Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
Segui la storia  |       
Autore: SophieClefi    10/10/2013    3 recensioni
E se una mattina, improvvisamente, ti ritrovassi coinvolta in uno strano incidente stradale con l'autobus della scuola? Cosa faresti? Continueresti imperterrita la tua solita vita o cercheresti di trovare le cause di ciò? Questa sarà la decisione che dovrà affrontare Sheila Evans, una ragazza di sedici anni, il cui destino verrà irrimediabilmente sconvolto dall'arrivo di un ragazzo.
Genere: Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Ciao a tutti! SophieClefi è lo pseudonimo di due ragazze. Abbiamo deciso di pubblicare su questo sito il primo capitolo della nostra storia (Il segreto del demone), sperando di ricevere consigli e pareri per migliorarla.
Il nostro problema più grande è la grammatica (la lingua italiana ha davvero tante regole!), quindi non fatevi troppi problemi e avvertite se trovate eventuali errori. ^.^
Buona lettura!




Capitolo 1

 

Era una tremenda sofferenza alzarsi presto per andare a scuola dopo essere stata sveglia fino a tardi la sera prima.

Aprii gli occhi lentamente. Mi sembravano pesantissimi, sentivo di avere due enormi occhiaie e pensai di coprirle con un po' di fondotinta. Entrai in bagno e mi feci una doccia, poi andai in cucina e mangiai una fetta biscottata con un po' di marmellata alle fragole, infine ritornai in bagno per lavarmi i denti e per nascondere le due borse nere sotto gli occhi.

Aprii lo sportello sotto il lavandino e cercai il fondotinta. Era da tanto che non lo usavo, perché non ne avevo mai avuto bisogno. Dopo un po' mi accorsi che nell'armadietto non c'era e mi misi a cercarlo sulla mensola, ma dopo cinque minuti mi ricordai che l'avevo lasciato nella mia borsa, perché qualche mese prima l'avevo preso per andare da Sue.

Sue era la mia migliore amica. Ci eravamo conosciute in prima media ed eravamo sempre state insieme. Adesso frequentavamo le stesse superiori ed eravamo anche nella stessa classe. Sue aveva i capelli neri, lunghi e lisci, due occhi azzurri ed era sempre sorridente. Poteva sembrare una ragazza strana a chi non la conosceva, perché aveva un carattere particolare, diverso da chiunque altro avessi mai conosciuto.

Uscii dal bagno e mi diressi verso l'ingresso. Chiusi la porta di casa e mi incamminai verso la fermata dell’autobus. Ero l'unica sedicenne sfigata che non aveva ancora l'automobile. I miei genitori ne avevano una, ma ogni giorno la usavano per andare a lavoro. Uscivano di casa prima di me, perché per arrivare in ufficio dovevano percorrere un'ora e mezza di strada. Per loro fortuna lavoravano nello stesso posto e la mattina facevano i turni per guidare. La sera tornavano alle nove- dieci e poi andavano subito a letto.

Camminando arrivai alla fermata, che si trovava di fronte alla palestra dove facevo scherma, e mi sedetti sulla panchina. Nessuno . Intorno a me c'era il nulla. La prima volta che ero venuta qui questo posto mi spaventò a morte. Non c'era nessuna luce accesa, se non quella del lampione sull'altro lato della strada. Nessuna macchina. Sentivo il vento freddo sulla pelle. Ormai era dicembre inoltrato e tra un paio di settimane ci sarebbero state le vacanze di Natale, così finalmente sarei potuta stare con Sue senza preoccuparmi della scuola.

Una flebile nebbia mi offuscava la vista, ma riuscii a scorgere i due fari gialli dell'autobus che si stava avvicinando. Il mezzo si accostò al lato della strada accanto a me e le porte mi si aprirono davanti. Salii e sorrisi al conducente. L'autobus era vuoto: ero sempre la prima a salire. Andai negli ultimi posti e mi sedetti guardando fuori dal finestrino.

Era ancora buio, buio pesto. Nel quartiere dove abitavo le case erano malconce: piccole, di mattoni a vista e, a volte, avevano tetti di legno. Fortunatamente la mia casa era una piccola villa abbandonata, ma ristrutturata da capo a piedi quando i miei genitori anni fa vi si erano trasferiti, che si trovava nell'unica zona nuova del quartiere. Apparteneva al mio bis bis nonno, ma lui l'aveva data in affitto e non ci aveva mai abitato. Prima di noi c'erano state due famiglie, che in seguito si erano trasferite a New Reims.

L'autobus curvò e mi spostai leggermente a destra. La mia testa si appoggiò al finestrino e un brivido mi scorse lungo la schiena per il freddo contatto con il vetro. Riuscivo a scorgere appena i contorni delle case e del marciapiede. Il mio respiro appannava il vetro, già abbastanza opaco.

Chiusi gli occhi, ma non mi addormentai: rimasi ad ascoltare il rumore emesso dall'autobus e poi... il rumore della pioggia. Era iniziato a piovere. Un ticchettio instancabile. Il conducente schiacciò dei pulsanti e i tergicristalli iniziarono a muoversi.

Il ritmo di andatura dell'autobus era rallentato, ma il mezzo continuava a procedere. Un'altra curva a destra, una rotonda e poi c'era solo la lunga traiettoria di due chilometri e mezzo che mi separava dal centro della città. Attorno c'erano solo campi, sterminate coltivazioni di granoturco e mais. In estate quel pezzo di strada offriva uno spettacolo magnifico, perché i campi si riempivano di papaveri e ci si sentiva immersi nella natura; ma in inverno, i colori marrognoli dei cereali rendevano l'atmosfera ancora più cupa di quanto fosse già.

L'autista accelerò e d'un tratto, con un gran tonfo, l'autobus sobbalzò.

Mi rialzai e con sguardo preoccupato guardai in direzione del conducente. Lui aprì lo sportello e, guardandomi, mi disse:

  • Scendo un attimo a controllare... penso di aver preso una buca o un sasso... spero di non aver investito un animale!

Dopo aver detto ciò scese dall'autobus e io d'istinto lo seguii. Quando fui sull'uscita vidi il conducente in piedi, con la bocca spalancata e le mani tra i capelli. Era diventato pallido in viso e la sua era un'espressione di paura mista a terrore.

Scesi e guardai nella stessa direzione in cui stava guardando il conducente.

Dietro all'autobus, accasciato a terra, c'era un ragazzo. Aveva dei jeans scuri e una maglietta bianca: l'aveva investito.

  • Che fa lì impalato?! Chiami un'ambulanza! Io controllo come sta il ragazzo!

Mi sembrò di avere appena pronunciato quella che sarebbe stata la mia rovina. Io avevo detto a un signore, con trent'anni in più di me, di chiamare i soccorsi, mentre io avrei controllato il ragazzo? Cose da pazzi! Mi pentii subito di ciò che avevo detto e deglutii un po' di saliva che mi si era formata in bocca. Con cautela avanzai verso il ragazzo. Era immobile. L'aveva ucciso?

Man mano che mi avvicinavo lo fissavo sempre più preoccupata e sconvolta. L'aveva investito in pieno: l'autobus aveva sobbalzato, eppure il ragazzo sembrava tutto intero. Non un graffio, non un polso rotto, nessuna frattura visibile. Era sdraiato su un fianco, con le gambe piegate quasi contro il petto e le braccia erano curve contro il viso. Messo in quella posizione mi era impossibile vederlo in faccia. Solo la maglietta aveva il segno nero delle ruote dell'autobus, così ebbi la certezza che l'avevamo investito realmente.

Feci ancora un passo traballante e sperai che il conducente chiamasse in fretta i soccorsi e scendesse dall’autobus per controllare il ragazzo, ma il mio desiderio non venne esaudito.

Quando mi trovai a un metro da lui mi accucciai a terra.

  • Ehi, stai bene?

Mi pentii nuovamente delle mie parole. Cosa volevo dire con Ehi, stai bene ? Era stato investito! Cercai un'altra frase più intelligente e coerente.

  • Riesci a sentirmi?

Non si mosse di un centimetro. Iniziavo a pensare realmente che fosse morto sul colpo. Sentii dei passi muoversi sull'autobus e mi girai verso le porte del mezzo. Il conducente si affacciò tutto sudato.

  • In che condizioni è? Ho chiamato l'ambulanza e la polizia, tra poco dovrebbero arrivare!

Un rumore dietro di me mi fece voltare di scatto e, appena lo vidi, feci un salto indietro.

Il ragazzo che era stato investito poco prima era in piedi di fronte a me, tutto intatto, a qualche metro di distanza. Non aveva nulla di rotto. Spalancai gli occhi.

Era alto una ventina di centimetri in più di me, aveva un fisico da paura e degli occhi incandescenti. Due enormi occhi rossi che brillavano nel buio come due fuochi e sembravano bruciare tutto ciò che si trovava intorno a lui. Intorno a noi.

Il viso, mi dissi. Strizzai gli occhi per cercare di riconoscerlo, ma il buio lo nascondeva. Non c'era più un ragazzo davanti a me, non c'era una persona, c'erano due profondi occhi rossi, e nient'altro. Rimase così solo un istante, poi si voltò di scatto e iniziò a correre velocissimo.

Non te ne puoi andare così! - Avrei voluto urlargli, ma non ci riuscii. Ero troppo sconvolta dalla vista di quegli occhi, di quell'essere.

Il ragazzo continuava a correre, ma rimasi ancora più sorpresa quando vidi che era scalzo. I suoi piedi erano intatti, perfetti, sembravano non sentire il cemento ruvido sopra il quale stavano correndo.

La mia attenzione venne catturata da una spirale rosso fuoco, incandescente come gli occhi, sotto la pianta di un piede. Poteva essere un tatuaggio? No, era sicuramente qualcosa di diverso. Qualcosa di molto più di un semplice tatuaggio. Una cosa strana quanto i suoi occhi.

  • Chi era?- Riuscii a sussurrare solo questo.

Quando mi voltai vidi il conducente pallido in viso. Una goccia di sudore gli stava scorrendo lungo la tempia destra.

  • Oh... è vivo, e sembra che stia bene...

Nelle sue parole si sentiva il terrore che stava provando.

  • Ma ha visto i suoi occhi? Quello non può essere un ragazzo normale! Deve avere di sicuro dei problemi! Erano...

  • Gli occhi? Cosa avevano di strano? Tu eri proprio davanti a lui e da dietro non sono riuscito a vederlo in faccia... Sapresti riconoscerlo? Potremmo farlo presente alla polizia!

  • Cosa?!

Non li aveva visti? Com'era possibile? Cosa avrei dovuto fare? Era meglio dire tutto alla polizia o mi avrebbero presa per pazza? La seconda opzione era la più probabile.

  • No... non l'ho visto bene in faccia...

Erano le uniche parole che mi sentivo di dire. Decisi che sarebbe stato meglio aspettare fino all'arrivo della polizia prima confessare ciò che avevo visto di quel ragazzo. Almeno avrei avuto il tempo di pensare a cosa riferire.

  • E' meglio che informi i tuoi genitori dell'accaduto, dicendo loro che non puoi più andare a scuola.

  • Sì... adesso lo faccio.

Presi il cellulare e composi il numero di mia mamma.

 

 

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni / Vai alla pagina dell'autore: SophieClefi