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Autore: Aniel_    18/10/2013    3 recensioni
Chicago 1940.
A Dean Winchester, poliziotto di ventotto anni, viene tolto il caso della vita, a cui lavorava ormai da anni. Ma ha una nuova pista che lo condurrà nel luogo più blues di tutta la città.
Incontrare un certo sassofonista e trovarlo "vagamente interessante" non era di certo nei suoi piani.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Sam Winchester, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Fandom: Supernatural
Pairing/Personaggi: Dean/Castiel, Sam/Ruby, John Winchester, Missouri, Joshua, Bobby Singer, Rufus Turner, vari.
Rating: NSFW
Chapter: 9/?
Betavampiredrug ♥
Genere: introspettivo, romantico, angst
Warning: AU, slash, OOC
Words: 2969/? (fiumidiparole)
Disclaimer: nessuno mi appartiene, nemmeno il sax di Cas. È così triste, non è vero?
 

CAPITOLO 9
Take the A Train

 

Dean si fermò a pochi passi dall'entrata del Garden.
C'era qualcosa che gli impediva fisicamente di fare quell'unico passo, qualcosa che non gli permetteva di schiodare i piedi da quel punto esatto. Ispirò forte, stringendo qualcosa di immaginario in un pugno: non poteva essere così codardo, non poteva voltarsi e andare via come aveva fatto da tutta una vita.
Dean aveva a che fare con il dolore da sempre eppure non aveva mai avuto la forza di affrontarlo, per questo motivo non parlava mai di Jessica o di sua madre. Semplicemente cercava di seppellire il dolore in basso, in un qualche luogo nascosto dentro di sé, accatastandoci sopra qualsiasi cosa che potesse in qualche modo celarlo ai suoi pensieri: rabbia, frustrazione, vendetta.
Compiere quel passo, oltrepassare quella porta, significava fronteggiare un dolore a cui non era preparato perché non era suo, era di qualcun altro.
Non qualcun altro. Castiel.
Quella consapevolezza lo convinse a poggiare il palmo sulla porta di legno cigolante che si spalancò sotto il suo tocco.
Non sapeva cosa aspettarsi ma il silenzio innaturale, la calma, gli fecero mancare l'aria. Probabilmente avevano deciso di non aprire quella sera, eppure non sembrava essere cambiato nulla: le sedie erano poggiate sui tavoli immacolati, gli strumenti adagiati sul palco, come se stessero aspettando.
Dean dubitava che ci sarebbe stata della musica, quella notte.
Missouri sostava vicino alla porta di servizio, parlottando con due uomini che di tanto in tanto annuivano, guardandosi intorno. Li raggiunse e tutto quello che riuscì a cogliere della conversazione fu uno strascicato "credo che le spese non siano un problema" di uno dei due uomini, che si voltarono e uscirono, lasciando la donna a sospirare e serrare la palpebre.
Dean le si avvicinò con cautela, schiarendosi la voce. «Ho fatto più in fretta-»
«Grazie.» gracchiò Missouri. «Sono felice che tu sia qui.»
Aveva il viso stanco, gli occhi gonfi e arrossati, la voce tremante. Dean capì che stava facendo di tutto per non scoppiare nuovamente in lacrime.
«Come è successo?»
«Lui non... non si è svegliato.» spiegò. «Il dottore ha detto che se n'è andato serenamente.»
Dean annuì, in realtà non aveva idea di cosa dire, di cosa pensare. Si avvicinò a lei e la strinse appena, con dolcezza, baciandole la fronte.
Missouri tremò appena e si scansò, respirando a fatica. Trattenersi non doveva essere facile.
«Lui dov'è?» domandò, dopo qualche istante di silenzio.
«Nell'ufficio di Joshua. Da quando ha saputo non è voluto più uscire... ho provato a parlargli ma continua a dire che sta bene e che ha bisogno di un momento.»
Dean si voltò, accarezzando con lo sguardo quella porta chiusa. «Ci penso io. Tu vai pure a casa a riposare.»
Missouri non se lo fece ripetere due volte.
Quando Dean si assicurò di essere rimasto solo, raggiunse l'ufficio e poggiò un palmo sul legno, avvertendo l'insana voglia di poggiarvi l'orecchio. Per sapere. Per prepararsi.
Scosse il capo e bussò, e bussò ancora, fino a quando la voce di Castiel arrivò chiara, incredibilmente ferma. «Missouri, ti prego.»
Era un vattene, un lasciami solo. Dean si chiese se dovesse o meno seguire quel tacito consiglio.
«Sono io.» gracchiò, schiarendosi poi la voce. «Sono io, Cas.»
«Dean?»
Non voleva essere una domanda, ma quando la porta si aprì, il poliziotto davvero non capì il motivo di tanta incredulità. Non credeva forse che sarebbe andato da lui? Per chi lo aveva preso?
Seppellì il fastidio, non era di certo il momento di fare scenate.
Castiel indugiò, con una mano ancora stretta sulla maniglia della porta, dondolando appena sul posto. «Vuoi entrare?» domandò.
Dean lo guardò attentamente: non sembrava scosso, i suoi occhi erano perfetti, cristallini, non arrossati e gonfi come si sarebbe aspettato. La sua voce non tremava, non vi era alcun accenno di emozione a riguardo. Castiel sembrava così… lontano.
E Dean ne ebbe paura. Una paura fottuta perché Castiel aveva seppellito tutto, troppo in fretta; non aveva accettato, probabilmente non aveva neppure realizzato i fatti.
Il poliziotto lo seguì mentre l'altro gli chiudeva la porta alle spalle, superandolo poi per accomodarsi sulla soffice poltrona di Joshua, di fronte a una scrivania piena zeppa di scartoffie.
Castiel prese tra le mani alcuni fogli, con cura, passandovi sopra il braccio nel tentativo di far sparire pieghe inesistenti, come se non sapesse che altro fare. Non parlò, però. Non guardò Dean, né gli fece cenno di sedersi.
Sembrava concentrato. Su cosa, Dean, non avrebbe saputo dirlo.
«C'è tanto da fare» gracchiò il musicista, «ma credo che riuscirò a stare dietro a tutto. Io... ho già qualche idea, sai?»
Dean annuì, confuso. «Sono le quattro del mattino, Cas. Dovresti riposare...»
«Sto bene.» replicò, risoluto. Il tono fermo che non ammetteva repliche.
«Cas...» tentò ancora, dopo qualche minuto di silenzio. «Magari domattina potrei accompagnarti qui presto e...»
«Dean! Ho detto che sto bene. Cosa non ti è chiaro?» sbottò, e Dean percepì la prima emozione: Castiel era arrabbiato, quella rabbia cieca che scava e dilania, quella che Dean provava ogni giorno e lo faceva morire dentro poco a poco.
Poi era arrivato Castiel, con il suo sorriso, con la sua musica e Dean era tornato in sé. Erano spariti gli incubi, le ossessioni, il mal di cuore, come se Castiel con un semplice tocco avesse scacciato via tutto il male.
E Dean gli era così grato, in un modo che non avrebbe saputo spiegare. Non poteva ripagarlo di tutto ciò che aveva fatto per lui senza saperlo, non poteva essere abbastanza. Ma poteva ancora rendersi utile.
Dean poteva diventare il suo sfogo, il suo scudo; un muro da prendere a calci, un posto caldo che lo avrebbe accolto. Poteva essere tutto questo se solo l’altro gliel’avesse permesso.
Sorrise – un sorriso spento, triste, falso- e fece un passo. «Devi riposare.»
«No. Dean, non dirmi cosa devo o non devo fare.»
«Non è quello che sto facendo.» obiettò.
Se farlo incazzare era l’unico modo per scuoterlo… allora lo avrebbe fatto.
«Credo che tu sia abituato a fare così.» continuò, mentre l’altro teneva gli occhi fissi su una pagina, senza muoverli: non stava leggendo, lo stava solo evitando. «Mandare via gli altri quando le cose si mettono male, nascondere la testa sotto la sabbia. È così tipico.»
Castiel deglutì. «Stiamo parlando di te, quindi.»
Il poliziotto lo ignorò e rise, grattandosi una guancia. «Cerchiamo sempre qualcuno in cui poterci rispecchiare, no?»
«Vattene.» scandì lentamente. «So cosa stai facendo e non funzionerà.»
«E cosa starei facendo di preciso?»
«Vuoi allontanarmi. È questo, no? Stai cercando di farti odiare. Non potevi scegliere momento migliore, Dean. I miei complimenti.» ridacchiò, nervoso.
«Cosa volevi, uhm? Cosa ti aspettavi? Che ti avrei abbracciato promettendoti che sarebbe andato tutto bene?» domandò ironico, rincarando la dose.
«Probabilmente ti avrei odiato più di quanto non stia facendo adesso.»
Dean si sentì un verme ma… l’odio. L’odio era un’emozione che avrebbe potuto sfruttare.
«Perché?»
«Mi hanno-» la voce di Castiel tremò appena. «Mi hanno compatito per tutta la vita. Mi hanno trattato come se fossi pazzo o potessi impazzire da un momento all’altro. Joshua, Missouri… pensavano tutti che sarei crollato e non darò a nessuno questa soddisfazione. Sto bene. Quante volte ancora devo ripeterlo?»
E Dean dimenticò tutto: non voleva altro, non voleva fare altro che avvicinarsi e toccarlo. Non voleva ferirlo, voleva solo smuoverlo in qualche modo: ma non aveva capito che non vi era alcun bisogno.
Castiel si stava solo trattenendo, esattamente come faceva lui.
Si cerca sempre qualcuno in cui rispecchiarsi.
Dean si chiese se fosse il caso di andarsene, di lasciarlo solo ai propri pensieri, ma qualcosa lo tratteneva, intimandogli di restare e lì capì di esserci finito troppo dentro.
Il modo in cui Castiel era entrato nella sua vita e di come fosse stato risucchiato nel vortice caotico del Garden, il modo in cui non poteva più farne a meno senza sentirsi perso.
Se Castiel gli avesse fatto quella domanda, quella dalla quale moriva dalla voglia di conoscere la risposta, probabilmente Dean non si sarebbe tirato indietro.
Non questa volta.
Ma non era il momento giusto, non si trattava di lui ma di Cas che non voleva parlare, non voleva accettare, che voleva mandarlo via. Si trattava di Cas perché era lui che lo stava lentamente allontanando e Dean non sapeva più a cosa aggrapparsi.
Dean tese la mano, cercando di poggiarla su quella tremante dell'altro, ma Castiel si ritrasse in tempo, come scottato, sgranando le palpebre.
«Ho...» si schiarì la voce, stringendo un pugno, «ho delle idee.»
«Castiel...»
«No, davvero.» rimarcò, facendogli cenno di seguirlo e aprendo la porta dell'ufficio. «È tutto mio adesso, no?»
E poi Castiel rise, forte e disperato, e Dean avvertì gli occhi inumidirsi.
«Ti faccio vedere.»
Castiel superò una manciata di tavoli, puntando con lo sguardo quelli appena sotto il palco, quelli in cui era solito accomodarsi Dean durante le serate. «Vorrei togliere questi, ehm... tutti. Tutti questi. Mi segui?» domandò, indicandoli con un sorriso.
Dean annuì.
«Non mi piacciono. Non mi sono mai piaciuti. Nessuno dovrebbe essere così-» deglutì, passandosi una mano sulla fronte. «-così vicino. Capisci? La distanza... oh, la distanza è importante. Voglio che ci sia la distanza. Quindi questi non mi servono più.» aggiunse, prendendo una sedia e sollevandola da terra, per pochi secondi, prima di lanciarla un po' più lontano.
Il tonfo risuonò in tutto il locale ma Dean non sussultò.
Castiel afferrò le altre sedie, scagliandole non troppo lontano una dopo l’altra, rovesciò i tavoli, frantumò i pochi bicchieri in circolazione. Dean attese perché quello era il modo migliore per permettere all'altro di tirar fuori tutto: tutte le emozioni, tutto il dolore, tutto quello che lui avrebbe curato se Castiel gliene avesse dato l'opportunità.
«Non mi interessa, Dean.» continuò, salendo sul palco e guardandosi intorno. «Non mi interessa più di tutto questo. Potrei cambiarlo... potrei fare qualcosa di diverso perché ora è mio, mi ha lasciato tutto pensando che sarei stato in grado, che lo avrei portato avanti perché lui ne è sempre stato convinto! È sempre stato convinto che ce l’avrei fatta ma non sapeva... non sapeva che non sono forte abbastanza...»
La voce di Castiel, soffocata, iniziò a tremare e Dean vide quel muro che li separava sgretolarsi poco a poco, permettendogli di avvicinarsi, di accorciare le distanze, come la prima volta in cui si erano rivolti la parola.
Dean gli fu subito accanto, prendendolo per mano, con l'unico desiderio di trarlo a sé e riportarlo a casa.
Tenerlo al sicuro da tutti i mali del mondo.
Il poliziotto se lo spinse addosso, con sicurezza, e quando Castiel affondò il viso nell'incavo del suo collo lo sentì farsi piccolo, avvertì le sue mani aggrapparsi alle sue spalle e stringerle forte, e singhiozzi soffocati sulla sua pelle.
«Va tutto bene.» cercò di tranquillizzarlo. «Ti prometto che andrà bene.»
Non lo stava illudendo. Era la verità.
Castiel singhiozzò più forte ma non si mosse. «Era la sola famiglia che avevo. Ora... ora non ho più nessuno.»
Dean lo strinse un po' di più, un po' più vicino, poggiando le labbra sulla sua fronte e allontanandolo quel poco che bastava da guardarlo negli occhi.
«Hai ancora me.»
Castiel non rispose ma si fece portare a casa e Dean rimase sveglio tutta la notte a vegliare su di lui.
I problemi, il suo lavoro, tutto il resto avrebbe potuto aspettare.
 

*°*°*

Dean si mantenne a una certa distanza osservando Castiel che, con lo sguardo chino e una mano stretta attorno a quella di Missouri, ascoltava le parole di conforto del parroco.
Il cimitero sembrava quasi un posto sereno: piccole sedie erano state sparse quell’erba verde di fronte a una semplice bara di mogano e una foto scolorita che ritraeva Joshua da giovane, sorridente, come se stesse augurando a tutti un semplice “arrivederci”.
Il poliziotto non ascoltò granché, troppo concentrato sulle espressioni del compagno, sugli occhi arrossati, sul suo respiro.
Sam lo aveva accompagnato, riportandolo alla realtà di tanto in tanto.
“Papà sarebbe anche passato ma aveva del lavoro da sbrigare” aveva detto. Dean si era limitato ad annuire: sapeva che era vero, ma non era di certo stato solo il lavoro a trattenerlo.
Quelle cerimonie portavano a galla vecchi ricordi, riaprivano sempre vecchie ferite e più di una volta a Dean era sembrato di vedere la foto di sua madre e poteva scommettere che Sam riuscisse a vedere quella di Jessica, in alcuni momenti.
Castiel si voltò qualche volta, cercando Dean con lo sguardo, annuendo una volta trovato, come se fosse l’unica cosa in grado di tenerlo con i piedi per terra. Lontano dal dolore.
Quando il parroco concluse, Dean dovette farsi largo tra troppe persone.
Joshua, per quanto riservato, doveva essere davvero tanto amato. Il poliziotto non riconobbe la metà dei presenti che si avvicinavano a Castiel di tanto in tanto, porgendogli la mano o anche solo una gentile pacca sulla spalla.
Intorno a quegli uomini e donne vestiti di nero, Castiel sembrava così… piccolo. La giacca troppo grande gli cadeva sulle spalle comprendo il collo, le maniche lunghe gli nascondevano entrambe le mani. Sembrava fuori posto, assente e l’unica cosa capace di tenerlo ancorato alla realtà era lo sguardo con cui lo cercava tra la folla.
Dean tese una mano e Castiel la afferrò, sospirando, allontanandosi dal resto dei presenti che iniziava lentamente a disperdersi.
«Stai bene?» gli domandò, una volta lontani.
Castiel rise. «Non fare domande stupide.»
Il poliziotto annuì. Castiel era stato intrattabile negli ultimi giorni ma non lo aveva mai lasciato solo: ne aveva bisogno, riusciva a leggerglielo in faccia. Non voleva restare solo.
«Scusami Dean, sono solo un po’ stanco.» ammise, grattandosi la nuca.
«Non fa niente. Vuoi fare due passi?»
Il musicista scosse il capo. «No, non proprio. Resteresti qui con me ancora un po’?»
Dean si sedette sull’erba e attese che l’altro facesse lo stesso. «Ho sentito che hai praticamente sbranato uno che aveva proposto di suonare qualcosa oggi.»
«Non ho sbranato nessuno.»
Dean inarcò un sopracciglio, un’espressione che la diceva lunga, e Castiel si arrese.
«Va bene, forse un po’. È solo che… non era il momento giusto.»
«Per chi?»
«Per me.»
Dean giocherellò con alcuni fili d’erba, tirandoli via dal terreno. «Ti serve tempo, Cas. È normale, non preoccuparti.»
Il musicista annuì, più per convincere se stesso che l’altro, e cercò la sua mano senza però guardarlo. «Sai, spero che Dio esista o Joshua si incazzerà di certo.» osservò, ironico. «Tu credi che ci sia qualcosa, dopo?»
Dean, preso in contropiede, fece spallucce. «Non so, mi piacerebbe pensare di sì. Mia madre ci credeva… spero non sia rimasta delusa.»
«Io ci credevo, sai? Crescendo con Joshua e Missouri è stato inevitabile. Ho letto tanto, ho discusso tanto, ci credevo davvero.»
«Poi cos’è successo?» domandò il poliziotto, titubante.
«Poi è arrivato Chuck Shurley. Avevo quindici anni e avevo iniziato a frequentare la scuola pubblica. Ho conosciuto Chuck il primo giorno e siamo diventati amici. Andava tutto bene, stavo bene, non potevo immaginare che…» deglutì, respirando profondamente prima di riprendere. «Era una giornata qualunque e stavamo tornando a casa. Alcuni uomini ci stavano seguendo. Poi uno di loro lo ha preso e lui urlava e non capivo… non capivo davvero. Ho tentato di aiutarlo, ho provato a fermarli ma…» la sua voce si spezzò e il ragazzo si portò istintivamente una mano alla spalla, come se il ricordo fosse troppo intenso, come se facesse di nuovo troppo male.
«Ti hanno sparato perché volevi aiutarlo.» concluse Dean, chinando il capo.
«Da quel giorno ho smesso di credere. Dov’era Dio quel giorno? Quale Dio non aiuterebbe i suoi figli in una situazione del genere? Se devo scegliere tra un Dio a cui non importa di niente e uno che non esisto preferisco la seconda ipotesi. Ma adesso che Joshua se n’è andato… spero proprio che esista. Per lui. Solo per lui. Se lo merita.»
Dean lo trasse a sé, in maniera un po’ rude forse ma voleva fargli comprendere che lui era lì, che non lo avrebbe lasciato e non gli avrebbe permesso mai più di dubitare di lui.
Lo avrebbe tenuto al sicuro, soprattutto ora che Joshua non c’era più.
Conosceva il caso di Shurley, suo padre gliene aveva parlato tempo prima: Christopher Shurley era un uomo solo, con un figlio a carico, e aveva bisogno di aiuto.
Purtroppo quell’aiuto lo aveva chiesto alle persone sbagliate e se le condizioni di un patto di Azazel non vengono mantenute, allora l’epilogo è sempre inevitabile.
Il prezzo era stato Chuck.
Improvvisamente quel caso che aveva sempre guardato con distacco assumeva una valenza tutta nuova, perché Castiel era lì, aveva vissuto tutto e lui non aveva potuto fare nulla per evitarlo.
Ma adesso era lì, con lui. «Mi prenderò io cura di te, adesso.» mormorò.
Castiel rise, guardandolo attraverso le lunghe ciglia. «Se non ti avessi sentito con le mie orecchie non avrei mai detto che saresti stato in grado di dire una cosa del genere.»
«Sono pieno di sorprese.»
«No, ti stai rammollendo. È diverso.» lo corresse, più sollevato di quanto non fosse stato negli ultimi giorni. «Sono stato un po’ assente in questi giorni e non ti ho chiesto come è andato l’incontro con Meg.»
«Vuoi sapere se ci ha provato spudoratamente? Perché la risposta è ovvia.»
«Sì, a parte quello. Hai scoperto qualcosa di importante?»
Dean guardò altrove: in effetti aveva scoperto qualcosa, sapeva per certo che Azazel era arrivato in città, sapeva di essere l’unico ad esserne a conoscenza, ma improvvisamente tutto aveva perso di importanza.
Avrebbe aspettato, come tutto il resto. «No, niente di importante.» mentì.
Aveva altre priorità, aveva Castiel, il suo personale concetto di felicità. Non era da deboli rinunciare al resto per proteggerla, no?
In realtà, per la prima volta in vita sua, non gli importava affatto.
«Se non ricordo male Joshua ti aveva pagato un viaggio a New Orleans. Dovresti andarci.» propose, senza pensarci.
«Non so, Dean. Non è…»
«Il momento giusto? Sì che lo è. Sul serio Cas, dovresti andare. Potrebbe aiutarti e a lui avrebbe fatto piacere, non credi?»
Castiel parve pensarci, indeciso. «Non so…»
«Sarà solo per qualche giorno. Potresti darmi retta, per una volta?»
«È una nuova regola?» domandò il musicista, aggrottando la fronte.
«Se ti va di intenderla così.»
Dean si fece dire di sì e lo accompagnò a prendere il treno qualche giorno dopo.
Poteva trovare una soluzione ai suoi problemi di lavoro senza coinvolgerlo.

 
Castiel lasciò la piccola valigia ai piedi del letto, guardando New Orleans dall’alto.
Sentiva di amarla già, una sensazione familiare che aveva già provato quando aveva conosciuto Dean.
Nel caos della notte prese il sax e ricominciò a suonare.

Continua...

 Note dell'autrice: ebbene sì, sono ancora viva. Lo so, avevo promesso l'aggiornamento per diciotto giorni fa. Sono una brutta persona.
Dovevo dare un esame - che non è andato per niente-, le lezioni sono inziate, le serie tv anche e il blocco dello scrittore che mi assale in questo periodo non aiuta. Non so se il capitolo è all'altezza delle aspettative, io ho fatto davvero tutto il possibile per descrivere al meglio i sentimenti di Cas attraverso gli occhi e l'esperienza di Dean.
Fatemi sapere cosa ve ne pare.
Mi scuso ancora per il ritardo *si nasconde*
Io vi amo, come sempre!
P.S. se bazzicate dalle parti di How to Lose a Guy in 10 Days sappiate che vampiredrug è una mentirosa e vuole farmi apparire come una ignobile pervertita. La foto nel letto a Dean e Cas non l'ho scattata io... forse.

 

   
 
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