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Autore: Axel Knaves    10/10/2013    0 recensioni
Dal testo:
Avevo al massimo cinque minuti di vita, se non di meno. Sentii dei rumori fuori dalla porta, non ne avevo neanche tre. Lasciai che il paletto scivolasse a terra, mentre correvo dall’altra parte della stanza, verso le vetrate.
Genere: Drammatico, Horror, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Era finita e lo sapevo. Avevo corso, visto, ucciso, per troppi e lunghi anni in tutta America. Invece, ora, dopo quasi tre anni di fuga, mi avevano trovato e mi stavano per uccidere.
Mi sedetti, nell’angolo più scuro della stanza, e mi strinsi il paletto di legno al petto. Se fossi morta quel giorno, sarei morta lottando con le unghie e con i denti.
Il cuore mi martellava nel petto, regolai il respiro e lasciai che la mente, dopo anni, vagasse nei miei ricordi, nel mio piccolo angolo d’inferno personale.
Tre anni prima, la Terra, era stata invasa da una razza aliena che assomigliava molto ai vampiri. Io, al dispetto della mia famiglia e del mio ragazzo, mi salvai dalla prima ondata d’invasione e da allora ero in uno stato di fuga continua.
La mia mente focalizzò una foto, che mi ricordai di tenere sul mio comodino. La foto ritraeva mia madre, mio padre e mio fratello davanti alle piramidi di Giza. Sorridevano e si abbracciavano.
Mia madre, Cassandra, era una donna bellissima, dal portamento di ballerina, capelli biondi e gli occhi scuri. Mio padre, Matt, dai capelli brizzolati e gli occhi blu elettrici, aveva il fisico da rugbista. Mio fratello, Sebastian,  più grande di me di due anni, aveva i capelli biondi e gli occhi blu elettrici, non si notava ma faceva basket. La mia mente, allora passò a un’immagine del mio ragazzo Julian. Quando era in vita, era un nuotatore, dai magnifici capelli neri e gli occhi grigi.
Il rumore di una porta sbattuta mi riportò nella stanza buia dove i vampiri mi stavano per braccare. Strinsi ancora di più la mano attorno al paletto, mentre le lacrime mi bruciavano sulle guance.
Il vampiro pallido, alto, capelli rasati a zero e gli occhi quasi bianchi entrò nella stanza. Sarebbe sembrato umano, ma l’olfatto sviluppato, la vista al buio, la sete di sangue e la super velocità lo tradivano. Era armato di un coltello.
Annusò l’aria e si diressi verso di me. Inspirai, espirai lentamente, contando i passi che si avvicinavano. Quando fu a circa un metro da me, scattai e gli piantai il paletto nel cuore.
La spalla m’iniziò a bruciare, mentre il corpo del mio predatore ebbe un tremito e divenne un mucchietto di cenere ai miei piedi.
Mi toccai la spalla, per poco non urlai dal dolore: il vampiro me l’aveva trapassata con il suo coltello. Il sangue mi colava, il che, purtroppo, significava che in breve tempo i vampiri avrebbero sentito l’odore del mio sangue e sarebbero venuti a mangiarmi. Avevo al massimo cinque minuti di vita, se non di meno. Sentii dei rumori fuori dalla porta, non ne avevo neanche tre. Lasciai che il paletto scivolasse a terra, mentre correvo dall’altra parte della stanza, verso le vetrate.
Sfondai il vetro e volai.
Il vento premeva contro il mio corpo, ci furono pochi centesimi di secondo in cui un dolore allucinante mi trapassò il corpo e poi morii.
 
Riaprii gli occhi. Ero viva?
Ero in un posto bianco, un posto caldo, un posto di pace. Mi alzai a sedere e mi guardai il corpo: non avevo nessuna cicatrice. No, non ero vivo, non era possibile! Mi ero gettata dal quarto piano! Però…
«Sai», disse una voce alle mie spalle, «non avrei mai pensato che mia sorella fosse così coraggiosa».
Le lacrime m’infiammarono gli occhi e minacciarono di uscire. Mi voltai lentamente, pensando che era stato solo frutto della mia fantasia, ma quando li vidi lì, in piedi, sorridenti, le lacrime sfuggirono al mio controllo: la mia famiglia era lì. Era viva.
Mia madre e mio padre mi guardarono sorridenti mentre si tenevano per mano, mio fratello, invece, era in piedi con un sorriso divertito in volto e le braccia incrociate sul petto.
Mi alzai come una molla e mi gettai tra le braccia di mio fratello, che si erano aperte per accogliermi. Lo abbracciai e inspirai il suo odore, era proprio come quello chericordavo.
«Ehi!» Esclamò lui. «C’è anche un’altra persona che ti vuole salutare!» Mi staccò dal suo petto e si fece da parte. Lì in piedi, con un sorriso smagliante e un viso perfetto c’era Julian. Gli corsi incontro, ci abbracciammo, ci baciammo.
No, non ero sopravvissuta alla caduta, no, ero in paradiso.
   
 
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