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Autore: littlemoonstar    07/10/2013    2 recensioni
Il mio nome è Cappuccetto Rosso, ma in questo nuovo mondo mi chiamano solo Red.
E in questo mondo un tempo fatato cerco di sopravvivere ora dopo ora, cercando di capire cosa lo abbia ridotto in questo stato pietoso e deprimente.
Io sono Red, e vivo in un mondo pericoloso, in cui il vissero felici e contenti non ha più senso di esistere.
Sono una sopravvissuta, e questa è la mia storia.
 
[Capitolo 18]
Ed ora era lì, quella bestia che sempre avevo temuto. Di fronte ai miei occhi, così feroce da paralizzarmi. Riusciva a risvegliare le paure più recondite, i ricordi più dolorosi e macabri della mia infanzia. Era la mia debolezza, il centro di tutta la mia paura.
Era il Lupo cattivo, ed era pronto a mangiarmi di nuovo.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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6. Treasure.





Quando aprii gli occhi ci misi un po' a rendermi conto di dove fossi. Poi ricordai il deserto.
Jasmine. Aladdin.
E quel grande letto pieno di cuscini su cui avevo dormito per un bel po'. Solo in quel momento mi resi conto di quanto fossi stanca, e di come quel viaggio stesse cambiando ogni cosa di me. Avevo l'impressione che quella sensazione sarebbe rimasta in me per sempre.
Mi stiracchiai, infilando nuovamente il corpetto metallico e le scarpe. Faceva un gran caldo ad Agrabah.
Di certo i miei vestiti da vecchio bosco innevato non erano proprio il massimo. Mi diressi verso la porta, più riposata ed energica.
« Lascia, faccio io... » mormorò una voce dall'altra parte della tenda, oltre la porta. Aladdin.
« Tranquillo, ho quasi finito. » sussurrò Jasmine. Scostai appena la tenda e li vidi, l'uno vicino all'altro.
Jasmine stava lavando le ciotole in cui avevamo bevuto qualche ora prima. Dalle finestre filtrava un debole spiraglio di luce.
Ma quanto avevo dormito?
La vidi riporre l'ultima ciotola sulla pila accanto al lavabo. Quel luogo era uno dei tanti rifugi che avevano in città e fuori: lì ci vivevano, ospitavano i ribelli e organizzavano le varie missioni ogni giorno.
Mantenerlo in modo decoroso era il minimo. Osservai i modi dolci e delicati di Aladdin mentre le cingeva i fianchi con le braccia, stringendola a sé. Arrossii impercettibilmente, dandomi della stupida da sola.
Ma il sorriso che apparve sulle loro labbra, quasi nello stesso momento, mi sembrò incredibile.
Si avvicinarono l'uno all'altra, sfiorandosi appena. Con le labbra a contatto, mi resi conto di essere un'intrusa in quella scena privata.
E mi ritrovai a pensare nuovamente a Peter.





Avevo dormito tutta la notte senza neanche rendermene conto. Jasmine mi aveva detto che il riposo era fondamentale se avessi voluto proseguire nel mio viaggio, perciò era contenta che fossi rimasta con loro fino alla mattina.
Camminavamo nei vicoli della città con le armi a portata di mano, nonostante la situazione sembrasse più tranquilla del giorno precedente: il mercato cittadino pullulava di gente, e in quel breve lasso di tempo mi sembrò di essere tornata alla normalità. Eppure, nonostante quell'apparente tranquillità, riuscivo ancora a sentire lo scricchiolio delle crepe che minacciavano di far crollare l'intero sistema.
Era l'occhio del ciclone, la calma prima – o forse, nel mezzo – della tempesta. Ma andava bene così.
Un attimo di respiro era necessario. Il riposo serviva a tutti.
« Dove stiamo andando? » chiesi, rivolta verso Aladdin.
« Ti portiamo a fare rifornimenti. » disse lui, strizzandomi l'occhio. « Da Jim. ».
« Jim? » ripetei, titubante. Non era proprio un nome tipico di quel posto. Probabilmente Jasmine comprese i miei dubbi, e ridacchiò. Mi piaceva vederla ridere, in quello sfacelo un sorriso era la cosa migliore che avevamo.
In quel momento un rumore di passi veloci e leggeri sopra le nostre teste ci distrasse. Guardai in alto, scorgendo una macchia scura sul cornicione della finestra sotto cui stavamo passando. Vidi Aladdin sorridere.
In quel momento, una scimmietta saltò sulla sua spalla, attirando la mia attenzione. Una scimmia?
« Abu! » esclamò Aladdin, con un buffetto sulla testa pelosa del primate. « dove ti eri cacciato? ».
Lanciai un'occhiata fugace a Jasmine, che osservava il suo uomo con devozione.
Un amore così non lo ricordavo.





Raggiungemmo una piccola bottega in un vicolo cieco. Le scalette strette e ripide portavano ad un locale buio, con solo due piccole finestrelle agli angoli per illuminazione.
Faceva caldo, e il vapore che fuoriusciva dai grossi macchinari disposti in fila lungo la stanza non aiutava.
Doveva essere la bottega di un fabbro, o qualcosa di simile. Un grosso omone dalla folta barba scura stava colpendo una lama affilata e rovente con un martello dall'aria davvero pesante.
« Ehi, ragazzi! » mugugnò lui, con un cenno della testa. Loro risposero al saluto.
« Lui sarebbe Jim? » sussurrai all'orecchio di Jasmine, ma lei fece segno di no con la testa. Si voltò verso una seconda porta sulla parete opposta della stanza, che si aprì nell'esatto momento in cui i nostri occhi vi si posarono.
Un ragazzo apparve sulla soglia con un panno sporco tra le mani piene di grasso: indossava una casacca color cachi e un paio di pantaloni scuri; ai piedi aveva degli anfibi. La pelle era chiara, i capelli castani stretti in un codino.
Quello non era certo di Agrabah. Ma allora che ci faceva lì?
« Jim, ti stavamo cercando. » esordì Aladdin, dirigendosi verso di lui.
Jim. Oh.
« Al, vecchio sbruffone. » rispose lui scherzosamente, abbracciandolo con un gesto affettuoso. Aveva una stretta forte, energica. Le braccia erano toniche e muscolose. Arrossii, e quando me ne resi conto cercai di nasconderlo.
Che diavolo mi prendeva adesso?
« Che vi serve oggi, ragazzi? » aggiunse poi, salutando Jasmine e guardando in mia direzione con l'espressione di un bambino incuriosito. Aveva l'aria di essere così spensierato da mettermi allegria.
« Oh, non siamo qui per noi, Jim. » rispose Jasmine, scostandosi appena. « Ti presento Red. Le servono dei ...rifornimenti molto particolari. Sicuramente saprai aiutarla. ».
Jim mi guardò con quella stessa espressione, spalancando i grandi occhi azzurri e brillanti. Sembrava volermi guardare dentro, fin nel profondo. Quell'intensità mi metteva quasi a disagio.
« Red. » dissi rapidamente, mettendo fuori il mio scudo virtuale contro quegli occhi indagatori. Lui mi strinse la mano, accennando un debole sorriso.
« Jim Hawkins, molto piacere. » rispose con un mezzo sorriso e il panno in equilibrio sulla spalla. « Vieni con me. ».
Lasciai Jasmine e Aladdin a chiacchierare con il gigante e il suo martello, mentre mi dirigevo con Jim nell'altra stanza, anch'essa prima di finestre e molto nascosta. Avevo capito fin da subito che quel commercio di armi non era assolutamente illegale, e lo si capiva anche dalla quantità di mitra, proiettili e altra roba accatastata in quello stanzino.
Ma alla fine la legalità era sopravvalutata in quel momento. Tanto meglio per me.
« Allora, fammi vedere l'arma. » esordì poi, nel silenzio della stanza. Era arrivato il momento.
« Okay. Ma ti conviene fare qualche passo indietro. » mormorai, pronta alla sua reazione. Lo vidi aggrottare la fronte, ma alla fine fece come richiesto. Chiusi gli occhi, percependo lo scorrere degli impulsi elettrici sotto la carne, e l'intenso vibrare del metallo che cominciava a muoversi.
Il cannone metallico cominciò rapidamente a formarsi attorno e dentro il mio braccio, provocandomi quelle fitte lancinanti che ogni volta mi facevano talmente male da far sembrare quei pochi secondi un'eternità.
Jim guardò in silenzio, gli occhi grandi fissi su di me. Mi sentivo scoperta, e fragile nonostante le mie difese.
Si avvicinò lentamente a me, un passo dopo l'altro, rispettando il mio silenzio: sembrava sorpreso e affascinato da quella trasformazione. Ero sorpresa anche io. Insomma, non era scappato a gambe levate.
Era già qualcosa.
Ispezionò ogni singolo centimetro di quell'aggeggio, osservando i cavi e gli ingranaggi che si muovevano lentamente, incastrandosi alla perfezione nelle sottili fessure dei cilindri metallici.
« Ti fa male? » mormorò, sollevando improvvisamente lo sguardo. Sussultai.
Di certo non era la domanda che mi aspettavo. Ero pronta a fornirgli informazioni sui materiali, il funzionamento e la tipologia di proiettili che avevo in precedenza. Ma non quello.
« Ecco...non adesso. » risposi, schiarendomi la voce. « ma quando si monta e si smonta, bé...è parecchio fastidioso. ».
Lo vidi annuire. Sfiorò con le dita i cavi perfettamente inseriti tra i cilindri, mantenendo un silenzio religioso.
« L'hai fatto tu? »
« Oh, no. E' una lunga storia. »
« Ho tempo. ».
Trattenni il respiro. Tempo? E chi ne aveva più in quel mondo?
E poi, quella storia non mi piaceva. Odiavo raccontarla, soprattutto perché neanche io la conoscevo bene.
« So solo che mi sono svegliata in mezzo alla neve e senza un braccio. Perdevo tanto sangue, ma sono riuscita a bloccare l'emorragia con uno straccio. Poi sono svenuta e quando mi sono svegliata avevo questo al posto del braccio. La pelle che si forma quando lo ripongo è sintetica. Non so chi sia stato, ma chiunque l'abbia fatto mi ha salvato la vita. Senza motivo. ».
« Un motivo ce l'aveva. » ribatté lui, ed io aggrottai la fronte. « Ti ha salvato la vita. Non è già una risposta sufficiente? ».
Mi lasciai sfuggire un sorrisetto. Touchè.
« Ho quello che fa per te. ». Lo vidi frugare tra le scatole poste su un grande ripiano di fronte a noi. Continuava ad aprire contenitori di plastica rigida, girando attorno al grande tavolo come un forsennato.
Alla fine sollevò un pesante scatolone scuro e lo portò di fronte a me: al suo interno c'erano dei grossi proiettili simili a quelli che avevo in precedenza, ma dall'aria molto più minacciosa.
« Argento e metallo. La scorza è bella resistente, non se ne trovano in giro. » commentò poi, tirandone su uno.
« Fantastico. » mormorai, ammaliata. I lupi del mio bosco avrebbero girato alla larga, con quei cosi che minacciavano di spaccargli la testa.
Guardai di nuovo Jim, orgoglioso nell'aver trovato quello che stavo cercando: indossava un orecchino d'oro, un piccolo cerchietto luminoso. Mi ricordava un pirata.
« Jim...come mai sei qui? Voglio dire...ad Agrabah. ». Era chiaro che non fosse di quel mondo. Pensai subito ad Esmeralda: che fosse anche lui un fuggitivo?
« Anche questa è una storia lunga. » mormorò lui, sospirando. « Ma, in sintesi, è solo la storia di un ragazzo senza casa. Il mio mondo oramai è ridotto in cenere. Montressor, il luogo da cui provengo, è stato raso al suolo dopo l'Apocalisse. Il potere nelle mani sbagliate, il desiderio di una forza illimitata, armi di distruzione di massa...una marea di stronzate che hanno portato solo a sofferenza. ».
Nei suoi occhi c'era qualcosa che rivedevo nei miei: la perdita. La perdita di qualcuno che, come con Jasmine, si rifletteva nello sguardo.
« Mi dispiace. Non volevo... »
« Non preoccuparti, Red. » ribatté lui, sorridendo. « Sto cercando di superarlo. Ognuno di noi ha perso qualcosa, ma nonostante tutto siamo ancora qui. Credo sia questo l'importante. ».
Solo in quel momento mi resi conto della collanina che portava al collo. Il ciondolo era un piccolo portafoto dorato, di forma ovale. Al suo interno, una donna bellissima e molto somigliante a lui sorrideva.
Il sorriso di Jim.




Jasmine e Aladdin mi accompagnarono al confine, dall'altra parte della città. Jim mi aveva lasciato rifornimenti sufficienti per un pezzo, assicurandomi che lì avrei sempre trovato quello che cercavo.
Salutarlo mi aveva lasciato con una strana sensazione all'altezza dello stomaco, un sentore che non riuscivo a definire correttamente.
« Fai attenzione, mi raccomando. » ripeté nuovamente Jasmine, fissandomi con gli intensi occhi nocciola.
Aladdin, accanto a lei, rimase in silenzio. Ma il suo sguardo non aveva bisogno di parole.
Erano così vicini, così uniti, che per un attimo pensai solo a loro due. Affiorò di nuovo quel sentimento di protezione che ogni volta cercavo di reprimere.
« Anche voi. Non cacciatevi nei guai. » mormorai, con una punta d'affetto nella voce.
Mi voltai sotto la luce del sole, senza dire altro. Non sapevo davvero che altro dire per non aggravare quell'addio già abbastanza apprensivo. Rischiavo di preoccuparmi per troppe persone in quel modo, ma cominciava a diventare inevitabile.
Diventava sempre più difficile reprimere i sentimenti che affioravano nel mio cuore ogni volta che incontravo nuove persone, e ogni volta che queste mi aiutavano.
La città scomparve lentamente dietro le mie spalle, con le sue dune di sabbia e quel barlume di speranza che per un attimo aveva colpito anche me. Secondo le parole del Bianconiglio, dovevo essere sulla strada giusta.
Dovevo solo continuare a camminare, e quel viaggio avrebbe avuto un senso.
Buttai un occhio sul mio braccio. Provai a muovere le dita, poi l'intera mano. Non ricordavo nulla di quello che mi era accaduto dopo aver perso i sensi nel bosco, e forse quel viaggio mi avrebbe aiutata a scoprirlo.
La sabbia cominciò a diradarsi lentamente a qualche ora di distanza da Agrabah: era un regno davvero enorme, e senza le indicazioni di Aladdin probabilmente sarei rimasta a vagare lì per sempre.
Forse un po' di aiuto ti serve, in fondo.
« Ah...stà zitta. » mugugnai, rispondendo a quel pensiero nato spontaneamente nel mio cervello stanco. Ma in realtà stavo solo parlando da sola come una pazza.





La conformazione del territorio cominciò a cambiare lentamente, man mano che il sole si faceva più alto nel cielo. Mi sembrò di essere tornata all'inizio, quando dal Paese delle Meraviglie mi ero diretta ad Agrabah.
La sabbia aveva lasciato spazio a cumuli di roccia rossa e terra, che si alzava a piccoli getti grazie al vento leggero. L'aria si era fatta più fresca, e anche il sole sembrava picchiare di meno sulla mia testa accaldata.
Probabilmente mi stavo avvicinando ad un confine, nonostante non avessi idea di dove fossi. Quelle terre inesplorate mi facevano sentire così impreparata ogni volta da farmi infuriare man mano che proseguivo.
Il cielo era azzurro e terso, così pulito che quasi non lo ricordavo: di certo il caldo bestiale che adesso opprimeva Agrabah era sufficiente. Io, al contrario, nel mio bosco mi ero beccata l'Inverno nucleare e un cielo costantemente plumbeo, di una tristezza desolante.
Fantastico.
« Oltre le dune di sabbia... » continuando a ripetere a me stessa come un mantra, quasi sperando che il Bianconiglio apparisse accanto a me per spiegarmi quel cavolo di messaggio che mi aveva lasciato.
Quello che apparve, al contrario, non me lo aspettavo di certo.
C'erano delle grosse pietre sul mio cammino: larghe e piatte, dalla forma rotondeggiante. Davvero enormi, avrei potuto stendermi su una di esse e sarebbe avanzato spazio.
Prima una sola, poi due. E poi non vidi altro per metri e metri.
Un posto così non l'avevo davvero mai visto. Salii su una delle pietre e ne testai la stabilità.
Erano piuttosto pesanti, e avrebbero retto un peso nettamente superiore al mio: quel lastricato sarebbe stata la mia unica strada per molte ore, se avessi deciso di percorrerla.
E siccome non vedevo altro attorno a me se non la prospettiva di tornare indietro, decisi di proseguire.
Saltavo da una pietra all'altra, cercando di scorgere cosa ci fosse sotto. Per un breve tratto sotto di esse vidi ancora terra rossa e pietruzze, ma lentamente mi accorsi che anche la terra cominciava a sparire sotto ai miei piedi, lasciando spazio solo a quei grandi sassi fluttuanti.
Fluttuanti?
Stavo camminando nel vuoto. O meglio, su delle grosse rocce sospese nel vuoto. Ma era lo stesso.
Mi fermai un istante a pensare, ma bloccarmi lì avrebbe voluto dire tornare indietro. E questo non potevo permettermelo in nessun caso, perciò avrei dovuto rischiare.
Continuai a camminare lentamente, mantenendo un passo costante e stando attenta alla reazione delle pietre al mio passaggio. Sembravano salde nonostante fossero circondate solo da aria.
Il silenzio mi circondava. Il cielo si fece via via più sbiadito, fino a che sopra la mia testa non ci fu che una coltre bianca. Sembrava dovesse arrivare una nevicata da un momento all'altro, ma la temperatura era ancora piacevole e fresca.
Tum, tum, tum. I miei passi oramai erano diventati familiari. In quel luogo così lontano dalla civiltà e diverso da quello che avevo appena lasciato, il silenzio mi era diventato amico.
Per questo udii subito il fruscio a pochi passi da me, quando una leggera nebbia aveva iniziato ad oscurare l'orizzonte. Quel rumore non l'avevo fatto io. E in quel luogo deserto non poteva essere un caso.
C'era qualcuno.
Tenni stretta la lancia tra le dita, pronta a difendermi. Ero sospesa in aria su un mucchio di sassi e con la nebbia alle costole, di certo questo non giocava a mio favore.
Ma non mi sarei arresa, non adesso.
« Avanti, fatti sotto... » sibilai, e quel fruscio si ripeté. La sagoma che intravidi era sicuramente umana.
La mia ombra si rifletteva sulle pietre grigie, aiutata dai pallidi raggi di sole che filtravano oltre le nuvole color latte. Osservai di nuovo la figura di fronte a me, poi di nuovo la mia ombra a terra.
Solo la mia ombra a terra.
Per un istante trattenni il respiro e rilassai i muscoli. Difendermi non sembrava più così importante.
Non ero in pericolo. La figura di fronte a me avanzò di qualche passo, mostrandosi oltre la nebbia leggera.
« Peter... » mormorai, in un sibilo. Mi mancava il fiato. Dal momento in cui lo avevo perso di vista nel mio bosco, avevo pensato alle più orribili tragedie. Vederlo lì, con gli occhialoni da aviatore sulla testa e i capelli ribelli mossi dalla brezza leggera, mi mozzò il respiro.
« Red. » rispose lui con un sussurro, incredulo quanto me. Sul suo volto i segni della stanchezza erano parecchi visibili, ma la luce che da sempre vedevo nei suoi occhi non era scomparsa.
Chiusi gli occhi, poi li riaprii. E lui era ancora lì.
Solo più vicino.
« Red. » ripeté, come se dire il mio nome mi rendesse più reale. Ormai vicinissimo a me, allargò le braccia e mi cinse le spalle, stringendomi in un abbraccio forte, energico.
Senza pensarci.
Chiusi di nuovo gli occhi. Sentivo le lacrime risalire e spingere con forza sulle palpebre in attesa di uscire.
Le ricacciai in dietro. Avevo giurato, santo dio, giurato che non avrei pianto per quel genere di cose.
Sentii le mani forti di Peter ricadere sulle mie spalle. Mi trascinò nuovamente contro di lui, contro il suo respiro sulla mia pelle. Rimanemmo in silenzio per minuti interi, stretti in quell'abbraccio che rendeva insignificante tutto il resto.
Non riuscivo a capire il motivo per cui non ero in grado di staccarmi da lui. Io non ero così. Non volevo essere fragile, vittima dei sentimenti come quelle sciocche ragazzine che tanto odiavo. Ma in quel momento non ero in grado di fare il primo passo.
« Ho pensato al peggio. » ammise lui in un sussurro, muovendo lentamente le labbra accanto al mio orecchio, facendomi tremare.
« Mi hai sottovalutata. » commentai io, senza trattenere un sorriso sarcastico.
« Dopo la tempesta di neve sono tornato a cercarti, ma non c'eri più. Te n'eri già andata via dal tuo bosco e non sono riuscito a trovarti. La tempesta ha continuato a imperversare per giorni. » mi spiegò lui, distanziandosi appena da me. Era più pallido del solito, e due occhiaie leggere marcavano gli occhi scuri rendendoli ancora più intensi. Era molto stanco.
« Sei rimasto bloccato nel mio bosco? » gli chiesi, ripensando alla terribile tempesta di neve e al miracoloso salvataggio di Biancaneve.
Lui annuì. « Volare era impossibile. Ho trovato un rifugio e sono ripartito quando la tempesta si è placata. Ma quando non ti ho più trovata, ho cominciato a cercarti. ».
Ascoltai attentamente le sue parole, ma tutto quello a cui riuscivo a pensare era quanto fossi sollevata di vederlo lì di fronte a me, sano e salvo.
« Io... » iniziai, senza sapere come concludere la frase.
Ero preoccupata.
Ho pensato spesso a te.
Pensavo di non rivederti più.
« ...sono contenta di vederti. ». Dire ciò che pensavo realmente non era giusto. Non lo volevo davvero.
In quel momento, avrebbe provocato solo più sofferenza. Peter mi sorrise, sfiorandomi il volto con le dita.
Quel contatto mi fece rabbrividire.
« Pennino? » dissi semplicemente, ripensando al motivo del suo viaggio. Stava cercando la cura per uno dei suoi bimbi sperduti, e oramai era passato parecchio tempo dall'ultima volta che ci eravamo visti. La sua espressione cambiò, e la luce nei suoi occhi fu oscurata da un incredibile senso di preoccupazione.
« Per ora ho trovato solo un palliativo. Lo mantiene in vita ma non lo cura. » mi spiegò Peter, senza riuscire più a sostenere il mio sguardo. « Sto continuando a cercare, ma sembra del tutto inutile. ».
« Non devi arrenderti. » ribattei io, stupita di quell'improvviso moto di positività. Lo vidi rispondere con un sorriso muto e malinconico.
« Adesso sei tu, quella poco realista. » mugugnò, quasi divertito. « una volta era il contrario. ».
« Non sono sempre stata così cinica, sai. ». Ed era vero. Una volta ero quasi troppo ingenua e spensierata per vivere in quel mondo. Ripensandoci, forse quel cambio di atteggiamento mi aveva fatto bene.
« Lo so. ». Peter mi prese la mano, stringendola nelle sue. « Ma non ho detto che questo sia un male. ».
Rimasi in silenzio, meditando su quelle parole. Forse non era un male, ma di certo non avevo ciò che avevo prima. L'Apocalisse mi aveva strappato qualcosa che volevo fortemente indietro.
« Devi andare. » mormorai, e non era una domanda, né una richiesta. Solo un dato di fatto. Dovevamo separarci, ed era giusto che fosse così.
« Non ti lascio di certo qui. » rispose lui, spalancando i grandi occhi scuri. « Vieni. ».
Non feci in tempo a ribattere. Peter mi afferrò per le gambe e mi prese in braccio, stringendomi con forza.
Il mio viso era vicinissimo al suo. « Che fai? » balbettai, impreparata.
« Ti porto via da qui. » disse semplicemente lui, e in un attimo ci alzammo in volo. Di certo volare mi avrebbe fatto arrivare alla fine del percorso molto più rapidamente. Non avevo ancora capito dove fossi.
« Sai in che Regno ci troviamo? » gli chiesi, poggiando il capo sul suo petto. Lo vidi scuotere la testa.
« Probabilmente una zona di transizione, ma non ne sono sicuro. ».
Rimasi in silenzio per il resto del viaggio. Durò qualche minuto, se non poco più. Ma per me, il tempo in quel momento si fermò. Sentivo il battito del cuore di Peter, il silenzio oltre le nuvole, i nostri respiri.
E per un attimo non pensai più ad altro.



 













Nb. Per chi non lo sapesse, Jim Hawkins è il protagonista de "L'isola del tesoro", celebre storia di Robert L. Stevenson. Personalmente, quando ero piccola adoravo questo romanzo, per questo ho deciso di inserirlo. La descrizione di Jim e il suo atteggiamento sono tuttavia ispirati al classico Disney "Il Pianeta del tesoro", ispirato al romanzo di Stevenson ma riletto in chiave fantascientifica. Per chi non lo avesse visto, consiglio di fare un tuffo nel passato e vederselo perché, nonostante sia abbastanza recente in casa Disney ( anno 2002) è caratterizzato ancora da quell'aura magica che riveste i grandi classici. Consiglio davvero a tutti di vederlo, anche perché ho intenzione di renderlo più partecipe all'interno della storia, dato che è un personaggio che mi piace moltissimo...ma non vi dico altro! =)
E poi abbiamo Peter: vi avevo detto che l'avremmo rivisto, personalmente è un personaggio che mi piace tantissimo anche in questa chiave più realistica...perciò spero non me ne vogliate per questo ultimo momento un pò più sdolcinato, ma non ho potuto farne a meno!
Spero mi farete sapere cosa ne pensate, e che continuerete a seguire la mia storia!
Un abbraccio,

L.



  
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