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Autore: TaliaAckerman    08/10/2013    5 recensioni
[Revisione in corso]
Primo capitolo della serie del "II ciclo di Fheriea"
Dal diciottesimo capitolo:
"Pervasa da un senso di feroce soddisfazione, Dubhne alzò il braccio destro in segno di vittoria. La folla intorno a lei urlava e scandiva il suo nome, entusiasta. E la cosa le piaceva."
Salve, e' la prima fan fiction che pubblico in questa sezione. Più che una ff però è un romanzo, il mio romanzo, ideato e steso in più di due anni di fatiche e grandi soddisfazioni. Spero vi piaccia^^
Genere: Azione, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'II ciclo di Fheriea'
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Ogni uomo, donna o bambino che avesse trovato posto sugli spalti balzò in piedi, chi esultando e applaudendo in modo sfrenato, chi urlando infuriato per la sconfitta riportata da Clia, chi semplicemente acclamando un duello così spettacolare. Il fragore era così forte che Dubhne dovette portarsi le mani alle orecchie prima di abituarsi. Teneva le braccia alzate in segno di vittoria, e sotto la maschera di sangue che era diventato il suo viso si leggeva un gran sorriso. Le doleva ogni singolo centimetro di corpo, ma al momento non le importava; aveva vinto. Aveva vinto. Aveva ucciso Clia e – cosa più importante – si era guadagnata un posto nella finale. Il mondo attorno a lei girò vorticosamente; quel pensiero era insopportabilmente meraviglioso per lei. L’ansia di sapere chi fosse il proprio prossimo sfidante non le importava per adesso. Lì, in piedi nell’Arena, circondata da persone che l’acclamavano, aveva occhi e orecchie solo per l’entusiasmo del pubblico, l’espressione di odio puro che poteva leggere nel volto di Peterson Cambrel, la propria immensa soddisfazione.
Dopo aver fatto due volte il giro del campo salutando la folla sorridendo, si decise finalmente a correre verso il tunnel della propria squadra. Si gettò euforica tra le braccia di James che, sorpreso e fiero allo steso tempo le accarezzò affettuosamente i capelli. Dubhne si separò da lui dopo pochi secondi, e trasportata dall’enfasi per la vittoria, abbracciò anche Socka e Mia. La ragazza, colta alla sprovvista, ci mise un attimo a realizzare cosa fosse successo. Poi lentamente, contro ogni sua prerogativa, circondò le spalle della compagna con le braccia. – Sei stata… eccezionale - disse solo. Le lacrime di commozione le pizzicavano gli occhi; era come se avesse già vinto i Giochi. La giovane si voltò verso Malcom, allungando un amano. L’uomo la imitò, stringendola.
– Ha ragione – ammise, senza riuscire a nascondere il trionfo. Dubhne avrebbe volentieri balzato su e giù dalla felicità, ma riuscì a trattenersi appena. Doveva andare ora… doveva dirlo a Claris e a Xenja…
- Posso…- fece esitante. – Posso andare da…?
Ma non ebbe il tempo di finire, perché Malcom stranamente aveva già annuito distrattamente. I suoi occhi si erano posati su qualcuno aldilà del campo; Dubhne rise. Avrebbe voluto ascoltare la conversazione tra Shist e Cambrel, ma il desiderio di raccontare tutto alle due ragazze fu più forte. Schizzò via, uscendo dall’Arena come impazzita. Svoltò a sinistra, di nuovo, poi corse lungo il breve rettilineo che portava al Palazzo Cerman. Fece per domandare alle guardie di spalancare le porte, ma non ce ne fu bisogno. Queste si aprirono dall’interno, e al visuale della ragazza fu oscurata da una massa informe dia capelli neri. Claris la abbracciò come tenendo stretta una sorella che credeva perduta. – Ce l’hai fatta… ce l’hai fatta… Lisax… è venuta lei a dircelo… oh Dubhne sei stata bravissima! – esclamò emozionata. Anche Xenja era al limite della commozione, e come Claris si gettò fra le braccia dell’amica battendole dei fieri colpetti sulla schiena. – Devi farti disinfettare questi… cosi… - decretò poi seriamente, tirandola per un braccio in direzione dell’infermeria. Kala alzò lo sguardo mentre le tre irrompevano nella stanza. – Ce l’hai fatta allora! – esclamò sorpresa. Anche Phil si tirò su a sedere, agitato. – Hai vinto allora! – esclamò. – E James… ha già iniziato a combattere?
Dubhne scosse la testa; solo adesso il timore per la sorte che avrebbe potuto attendere James cominciava a farsi sentire. – Si batterà oggi pomeriggio - rispose esitante. Phil appoggiò i piedi sul pavimento, verificando di riuscire a camminare. – Io vado, allora – annunciò, rivolto all’infermiera. Kala annuì. – immagino che tu possa riprendere a vivere normalmente. – Phil rivolse un rapido sorriso di congratulazioni a Dubhne, poi uscì più velocemente possibile. Kala fece accomodare la ragazza su uno dei lettini, tirando fuori da un cassetto bende, cotone e un particolare olio disinfettante. – Farà un po' male ora…- la avvertì gentilmente, imbevendo leggermente la stoffa con l’unguento. – Claris, Xenja, tenetele i polsi per sicurezza. Non devi toccarti il volto per nulla al mondo, capito?
Dubhne annuì distrattamente. Se era riuscita a sopportare la lama di Clia che le incideva il viso un po’ di disinfettante non sarebbe stato poi così terribile.
Fece più male del previsto: al primo contatto con il cotone umido le due ferite presero a bruciare più forte di prima, in maniera quasi insopportabile. La giovane strinse i pugni, e dalla sua gola proruppe un basso gemito di dolore. Riuscì a frenare le lacrime appena in tempo. Kala ripeté più volte l’operazione, eliminando ogni goccia di sangue sporco dalle escoriazioni. – Ecco fatto - annunciò alla fine sorridendo. – Sei stata brava…- aggiunse poi ponendole delicatamente le bende sul viso. Gliele assicurò alle spalle legandole l’una con l’altra e facendovi passare in mezzo un laccetto bianco. – Tienilo addosso fino al prossimo scontro, mi raccomando.
Poi le alzò piano un braccio per controllare la ferita sotto la spalla; il corpetto era leggermente macchiato di sangue, ma il grosso del liquido pareva si stesse coagulando alla meglio. Dubhne si sentì immediatamente rincuorata nel vedere l’infermiera sorridere. – Bene… direi che puoi andare.
– Dobbiamo correre da James! – esclamò Claris, rialzandosi di scatto.


Il sole del primo pomeriggio splendeva rovente nel cielo limpido sopra Città dei Re. La terra pareva ribollire sotto quei raggi incandescenti; persino nella penombra dei cunicoli dell’Arena l’aria era densa, pesante, impregnata di afa. I Combattenti della squadra di Malcom Shist erano sudati e tesi, mentre attendevano trepidanti che la seconda semifinale avesse inizio. All’entrata del campo di battaglia stava in piedi James, con il volto decisamente più pallido e preoccupato del solito. Da dietro Dubhne poteva distintamente vederlo fremere, tremiti che nulla avevano a che fare con la temperatura. – Ce la puoi fare – sentì pronunciare Malcom. – Mi hai capito, ragazzo? Tu sei più forte di lui, lo sai. Sei un campione tu, quindi vedi di levargli quell’orrido sorriso dalla faccia!
James annuì, anche se aveva assunto un lieve e sgradevole color verdognolo. – Lo farò.
Ma Malcom lo fermò, afferrandolo per un braccio. - Questo è il tuo momento, eh? Goditelo.
Mentre il pubblico scommetteva e attendeva la presentazione parlottando o esclamando affermazioni a voce altissima, Rodrick – apparentemente ignorato da tutti – urlava: - Benvenuti signori alla seconda semifinale della trentaquattresima edizione dei Giochi Bellici! Dubhne avvertì il proprio respiro accelerare leggermente. Aveva paura; non per se stessa questa volta. Aveva paura per James. Il commentatore annunciò gaiamente.- Ecco a voi i due contendenti! Da sinistra, uno dei pilastri della squadra di Malcom Shist… signore e signori… JAMES SANGSTER!
Il giovane esitò un istante, voltandosi un ultima volta in direzione di Dubhne, Claris e gli altri. Buona fortuna per la finale, lo vide sillabare la ragazza.
Sussultò, certa di non aver capito bene. Ma per quanto tentò di convincersi a sperare, ebbe l’impressione che ogni sforzo di James sarebbe stato inutile. E pareva saperlo anche lui. Dopo l’ingresso in campo di Jackson Malker, vi fu un attimo di semi silenzio. Alla fine, Rodrick sbraitò come al solito che lo scontro poteva iniziare, e Dubhne chiuse gli occhi. Le palpebre abbassate, tentò di immaginarsi cosa stesse succedendo nell’Arena. La folla urlò, applaudì e trattenne il fiato; le spade dei due Combattenti urtavano pesantemente l’una contro l’altra, ma apparentemente senza riuscire ad arrivare al corpo. Poi, niente. Altri colpi, il suono di qualcosa che veniva scaraventato al suolo, una spada che si conficcava nel terreno. Dubhne sentì l’ansia crescere dentro di sé, udendo anche Malcom trattenere il respiro un paio di volte. Ti prego, fa’ che ce la faccia… fa’ che sopravviva, fa’ che vinca…
Si udirono altre urla. Ma questa volta appartenevano a Jackson. Esultante, Dubhne fu tentata di aprire gli occhi, ma li richiuse subito. Altri suoni si aggiunsero alla lotta furibonda: gemiti, bassi ringhi e pesanti tonfi, echi di una sfida mortale che avrebbe potuto concludersi a momenti… Dubhne lo percepì appena un istante prima che accadesse. Lo sentì. – James – sussurrò riaprendo di scatto gli occhi. Mezzo secondo dopo il giovane gridò di dolore, ricadendo a terra.
– NO! – urlò Malcom, trattenendosi a malapena dall’intervenire. Dubhne si rialzò, e anche lei vide: James era in ginocchio di fronte a Jackson, il suo gigantesco spadone conficcato nel petto. Il suo respiro era irregolare, ansiti di una persona da polmoni perforati.
– No… no…- Claris era al suo fianco, inorridita. Jackson Malker impugnò nuovamente la spada, rigirandola nella carne dell’avversario, che lanciò uno straziante urlo di dolore. Dubhne tremò in maniera irrefrenabile. Lo scontro era durato poco più di dieci minuti.
Vide James alzare gli intensi occhi blu sul volto ferocemente soddisfatto di Jackson. – Uc… cidimi…- mormorò scosso dai singulti. Malker ghignò. – Come desideri – e con uno strattone liberò la spada dal suo corpo. Un fiotto di sangue sgorgò dalla ferita, e James Sangster crollò sulla terra battuta senza più muoversi.
Qualcuno urlò. Dagli spalti si levarono singhiozzi e fischi di disapprovazione, mischiati però con le grida e gli schiamazzi eccitati dei sostenitori di Jackson. Claris, impallidita e con gli occhi pieni di lacrime, era di fianco a Dubhne. Malcom Shist si voltò come una furia, ripercorrendo il tunnel verso le uscite con un furore nello sguardo e insieme un tale sconvolgimento che la giovane tremò. Mio dio… contro chi dovrò combattere?


Il corridoio era buio; l’aria densa e calda dell’estate gravava nell’ambiente di pietra, che neppure i lievi spifferi provenienti da fuori riuscivano a rinfrescare. Dubhne guardava fuori dalle finestre ad arco, gli occhi in direzione dell’Arena. Se ne poteva scorgere la gigantesca sagoma anche a quell’ora della notte.
– Immagino che ti stia chiedendo come tu abbia fatto ad arrivare fin qui…
Nella sua vita la ragazza era stata colta alla sprovvista troppe volte per sobbalzare, ma nel sentire quella voce il suo cuore ebbe un tuffo. Peterson Cambrel apparve di fianco a lei, appoggiandosi al davanzale di marmo e scrutando il cielo notturno. – Devo dire che sei riuscita a stupire anche me.
Dubhne non seppe cosa rispondere. Che diavolo ci faceva lui lì? Le ipotesi che avesse per caso deciso di godersi una passeggiatina notturna proprio in quell’ala del palazzo erano piuttosto remote. No, l’uomo doveva averla cercata per un motivo. Alla fine, fece la cosa più sensata. – Che cosa vuoi da me? – chiese in tono duro. Peterson dovette accorgersi del suo atteggiamento scontroso, perché ridacchiò. – Vedo che con la notorietà il rispetto non ti si addice più. Dov’è finito il lei?
Poi tornò con lo sguardo sul cielo stellato.
Dubhne, che oltre all’ansia cominciava ad avvertire un tocco di irritazione, ripeté:- C’è qualcosa che dovrei sapere?
Cambrel non rispose subito. Alla fine, sfoderando uno di quei suoi sorrisi affabili, estrasse qualcosa da una tasca del mantello e lo appoggiò sul davanzale. Con circospezione, la giovane lo squadrò. – Che cos’è?- chiese senza riuscire a nascondere la curiosità.
– Aprilo.
Allungò una mano e sfilò il laccetto che teneva unite le due estremità di stoffa; un brillante luccichio dorato rispose al suo sguardo. Basita, Dubhne alzò gli occhi. – Che significa?
- Sono tuoi – la risposta pacata di Peterson la colse totalmente alla sprovvista. L’uomo sorrise:- Mille york. Quelli che vedi sono solo un centinaio, gli altri ti verranno consegnati a Giochi conclusi. Sono tuoi, se solo accetti di ritirarti dalla competizione.
Dubhne spalancò gli occhi, stupefatta. – Io dovrei… ritirarmi? E perché?
- Pensaci, Dubhne. Tu non hai alcuna possibilità di vincere contro il mio Jackson Malker, lo sai. Puoi anche esserti illusa di essere invincibile, ma lui non è come gli altri. Sarebbe vantaggioso per entrambi; tu avresti la tua libertà, potresti andartene da qui e vivere la tua vita, Malcom Shist verrebbe umiliato e Jackson vincerebbe nuovamente i Giochi senza neanche spargere sangue un’ultima volta.
Attonita, Dubhne non poté far altro che ascoltare le parole del rivale, la bocca semiaperta dallo stupore. Poi, l’uomo le sollevò il mento con due dita fissandola negli occhi. – E detto tra noi, mia cara, sarebbe un vero peccato sprecare questo bel visino in una battaglia che non puoi vincere – mormorò. - Malcom ti lascerà andare, lo sai. Basterà corromperlo anche solo con la metà degli york che ti offro… Per te dovrebbe essere facile.
Dubhne rimase in silenzio, assorta. Il sacchetto di denaro che Peterson le porgeva la attirava come una calamita. Sarebbe stata libera. Avrebbe potuto rivedere suo padre. E Archie, Camm e Richard. Sarebbe andata a cercare Alesha nell’Ariador, l’avrebbe trattata come una sorella. Non avrebbe mai più dovuto combattere. La parola sì le salì in gola, e non seppe resistere…
– No - disse in tono fermo. Peterson sembrò stupito almeno quanto lei nel sentire il suono della sua voce. – Come… come hai detto, scusa?- chiese, sbalordito per la prima volta da quando si conoscevano.
– No - ripeté Dubhne, e questa volta lo fece guardando Peterson negli occhi. Finalmente aveva capito, finalmente aveva compreso appieno il suo destino. – Mi stai chiedendo se desidero abbandonare Claris, Illa, e tutte le persone che sono entrate nella mia vita, con o senza il mio permesso? Mi stai chiedendo di indietreggiare, scappare come una bambina dal tuo prezioso assassino Jackson, eh? Beh, mi spiace ma non ti darò questa soddisfazione. Peterson Cambrel, io vincerò, sarò la prima donna della storia a trionfare ai Giochi. Questa è una promessa.
Rimasero per qualche istante a squadrarsi. Dubhne e Peterson, l’uomo e la ragazza. Poi, Cambrel le scoccò un’occhiata irata, ma le voltò le spalle.
– Non uscirai viva da quell’arena, ragazzina. E questa è la mia promessa – le intimò allontanandosi, e la sua voce suonò carica di odio e rancore represso. Dubhne tremò appena, ma quando il suo avversario scomparve nella notte, sorrise. Ce l’aveva fatta. Aveva vinto.







Note: ehi salve gente eccomi qui con il trentatreesimo capito ^-^ Spero come sempre vi sia piaciuto, aggiornerò il prima possibile (forse anche tra stasera e domani:) Un bacione a tutti i recensori! A presto, Talia :3
  
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