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Autore: Aching heart    20/10/2013    3 recensioni
"Malefica non sa nulla dell'amore, della gentilezza, della gioia di aiutare il prossimo. Sapete, a volte penso che in fondo non sia molto felice." [citazione dal film Disney "La Bella Addormentata nel Bosco"]
Carabosse è una principessa, e ha solo dieci anni quando il cavaliere Uberto ed il figlio Stefano cambiano completamente la sua vita e quella dei suoi genitori, rubando loro il trono e relegandoli sulla Montagna Proibita. Come se non bastasse, un altro tragico evento segnerà la vita della bambina, un evento che la porterà, quattordici anni dopo, a ritornare nella sua città ed intrecciare uno strano rapporto di amore/odio con Stefano. Ma le loro strade si divideranno, portando ciascuno verso il proprio destino: Stefano a diventare re, Carabosse a diventare la strega Malefica. Da lì, la nascita della principessa Aurora sarà l'inizio del conto alla rovescia per il compimento della vendetta della strega: saranno le sue forze oscure a prevalere alla fine, o quelle "benefiche" delle sette fate madrine della principessa?
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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11. …learning how to love
Carabosse aveva avuto la forza, non sapeva come, di allontanarsi quasi correndo da Stefano, ma aveva fatto l’errore di scappare nel cuore della foresta in quelle condizioni, senza riuscire a vedere dove metteva i piedi, con difficoltà a respirare, e sempre più spaesata e impaurita. Presto l’ansia si impossessò totalmente del suo corpo, pietrificandola, e lei non poté fare altro che accasciarsi a terra, inerme, mentre era percorsa da spasmi e con il respiro sempre più affannoso.
Rannicchiata, con le braccia che cingevano le ginocchia, Carabosse cercava disperatamente di calmarsi, ma senza risultati: persino seguire le istruzioni che le impartiva sua madre in quelle situazioni si stava rivelando del tutto inutile, e quella crisi stava durando più di ogni altra che avesse mai avuto. Aveva passato un periodo relativamente tranquillo, in cui si era illusa – perché sapeva che un problema come quello non si sarebbe mai risolto così spontaneamente – di essersi finalmente liberata di quel fardello, ma adesso era come se una giustizia divina volesse essere compensata di quel periodo di pace prolungando la sua sofferenza in quel preciso momento.
La situazione peggiorò quando Carabosse sentì la voce di Stefano chiamare il suo nome.
Ormai la ragione era stata annichilita dalla confusione che regnava sovrana dentro di lei durante le crisi, e in mezzo al vorticare indistinto di tutto il suo mondo, nel soffocamento e nel buio, la voce di Stefano apparve come stella polare, la sola stella fissa, la sola via da seguire per tornare a casa, al sicuro; apparve come un agognato soffio vitale, come luce rassicurante e calda.
Stefano era tutto ciò di cui aveva bisogno, e quella consapevolezza la colpì con violenza al petto, lasciandola basita per la sua ovvietà e per la sua potenza. Voleva chiamarlo, attirarlo a sé e fargli porre fine al suo supplizio, ma un residuo della sua parte razionale, quasi del tutto soggiogata, le impedì di fare qualsiasi cosa che non fosse chiudere gli occhi, stringere i denti e rannicchiarsi contro un enorme tronco secolare, sperando che la crisi passasse da sola. Ma sapeva che non sarebbe mai avvenuto, perché il suo salvatore era là vicino, e lui era l’unico che potesse rassicurarla.
Dentro di lei si scontrarono due speranze, quella di voler essere trovata e quella opposta, di essere lasciata lì a morire.
-Rosaspina! – la chiamò nuovamente Stefano, la sua voce si faceva più vicina. La stava cercando.
E alla fine la trovò.
Nel vederla così indifesa e vulnerabile, così debole, sentì una stretta al cuore e un senso di impotenza che lo fece sprofondare in una sorta di sconforto, di dolore sordo. Non sapeva cosa fare, non si era mai ritrovato in una situazione simile: lui, principe viziato ed arrogante, non era mai stato responsabile di qualcuno come in quel momento. Se in qualsiasi altro momento si fosse trovato in quella situazione, ci sarebbe stato qualcun altro a risolverla, e se così non fosse stato nessuno avrebbe mai potuto biasimarlo, perché lui era il principe, semplicemente; ma ora era lì, solo, e forse da lui dipendeva la vita di quella ragazza a cui teneva, teneva forse troppo.
Si inginocchiò vicino a lei e la strinse forte a sé, mormorandole parole rassicuranti, sperando che bastasse. Lei, vinta completamente dal bisogno e da quel contatto, si abbandonò fra le sue braccia, cercandovi rifugio e salvezza, mentre il principe le accarezzava lentamente la testa, facendo scorrere dolcemente la mano sui suoi lunghi capelli castani, ad un ritmo costante.
Rimasero così per degli istanti senza tempo, che entrambi avrebbero definito eterni, mentre una  Carabosse sempre più stupita tornava a respirare regolarmente e riprendeva il controllo su se stessa. Tuttavia, nonostante stesse meglio, rimase lì a farsi abbracciare e accarezzare da Stefano, rimproverandosi senza enfasi per la sua debolezza, per il suo indugiare fra le braccia assuefacenti del nemico.
Quando Stefano si fu accertato che lei si era ripresa, le sollevò dolcemente il mento con le dita, in modo che potessero guardarsi negli occhi.
-Stai meglio, ora?  – le chiese.
Carabosse annuì, non sentendosi ancora troppo sicura della sua voce per rispondere. Stefano esitò prima di continuare.
-E’… stata colpa mia? – chiese. Carabosse capì a cosa si riferiva.
Sì, è stata colpa tua. Perché io devo ucciderti e tu invece mi fai questo, qualunque cosa sia.
-No – rispose piano, con la voce arrochita. – E’ una cosa mia, un mio problema, che ho da quando avevo dieci anni. Attacchi di panico.
-Mi dispiace… anche per prima, intendo. Non avrei dovuto…
Carabosse accennò un sorriso, che aveva un qualcosa di amaro. – Direi che non hai bisogno di scusarti: molto probabilmente mi hai salvato la vita.
Quale assurda ironia, essere salvata proprio da lui che avrebbe dovuto uccidere; quale bizzarro tiro del destino dovere la propria vita a qualcuno a cui l’avrebbe dovuta togliere. Come avrebbe potuto? Uccidere colui che la stava tenendo fra le braccia apparve immediatamente come un gesto orribile. Le aveva regalato la pace, strappandola al buio totale del suo abisso. Non sapeva quanto sarebbe durato quell’effetto, ma in quel momento volle pensare che sarebbe stato per sempre.
-Forse è meglio tornare alla locanda, che ne dici? Così potrai riposarti e farti visitare da uno speziale… – disse, ma Carabosse lo rassicurò sul fatto che non ce ne sarebbe stato bisogno, che un po’ di riposo sarebbe stato sufficiente. Solo quando entrambi tacquero si resero conto della sconvenienza della loro posizione, l’una fra le braccia dell’altro con il viso fra le sue mani, quasi sdraiati sul terreno. Carabosse arrossì inevitabilmente, e distolse subito lo sguardo dagli occhi magnetici del principe, che cercò di ricomporsi a sua volta, e la aiutò ad alzarsi.
Tornarono indietro, dove avevano lasciato i cavalli, senza dire solo una parola, mentre l’imbarazzo permeava l’aria fra loro. Entrambi avevano parecchio su cui riflettere, ed essendo i loro pensieri incentrati principalmente sulle sensazioni che l’altro suscitava, temevano quasi che ciò che stavano rimuginando fosse perfettamente leggibile sui loro volti, ragion per cui evitarono accuratamente di guardarsi durante il tragitto.
Tuttavia il silenzio venne abbondantemente spezzato una volta raggiunte le loro cavalcature:  Stefano insisteva perché Carabosse salisse sul suo stallone insieme a lui, legando poi le redini di Jamila (la giumenta della ragazza) alle fibbie della sella di Kalth (lo stallone di Stefano) in modo da guidarla, ma Carabosse, ormai ripresasi e ritrovata la sua indipendenza e la sua antica combattività, non ne voleva sapere, e continuava a dire che sarebbe tornata alla locanda sulla sua sella.
-Rosaspina, non impuntarti, ragiona! E se dovessi avere un altro attacco durante la cavalcata, e cadessi da cavallo? Potresti farti molto male, sai, perché credo che solo la tua testa sia fatta di coccio: il resto del tuo corpo no!
-Molto divertente – disse lei, con l’aria di chi non si divertiva per niente –  Non cadrò da cavallo, Stefano. E’ escluso che avrò un altro attacco dopo così poco tempo, non è così che funziona, perciò non c’è motivo per cui io debba cavalcare con te.
La verità era che il suo corpo era elettrizzato all’idea di cavalcare col principe, le loro pelli a contatto, solo un soffio a separarli… ma era proprio per questo che lei voleva mantenere le distanze. Si era ripresa, stava meglio, ora doveva solo riprendere il controllo su sé stessa, e di certo l’atteggiamento di Stefano non l’aiutava.
-Insisto. Che ne sarebbe della mia reputazione nascente di cavaliere se si sapesse che ho permesso ad una damigella in difficoltà di cavalcare da sola per il bosco? – chiese lui facendo sfoggio della sua ironia.
-Io mi chiedo che ne sarebbe della tua reputazione se si sapesse che il cavaliere ha provato per un momento ad approfittarsi della damigella in difficoltà – disse Carabosse con un misto di malizia e acidità, riferendosi al mancato bacio.
-Che strano… non avevate detto, madamigella, che era acqua passata? –  La sua espressione mostrava chiaramente quanto si stesse divertendo.  
Carabosse, piuttosto riluttante, dovette ammettere che aveva ragione.
-Dunque, ora mi dovete delle scuse, siete in debito con me. Quindi… dopo di voi, prego – disse ironicamente, facendo un mezzo inchino per scherzo e indicandole il suo stallone nero.
Carabosse si riservò solo un momento per lanciare al ragazzo uno sguardo truce, poi si arrese e montò in sella. Dopo aver assicurato le redini di Jamila alle fibbie della sella di Kalth, Stefano la raggiunse e diede di talloni nei fianchi dell’animale senza preoccuparsi di nascondere a Carabosse la sua espressione vittoriosa, mentre entrambi godevano segretamente delle sensazioni che il loro contatto suscitava.
***
I giorni passavano, e Carabosse era sempre più certa di essere ad un passo dal compimento del suo piano, vista la crescente intimità che lei e Stefano avevano sviluppato dopo quella vicenda, sebbene nessuno dei due vi avesse mai più fatto cenno, eppure c’era qualcosa che la preoccupava: il fatto che non riusciva più ad immaginare le sue giornate senza il bel principe. Si diceva che era così solo perché non era abituata a stare lì, era la prima persona con cui aveva rapporti fissi da quando era tronata città, era naturale che al momento non riuscisse a pensare ad un altro modo di passare il suo tempo. E quando queste spiegazioni le sembravano insufficienti e le sembrava che il suo stomaco si attorcigliasse al pensiero dell’uccisione vera e propria, le bastava pensare che aveva ancora del tempo davanti a sé prima dell’adempimento ai suoi piani, perché il nodo provocato dall’ansia si sciogliesse.
Ma su quest’ultimo punto, Carabosse si sbagliava, perché di tempo ne aveva poco. Lei non lo sapeva, ma le nozze di Stefano con la principessa Helena si avvicinavano, come Uberto non mancò di ricordare al figlio, una sera in cui lui era di ritorno da una semplice scampagnata con Carabosse. Quella era sembrata ad entrambi molto più di una semplice scampagnata fra amici, perché tutte le emozioni represse che provavano l’uno nei confronti dell’altra, di qualunque natura essi fossero, si erano palesati in un’atmosfera di tensione nella quale ogni scambio si sguardi, ogni sfiorarsi di mani era sufficiente a far irradiare brividi lungo tutta la schiena.
 Stefano era ancora intento ad indugiare sul ricordo di quei particolari quando un paggio gli annunciò che il Re lo mandava a chiamare. Non ebbe neanche il tempo di cambiarsi, e dovette presentarsi a suo padre così come era vestito, con gli abiti sporchi di un qualunque cacciatore dopo una giornata fra i boschi, cosa che il Re notò immediatamente.
-Il principe ereditario… vestito come un qualunque popolano – osservò con disappunto mentre Stefano si rialzava dall’inchino. Suo padre era seduto sul trono, come sempre.
-Chiedo perdono, padre. Ero…
-Non m’importa – lo interruppe Uberto, innervosito. – Non voglio sapere dove sei stato. Spero solo che tu abbia goduto quanto più possibile della libertà che ti è stata concessa in questi giorni, perché da domani le cose saranno diverse, come tu ben sai.
-Perdonatemi, padre, ma non ho il piacere di comprendervi.
Uberto inarcò pericolosamente le sopracciglia. Non era un buon segno quando lo faceva. – Domani la principessa Helena della nobile casata Harrington sarà qui insieme a buona parte della sua corte e a sua madre la Regina. Come ti ho detto in un’altra occasione, rimarranno qui per una settimana al termine della quale avrà luogo la festa di fidanzamento. Per quanto mi sembri inutile farti delle raccomandazioni, non voglio lasciare nulla al caso, quindi ascoltami attentamente: durante questa settimana dovrai occuparti della tua futura moglie. Non voglio che la lasci sola a meno che non sia lei a chiederlo esplicitamente. La porterai in giro per la capitale, le farai vedere il palazzo, parteciperete a feste e banchetti: farai tutto quello che l’etichetta e lei richiedono, e in ogni cosa mi aspetto che tu ti comporti da perfetto cavaliere quale sei. Questo matrimonio è estremamente importante per il nostro Regno, spero che te ne renda conto. Non dovrai fare passi falsi, e in questa settimana ti proibisco di fare qualunque cosa tu abbia fatto in questi giorni liberi, che tu abbia frequentato bordelli o altro. No, non mi interrompere – disse alzando una mano quando vide che Stefano era sul punto di parlare – Voglio la tua parola d’onore che ti impegnerai a concludere questa faccenda nel modo migliore possibile.
Sebbene a malincuore, Stefano rispose:- L’avete, padre. Avete la mia parola d’onore.
Uberto parve rilassarsi notevolmente. – Bene. Sai che non mi piace essere così duro con te, ma da quando abbiamo parlato di questa faccenda del matrimonio ti vedo strano. Ti ho lasciato libero dagli allenamenti e dai tuoi incarichi in questi giorni per permetterti di accettare a tuo modo questo cambiamento, ma ora devi impegnarti. D’altronde, non ti sei mai tirato indietro quando si è trattato di faticare per il bene tuo e del Regno; questa volta non è diverso. Pensa, Stefano, al potere che otterrai quando tu e Helena avrete unito regni e ricchezze! Occuperai una situazione di netta superiorità nell’assetto territoriale ed economico delle Terre d’Oltreoceano: gli altri reali potranno solo invidiarti, non arriverebbero mai neanche alla metà del tuo potere. E’ un grande progetto, che richiede grandi sacrifici, ma ci stiamo lavorando da sempre e io lo so che tu lo vuoi almeno quanto lo voglio io.
Uberto finì il suo discorso infervorato. Rieccolo, suo padre, l’uomo che si animava nel parlare di intrighi, complotti, strategie, che aveva lavorato per tutta una vita per arrivare fin dove era ora; l’uomo che per quei quattordici anni aveva creduto perso sotto gli strati di grasso e lussi, e severità nei suoi confronti. Ecco, di nuovo, il padre che amava e che aveva sempre reso orgoglioso.
Stefano annuì davanti alla sua espressione accesa, per poi rabbrividire subito dopo, senza sapere neanche lui perché. Sapeva solo che avrebbe fatto di tutto per quel padre che amava, e si ritrovò a chiedersi spaventato che cosa quel “tutto” avrebbe significato, ma soprattutto si chiese cosa lui sarebbe stato disposto a sacrificare per soddisfare la sua stessa ambizione, il suo desiderio di arrivare più in alto, dove nessun altro era mai arrivato. Il Re più potente di tutte le Terre d’Oltreoceano, ecco cosa sarebbe diventato col matrimonio… e militarmente avrebbe anche potuto conquistare ancora  nuovi territori, creando perfino un impero…
Si beò per un momento della visione di se stesso sul trono di suo padre e bardato lussuosamente con i simboli del potere regio: era sempre stato ambizioso, e adesso che la posta in gioco era così alta il suo entusiasmo era completamente risvegliato.
Era troppo attaccato a quelle idee di potere per abbandonarle, e sapeva di non volerlo nemmeno. D’altronde, non aveva nemmeno scelta, quindi non aveva senso farsi tutti quei problemi… per chi, poi? Per delle strane sensazioni che una contadinella, la prima venuta, gli aveva suscitato… ma appena ebbe finito di formulare quel pensiero una parte di lui si ribellò, facendogli notare che Rosaspina era molto di più di una semplice contadinella.
In qualche strano, inspiegabile modo, lei gli stava insegnando ad amare.


*Angolo Autrice*
Spero che questo capitolo vi piaccia... per me è stato abbastanza facile da scrivere (inaspettatamente), ma la situazione si complica....
Dunque, nel gruppo Facebook della storia ho inserito le immagini di altri personaggi, ora òe inserisco anche qui per chi non è nel gruppo.
Stefano da bambino, Dylan Schmid: 

http://images6.fanpop.com/image/photos/35200000/Dylan-Schmid-dylan-schmid-35268063-640-642.jpg
Uberto, Steven Waddington:
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La piccola Aurora, Kate Duggan:
http://files.mymovies.dk/Photos/82359302-8001-416a-a3f4-e923dcfe39aa.jpg
Carabosse, Megan Fox:
http://static.fanpage.it/donnafanpage/wp-content/uploads/gallery/megan-fox-da-giovane/megan_fox_da_giovane05.jpg
Stefano, Kim Rossi Stuart:
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Spero che gli attori scelti vi piacciano. Fatemi sapere cosa pensate del capitolo, anche se fa schifo, ditemelo.
Ringrazio quelli che hanno inserito fra le ricordate/seguite/preferite questa storia, i lettori silenziosi e Beauty e Homicidal Maniac per aver recensito.
A presto!
P.S. Segnalatemi eventuai errori che avrò commesso sicuramente, perché sto pubblicando praticamente ad occhi chiusi per il sonno.
   
 
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