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Autore: Honey Tiger    14/10/2013    8 recensioni
[Parole citate dal quinto capitolo]
«Lasciami bere, tanto nessuno mi cercherà più» evitò di rispondere alla domanda posta da lui e, seria in volto, si portò alle labbra la bottiglia bevendo per l’ennesima volta.
....
«Hai visto mia madre? Non mi ha degnato neanche di uno sguardo nonostante mi fossi resa bella per lei. E mio padre?» un sorriso di disgusto dipinse il suo volto. «Lui ha finto di essere un altro uomo per tutta la serata. Desiderava farsi bello agli occhi degli altri e a quanto sembra ci è riuscito tirandomi in ballo. Lexie qua, Lexie là, Lexie è brava in quello è da lodare; Lexie, fa’ quello è da punire» fece lei assumendo il tono più duro e autoritario, quasi a voler copiare la voce del padre. «Ma Lexie vuole solo un abbraccio. Lexie non vuole i soldi, non vuole i vestiti costosi e le macchine veloci, lei vuole solo un abbraccio sincero e una spalla su cui poter piangere» cominciò a piangere come una bambina. «Lexie non vuole tutto questo, lei vuole solo un'amica». Con uno scatto di ira, prese la bottiglia tra le mani e la scagliò contro il muro, frantumandola in mille vetri.
Genere: Avventura, Erotico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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[Capitolo betato da: Malika]

 

                                                                                                               
 4. Il ballo - la prima parte 

 

      La settimana trascorse in fretta, fra i corsi obbligatori e le punizioni che la Rutherford assegnava a Lexie per il comportamento inadeguato, e arrivò finalmente il giorno da lei tanto atteso: venerdì. La partenza.
«Blackett!» urlò il professore di musica, Eric King, in quanto la ragazza si era fermata a discutere sonoramente con J.J., il quale non aveva intenzioni di lasciarla partire con la nuova macchina appena modificata.
«Non me ne frega un cazzo! Se tu e il signor simpatia - che poi è simpatico quanto un calcio nel culo - siete diventati tanto amiconi, sono affari vostri, ma io non intendo arrivare in Virginia con una corriera o peggio, con qualcuno che mi deve accompagnare» J.J. la guardò stupefatto e scosse la testa. «Voglio andare da sola, chiedi al signor simpatia di prendere un'altro passaggio, così tu stai calmo e io mi diverto!» ribadì Lexie, portando gli spartiti richiesti al professore, che si trovava accanto il pianoforte posto al centro della stanza semivuota.
Per un'intera settimana, lei non aveva fatto altro che evitare Matthew, cercando di stargli il più lontano possibile, anche se con gli stessi corsi era un po' difficile. Non comprendeva ancora il perché, ma in qualche modo si sentiva tradita dal comportamento di Matthew e da quello di Alyx. Evitava tutti, ma l'unica che le restava al fianco era Sophie, che la capiva e la consolava in quel momento difficile, anche se era lei quella che aveva bisogno d'aiuto per l’incidente in cui è stata coinvolta.
Per la prima volta dopo tre anni aveva deciso di dedicarsi ai corsi che non conosceva, voleva tenere la mente occupata e qual era il modo migliore se non studiare? Peccato che di mezzo c’erano sempre delle ragazzine del primo corso che continuavano con le offese e lei, più aspra che mai, non risparmiava le parole.
«Fai un po’ come ti pare! Mi sono stufato del tuo comportamento!» gridò J.J. per poi andarsene senza chiedere scusa per il trambusto scatenato nella silenziosa aula musicale.
«Blackett! Quante volte la devo avvisare che io non voglio che tu alzi la voce nella mia aula?» la voce del professore, ferma e profonda, le arrivò alle spalle, spaventandola.
Erick King è l’uomo più conosciuto all'interno del college per il suo aspetto fisico, e ora che si trovava a due centimetri dal suo corpo lei stessa affermava che fosse una visione: moro, zigomi alti e, nascosti da ciglia lunghe e folte, due occhi azzurri.
«Non ho fatto nulla! Non sono stata io ad urlare!» protestò Lexie a voce bassa.
La punizione, ovvero aiutare il professore con le nuove alunne, durava già da cinque giorni, ma Lexie non si era ancora abituata agli occhi del professore, i quali la osservavano in ogni minimo dettaglio.
«In questa settimana lei è stata l'unica a procurarmi più guai con la preside che un intero corso di studentesse».
Lexie abbassò gli occhi, colpevole.
«Sono una persona razionale, ma mi sento in dovere di attribuirle una punizione» osservò gli spartiti tra le sue dita e poi le passò un foglio. «Suona questo brano e non dirò nulla alla preside Rutherford».
«Perché?»
«Curiosità più che altro, ma vorrei solo verificare se qualche voce del campus sia vera o meno».
Per la centesima volta, il comportamento del professore la sorprese: nessuno si era mai preoccupato di cercare la verità cosi senza aggiungere altro si accomodò dietro al pianoforte nero.
Studiò lo spartito con la massima cura e si concentrò; conosceva la melodia, l'aveva imparata a suonare anni addietro per la gara di primavera.
La melodia che si diffuse nella stanza per i primi istanti lasciò senza parole il professore che, leggermente sorpreso, si accomodò accanto a Lexie e incominciò a seguire i movimenti delle sue mani. Nei suoi trent'anni aveva incontrato poche persone che fossero in grado di incantare in quel modo con una melodia: la sicurezza con cui Lexie muoveva le dita sui tasti lo mandava fuori di testa, era terribilmente attratto da quella melodia, come se fosse qualcosa di magico, unico nel suo genere.
«Crede ancora che io sia una ragazzina viziata piena di soldi che non conosce il senso della vita? Oppure ha sentito in giro che sono una grande sguald…»
«Shh, non continuare per favore» la zittì prima che continuasse ad elencare i nomignoli a lei affibbiati. «Credo semplicemente che lei sia stata ferita e ha paura di mostrarsi com'è realmente: preferisce soffrire in solitudine piuttosto che cercare una spalla su cui piangere. La sua maschera la nasconde, ma non è la vera Lexie Blackett. Non è cosi?»
Una lacrima scese dalla guancia di Lexie, furtiva, inarrestabile. «Non mi conosce ...» sussurrò lei, indecisa per la prima volta se scappare dalla cruda verità oppure fingere per l’ennesima volta.
«Forse non la ragazza fredda che è ora, ma conosco la Lexie gentile e con un vero sorriso sulle labbra».
«Come?»
Peccato che non ottenne nessuna risposta in quanto una voce si innalzò nell'aria: «Lexie!»
«Buona giornata signorina Blackett» la salutò il professore, cordiale e se ne andò tranquillo.
«White, che diavolo vuoi?» chiese Lexie, asciugandosi gli occhi.
«A che ora partiamo?»
«Fra due ore davanti al garage della scuola» detto ciò, si allontanò senza aggiungere altro.

«Chissà per quale motivo io non mi stupisco minimamente che tu possegga una Lamborghini. Che spreco ...» sussurrò Matthew, mentre sulle labbra di Lexie si formava un ghigno divertito.
«Lexie, ti chiedo solo di stare attenta» fece J.J. ancora con il broncio.
«Sì, paparino» prese lei in giro il suo amico per poi buttarsi fra le sue braccia. Gli scompigliò i capelli e con un bacio sulla guancia lo fece ritornare al campus.
Lexie Blackett e Jack Jackson si sono conosciuti all’età di dodici anni, ad una cena di beneficenza per i bambini senzatetto, organizzata dai genitori di lui. Inizialmente, J.J. la considerava una bambina senza personalità, la offendeva su tutto quello che gli era possibile e di certo non perdeva nessuna occasione per deriderla. Solo quando lui fu spedito al college, Lexie, oramai padrona di se stessa, gli aveva mostrato chi era davvero e qual’era il suo vero carattere.
“Sto per tornare Stephen” pensò con un sorriso amaro, mentre si legava i capelli con un elastico e si toglieva gli stivaletti con il tacco per sostituirli con delle comode scarpe da ginnastica.
«Ti serve ancora tanto?» chiese Mathew tra uno sbuffo e l'altro.
«La macchina è mia e decido io».
Accese la macchina e il suono del motore ormai famigliare per lei, iniziò a fare le “fusa”, come le piaceva dire. Allacciò la cintura di sicurezza e con manovre delicate uscì dalla scuola, per poi immettersi nel traffico mattutino di Washington.
Con la musica alta e settecento cavalli di potenza, Lexie si sentiva completa con l’adrenalina che le scorreva nelle vene.
Sfrecciava a gran velocità e superava qualsiasi ostacolo si poneva sulla sua strada.
Matthew rimase in silenzio per tutto il tragitto, non cercò di iniziare una conversazione e tantomeno lo faceva lei. Entrambi avevano un orgoglio da difendere.
In realtà, nei momenti in cui lei ispezionava la lista delle canzoni sul display, Matthew la osservava con attenzione, facendo in modo che non se ne accorgesse.
Non riusciva a non pensare a lei, al sangue che aveva visto quella volta nella sua stanza. L’idea che fosse lei la ragazza rossa lo innervosiva, lo mandava fuori di testa semplicemente perché la notte in cui quella ragazza era caduta e poi si era aperta con lui confidandogli tutti quei segreti l’aveva resa diversa ai suoi occhi. L’aveva guardata con gli occhi di chi comprende il significato della parola soffrire. L’aveva abbracciata e poi baciata sulla tempia prima di lasciarla andare su quel taxi che l’aveva riportata alla realtà.
“La ragazza rossa, Angey, è Lexie Blackett?” Tale domanda gli circolava nella testa da troppo tempo e non aveva ancora scoperto nulla, anche perché Lexie si teneva sempre a debita distanza da lui. Ma per quale motivo?

La strada da percorrere fino a Virginia era tanta, ma con la velocità a cui andava Lexie, arrivarono prima del previsto.
Parcheggiata la macchina nel garage custodito, si avviarono verso il jet che li attendeva senza fretta.
Mathew, un po’ in colpa per le parole pronunciate all’inizio, ovvero che la macchina fosse uno spreco per lei, intendeva chiedere perdono; peccato che lei, non appena entrò sul jet, si chiuse dentro la cabina di comando e non si fece vedere per tutto il tragitto.
In piena notte arrivarono a Chicago, dove fuori dall’aereo del padre di Lexie, li attendevano due macchine, una limousine nera e una Bugatti Veyron bianca.
«Justin, quanto tempo!» esclamò Lexie saltando tra le braccia di un uomo in completo nero non appena il portellone fu aperto.
Matthew rimase senza parole, mentre una leggera fitta di gelosia gli attraversava il corpo. Osservò l’uomo che, con rispetto, si rivolgeva a Lexie e le domandava come andasse a scuola.
A prima vista, uno sconosciuto li avrebbe scambiato per padre e figlia, ma qual’era il sentimento che lei provava per quel uomo? “Perché tutti quelli che le girano intorno sono maschi?”
Con un sonoro sbuffo, Matthew scese dal jet e si avvicinò all’uomo, che gli sorrise cordiale e disse: «Lei deve essere Matthew White, il signor Sebastian mi ha ordinato di accompagnarla dovunque lei desidera. Sarà ospitato nelle stanze della villa Blackett per l'intero soggiorno».
«Grazie ehm...»
«Justin Smith» rispose lui alla muta domanda di Matthew.
Lexie, con un sorriso a trentadue denti si avvicinò alla macchina e la esaminò: «Accidenti, non avevo ancora visto la sorellina di Super Sport, la Veyron Vitesse vista da cosi vicino è ancora più bella» si voltò verso Justin e con una strana luce negli occhi chiese: «Da chi?»
«Sua madre».
«Mi piace il suo modo di chiedere scusa perché non potrà vedermi né salutarmi. Grazie Justin, saprò come divertirmi con questi 1.200 CV di potenza» prese le chiavi dall’autista e gli baciò la guancia. «Non aspettatemi svegli, vado a divertirmi».
«Cosa? Dove pensi di andare?» sbottò Matthew prima che lei sparisse dalla sua vista.
«Siamo a Chicago, la mia casa, dove pensi che voglia andare?» gli fece un occhiolino e salì in macchina: in meno di cinque secondi scomparì dalla vista dei due ragazzi.
«Signorino White, desidera andare?» chiese Justin avviandosi alla piccola limousine e aprendo la portiera.
«Vorrei solo riposare».
«Come desidera».
Lungo il viaggio verso villa Blackett, Matthew non fece altro che rimarginare sulle parole delle da Lexie: “Mi piace il suo modo di chiedere scusa perché non potrà vedermi né salutarmi …”. Che cosa intendeva dire con quella frase? «Perché Lexie crede che quella macchina fosse un modo di chiedere scusa di sua madre?» chiese, incapace di trattenere il suo interesse verso quella ragazza.
«La signora Moore è una donna famosa nel mondo della moda e, come spesso lei stessa afferma, non ha tempo da perdere. Nelle occasioni importanti come quella di domani, la si intravede di rado e se ciò accade è solo per qualche minuto».
«E quella macchina per cos’è?»
«La signora Moore conosce l’amore che la signorina Lexie nutre verso le auto e quando non le è possibile dedicarle tempo, approfitta di questa sua debolezza per scusarsi» spiegò Justin con tono cauto, senza tradire nessuna emozione.
«Ma è come se non avesse una madre» sussurrò Matthew con gli occhi fuori dalle orbite.
Il comportamento di Lexie all’interno della scuola gli risultava difficile da capire eppure, dopo aver ascoltato quelle parole riguardanti la madre, riusciva a comprenderla in parte: forse si sentiva sola ed era quella la spiegazione del suo comportamento. Era la prima volta che da quando l’aveva conosciuta cercava delle giustificazioni alle sue azioni.
“Perché questo interessamento?” Scosse la testa e si concentrò sul panorama.

La notte era limpida e avvolgente. Gli ospiti cominciavano ad arrivare, mentre il suono degli strumenti musicali si udiva leggero nell'aria. Tutto era perfetto, sembrava che non ci fosse niente che potesse andare storto. Ma c'era una cosa che mancava, lei.
Lexie aveva passato l'intera notte fuori casa, non aveva fatto sapere nulla a nessuno e non si era degnata neanche di farsi vedere dagli invitati.
Il piano terra della casa era stato interamente preparato per la serata, diversi tavoli avevano le pietanze più buone e gli champagne più deliziosi che Matthew avesse mai assaggiato, ma l'unica cosa che non gli quadrava era l’assenza della figlia di Sebastian Blackett, il quale, però, non si preoccupava minimamente della mancanza della ragazza.
«Matthew, ti vedo teso. Ti turba qualcosa?» la voce autoritaria del padre di Lexie gli arrivò alle spalle. L'uomo che aveva di fronte era oltre i cinquant’anni; indossava abiti firmati fatti su misura, eleganti, che lo rendevano attraente nonostante l’età. Aveva capelli scuri e corti, occhi azzurri, chiari e freddi come quelli di Lexie.
«Sebastian, che piacere rivederti per quest'occasione. Mi complimento con te» parlò qualcuno alle spalle di Matthew e di conseguenza, l’attenzione di Sebastian fu spostata sull’uomo.
Tutti gli invitati erano eleganti: indumenti fatti su misura, le donne con abiti lunghi e senza dubbio costosi. Matthew non era da meno: nella stanza che gli era stata riservata aveva trovato tutto quello che gli occorreva per la serata.
"Chi è quella?" sussurrò qualcuno alle spalle di Mathew. "Quella ragazza è senza dubbio la più bella che io abbia mai visto!" sussurrò invece un ragazzo che si trovava a pochi passi da lui.
Bramoso di scoprire di chi si trattasse, si girò e rimase incantato, senza fiato e senza parole per la visione che gli si presentò davanti.
Un abito lungo, di un tenue azzurro, fasciava alla perfezione il corpo della ragazza; il corpetto, ornato da diamanti Swarovski e da una rosa, scendeva per tutta la lunghezza del vestito. Una parte dei capelli era stata raccolta in un’acconciatura, mentre il resto il resto era lasciato libero in morbidi boccoli biondi.
Tutti gli occhi dei presenti erano puntati su di lei, ma non era solo il suo fascino a stupire, bensì anche la camminata regale, composta e seducente al tempo stesso.
«Padre» fece Lexie avvicinandosi a lui e salutandolo con un sorriso. «Congratulazioni per il suo successo».
«Angey, il motivo del tuo ritardo?»
«Le misure che ha mandato Madre risalivano a due anni addietro, sono cresciuta e l’abito che era stato preparato era piccolo» chinò leggermente il capo, mentre composta rispondeva a suo padre, quasi fosse sotto effetto di qualche magia. Sembrava tutt'alta persona, completamente diversa da quella che conosceva Matthew. Aveva qualcosa di diverso e anche il nome che suo padre aveva pronunciato. Angey. Un’altra coincidenza?
«Signorina, posso avere l'onore di chiedere il suo nome?» aveva chiesto un ragazzo poco più grande di Matthew; sorrideva e sembrava che non avesse occhi che per Lexie.
«Signor Daniel, mi perdoni, ma non mi riconosce?» il tono di Lexie era gentile e affettuoso, mentre il padre sorrideva compiaciuto dal comportamento della figlia.
«Ricorderei senza dubbio la visione più bella dei miei occhi» ammiccò a quel punto Daniel, mentre Matthew osservava la scena un po’ schifato e deluso del fatto che Lexie non gli rispondeva a dovere, che non mostrava il suo vera carattere: la ragazza ribelle che odiava essere corteggiata solo per la sua bellezza.
«Signor Daniel, sono Angey Lexie Blackett».
«Lexie?» domandò lui stupito, senza parole per la seconda volta. «Mi permetti l'onore di questo ballo?»
«Vorrei, ma il primo ballo viene sempre dedicato a mio padre» con le scuse più sentite, Lexie si allontanò da lui e si avvicinò al padre, il quale la prese per la mano e la scortò fino al centro della stanza. La musica cambiò e con essa iniziarono le danze.
Matthew per l’intero ballo non ebbe la forza di smettere di guardarla, di osservarla muoversi con quel vestito lungo e bellissimo; non ne aveva la forza.
«Quella ragazza è l'orgoglio vivente di Sebastian. Sono Daniel, un collaboratore, tu invece?» cercò di conversare il ragazzo, mentre entrambi si erano incantati sulla figura più bella della serata.
«Io sono Matthew e sono il fidanzato di Lexie» mentì senza rendersi conto di quello che aveva appena annunciato. “Che cosa mi prende?”
«Sapevo che una ragazza come lei non sarebbe stata libera per tanto tempo. Spero che non ti dispiaccia se ti rubo un ballo».
«Si invece!» ribadì Matthew senza preoccuparsi di sembrare maleducato. Daniel lo guardò stupefatto e con la scusa di andare a prendere da bere, si allontanò da lui.
Lexie, non appena finì il ballo con il padre, si sorprese alla vista di Matthew che le prendeva gentilmente la mano e la conduceva al centro della stanza.
«Angey eh?» fece lui, stringendole la vita con una mano e con l’altra la mano di Lexie.
«E' il mio primo nome» rispose Lexie con tono pacato, seguendo la musica con i passi lenti. «Tu invece che mi dici? Perché sei sotto l'ala protettrice di mio padre?»
«Un tempo mio padre lavorava come dipendente in una delle fabbriche del tuo; era segretario o qualcosa del genere. Portava spesso il lavoro a casa per non rimanere indietro. Sai, sono bravo nei calcoli». Le fece fare una giravolta e poi sorrise: «Per puro caso, in uno di quei fogli trovai diversi numeri che non quadravano. Inizialmente tuo padre mi assunse per controllare piccole cose, dove scoprì diversi giri di numeri: ogni tre mesi, oltre due milioni di sterline venivano fatti sparire senza che nessuno se ne accorgesse. Scoperto questo, tuo padre mi voleva assumere come segretario personale, peccato che quello fosse qualcosa oltre la mia portata».
«Fammi indovinare, la frase che lavori e studi era una baggianata?»
«Te lo ricordi eh? Durante le ore libere lavoro davvero per tuo padre: gestisco i conti e controllo che non ci siano errori o qualcuno che cerca di fare il furbo.» Lexie gli sorrise cortese, forse per la prima volta in tutta la settimana che gli si era tenuta a debita distanza. «Come mai nessuno ti chiama Angey?»
«Non mi presento mai con quel nome. Solo mio padre si ostina di usarlo ancora» rispose a quel gioco di domante. «Perché hai cercato di seguirmi per tutta la settimana?» chiese lei con un sorriso malizioso, mentre si avvicinava alle labbra di lui e poi si allontanava.
Una lenta tortura alla quale Matthew stava cedendo. Le osservava le labbra e gli sembrava di essere quasi in trance. «Assomigli a una ragazza, volevo solo sapere se fossi tu o meno».
«E la risposta qual è?» un altro sorriso malizioso.
«Non conosco ancora la risposta. Perché il tuo comportamento è cambiato cosi radicalmente davanti a tuo padre?»
La domanda che le fu posta la sorprese, era raro che qualcuno si accorgesse del suo comportamento, ma infondo nessuno la conosceva davvero.
«Soffro di una malattia nei suoi confronti».
La melodia degli strumenti finì e con essa anche il ballo. Lexie salutò cordialmente il ragazzo e cominciò ad allontanarsi, quando fu presa per il braccio e trattenuta. «Dimmi la verità: Angey sei tu non è vero?» fece Mathew avvicinandosi ulteriormente al corpo di Lexie, posando le labbra su quelle di lei; un piccolo contatto che provocò una scossa in entrambi corpi.
«Non sono nessuno se non una ragazza libera, per sempre» soffiò leggermente sulle labbra di lui. «Cos'è, Alyx non ti soddisfa abbastanza a letto?» la voce fredda e tagliente di Lexie lo fece indietreggiare, non per la frase, ma per il suo tono, come se fosse un’altra ragazza, più cattiva.
«Angey, ti voglio presentare un mio caro amico. Vieni». La voce del padre la sorprese, ma allo stesso tempo la riportò al suo comportamento perfetto, degno di una principessa.
«Si, padre» sorrise e camminò al suo fianco, finché non raggiunsero la persona che lei doveva conoscere.
«Angey, non penso che tu ti ricordi di lui, Erick King. Insegna nel tuo stesso college, lo sapevi?» Lexie, non appena posò gli occhi sull’individuo, collegò le parole e rimase senza fiato per la bellezza che trasudava il suo professore di musica.
«Erick, lei è mia figlia, Angey. Te la ricordi vero?»
I due si osservarono attentamente, mentre le guance di Lexie prendevano un leggero colorito roseo.


 

Angolo della piccola Autrice 

Ma quanto tempo è passato? O.O Non aggiorno questa storia da una vita!! eh si, scusatemi =.=" ci sarà ancora qualcuno che ha la voglia e il tempo di leggere? 
Chiedo scusa per tutto questo ritardo, ma da adesso cercherò di essere più presente e quindi ho pensato ad un piano: una settima per ogni storia.. Di conseguenza, questa storia verrà aggiornata ogni tre settimane e cercherò di essere puntuale.
Prima di concludere, voglio ringraziare la mia bravissima beta, senza di lei questa storia sarebbe piena, zeppa, di errori di grammatica XD
grazie davvero <3 <3 sei un angelo!!

Alla prossima miei cari lettori, spero che anche questo capitolo sia di vostro gradimento :)

Un bacione
Krystal

   
 
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