anni dal bacio del principe, ma per quel che ne sappiamo avrebbero potuto essere settantasette o cento ventidue; per chi racconta non fa nemmeno differenza arrotondare per difetto o per eccesso, purché le menti di chi ascolta siano aggiogate alla storia.
Numeri buttati a caso, per impressionare. Mille anni.
Eppure, per chi aspetta, il tempo non è così clemente, non si può raccogliere in un unico mucchio come se fosse sabbia senza importanza: per chi aspetta, ogni secondo si trascina infinito e angosciante, lungo come l'eternità, scavando un buco di dolore nel cuore, come una goccia su una pietra, lentamente.
Per chi aspetta senza sapere se e quando ciò che brama avverrà, il tempo diventa nemico e compagno eterno, in una lotta senza fine, trascinandosi.



Aveva atteso.
Mille e novantaquattro anni, sette mesi, tredici giorni, ventidue ore. Sapeva anche i minuti, anche i secondi.
Non che li avesse mai davvero contati, non ne aveva bisogno: lo scorrere del tempo era ormai suo dominio, scandiva il passare delle stagioni e il mutare degli anni in sintonia col battito del suo cuore; non aveva avuto bisogno di contare per esserne certo, il suo corpo gli diceva che era così.

Correva con un'euforia addosso che non sentiva da centinaia d'anni, il cuore in preda alle palpitazioni; il volto rosso, per l'emozione e per lo sforzo; le orecchie a sventola che fischiavano nel vento. E un sorriso così splendente che chiunque incrociava il suo cammino si ritrovava a guardarlo meravigliato, sentendosi felice senza motivo.
E rideva.
Sì, di tanto in tanto, tra una falcata e l'altra, rideva con tutto il cuore, con un suono musicale e vero. E perché non avrebbe dovuto? Era felice ed emozionato come non lo era da tempo. 
Se ne fregava delle occhiate della gente; anzi, quando andò a sbattere contro un grosso omone sbucato da dietro un albero, finendo a gambe a terra, si rialzò senza un mugugno e l'abbracciò in estasi farfugliando frasi senza senso, per poi riprendere la sua corsa, lasciandolo lì perplesso.
Saltò con agilità una panchina e dopo essere atterrato elegantemente, come se stesse planando, scattò in avanti infilandosi in un sentiero del parco, per accorciare la strada.
Era...eccitato. Sentiva l'adrenalina in corpo, i muscoli bruciare di dolore, il respiro corto.
Si sentiva vivo.

Dopo aver atteso ai limiti della sopportazione, con la disperazione a serpeggiare dentro come un tarlo, cedendo di secolo in secolo alla vecchiaia e alla solitudine, arrivando persino a dubitare che sarebbe tornato, finalmente la vita aveva ripreso a scorrere.
No, si disse, non era vero. Era come essere rinato ancora.
Come avrebbe potuto dimenticare la sensazione di libertà che quel miracolo prodigioso, avvenuto poche ore prima, aveva scatenato in lui?

Merlin si era coricato la notte prima, stanco, provato, solo.
Vecchio.
Era vecchio, Merlin. Quanto, la gente che lo conosceva, di vista, non sapeva dirlo. Molto, per certo.
Aveva lunghi capelli di un bianco candido e la barba dello stesso colore, il volto solcato da profonde rughe e le palpebre pesanti dalla decadenza del corpo; vagava di qua e di là per la città con dei vestiti anonimi e un po' vecchiotti; a volte spariva per molto tempo in lunghi viaggi e mostrava un'energia che molti giovani si ritrovarono a invidiare.
Per questo nessuno sapeva quanto fosse vecchio.

Dopo aver spento la luce dell'abat jour, Merlin si era rigirato nel letto, stringendosi le coperte al corpo, poggiando la testa sul cuscino fresco; aveva atteso che il tepore del viso raggrinzito lo riscaldasse, poi aveva strofinato la guancia cercando l'incavo che aveva creato negli anni, per maggiore comodità. Con un sospiro rauco aveva chiuso gli occhi cercando il sonno.
Cercando. Perché, in realtà, non aveva bisogno di dormire. Era un essere immortale, senza necessità né bisogni umani.
Merlin mangiava solo ciò che voleva e quando lo voleva e dormiva solo perché adorava sognare. In giorni particolari dell'anno riusciva a sognare tutte le avventure vissute a Camelot, rivivendo ogni particolare, lasciandosi andare alla felicità e al pianto per poi scoprire, al risveglio, che niente era vero, che era ancora e sempre solo.

Eppure amava quei sogni, perché non voleva dimenticare.
Non avrebbe permesso alla sua memoria di cancellare i sorrisi di Sir Leon, Lancelot, Gwaine, Percival, Elyan e Arthur mentre parlavano di qualcosa di imbarazzante durante le veglie nei boschi o le battute di caccia; o l'occhiata di rimprovero di Gaius quando decideva per conto suo di usare la magia, contravvenendo ai suoi divieti; o lo sguardo complice di Gwen quando gli chiedeva un favore. Rivedere i volti dei suoi vecchi amici lo faceva sentire bene e in colpa ed entrambe quelle sensazioni gli servivano per andare avanti, giorno dopo giorno, secolo dopo secolo.

Scartò una coppia che passeggiava di fronte a sé, con un guizzo felino, e spronò le gambe a correre, per divorare quegli ultimi pochi metri che lo separavano dalla sua meta.

Aveva sognato ancora Camelot, la notte prima. Aveva sognato di salutare il suo Re per l'ultima volta, trattenendo appena i singhiozzi, guardando il corpo senza vita del migliore amico mai avuto, adagiato sul fondo della barca, galleggiare placidamente sulle acque di Avalon, lontano da lui.
E come aveva fatto nei secoli, aveva pianto, con tutta la disperazione possibile, sentendo il cuore ardere di dolore, con la consapevolezza che non sarebbe mai sopraggiunta la morte a liberarlo dall'agonia. Si era inginocchiato sulla riva del lago, lasciando che le acque lambissero le sue gambe, inzuppandolo fino alla vita: aveva sentito il freddo infiltrarsi sotto pelle, ma non si era mosso: quel bruciore nel petto non sarebbe scemato nemmeno col gelo più duro.

Aveva guardato le sue lacrime cadere nell'acqua, creando cerchi concentrici che si allontanavano sempre più, perdendosi alla deriva: ne aveva seguito qualcuno con lo sguardo, ma quando l'isola in mezzo al lago entrava nel suo campo visivo, sentiva l'impulso ad abbassare gli occhi, per non sentire dolore.
Con un suono morbido un'altra lacrima si era infranta sull'acqua senza sollevare nemmeno una goccia, inglobandosi perfettamente, creando solo lievi increspature; nello stesso istante una fine nebbia si era sparsa attorno a lui, in ogni dove, emanata dal lago stesso. La sua visibilità si era ridotta, perso in un mare di biancore rarefatto e appiccicoso, ogni suono d'improvviso spento e ovattato, che non fece altro che fargli sentire prepotentemente il battito furioso del cuore.

Ritrovatosi accerchiato, Merlin si era tirato su, circospetto, al suono di una voce: era profonda e familiare e mai avrebbe creduto di risentirla, nell'eternità.
Il tempo è giunto” aveva annunciato la voce di Balinor spargendosi attorno, impalpabile come la nebbia, eppure vera, materiale: se avesse allungato una mano, era certo che avrebbe trovato quella di suo padre, che l'avrebbe potuto abbracciare; ma il suo corpo era diventato immobile, duro come pietra.
Merlin non era riuscito a credere alle sue orecchie: la consapevolezza di sé gli era piombata addosso repentina e si era accorto di trovarsi dentro ad un sogno, eppure allo stesso tempo aveva capito che ciò che stava vivendo era reale.

Il futuro di Albion è in pericolo, ora più che mai. Una seconda possibilità ti viene data, perché il tuo destino possa davvero compiersi: non sprecarla, figlio mio. E' arrivato il momento, Merlin: l'altra metà della moneta, cercala, è viva!”
La voce di Balinor aveva rimbombato nella visione fumosa, seguita da una strana eco sempre più flebile e distante; quando l'ultima sillaba si era spenta, Merlin si era svegliato col respiro mozzo e il viso sudato, il cuore che martellava dolorosamente contro le costole, certo di essere preda di un infarto.

La luce del mattino che filtrava da uno spiraglio delle tende non aveva illuminato un vecchio dolorante e triste: i caldi raggi avevano sfiorato quasi con reverenza il viso giovane e spigoloso, facendo scintillare due spaventati occhi azzurri e i capelli neri e corti. Con una mano stretta al petto aveva cercato di frenare il battito impazzito, accorgendosi solo dopo qualche minuto che il suo non era più il respiro affannoso di un vecchio.
Si era portato le mani al volto, cercando di raccogliere i pensieri e le emozioni, -perché quel sogno era stato così vivido che continuava a sentire l'umidità della nebbia incollata addosso,- e aveva trovato solo pelle liscia e glabra sotto le dita; come se una scossa l'avesse percorso si era alzato dal letto, caracollando al bagno adiacente la stanza: il riflesso nello specchio gli aveva mostrato un Merlin giovanissimo, con gli zigomi tondi e sporgenti, le labbra rosse e cesellate, la pelle liscia ed elastica.

Si era aggrappato al lavandino, sconvolto, mentre un'ombra di comprensione era passata sui suoi occhi, costringendo le sue labbra a piegarsi in un sorriso, il primo vero sorriso da secoli; si era preparato talmente in fretta che chiunque avrebbe potuto pensare che avesse Morgana alle calcagna, cercando abiti che potessero andargli bene nel suo strano e variegato guardaroba accumulato in secoli, infilando prima il maglione al contrario, poi entrambe le gambe nella stessa gamba del pantalone, invaso da una frenesia che lo divorava.
Era uscito di casa di corsa, facendo la gimcana tra auto e persone, nelle stradine affollate della città, con in mente un solo pensiero: Arthur. Era tornato!

Si fermò ansante, facendo ancora uno o due passetti per stabilizzarsi; si piegò in due, con le mani sulle ginocchia per riprendere fiato e ignorò il dolore alla milza che, seppur fitto, lo fece sentire stranamente vivo, umano.
Dopo aver respirato profondamente e deglutito un paio di volte, Merlin alzò la testa e fissò gli occhi sulla superficie piatta del lago di Avalon, sull'isoletta al centro e sulla diroccata torretta che svettava, in cerca di qualche indizio o di una manifestazione, di una presenza. In un'altra occasione quel posto lo avrebbe fatto sentire perduto e solo, lo avrebbe reso cieco di dolore, a causa dei ricordi che conteneva, ma non in quel momento, non quando stava per trasformarsi nel teatro per la rinascita di Arthur.
I riflessi del sole sull'acqua si specchiarono nei suoi occhi, ma nulla di più accadde. Si portò la mano alla fronte, unendo le dita per schermarsi dal sole e poter acuire lo sguardo, ma non c'era nessuno in vista, né niente di anomalo intorno a lui.
Rimase ritto come un bastone, continuando a fissare il lago con insistenza, in attesa.

Sebbene lo strazio di vivere eternamente da solo lo avesse colto in momenti inaspettati, era stato bravo ad attendere per più di un millennio; eppure in quel momento il tempo gli sembrò infinito e malvagio.
Attese.
Guardando le ore scorrere, con la speranza che lui stesse per apparire, pensò a come meglio salutarlo, a quali comportamenti adottare con lui, a cosa dire. Rimase fermo in quel punto fino al pomeriggio, con la speranza via via più flebile, ma sempre presente.
Dopo più di un secolo di attesa, imprecazioni e fede, non avrebbe vacillato per un misero, lieve ritardo; cos'era aspettare un giorno, anche due, se paragonato all'angoscia di vivere eternamente da solo? Senza legarsi mai a nessuno per paura di soffrire ancora, di essere abbandonato ogni volta, quando la morte gli portava via gli affetti? Guardando le persone intorno a lui nascere, crescere, amare e invecchiare, invidiandole profondamente per quella felicità che provavano nell'assaggiare un poco la vita, sapendo quanto fosse effimera. Come poteva godersi la vita, lui, quando era eterna? Quando niente ne valeva davvero la pena, quando non c'era la fugacità e l'irreplicabilità di certi attimi?
Solo quel momento di eccitazione, solo il pensiero di riavere Arthur indietro, di poter parlare ancora con lui, di essere persino chiamato idiota, aveva senso in quella vita immortale.

Il sole iniziò a calare, andando a colorare il lago di un tenue arancione e sfumando il cielo nel rosso e, sebbene il riverbero negli occhi gli facesse male, Merlin non distolse mai lo sguardo. Rimase immobile in quella posizione anche quando sopraggiunse la notte, incurante di voci o rumori che gli arrivavano dalle strade dietro, lontane, piene di ragazzi in festa per il week end; nulla poteva smuoverlo.
Arthur sarebbe arrivato, ne era fermamente convinto. La terra sotto i suoi piedi glielo diceva, l'aria che gli sfiorava il viso e le stelle che in quel momento splendevano sulla sua testa; ma più di tutto il suo cuore.

Avrebbe avuto lo stesso aspetto? Di sicuro no, non era in quel modo che funzionava la reincarnazione. Però non si trattava di una semplice, banale, reincarnazione: era qualcosa legato al destino, ad un volere più grande, magico; quindi, forse, Arthur sarebbe tornato con l'aspetto che conosceva.
L'avrebbe riconosciuto? Avrebbe avuto i ricordi della sua vita come principe e Re di Camelot, o lui, Merlin, avrebbe dovuto cercare un modo, magico o meno, per fargli tornare la memoria? Continuò a farsi le domande più disparate, in un'altalena continua di emozioni, ignorando il freddo, il buio e il silenzio della notte.

La luce del mattino lo trovò così, ancora immobile, ancora assorto. E niente cambiò ancora, per tutto quel giorno, né per quelli successivi.
Attese per una settimana.
Sette giorni a fissare inerte il lago, senza parlare, senza vacillare. Sotto la pioggia, il sole, il vento.

Stirò un poco le spalle, lasciando andare un esile sospiro. Era certo che il suo sogno non fosse solo quello, che fosse qualcosa di più, un presagio del futuro. Eppure c'era qualcosa di sbagliato; ma cosa?
Fletté le ginocchia, sentendo un cupo cigolio e un dolore lancinante che si propagò per tutta la lunghezza delle gambe.
Si era fiondato al lago automaticamente, certo che fosse il luogo in cui avrebbe trovato Arthur, lì dove tutto era finito, -dove il suo Re era morto e il suo cuore si era spezzato,- ma ripensando alle parole di Balinor, sempre più lontane e difficili da ricordare, si accorse che suo padre non aveva mai detto di recarsi lì; gli aveva solo detto che Arthur era tornato e che avrebbe dovuto cercarlo.
Si schiaffò una mano in faccia, prendendosi mentalmente a calci per la sua idiozia, per essere saltato alle conclusioni senza fermarsi a riflettere prima.

Saltellò un po' sul posto per sciogliere i muscoli intirizziti e stirò il collo rigido, poi si gettò in una nuova corsa rocambolesca, verso casa sua, alla ricerca di un incantesimo, nella sua libreria di libri magici, che gli permettesse di trovare Arthur; non riusciva a ricordare a memoria ogni formula, ma doveva esserci qualcosa che lo avrebbe aiutato. Non poteva certo affidarsi alla fortuna o cercare a tentoni, magari chiedendo a tutti gli uomini sulla sua strada: “sei la reincarnazione di Re Arthur?” Poteva trovarsi ovunque nella vasta Inghilterra e benché Merlin sapesse che lui e Arthur erano destinati ad attrarsi e a incontrarsi per caso o destino, decise che era il momento di agevolarlo, quel dannatissimo fato.
Arrivò alla zona a nord, vicino alla casa che occupava da cinquant'anni, immersa nel verde e nel silenzio; rallentò il passo, inspirando a fondo, i polmoni intirizziti che chiedevano pietà, i muscoli delle gambe che bruciavano. In fondo erano passati secoli dall'ultima volta in cui aveva corso, anno più anno meno, e non riusciva nemmeno a ricordare per cosa lo avesse fatto, né gli interessava ricordarlo, in quel momento. Arthur era l'unico pensiero, il suo nome gli bruciava nella mente come fuoco vivo, era una necessità trovarlo, il prima possibile, parlare con lui, prenderlo in giro, abbracciarlo anche se non avesse voluto, ridere e piangere, dalla felicità.

Una voce acuta attirò improvvisamente la sua attenzione, costringendolo a guardarsi attorno per cercarne la fonte; un chiacchiericcio concitato e aggressivo lo portò fino al vicolo dove il pub del quartiere teneva i bidoni dell'immondizia: lì, un gruppetto di giovani con giubbotti in pelle accerchiava una ragazza, rivolgendole parole davvero poco gentili. I suoi occhi si soffermarono subito su quello che sembrava il capobanda: un ragazzo di poco più di vent'anni, con lisci capelli biondi e stupefacenti occhi azzurri, proprio come Arthur; persino la situazione sembrava la stessa del loro primo incontro, con il somaro reale che infastidiva qualcuno col suo gruppetto di amici.

Era possibile che tutto si stesse ripetendo?
Sentì la testa girare per l'emozione e i palmi sudati e trattenne a malapena un sorriso; stava per finire, l'agonia di essere solo, il dolore che lo aveva attanagliato da sempre.
Si avvicinò circospetto, proprio mentre il presunto Arthur afferrava il polso della ragazza attirandola a sé, sebbene quella scalciasse e si tirasse indietro.

Ehi, avanti, basta così” esclamò Merlin, ripetendo le parole dette un millennio prima a quell'idiota.
I ragazzi si fermarono perplessi, mentre il presunto Arthur si girava a guardarlo con un'espressione piuttosto strafottente in viso.

Che cazzo vuoi?” domandò il biondino, in modo davvero poco gentile.
Ecco, se quello era davvero Arthur avrebbe dovuto ricordargli le buone maniere e anche l'etichetta; i tempi erano cambiati e il suo Re si era di sicuro fatto corrompere dalla mancanza di educazione che permeava in quel secolo; sarebbe stato suo grande piacere rieducarlo nel modo convenuto, magari a suon di calcioni nel regale fondo schiena. La ragazza intanto si era bloccata, incredula che qualcuno fosse accorso in suo aiuto.

Ti sei divertito, amico mio” continuò per nulla offeso, recitando ancora le sue frasi di allora, cercando di saggiare la memoria di quel ragazzo, sperando di risvegliare un ricordo di ciò che presumibilmente era.

In un secondo successero più cose diverse: il ragazzo urlò un “Chi cazzo è amico tuo?” mentre gli si fiondava addosso col pugno alzato; la ragazza si girò a guardarlo, con l'espressione scioccata, forse temendo che quel tipo assurdo con le orecchie a sventola non avrebbe mai potuto vincere quello scontro. Poi, con uno scatto repentino, si gettò sul biondino facendolo sbattere al suolo e spiaccicandosi su di lui.
Il gruppo di teppistelli iniziò a urlare e si fece sempre più vicino, mentre il biondino si rialzava di scatto, colpendo la ragazza alla guancia con un pugno, mandandola a sbattere contro il muro alle sue spalle.

Fu in quel momento che Merlin capì. Quel ragazzo non era Arthur, per quanto la situazione e il suo aspetto facessero supporre: il suo Re non avrebbe mai picchiato una donna, secolo di maleducazione o meno; era qualcosa radicato in lui nell'animo, un antico precetto cavalleresco.
Si fece avanti per affrontare quei quattro ragazzacci e far capire loro quanto male potesse fare scontrarsi con un mago in incognito e veramente deluso, quando la ragazza ricomparve nella mischia, scrollando la testa per schiarirsi le idee.
Si gettò su due di loro e afferrò i loro capelli color della sabbia, facendo cozzare le loro teste così forte da produrre un terribile rumore sordo, con un cupo scricchiolio in sottofondo; i due strillarono sorpresi, poi capovolsero gli occhi con un'esclamazione sofferta, prima di accasciarsi al suolo inanimati.

Merlin rimase sconvolto a osservarla, imprudentemente, meravigliato dalla piega che stava prendendo quella situazione assurda e imprevista.
Un pugno ben assestato allo stomaco lo costrinse a piegarsi in due mentre l'aria abbandonava i suoi polmoni di getto, per il dolore e la sorpresa; il biondino ghignò torreggiando su di lui, guardandolo atterrare sull'asfalto mentre cercava di riprendere fiato. Con la coda dell'occhio vide la ragazza colpire con un pugno alla mandibola uno degli altri ragazzi, mandandolo KO in un sol colpo e poi girarsi e piantare i suoi occhi su di lui; un secondo dopo sentì il biondino grugnire infastidito.

Merlin si tirò su, massaggiandosi lo stomaco, e si precipitò ad aiutare la ragazza, impegnata a schivare i pugni che il biondino le tirava a raffica, i suoi lunghi capelli che mulinavano a destra e a sinistra. Bastò un solo guizzo dorato nei suoi occhi, mentre riassaporava la magia troppo a lungo inutilizzata, e l'insegna dell'uscita del pub del vicolo cadde, andando a sbattere sulla testa del teppista, mandandolo lungo disteso.
La ragazza si voltò a guardarlo, con lo sguardo affilato come rasoio, ma prima che potesse aprire bocca il suono di una sirena della polizia in avvicinamento catturò la loro attenzione; la giovane scattò in avanti afferrandogli il polso e iniziò a correre a perdifiato, lungo stradine e vicoli, trascinandolo con sé.

Merlin si lasciò tirare. Non sapeva nemmeno cosa lo spingesse a correre, invece di bloccarsi e mandare quella tizia al diavolo; sapeva solo che la sua pelle bruciava al tocco di quella mano piccola, ma decisa, e che lo stomaco era stranamente in subbuglio.
Che fosse un colpo di fulmine? Dopo mille e novantanove anni senza pensare più ad una ragazza in quel senso?
No, si disse. Impossibile.
Era solo colpa dell'adrenalina per la lotta e per aver utilizzato la magia, dato che entrambe le situazioni non gli capitavano da molto tempo; nessuno si metteva a cercare la rissa con un vecchio strambo e utilizzava i suoi poteri di rado, non avendo bisogno di nulla.

La sconosciuta si fermò in un parco, lasciandosi cadere con poca grazia su una panchina con uno sbuffo sofferto, il polso di Merlin ancora trattenuto nella sua mano. Entrambi ripresero fiato rumorosamente, nemmeno fossero stati due corridori distrutti dalla maratona di New York. Le famigliole intorno continuavano a schiamazzare e a giocare, ignare dei due giovani esausti dalla corsa fuori programma.

Ti senti bene?” chiese Merlin, tra un respiro e l'altro, vedendo che non accennava a lasciarlo andare. Forse era troppo spaventata, nonostante avesse mandato all'aria tre di quei ragazzacci da sola. E lui voleva davvero consolarla e dirle che non c'era più alcun pericolo, ma voleva anche andare a casa a cercare l'incantesimo che gli avrebbe permesso di ritrovare Arthur. Anzi, ora che aveva superato la delusione di non averlo trovato in quel teppista biondino, il pensiero di Arthur era ritornato prepotentemente nella sua mente e gli diceva di piantare la tipa su quella panchina e di correre in ogni dove per trovare il Re. D'altronde non parlava con un essere umano da almeno qualche anno, perché rompere quell'abitudine all'isolamento proprio in quel momento, invece di cercare l'unica persona con cui desiderasse davvero parlare?
La giovane si alzò e si erse arrogantemente di fronte a lui, piantando i suoi occhi in quelli di Merlin e lui sentì di nuovo quell'assurdo tuffo al cuore.
Era davvero bella.
Adesso che non aveva più urgenza di salvare la sua pelle o la propria, poteva guardarla davvero: aveva dei bellissimi occhi azzurri, leggermente contratti in un'espressione scocciata; lunghi capelli biondi che ricadevano setosi sulle spalle; un corpo minuto, ma ben tornito e delle piccole e rosee labbra, che stava stringendo dall'impazienza.

Merlin si sforzò di fissare solo i suoi occhi, perché il suo cuore batteva talmente tanto da fargli male e il sangue scorreva con forza in tutto il corpo, soprattutto lì dove la sua mano lo bloccava, e lei se n'era di sicuro accorta. Una piccola parte del suo cervello ancora funzionante, molto remota e quasi del tutto spenta, si chiese se la ragazza non fosse una strega e stesse cercando di ammaliarlo.

La ragazza si avvicinò e con un gesto lento gli poggiò la mano libera sulla guancia accaldata, mandandogli il sangue ad annebbiare quel poco di raziocinio rimasto. Il rumore dello schiaffo lo raggiunse prima ancora del dolore, tanta fu la sorpresa di quel gesto; difatti la testa reagì al colpo molto dopo, risultando fuori sincrono rispetto al suono.
Si aspettava un bacio!

Con la mano sulla guancia in fiamme e la bocca spalancata dallo stupore, chinò il volto per domandare alla sua assalitrice quale tipo di problema avesse, ma lei lo precedette.
Che diavolo hai combinato, Merlin?” chiese la giovane, con una voce musicale, ma molto arrabbiata.
Merlin la fissò ancora più sconvolto perché solo una persona, in tutta la sua eterna vita, pronunciava il suo nome in quella maniera, come se fosse un insulto.
Aprì la bocca diverse volte, come un pesce impazzito, cercando di far uscire dei suoni articolati, poi dopo un brusco respiro urlò: “Arthur?”
La ragazza fece uno sguardo ovvio e cinico, prima di chinare il capo per annuire un paio di volte, sconfortata, dandogli la certezza. E mentre guardava il seno della giovane alzarsi e abbassarsi per il respiro corto dall'agitazione, Merlin si disse che no, Arthur non si era reincarnato con lo stesso aspetto che lui ricordava.






Note:

Salve a tutti, sono Mimì.
Sono nuova nel fandom Merlin, ma non è la prima volta che scrivo.
Questa storia è nata in me alla fine di Merlin, perché è troppo triste il modo in cui l'hanno conclusa. Non pretendo di dire che questo è il modo in cui sarebbe dovuta finire, ma mi piace pensare che sia una delle opzioni tra le migliaia. Spero che vi piaccia.
Voglio ancora ringraziare Asfo, perché quella donna ha davvero una santa pazienza, è geniale come pochi al mondo e la adoro fino alla punta dei capelli. 
Mimì

  
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