Storie originali > Horror
Ricorda la storia  |      
Autore: Ser Balzo    14/10/2013    5 recensioni
Marco vaga sconsolato per i vasti spazi del centro commerciale Le Colonne: la ragazza l'ha appena mollato, e vorrebbe soltanto sparire.
Lui non lo sa, ma ben presto verrà preso in parola.
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Dopo la chiusura



Marco camminava con i pugni serrati infilati a forza nelle tasche del giubbotto, confondendosi fra la gente che affollava il grande centro commerciale Le Colonne. I suoi passi erano rapidi, nervosi, e soprattutto non conducevano da nessuna parte.

Livia lo aveva appena lasciato. Lo aveva chiamato lì, lì dove andavano sempre a perdere tempo insieme, per rovesciargli addosso un fiume incoerente di parole umide. Marco non ci aveva capito praticamente niente, fin quando Livia non era stata mortalmente esplicita.

“Non lo capisci, Marco? Non funziona! Non funziona tra noi!”

Marco non era mai stato bravo con le parole. Così l’aveva guardata per qualche istante, aveva inspirato, aveva girato i tacchi e se n’era andato.

Lei lo aveva chiamato, cinque volte. Cinque coltellate alla schiena, prima che i suoi richiami disperati si perdessero in mezzo alla calca.

Si apprestava a ripetere per la quarta volta il giro del centro commerciale, quando decise di fermarsi e di riordinare la mente.

Quella vacca... quella maledetta vacca.

Si sedette su una panchina, prendendosi la testa fra le mani. Una voce resa incomprensibile dal vociare della folla e dalla grandezza degli spazi annunciava un qualche tipo di sconto su una serie di prodotti imperdibili.

Marco guardò le persone indaffarate passare davanti a lui: vecchi, bambini, ragazze con leggins leopardati accompagnate da individui grassocci in tuta integrale, chiuahua che slittavano sul pavimento liscio... un’umanità variopinta e variegata, più o meno munita di fedele compagnia del mondo animale.

Il mondo va avanti... con o senza di te.

In quel momento, Marco si rese conto del motivo per cui amasse particolarmente quel luogo: il centro commerciale metteva tutto in prospettiva. Che importanza aveva essere brutalmente scaricati dalla ragazza per cui si aveva una cotta fin dalle elementari, se il martedì la carne veniva scontata del settantacinque per cento? Erano i saldi di febbraio a far girare l’economia, non certo una stupida biondina con uno stupido, magnifico sorriso.

Marco venne colto da uno strano torpore. Essere immerso in quell’anonima mandria di umani lo depersonalizzava, lo faceva diventare uno come tanti, un puntino in quel brulicante formicaio. E quando guardi un formicaio, non stai mica a pensare se la formica che stai cercando di bruciare con la lente di ingrandimento ha avuto problemi sentimentali o no. Sono tutte uguali.

Senza neanche rendersene conto, Marco scivolò in un sonno profondo.


***


Fu un alito di freddo a svegliarlo. Impiegò qualche secondo a capire dove fosse, poi si rizzò in piedi sconcertato.

Mi hanno chiuso dentro!

Non era possibile. Qualcuno l’aveva visto di sicuro, con tutta quella gente...

O forse era proprio per via di tutte quelle persone che nessuno aveva badato a lui?

Maledicendosi per la propria stupidità, mise la mano in tasca per prendere il telefonino.

Le dita, però, strinsero il vuoto.

Ma che... mi hanno rubato il telefono! Pure!

Inviperito, tirò un calcio alla panchina, procurandosi un acuto dolore all’alluce. 

Ok, va bene, calmiamoci... come ne esco?

Sicuramente c’era un guardiano notturno da qualche parte. Oppure poteva andare a vedere al cinema. Il cinema chiudeva sempre tardi.

Rinfrancato, si diresse verso il multisala. Non era neanche troppo lontano, doveva soltanto percorrere il corridoio rosso e poi svoltare a destra.

I suoi passi rimbombavano nel corridoio vuoto. Non aveva mai visto il centro commerciale senza nessuno: sembrava due volte più grande. Guardò verso l’alto, scoprendo per la prima volta quanto fosse alto il soffitto. 

Come mai non ho mai guardato in alto?

Si meravigliò del fatto che le luci fossero tutte accese: aveva sempre pensato che la notte le spegnessero.

Poi si chiedono perché c’è crisi...

Da dietro le vetrine, i manichini senza volto lo osservavano, silenti. Le luci accese dentro i negozi davano una parvenza di attività, come se il progresso economico non potesse attendere i ritmi obsoleti degli umani. Era una strana sorta di non-vita.

E da dove esce tutta questa filosofia? Fino all’altro giorno il mio massimo sforzo mentale era stato paragonare la faccia di Messi a quella di quel cretino di Gianni.

La solitudine costringeva il suo cervello, ottenebrato dall’Xbox e dalle serie tv, a pensare per conto suo.

Vedendosi arrivare alla fine del corridoio affrettò il passo. Svoltò a destra e si ritrovò di fronte l’insegna gialla del cinema.

E no, però.

Il cinema era chiuso, le enormi saracinesche abbassate, ferreo e impenetrabile monito alla sua stupidità.

Come ho fatto ad addormentarmi! Come! Io che prima delle due non chiudo occhio!

Si ficcò le mani in tasca, imprecando, e riprese la marcia.

Il cinema non chiudeva prima dell’una, quindi doveva aver dormito parecchio. Erano solo le sette quando si era seduto sulla panchina.

Ma come è possibile?

In quel momento, udì qualcosa che era sempre stato con lui, nei suoi vagabondaggi nel centro commerciale, ma che non era mai riuscito a giungere alle sue orecchie. Il sistema di ventilazione mormorava sommessamente, mantenendo la temperatura ottimale. 

Marco era stato sempre grato all’aria condizionata di quel posto, rifugio gelato di interminabili agosti. Eppure, in quel momento, una ben diversa sensazione lo pervadeva: il rumore dell’aria condizionata sembrava...

...qualcuno. È come se qualcuno respirasse. Come se questo posto fosse...

Vivo.

Marco affrettò il passo. Dov’erano quelle maledette guardie sui loro ridicoli trasporti a due ruote, quando servivano? Giravano pigramente tutto il giorno, e ora che c’era bisogno di loro non si trovavano neanche a pagarle oro.

Salì i gradini della scala mobile C, salendo al secondo piano. Lo stomaco gli doleva per la fame, e non vedeva l’ora di tornare a casa e divorarsi qualunque cosa contenesse il frigo.

Mise il piede sul pavimento liscio del secondo piano. L’insegna rossa di un Mc Donald’s sogghignava beffarda.

Dio, quanto vorrei un maledetto Big Mac...

Un rumore, lontano ma trasportato dall’eco, gli fece rizzare i peli della schiena. Era un lamento metallico, di quelli che si sentono nei film quando gli edifici stanno per crollare. Enormi pilastri d’acciaio che si piegano.

Ma cosa poteva aver prodotto un simile rumore?

Il respiro di Marco si fece affannoso. Ebbe la terribile sensazione di essere un estraneo in quel luogo.

Voglio andare via.

Rapidamente, fece dietro front, dirigendosi nel punto opposto rispetto al quale proveniva il rumore.

Il silenzio pervadeva di nuovo il centro commerciale. Sembrava impossibile che qualcosa avesse turbato la quiete di quel luogo giusto qualche momento prima.

Intanto, lo spavento aveva instillato in Marco una rabbia cieca quanto incoerente.

Oh, ma mi sentiranno... chiuso qui dentro... domattina vado a fare denuncia... li lasciamo in mutande a questi... quella vacca di Livia, maledetta sgualdrina. Sicuro se la fa con il Rebbia, sicuro come l’acqua... ah ma io la massacro, la massacro quant’è vero Iddi-

Un altro lamento. Più lungo e prolungato del precedente: una nota acuta, poi una bassa, così profonda che quasi fece vibrare il pavimento.

Marco saltò per aria. Si girò di scatto, ma dietro di lui non c’era nessuno.

Ma che sta succedendo?

Il cuore gli martellava nel petto. Una paura atavica, antica quanto il genere umano si impossessò di lui. Era un intruso. Era un nemico.

Cominciò a correre, le scarpe da ginnastica che sdrucciolavano per terra, accompagnando la sua fuga con guaiti acuti.

Attraversò il corridoio giallo, superò il piccolo chiostro con le palme finte e svoltò nel corridoio amaranto, più piccolo dei principali. 

A tre quarti del corridoio si fermò. davanti a lui, nel corridoio verde nel quale si immetteva quello amaranto, un paio di vetrate a specchio riflettevano la sua immagine. Vide il suo volto pallido, la sua felpa spiegazzata e la sua stinta maglietta rossa. Con inusuale ironia, pensò che non aveva certo reso più difficile a Livia mollarlo, visto come si era conciato.

Poi, alle sue spalle, una figura attraversò l’imboccatura del corridoio.

Marco lanciò un grido incoerente, tremando violentemente. Qualcuno stava attraversando il corridoio verde, che era collegato a quello blu dal corridoio amaranto, ed era apparso per qualche istante dietro di lui. La sua mente si rifiutava di ammetterlo, ma sapeva bene cosa aveva visto.

Lo avevano accompagnato sempre, nei suoi giri lì a Le Colonne. Lo avevano osservato, spiato, giudicato.

Quel colore argento opaco era inconfondibile.

Un manichino del centro commerciale era appena passato a una ventina di metri da lui.

Ma quel coso... si muoveva!
E camminava anche spedito, a giudicare dalla rapidità con cui era scomparso.

Luca cercò di calmarsi. Le mani non smettevano di tremare.

Hai visto male. Sarà stata una guardia o un... qualche idiota, qualcuno che si è dipinto di argento. Magari uno di quegli artisti moderni...

Questa volta il lamento partì come un sospiro, per poi aumentare di intensità, fino a risultare quasi assordante. Marco gridò, sopraffatto dal terrore, e con il volto bagnato di lacrime cominciò a correre, come non aveva mai corso in vita sua. Era l’istinto di sopravvivenza a guidarlo, e l’adrenalina a spingerlo.

Era tornato indietro di qualche milione di anni. Non era che un animale, un animale braccato, e doveva scappare, scappare più veloce del suo predatore.

Svoltò nel corridoio giallo con tanta foga che le scarpe scivolarono sul pavimento liscio, facendogli sbattere l’anca per terra. Non sentì neanche il dolore, tanto era follemente terrorizzato. Si rialzò in piedi il più in fretta possibile, e continuò a correre.

Le lacrime gli impedivano di vedere alcunché, ma riusciva a distinguere i contorni dell’immenso corridoio giallo, e delle scale mobili che servivano a portarlo al piano di sotto.

Fu in quel momento che il suo cervello sotto shock sputò fuori un’informazione vitale: ai piedi delle scale mobili, a una trentina di metri di distanza, c’era l’uscita B, quella con le porte girevoli. Le saracinesche non si potevano oltrepassare, ma con un po’ di fortuna le porte girevoli potevano essere superate.

La speranza lo pervase: imboccò le scale mobili con le ali ai piedi.

La foga, però, fu troppa. Marco mise un piede in fallo, scivolando in avanti. Provò ad afferrare il corrimano, ma le dita non riuscirono a mantenere la presa. Cadde rovinosamente, rotolando sulle scale mobili, graffiandosi sugli scalini aguzzi di metallo.

Con un ultimo grido, fu finalmente al piano terra. Si rialzò, tremante, sfiatando come un mantice e mormorando in preda al delirio. Con la coda dell’occhio, colse una figura umanoide in cima alle scale.

«VATTENE!» strillò con voce resa acuta dal panico. 

Non mi avrai. Non mi avrai.

Le porte erano lì, davanti a lui. Fuori, il mondo lo attendeva.

Civiltà! Vi amo, vi amo tutti! Amo anche Livia, quella vacca appestata!

Diede fondo a tutte le sue energie. Bruciò tutto il carburante che gli rimaneva, in quella disperata volata per la salvezza.

Venti metri. 

Quindici.

Dieci.

Cinque.

Coprì gli ultimi metri con un balzo, impattando con le mani sulla superficie di vetro delle porte.

Che, incredibilmente, si misero in moto.

Grazie! Grazie Dio! Dovevo comprarmi Gta, ma do’ tutti i soldi in beneficenza! 

Cominciò a ridere, ebbro di sollievo. Daniele e Mirko non ci avrebbero mai creduto.

Qualcosa lo colpì alle spalle, spingendolo in avanti. Si girò, sorpreso.

Erano i vetri della porta scorrevole. Andavano troppo veloce.

Vide comparire alla sua destra la città, la gente, la salvezza. Un refolo di aria fresca lo accarezzò.

Si mosse in avanti. La mano uscì dal centro commerciale, libera.

Il resto del corpo, però, non seguì il suo esempio.

Marco venne spinto dentro dalle ante scorrevoli. Non ne fu neanche stupito: la sua mente era rimasta fuori, nel mondo esterno, libera da quell’orrore.

Perse l’equilibrio e cadde a terra. Come un sacco di sporcizia, venne spazzato dentro il centro commerciale dalle porte scorrevoli.

L’ultima cosa che vide furono un paio di caviglie di plastica. Poi un urlo straziante, simile ad un milione di travi di acciaio che si piegano, gemono e infine si spezzano lo travolse, e non pensò più.


***

 

Livia camminava per il corridoio giallo, guardandosi freneticamente attorno. Come un’unica, ottusa entità, la folla le passava accanto, ignorandola: se avesse potuto, le sarebbe passata attraverso.

Dopo che Marco era scappato aveva provato a seguirlo, ma il ragazzo era improvvisamente sparito. Lo aveva cercato dappertutto, ma il suo ex-fidanzato sembrava essersi volatilizzato. Tornata a casa, si era chiusa in camera, a piangere. Si era addormentata fra le lacrime.

La mattina, però, qualcosa la attendeva, brillando sullo schermo del telefonino.

Vediamoci alle sette davanti alla Benetton. Ti devo parlare.

Inviato: 13/10/13, ore 03:33

Un messaggio di Marco. Livia non aveva potuto fare a meno di provare un grande sollievo. Si era pentita di averlo mollato in quel modo, e voleva soltanto tornare indietro. Piena di speranza, si era fiondata fuori di casa, travolgendo il suo vecchio cane che sonnecchiava in salotto.

Ora era lì, davanti alla grande insegna verde del negozio di abbigliamento. Erano le sette e cinque, ma di Marco nessuna traccia. L’aveva chiamato più volte, ma il telefono squillava a vuoto.

Si sedette su una panchina, in preda al dubbio. Dov’era Marco? Di solito era sempre puntuale.

E se fosse... un crudele... scher...zo...

Non riusciva a pensare bene: un violento colpo di sonno le stava ottenebrando la mente. Le palpebre si fecero pesanti, la vista offuscata.

Neanche il tempo di accorgersene, e Livia cadde in un sonno profondo.

 

***


A qualche metro di distanza, dietro un vetro, tre manichini stavano immobili, in posa. 

In realtà, ad essere in posa erano solo due delle figure di plastica: la terza, quella con una maglietta che un tempo era stata rossa ma che i troppi lavaggi avevano ormai sbiadito, era decisamente poco armonica: dritta come un fuso, aveva le braccia stese lungo i fianchi e i pugni chiusi.

C’erano non meno di una trentina di persone dall’altra parte della vetrata, eppure nessuno si accorse  di nulla.

Con un movimento rapido, il manichino con la maglietta rossa girò la testa verso la ragazza addormentata.

Ciao, Livia. Ci vediamo dopo la chiusura.

 

CHIACCHIERE DELL'AUTORE: Raccontino senza troppe pretese (e ci mancherebbe, che io di horror non so scrivere) basato sue due delle mie inquietudini del centro commerciale: i manichini e le porte girevoli.

Per quanto riguarda gli strani lamenti metallici, scrivete su youtube "strange noises in kiev" e guardate il primo video (se ne consiglia la visione quando il sole è alto e gli uccelli cinguettano): saprete da dove ho tratto ispirazione (e dove mi sono consumato dall'ansia: maledizione a me e alla mia morbosa curiosità da fifone impressionabile).

Sperando di avervi intrattenuto (ed avervi dissuaso dall'appisolarvi nei centri commerciali), mi inchino e riverisco, e alla prossima storia!

  
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Horror / Vai alla pagina dell'autore: Ser Balzo