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Autore: Mikayla    13/10/2013    0 recensioni
L'utimo San Valentino di una coppia a me molto cara, che torna dopo anni di attesa.
Semplicemente Hotaru e Takashi, e il loro grande amore.
[dalla serie Tale of true Life]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hotaru/Ottavia, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la fine
- Questa storia fa parte della serie 'e'
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Note: dopo tanti anni eccomi ancora qui, con una storia sulla mia senshi preferita, Hotaru, e la sua vita così faticosamente costruita tra dolore e perdite, ma anche felicità e tanto amore.
Dalla serie Tale of True Life, e purtroppo difficilemente comprensibile se non la si è precedentemente letta.
Buona vita,
Mikayla


Last Valentine’s Day


[Taka-koi, ti amo]
[Lo so]
[Ti amo]
 

Takashi Myokatono se ne stava mollemente poggiato al muro dietro di sé.
Se suo suocero Haruka l’avesse visto avrebbe malignamente ghignato soffiando piano un «Sei così pappamolle da doverti far sorreggere dal muro, Takashi?»
Invece lei se n’era già andata via, con Michiru e la piccola Shia, mentre lui era rimasto lì, in quel corridoio bianco e vuoto a farsi sostenere dal muro -o invece era lui a sostenere l’intera struttura?- ignorando l’odore nauseabondo che permeava l’aria.
Stava lì, le mani in tasca, e sembrava portare sulle sue spalle l’intero peso dell’edificio, sette piani e quattro ali in tutto, più il corpo centrale. L’ospedale della Mugen era enorme, e il più specializzato.

Ma per quanto avanzati, non potevano fare nulla.
Non per lui.
Né per lei.

«Che rumore fa un cuore che si spezza?»

Non c’era eco, ma Takashi lo sentì rimbombare nelle proprie orecchie, ripetuto altre cento, mille, diecimila volte. E per quanto volesse sapere la risposta a quella domanda non aveva il coraggio di porla all’unica persona che la conosceva.

«Che rumore fa un cuore che si spezza?»

Si passò una mano sulla fronte, finendo tra i capelli in disordine e sporchi.
Per quanto tutti gli ripetessero di andare a casa, riposarsi, farsi una doccia, mangiare e tornare, lui restava lì.
In quel corridoio.
Sempre.
E avrebbe voluto con tutto il cuore che fosse davvero per sempre.
Che era comunque meglio dell’alternativa.
 

[Taka-koi, ti amo]
[Lo so, Hota-hime, lo so]
[Ti amo davvero tanto]
 

Se avesse saputo a cosa sarebbe dovuto andare incontro, si sarebbe preparato.
Sarebbe morto ugualmente ogni volta che si sarebbe specchiato in quegli occhi ametista che si stavano spegnendo, ma almeno avrebbe risparmiato a Shia la sofferenza.

«Tre giorni.»

Fece scivolare la mano sugli occhi, nel gesto di asciugare delle lacrime che non era stato in grado di versare.
Le spalle ricurve gli conferivano un’aria cupa e malinconica.
Ma erano i suoi occhi lampone e le sue labbra a tradire la gravità della situazione.

«Hota-hime ama il mio sorriso largo, le piace per davvero.»

Ma le sue labbra erano incurvate verso il basso e non permettevano di vedere i denti bianchi.
Le rughe d’espressione che dimostravano quanto fosse abituato a sorridere erano diventate delle grinze dolorose.

«Hota-hime ama specchiarsi nei miei occhi, perché solo così riesce a capire com’è bella

Ma i suoi occhi erano spenti, e a stento uno ci si poteva specchiare all’interno.
Vacui.
Inconsistenti.
Distorcevano il riflesso di chi li incontrava, incupendone i colori e la luce.

«Dimmi, Hota-chan, che rumore fa un cuore che si spezza?»

[Ti amo, 
ti amo,
ti amo]

 

Hotaru si stiracchiò, distesa su una delle sdraio che c’erano in giardino.
Distrattamente le cadde il libro dal grembo, e con uno piccolo sbuffo si chinò a raccoglierlo, cercando di ricordarsi la pagina a cui era arrivata.
Shia lanciò un gridolino di gioia, dondolandosi alta sull’altalena.
Da lassù riusciva a vedere quasi tutto il giardino dei nonni, e l’aria sembrava più frizzante.
Takashi abbassò il laptop e si concesse un sorriso largo e soddisfatto all’indirizzo della propria preziosa e meravigliosa famiglia.

L’estate stava finendo, e presto sarebbero dovuti andare via dalla casa dei nonni e tornare in città, alle loro vite usuali.

«Taka, hai già sentito se i tuoi ci vogliono nuovamente tutti da loro per natale?»
«Stranamente non si sono ancora fatti avanti per prenotarci.»
«I nonni fanno le cose sempre in anticipo, vero, tou-chan?»

Takashi e Hotaru si scambiarono uno sguardo complice.
Il ricordo di uno chalet di montagna sovraffollato riemerse dalle nebbie della memoria, scatenando in entrambi una risata di cuore.
Hotaru la nascose dietro alla mano, come d’abitudine, mentre Takashi mostrava indecentemente l’ugola a chiunque fosse nei paraggi.

Shia osservò i genitori stranita.
Per quanto fosse abituata ai segreti tra i due, le faceva sempre ancora molto effetto vedere quelle scene.
E ne provava un misto di piacere e invidia.
Era in quei momenti che desiderava con tutto il cuore trovare anche lei la persona giusta.

«Serve solo a non creare equivoci e situazioni imbarazzanti, Shia-chan.»

Hotaru la richiamò a sé, con un gesto dolce e materno.
Shia saltò dall’altalena in corsa, e si precipitò in un abbraccio.
La bambina non era mai sazia degli abbracci della madre.
Hotaru le mise una giacca sulle spalle, e le diede un bacio sulla fronte.

«È meglio rientrare, fa un po’ freddo.»

Takashi annuì, alzandosi.
Le rivolse uno sguardo innamorato e le posò un bacio sulle labbra.
Prese la mano della figlia e le fece fare una giravolta.

«Noi ti precediamo.»

Fu Hotaru ad annuire, osservandoli avviarsi lungo il vialetto per raggiungere la casa.
Solo quando non li vide più si voltò, e la sua espressione s’indurì.

«Cosa volete?»

Due figure comparvero dall’ombra degli alberi, come si fossero materializzate alle sue parole.
Due giovani donne, due gocce d’acqua, una vestita di un drappo color verde acqua e l’altra del colore blu del mare più profondo, si fecero avanti.
Rispettosamente s’inchinarono, e in quell’inchino attesero il permesso di volgere il proprio sguardo alla donna di fronte a loro, che le osservava con il gelo negli occhi.

«Cosa volete?»

Ripeté Hotaru.
E per quanto la voce fosse ferma e glaciale, era evidente la paura che le opprimeva il cuore.

«Princess Saturn-sama...»
«Hotaru.»

Le due sobbalzarono, a quell’interruzione.
Si guardarono e molto lentamente annuirono.

«Hotaru-sama, siamo state costrette a venire da voi-»
«-perché il regno della Morte e della Rinascita si sta sciogliendo-»
«-e senza la luce che voi gli donate non resisterà a lungo-»
«-era nostro dovere avvisarvi che il tempo è giunto, che pochi mesi restano-»
«-prima che voi facciate ritorno al vostro regno.»

Il respiro si spezzò in gola ad Hotaru.
Le sembrò di annegare, di annegare in un mare d’aria.
E temeva che sarebbe morta lì, perché incapace di respirare.

«Grazie...»

Il suo mormorio fu impercettibile, ma le due donne lo sentirono.
Si congedarono con il massimo rispetto, lasciandola da sola.

E una volta sola Hotaru pianse.
Disperatamente.
Con quell’intensità che non si era mai permessa.

[Ti amo,
ti amo,
ti amo]

«Febbraio...»

Takashi alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo per osservare meglio la moglie: era dall’inizio dell’anno nuovo che Hotaru aveva sviluppato un’ossessione per il calendario.

E lui sapeva bene perché.

«Andiamo al lunapark.»

Hotaru lo sorprese con quella proposta inaspettata.
Si chiese se fosse una buona idea, ma si rendeva conto di non poter rinchiudere la propria lucciola in un barattolo per il terrore che si facesse del male.
Non sarebbe stato in quel modo che l’avrebbe protetta.

«Oggi?»
«Adesso.»

Hotaru si mordicchiò un labbro, passandosi nervosamente la lingua sulle labbra.
Si schiarì la voce e fece un tentativo di sorriso.

«È tanto che non ci andiamo con Shia...»

Takashi annuì.
Si alzò e la prese tra le proprie braccia, facendole capire che lui era lì.
Era lì solo per lei.

«Certo, andiamoci subito.»

[Ti amo,
ti amo,
ti amo]

Horatu se ne stava seduta sulla panchina, il naso all’insù a spiare con ansia il marito e la figlia che andavano sulle montagne russe.
Aveva trattenuto il fiato finché il giro non era terminato, e con esso la sensazione di pericolo in lei si era placata.

«Okaa-chan!»

Lo squittio di Shia la fece alzare, e con un sorriso mosse il primo passo nella loro direzione.

Sorriso.

Due passi.

Sorriso.

Tre passi.

«HOTARU!»

Le ginocchia piegate.
La perdita di equilibrio.
Una fitta all’addome.
Il respiro mozzato.
L’alito della brezza tra i capelli.
Il dolore della caduta.
Il tentativo di frenarla con la mano.
Il sapore del sangue in bocca.
L’esplosione di dolore alla testa.
Nella testa.
Il bianco davanti agli occhi, al posto dell’espressione di terrore di Shia.

Ancora l’accenno di sorriso sulle labbra di Hotaru.

Non fece mai il quarto passo.

 

[Ti amo,
ti amo,
ti---]
[È morta]

 

«Che rumore fa un cuore che si spezza?»

Takashi ingoiò l’odore di medicinali, e gli salì la nausea.
Abbandonò il muro e con tutto il coraggio che aveva entrò nella stanza.
Lì c’era profumo di violette.
I fiori che Makoto aveva portato nascondevano il forte odore di medicinali.

Hotaru era stesa nel letto.
Piccoli tubicini bianchi tutt’intorno a lei.

Aprì gli occhi.

«Takashi...»

Lo mormorò con dolcezza e amore.
Con delicatezza.

Lui allargò un sorriso abnorme.

«Hotaru-hime.»

Lei gli fece cenno di avvicinarsi, e così lui fece.
Non si sedette però sulla sedia, ma sul lettino accanto a lei.
Hotaru gli strinse la mano.

«Mi dispiace, sai? Non stavo così male dalla mia vita precedente...»

Takashi le accarezzò la fronte, negando con il capo: non doveva scusarsi.
Mai.
Non con lui.

«Ti senti meglio, oggi?»
«Un poco, sì.»
«Vuoi che ti porti qualcosa?»
«Prima sono venuti mamma e papà, sai? E con loro c’era una bambina davvero molto carina, sai? La conosci?»

Takashi accolse la pugnalata al cuore con un sorriso ancora più largo e insincero.

«Si chiama Shia.»
«Oh! È proprio il nome che vorrei dare a mia figlia, se ne avessi una, sai?»

Takashi annuì ancora, stringendole la mano.

«Oggi è il 14 febbraio, vero?»

Nuovamente Takashi annuì, senza spiegarle che però erano passati più di vent’anni rispetto a quello che pensava lei.

«Volevo aspettarti in università, sai? E darti il mio regalo… come cinque anni fa...»
«Lo farai quando starai meglio, non preoccuparti.»

Hotaru annuì, e giocherellò con una ciocca dei propri capelli.

«Taka-koi, ti amo.»
«Lo so.»
«Ti amo.»
«Non ne ho mai dubitato, perché ti amo più della mia vita.»

Si guardarono, e una lacrima scivolò dalle ciglia di Hotaru.
Per quanto non ricordasse nulla della sua vita, una parte di lei sapeva.
Sapeva cosa stava per succedere.

Takashi le prese il viso tra le mani

«Ti amo»
«Dillo ancora.»
«Ti amo.»
«Non smettere mai.»

Takashi sorrise, canzonatorio.

«Di ripetertelo?»

Hotaru non rispose.
Si limitò a chiudere gli occhi.
Perché lei aveva visto due giovani donne, ammantate del verde dell’acqua e del blu profondo degli oceani.
Perché per un secondo aveva ricordato

«Ti amo,
ti amo,
ti amo,
ti amo,
ti amo,
ti a---»
«È morta.»
 

[…]
[…]
[…]

«Che rumore fa un cuore che si spezza?»

Mormorò Takashi, angosciato, all’unica persona che aveva la risposta.

«Non fa rumore.»

Rispose un’invisibile Hotaru al suo fianco.
Teneva ancora stretto a sé il cuore che Takashi le aveva regalato così tanti anni prima.

   
 
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