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Autore: Hagne    22/10/2013    1 recensioni
"Non importa dove ci troviamo, i nostri cuori ci porteranno di nuovo insieme"
[ Aerith Gainsborough - Kingdom Hearts]
Genere: Avventura, Sentimentale, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Aerith, Organizzazione XIII, Riku, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Kingdom Hearts, Kingdom Hearts II
Capitoli:
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Capitolo 7
“Instead of giving in give it all
All we get to is far gone
Instead of looking up just look down
And see how far we've come”

  […]

“You gotta hold on, hold on
Why do we keep Hold on, hold on
Why do we let it go out our way?
Why don't we stand up and try again?
You never know
What you lose by letting go
You gotta hold on, hold on or letting go?”

( Hold On – Jojo )







Discutevano da ore, ma non sembrava che si riuscisse comunque a venire a capo di niente.
Axel, dal canto suo, non sembrava voler scendere a compromessi, e la sua reticenza nel concedere a Sora il desiderio di unirsi in un'unico gruppo di viaggio non facilitava la coesistenza tra i due gruppi.
Eppure Aerith  non poteva fare a meno di sorridere.
In cuor suo sapeva che prima o poi il Nessuno avrebbe ceduto  al  bisogno di far squadra con il salvatore dei mondi  per avere maggior protezione, per essere più preparato nell’eventualità di un nuovo attacco da parte dell’Organizzazione, che la sua avversione  in fondo nasceva dal desiderio di non mettere Roxas a disagio, di non porlo in una posizione scomoda, di svantaggio.
Per proteggerlo.
Quello era il vero motivo della sua rigidità sull’argomento.
Era sempre stato quello.
E se prima Roxas si era mostrato diffidente nei confronti di quell’ingiustificata apprensione nei suoi confronti, col senno di poi,  dopo gli ultimi accadimenti, aveva cominciato a nutrire l’ombra di un affetto consumato che aveva  gettato  su entrambi il profumo di ricordi dimenticati ma non del tutto svaniti.
Lo intuì dal fare maldestro con il quale il ragazzo tentava di camuffare la propria gratitudine per  una protezione che non aveva chiesto, per quel continuo cercare di renderlo felice, di assicurarsi di non ferire i suoi sentimenti, sentimenti che per natura non avrebbe potuto provare, sentimenti dei quali Axel però sembrava tener sempre conto, nonostante tutto.
Ma non si era mai trattato di cosa non si potesse o  si potesse provare, perché ogni creatura, che fosse fatta d’ombra o luce era stata creata, era nata  per nutrire emozioni,  per  desiderare di avere qualcuno accanto,  per desiderare di essere amati da qualcuno, voluti, da qualcuno, e lei sapeva quanto in realtà avessero tutti bisogno di intessere legami, di crearsi una famiglia, di avere un motivo per combattere.
Qualcuno da chiamare quando la solitudine diveniva così straziante da stringerti la gola e intristirti gli occhi.
- Non abbiamo bisogno di nessun aiuto – tuonò Axel d’improvviso, il viso accartocciato dalla stizza feroce che gli avvelenava la voce – sono in grado di proteggere entrambi da solo.
La reazione di Sora in quel caso tuttavia non si esaurì in un’esasperata ma paziente sguardo comprensivo, perché ci fu l’improvvisa rigidità delle pupille a inasprire la piega di un dialogo che Aerith non potè più definire pacifico.
Non  quando era Sora, il ragazzino dal cuore gentile a tingere il proprio sguardo di durezza, smorzando il sorriso amichevole per il quale si trovò lei stessa a perdere il proprio.
- Io non voglio costringere nessuno di voi a seguirmi, ma ho una responsabilità verso Aerith – spiegò loro, attirando con l’inflessione ferma della sua voce lo sguardo incuriosito di Riku su di sè– perciò voi potete anche decidere di non accettare la mia proposta, ma lei viene con me. È stata già troppo  coinvolta.  
Fu per la rabbia incontrollata che gli azzannò il cuore nel cogliere l’errore in quel “con me” e “Aerith” a farlo agire a quel modo, o fu l’improvvisa scossa di panico che lo assalì nel pensare che se davvero il custode avesse ingaggiato battaglia per riportarla indietro, Axel  non avrebbe potuto impedirglielo, ma bastò  scagliarsi  con un ringhio sul prescelto per  far scattare Riku nella sua direzione e  far materializzare nelle mani di Roxas il  Keyblade.
 E ancor prima di poter anche solo provare a quietare gli animi  Aerith si trovò a guardare dal fusto spezzato della colonna sulla quale era seduta la violenza di uno scontro derivato dalla tensione di qualche attimo, da uno sguardo sbagliato, da una parola mal intrepretata, rimamendo  immobile a pensare su  come si fosse passati dal discutere animatamente a metter mano alle armi.
Ma la risposta giunse decisa e rumorosa come il cozzare delle lame nelle quali riflesse lo sguardo che puntò in  basso con rammarico, ritrovandosi a desiderare di non dover assistere ad una contesa che l’aveva sempre privata della libertà di scegliere, di poter mostrare quanto in realtà fosse capace di decidere da sola, di difendersi, da sola.
Non voglio coinvolgerti  le spiegava una voce che in passato, quando ancora poteva guardarsi allo specchio e sorridersi senza doversi sforzare di non mostrare il peso dei suoi anni, aveva amato più di se stessa.
Vogliamo solo assicurarci di sapere dove trovarti  le rammentava il tono accondiscendete di un uomo dall’elegante completo scuro che  vegliava su di lei per monitorarla, perché era stato deciso che fosse così.
Che lei venisse controllata da chi aveva gettato l’ombra ingombrante del suo egoismo, del suo desiderio di potere su di lei e su sua madre Ifalna.
Eppure,  alla fine di tutto, quando il mondo si era trovato sul punto di pagare per l’odio di chi da questo era stato tradito, quando si era decisa ad accettare il suo compito, il suo destino, aveva capito cosa fosse giusto fare.
E giudicare chi meritasse la salvezza e chi no, non  lo era mai stato.
Distogliere lo sguardo da quelle ombre che la guardavano e tapparsi le orecchie per divenire sorda alle voci che la chiamavano non lo era mai stato.
Decidere di salvare, di proteggere, di aiutare lo era stato.
Lo fu gettare un incantesimo elementare sulle figure che si trovarono a fissare il proprio riflesso nella spessa lastra di ghiaccio prima di accorgersi finalmente della voce che nessuno di loro aveva udito, dell’ arrendevolezza di uno sguardo che Aerith rivolse alla polvere che si scrollò di dosso con un gesto nervoso della mano.
- Sono davvero troppo vecchia per assistere ancora a queste cose – cominciò, la voce vibrante di un’indignazione che le segnò  il viso tornato a sollevarsi –  se il problema riguarda chi si debba accollare o meno la mia protezione, allora posso liberarvi da questo senso del dovere, perché sono sempre stata capace di difendermi da me.
- Io non volevo-
- Lo so Sora, ma parlare di me come se non fossi presente non è stato molto carino.
Il custode raggrumò le labbra in un moto di dispiacere che Roxas specchiò mentre Riku faceva svanire la propria arma in un abbraccio d’ombre e Pippo si scusava per la mancanza di educazione.
Solo Axel non si mostrò rammaricato da quanto detto, dall’insensibilità dimostrata, e non perché non si fosse risentito della propria mancanza, ma perché era ancora scosso dall’apparizione del ghiaccio che si trovò a toccare con le sopracciglia aggrottatesi gravemente.
- Non sapevo che le fioraie sapessero controllare il ghiaccio – soffiò, fissando assieme al proprio riflesso il sorriso appena comparso sul viso di Aerith.
- Da dove vengo io una fioraia sa fare molte cose.
Piccola e enigmatica donna.
Avrebbe voluto dirglielo, porle le domande che non aveva mai potuto rivolgerle perché non c’era mai stato un momento adatto, ma Axel aveva colto l’ombra calata sul suo sguardo, un velo impalpabile che riluceva di qualcosa che non andava scoperto, di un vaso che non andava aperto, e la rabbia evaporò, il bisogno di sapere anche mente  l’irritazione lo portava ad afferrare Roxas per l’avambraccio e raggiungerla, un gesto che segnò la sua resa.
Una concessione per la quale Aerith lo ringraziò in silenzio, invitando Sora a tornare alla Fortezza Oscura  per chiedere notizie su Re Topolino e decidere il da farsi, su come prepararsi per quella che si prospettava come una nuova avventura alla quale ognuno di loro avrebbe dato il proprio contributo.
Promisero a Hercules di fare ritorno per un nuovo combattimento una volta che l’arena fosse stata ricostruita, e mentre Sora si lasciava colpire amichevolmente con una pacca sulla spalla dal semidio Riku seguiva con la coda dell’occhio gli sguardi che di sottecchi Axel lanciava ad una pensierosa e silenziosa fioraia.
- Allora? Vecchia hai detto – gettò lì con finto disinteresse, sentendo su di sé gli occhi verdi della donna farsi attenti e curiosi  – quanto vecchia?
Roxas si trovò a tendere le orecchie pur pentendosi di mostrarsi così poco fiducioso, ma era  curioso al pari del compagno di scoprire qualcosa in più sulla misteriosa compagna di viaggio.
E non perché volesse informarsi di una possibile ed improbabile  pericolosità della donna, ma per potersi sentire parte del bizzarro e nutrito gruppo di strani eroi ed anti-eroi  nel quale Aerith, pur non ricoprendo un ruolo ben definito, ne era divenuta la colla.
Lei che sembrava aver salvato ognuno di loro da qualcosa, da qualcuno, e poter riuscire a ricambiare il favore era divenuto uno degli obbiettivi che Roxas si era prefissato di raggiungere.
Quando Sora attivò il portale tra i mondi si strinsero l’uno all’altro per non venire sbalzati via dal campo di forza ed essere divisi durante il viaggio, una possibilità della quale  Axel impedì il riverificarsi allacciando un braccio attorno alle spalle della donna per impedirle di andare a innervosire qualche altra divinità vendicativa.
E fu mentre la luce li bagnava che Aerith si decise a rispondergli, afferrando la mano che Riku aveva  inconsciamente fatto veleggiare attorno al suo avambraccio con titubanza senza realmente afferrarla.
Li strinse tutti a sè in un moto di commozione, tirando con la mano libera la casacca di Sora e guardando il lampo di luce che le  illuminò il viso di una consapevolezza che le ricordò che nonostante tutto, nonostante gli sbagli commessi e le perdite subite, valeva la pena soffrire per circondarsi di tanto amore.

Ne sarebbe sempre valsa la pena.
- Non ti hanno insegnato che è maleducazione chiedere l’età ad una signora?




°°°


Leon non si era sempre chiamato così.
Un tempo, quando ancora aveva un orgoglio e un nome del quale andare fiero,  quando ancora poteva definirsi un  guerriero, il suo nome era stato un altro, lui, era stato qualcun altro.
Un uomo forte, coraggioso, e invincibile, un tempo.
Ma  poi non lo era stato più.
E quando era successo, quando si era trovato in ginocchio a guardare impotente la distruzione della sua città, della sua casa, quando era stato sconfitto, era fuggito per salvarsi la vita senza più guardarsi indietro.
Come un codardo avrebbe fatto.
Come l’uomo che era stato, lo Squall che la gente conosceva, non si sarebbe mai permesso di fare.
Eppure  lo aveva fatto, era fuggito, e il disonore lo aveva spogliato di un nome che non era stato più quello di un eroe, ma di un vigliacco che non era riuscito a difendere la propria casa.
Aveva vagato a lungo senza sapere dove stesse andando,  da quanto  stesse camminando, da quanto non mangiasse o bevesse, quanto ancora mancasse per potersi sentire meglio, per potersi guardare allo specchio, per poter alzare lo sguardo da terra.
E quando era successo, 
quando si era ritrovato  a fissare  dopo mesi di silenzio e freddo gelido la tonalità calda di uno sbuffo di capelli profumati che gli aveva frustato il viso,  lo aveva alzato  per sibilare al malcapitato di fare più attenzione  prima di sentire il passante fermarsi ad osservarlo e decidere poco dopo di toccargli la spalla per chiedergli se stesse bene.
L'aveva guardata a lungo, in silenzio,  preso in contropiede dall’abbraccio morbido di un sorriso che la giovane donna gli aveva rivolto con gentilezza, tendendogli al contempo una mano che lui aveva poi guardato diffidente, come sempre era stato.
Come non aveva mai smesso d’essere.
Lui che guardingo era stato costretto ad esserlo, fino a divenire paranoico, fino a nutrire sospetto per un’innocua e innocente ragazza dal sorriso gentile che pareva solo volergli dare aiuto, ma lui non ne aveva bisogno.
Tutto ciò che voleva era dimenticare l’orgoglio ferito e fingere di non esistere, di non aver bisogno di un’inopportuna e stupida donna che gli offriva qualcosa che lui non aveva chiesto, e le cose sarebbero andate diversamente, se non si fosse deciso a guardarla negli occhi per consigliarle di farsi gli affari suoi.
Forse non  si sarebbe trovato  dove era ora.
Non avrebbe avuto una casa.
Non avrebbe costruito una famiglia della quale assumersi la protezione.
Non sarebbe tornato ad essere qualcuno al quale valesse la pena dare un nome.
Ma lo aveva fatto.
Era stato tratto in salvo, era stato liberato dal peso di una vergogna che il verde acceso di quelle iridi  aveva ripulito come un sorso d’acqua fresca che lava via il dolore, l’amarezza, il rimorso e i rimpianti.

Perché Aerith lo era stata per lui.
La mano da stringere per poter tornare in piedi.
La voce da seguire per poter trovare la strada di casa.
Lo sguardo in cui poter ritrovare se stesso.
Ed era colpa sua se ora si trovava a rovistare tra i libri di Merlino con l’ansia di scoprire un modo alternativo per viaggiare tra i mondi, per andare a cercarla.
Perché era stato lui, lui e il suo stupido e ossessivo bisogno di lottare, di trovare qualcuno da punire per quello che aveva passato, ad averla allontanata da lui, ad averle segnato il viso di delusione, di rammarico, e non sarebbe bastata una vita a cancellare il dolore di quell’aria ferita.
Non se lo sarebbe mai perdonato.
Avrebbe pagato il suo errore per la vita, e lo avrebbe fatto, ma dopo averla trovata, dopo essersi assicurato che quel Nessuno non le avesse fatto del male, che stesse bene, che fosse al sicuro.
Quando la porta e il suo cigolio lo avvisarono  dell’arrivo di qualcuno Leon non si diede pena di alzare il viso dal libro che sfogliava da giorni, un libro che parlava di porte segrete e passaggi che avrebbero potuto condurlo da lei.
- Leon? – chiamò Yuffie nel precedere le figure che invitò a  rimanere nell’ombra mentre Sora accostava la giovane ninja e posava dopo tanto tempo lo sguardo su quello che fin da bambino aveva preso come esempio da seguire.
Un eroe, uno di quelli che solo guardandoli ti facevano sentire al sicuro, protetti dai pericoli. 
- Ci sono delle visite.
- Merlino è tornato? – chiese il soldato con urgenza, ringhiando di frustrazione nel richiudere il tomo e gettare uno sguardo esasperato al soffitto – ancora nulla – mormorò poi tra sé e sé.
Yuffie soppresse un sorriso – no, ma è qualcuno che sono sicura sarai contento di rivedere.
- Davvero? E chi-
- Hey Leon!
Il tono era stato amichevole,  allegro e tanto familiare da  convincerlo ad abbandonare le ricerche e  cercare con lo sguardo quello  che tempo prima aveva considerato un piccolo moccioso sulle cui spalle gravava un peso troppo grande, troppo importante.
Il bambino inesperto dal sorriso buono che stentò a riconoscere quando si voltò.
Perchè era cambiato, Sora.
Era diventato un uomo.

Era diventato un  eroe.
L’eroe dei mondi al quale concesse uno sguardo colpito, orgoglioso.
- Guarda chi si rivede. Ne è passato di tempo.
-  Già – concordò il custode in preda all’imbarazzo, grattandosi la nuca con fare impacciato mentre Paperino e Pippo lo accostavano e salutavano il temibile e silente guerriero della Fortezza Oscura  con meno enfasi  – ho avuto molto da fare.
- Tutti hanno sempre qualcosa da fare – lo riprese con il solito tono inflessibile, abbandonando lo sgabello scomodo che occupava da ore per raggiungerlo a braccia conserte e sopracciglia aggrottate – ma il tempo per fare un salto dai vecchi amici e far sapere loro se si è ancora vivi lo si trova sempre.
La battuta colpì lì dove doveva colpire, e il rossore che gli tinse le guance mostrò quanto davvero Sora si sentisse in colpa per averli fatti stare in pensiero, ma soprattutto, per non ricordarsi abbastanza spesso  che qualcuno ad aspettarlo ci sarebbe sempre stato.
- Lo so e  mi dispiace – mormorò impacciato, schiudendo un sorriso largo per sopperire al disagio – ma Aerith mi ha già rimproverato a sufficienza per questo.
Quello Leon non lo aveva visto arrivare.
Ma quando quel nome lasciò le labbra del custode Yuffie non poté che lanciare un’occhiata indignata all’amico, colpevole  di aver rovinato la sorpresa mentre il soldato pareva aver subito una paresi facciale per la quale  l’aura minacciosa che già lo rendeva temibile si accentuò tanto da far sobbalzare Paperino e Pippo per la paura.
- Cosa hai detto? – lo sentirono sussurrare con un filo di voce.
- Ecco io-
- Dov’è? Dov’è lei?  – cominciò a ringhiare irritato, avanzando minaccioso di un passo – dov’è quella piccola-
Il passo frettoloso di quello che pareva un piccolo cerbiatto sovrastò il sibilo che avrebbe rischiato di far perdere a Sora altro colore al viso, e quando le assi del pavimento accolsero i piccoli piedi di una donna dal sorriso ampio  e le guance spruzzate di rosso Leon non potè fare altro che tacere e stare a guardare.
Aerith si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio nel nascondere dietro la propria schiena le figure spaventate di Pippo e Paperino, studiando in silenzio l’espressione sorpresa del soldato dallo sguardo divenuto improvvisamente vitreo.
- Sono tornata – esclamò, le braccia schiuse nell’accenno di un abbraccio nel quale Leon avrebbe anche potuto  lasciarsi stringere se l’irritazione non lo avesse reso tanto inavvicinabile.
Perché  Aerith gli sorrideva come se non fosse scomparsa per settimane senza dare notizie di sé facendolo sprofondare in un baratro di disperazione e paura, e avrebbe voluto urlare quanto fosse stato in pensiero, quanto si fosse sentito in colpa per averla trattata a quel modo, per non averle dato modo di spiegarsi, di farsi ascoltare, ma tutto ciò che fece fu rimanere immobile e silente sotto lo sguardo curioso della donna.
- Credo stia elaborando di chiuderti in uno scantinato e buttare via la chiave – le bisbigliò Yuffie in un orecchio, adocchiando l’espressione granitica dell’amico – non faceva che brontolare che quando ti avesse trovato ti  avrebbe chiuso da qualche parte per impedirti di raccogliere per strada qualche altro brutto ceffo.
Ma Aerith che conosceva il linguaggio del corpo del soldato poteva vedere il sollievo in fondo agli occhi chiari di Leon.
Leon che non era bravo a mostrare i propri sentimenti.
Leon che proteggeva e amava in modo sottile, in un modo che il più delle volte non si riusciva a cogliere, né a vedere.
Ma amava, e lei aveva passato troppo tempo  a leggere le anime degli esseri viventi per non notare come  quella di Leon fosse di un colore sgargiante,  il rosso vivo di un leone dalla folta criniera capace di ruggire di fronte un nemico e soffiare dolcemente su chi sceglieva di proteggere.
Di amare.

Quando la vide andargli in contro Leon non seppe come reagire, cosa aspettarsi, se indietreggiare o lasciare che lei lo toccasse, un’indecisione che fu lei a tramutare in azione allacciando le braccia attorno alla sua vita per stringerlo in un abbraccio che sapeva di casa, che sapeva di Aerith.
Aerith che amava, e che quando lo faceva  amava troppo anche chi quell’amore non se lo meritava.
Aerith che non aveva paura di lasciare il fianco scoperto, ma che aspettava di essere accettata, di essere vista per quella che era.
Una donna che non faceva distinzioni di razza e origine.
Una donna che quando decideva di salvare, salvava tutti indistintamente senza  differenze di sorta.
Ma quando ti salvava, quando tendeva la sua mano verso di te, non si poteva dirle di no.
E Leon non lo fece.
Smise di pensare a cosa dirle, a come spiegarle il perché delle sue azioni, a  come chiedere perdono per i suoi sbagli, perché lei aveva capito,  e nonostante tutto,  lo aveva già perdonato, lo aveva salvato ancora una volta dalla sua incapacità di mostrare che oltre al viso inespressivo e lo sguardo duro c’era un uomo qualunque.
Un uomo come gli altri, capace di ferire ed essere ferito, come gli altri.
Perciò si arrese all’idea di trovare parole complicate delle quali comunque non  avrebbe capito pienamente il significato, e si limitò ad agire come sempre aveva fatto, a esprimere in gesti quello che non riusciva a dire a parole.
L' abbracciò forte, sorridendo debolmente nel sentirla rafforzare la presa attorno alla sua schiena, dimentico di chi avesse davanti, di essere guardato e magari giudicato, ma non gli importava, e si abbandonò a quel momentaneo silenzio  prima che il suono di una voce che non conosceva, che non ricordava di aver  mai sentito lo portasse a schiudere le palpebre poco prima serrate.
E ciò che trovò gli causò un brusco  aggrottamento di sopracciglia  per il  quale Roxas, che non era riuscito a non tollerare quel silenzio, si aggrappò istintivamente al braccio di Axel, incupitosi a sua volta nel cogliere lo sguardo duro del soldato che nel riconoscerlo si abbandonò a un basso sibilo di sconcerto.
- Cosa ci fa quello qui? E chi è quel ragazzino?
Aerith comprese con un sospiro rassegnato di non poterlo più blandire,   sciolse dunque l'abbraccio per seguire gli occhi cupi dell’amico puntati alle sue spalle, sulle tre figure appena uscite dall’ombra una volta capito di non aver più bisogno di rimanere nascoste.
- Che hai da guardare? – latrò Axel in un eccesso di irritazione, rafforzando la presa attorno alle spalle del compagno mentre Riku reggeva con sfida lo sguardo feroce con il quale Leon si trovò a fissarlo, inasprito dall’aura cupa che se da bambino aveva reso Riku sbagliato e pericoloso, ora che era adulto pareva aver  persino incattivito quegli occhi di un gelo che ghiaccia il cuore e il respiro.
- Lui è Roxas – intervenne Aerith con voce calma, rigirandosi nell’abbraccio per indicare il ragazzino biondo che faticò a mantenere l’occhiata feroce del soldato – lui invece è Axel e ti ricordi di Riku vero?
- Credo che sia difficile dimenticare uno come lui – si ritrovò a sibilare cattivo, cogliendo il modo in cui il ragazzo pareva averlo frustato con lo sguardo incupito da una rabbia fredda che gli vomitava addosso con le pupille strette e sottili.
- Ma - ma siamo di nuovo tutti insieme, ed è questo ciò che conta – esclamò Yuffie nel  vano tentativo di stemperare la tensione nelle spalle del compagno e nei suoi nuovi amici.
- Yuffie ha ragione – soggiunse Sora con entusiasmo, accostando l’amico d’infanzia per rimarcare la sua posizione al riguardo – l’importante è che siamo riusciti a trovarci di nuovo.
Leon ammorbidì la piega delle labbra a quell’ultima frase, toccato anche lui dal ricongiungersi della vecchia squadra, tuttavia  rimaneva il fatto che ancora non capiva cosa ci facessero quelle tre figure lì con loro, ma in fondo sapeva già a chi era dovuta quella visita inaspettata.
Perché Aerith aveva sempre avuto la pericolosa abitudine di portare a casa personaggi di dubbia provenienza, a partire dal migliore amico di Sora che in lui aveva sempre lasciato un retrogusto amaro, una diffidenza che non aveva potuto che acuirsi col passare del tempo e con il tradimento compiuto da questo.
Ragionamenti che una persona con un minimo  senso del pericolo avrebbe formulato, sfortunatamente per lui, l’amica sembrava aver maturato negli anni un metro di giudizio che riteneva tutti bisognosi di aiuto, di un posto in cui stare, di una persona in cui confidare.
E Leon odiava che lei si rivestisse sempre di quel ruolo, come se si sentisse in dovere di aiutare l’umanità intera.
Come se non avesse fatto altro per tutto la vita.
Un pensiero che non poteva sapere, non si discostava così tanto dalla realtà, ma in fondo Aerith aveva  trovato il suo posto nel mondo, una stanza nella quale avrebbe cercato di far entrare quante più persone possibili per essere loro d’aiuto, di sostegno, per mostrare che tutti avevano bisogno di amore.
Anche chi non si credeva capace di provarlo.
E la prova era sotto gli occhi di tutti, nei cuori di quei compagni che Aerith era riuscita a riunire ancor una volta.
- Loro sono con me Leon – spiegò pratica, abbracciando con lo sguardo i nuovi arrivati  prima di sorridere e alzare il viso verso il compagno che  per un’attimo, avrebbe potuto giurare di aver visto masticare una maledizione a mezze labbra – ti avevo promesso che avrei trovato  nuovi membri per il  nostro Comitato di Restaurazione di Hollow Bastion. Non sei contento?
Gridarle contro a quel punto sarebbe stato sciocco, perché tanto lei non avrebbe ascoltato, non avrebbe accettato un rifiuto da parte sua, si sarebbe opposta con tutte le sue forze affinchè lui li accettasse, e il terrore di vederla andare via con quella stramba squadra di salvataggio lo atterriva.
Il pensiero di non poterle andare contro, lo atterriva.
Ma si arrese con un blando cenno del capo.
Perché  era tornata, e Leon aveva sempre saputo che quando l’avesse vista entrare da quella porta, quando si fosse decisa a tornare a casa dopo le sue lunghe e solitarie passeggiate   non l'avrebbe mai trovata sola, ma in compagnia di  qualche anima persa che lungo la strada  si era decisa ad aiutare, a salvare.
Perché lei era Aerith, era luce, e nessuno poteva impedirsi di seguire quell’unico barlume di speranza in un mare di oscurità.
Neanche lui.



°°°

 

Quando Aerith si chiuse la porta alla spalle tentò di non far scricchiolare l’asse del pavimento che Leon non si era mai deciso a cambiare, convinto di poterlo  adoperare come eventuale segnale dall’arme nel caso qualcuno avesse tentato di coglierli di sorpresa nella pace dei loro letti.
Un pensiero da Leon  aveva risposto lei quando lo aveva udito la prima volta, ma con il passare degli anni si erano quasi affezionati a quel lieve scricchiolare, perché sentirlo avrebbe voluto dire che chi era stato di turno quella sera per la ronda era tornato sano e salvo a casa, e ciò era bastato a lasciarlo lì dov’era sempre stato.
Tuttavia, svegliare Sora e i compagni dopo la lunga ed esasperante lotta verbale tra Leon e Axel avrebbe impedito a tutti di avere il giusto riposo dopo un viaggio lungo come il loro, perciò si premurò di scavalcarla in silenzio  e discendere in punta di piedi le scale che portavano allo studio.
Aveva riposato per un paio d’ore, e benchè Cid le avesse sempre ripetuto che una ragazzina come lei aveva bisogno di più tempo per recuperare le forze, spiegargli che lei in passato  aveva dormito anche troppo a lungo avrebbe sollevato domande alle quali non voleva dare una risposta.
Perché era complicato.
La loro situazione, era complicata, e sarebbe stato doloroso riportare alla memoria ricordi dei quali Yuffie e Cid avevano perduto cognizione.
Prima magari, quando li aveva ritrovati e non l'avevano riconosciuta aveva provato il desiderio   di  confessare loro che lei li aveva conosciuti, in una vita passata, che avevano viaggiato e lottato insieme prima che il loro mondo scomparisse, prima che lei andasse a raccoglierli per condurli nel lifestream, ma quando aveva letto la pace nei loro volti, quando aveva colto la felicità nei loro occhi non aveva avuto cuore di rivangare il passato.
In fondo, era passato davvero tanto tempo da allora, da quando il loro pianeta aveva ceduto ed era stato inghiottito dalle tenebre che avevano divorato i cuori di chi ancora era rimasto.
Da quando era stato  permesso solo ad alcune anime di salvarsi e di ritornare in vita, da quando  solo ai cuori più forti, a chi nel futuro sarebbe  potuto tornare a combattere una nuova guerra  era stato concesso di poter avere un’altra possibilità, di poter rinascere, e lei invece, lei aveva dormito fino a quando qualcuno non l’aveva trovata e risvegliata.

Il suo compito, più di tutti gli altri, non era mai finito in verità, perché lei era l’ultima dei Cetra, l’unica che potesse attraversare  il ponte tra morte e vita per condurre le anime alla luce, alla pace, e quando il suo mondo era venuto meno, quando la salvezza non era stata più possibile, un altro mondo aveva richiesto il suo aiuto, il suo potere.
- Bentornata bambina.
Non si era aspettata di trovare qualcuno, ma quando sentì la voce e  il calore del camino acceso lambirle il viso riconobbe l’uomo abbandonato sulla poltrona a fiori intento a rimirare le fiamme e bere una tazza di tè.
Bambina.
L’aveva chiamata così la prima volta che l’aveva vista, quando era andato a svegliarla, a chiederle aiuto.
Merlino era un mago potente, molto più potente di quello che le apparenze lasciavano intendere, ed era forse il suo fare maldestro che ingannava i più sul suo vero ruolo in tutto quello.
Perché ancor prima che il keyblade fosse stato scoperto, prima ancora che un prescelto fosse stato scelto, era  a lui che i mondi si erano rivolti per ricevere aiuto.
Lui che viaggiava nel tempo con fare svampito e brontolava quando qualcosa andava storto, un eroe avrebbero detto alcuni, un eroe strano e dimenticato  visto tutto il tempo trascorso da allora, ma lei non aveva dimenticato niente, e quando lui aveva deciso di prenderla sotto la sua ala protettrice e farne sua allieva, anche lei aveva potuto avere la sua  seconda possibilità.
- Una tazza di tè con un vecchio brontolone? – la invitò il mago con voce gentile, allungando una mano per indicarle la poltrona accanto alla sua.
Aerith gli sorrise con calore, raggiungendolo in silenzio mentre le fiamme del camino disegnavano un gioco di luci e ombre sulla lunga vestaglia che sollevò da terra per non sporcarla con la cenere che si era depositata ai piedi del mago.
- Non declinerei mai l’invito di un uomo tanto galante.
Merlino si abbandonò ad una risata soffice, raddolcendo le pieghe attorno agli occhi quando l’ebbe tanto vicina da poterne percepire il profumo di fiori e bagnarsi della luce di uno sguardo che anche nella penombra tingeva  ciò che la circondava di un mite e  dolce bagliore.
 - Allora, ho saputo della tua piccola avventura. Un Nessuno quindi?
- Axel – lo corresse  istintivamente  – Si chiama Axel. E non è stata una vera e propria avventura. Ho solo aiutato un amico nei guai.
Con un sorriso bonario il mago fece comparire una tazza di tè tra le mani della pupilla, allungando uno sguardo alla scala in ombra  nel cogliere un lieve scricchiolio dal quale Aerith, catturata dal movimento sinuoso delle fiamme non sembrò esserne stata attratta.
- Molti farebbero fatica persino  a considerare un Nessuno una persona,  mentre tu lo hai appena  definito un  amico – le  fece notare con voce indulgente, un sorriso sottile in viso.
Aerith sollevò su di lui uno sguardo sinceramente stupito, quasi non avesse colto la lieve nota di orgoglio e sorpresa nel suo dire puntiglioso.
-  Ma Axel è   una persona. Una brava persona oltretutto,   un po’ bellicoso alle volte – e lì si lasciò sfuggire l’accenno di una risata – ma è un buon amico.
- Da come lo descrivi non sembra uno di quei Nessuno  pericolosi di cui Leon parla sempre – constatò.
- Axel non è pericoloso,  non metto in dubbio che  vi siano personaggi pericolosi tra loro, ma essere un Nessuno  non equivale ad essere una creatura pericolosa e crudele. Ho conosciuto uomini ben più terribili di loro.
E non mentiva.
Aveva conosciuto uomini capaci di mostruosità irripetibili, esseri umani capaci di calpestare la vita di un loro simile pur di raggiungere i propri fini, uomini tanto crudeli e meschini da lasciare una bambina orfana di madre dopo averla tormentata come il peggiore degli incubi.
- Non hai mai pensato di condividere il tuo passato con altri? Sai che Leon ha sempre sofferto di questo tuo silenzio– mormorò Merlino sovrappensiero, le rughe del viso che si inspessivano nel cogliere l’ombra calare crudele sull’espressione ferita  di Aerith.
 Seguì con la coda dell’occhio il breve guizzare di un profilo che scomparve subito dietro l’angolo,  un movimento del quale la giovane donna, presa com’era dal vortice di ricordi che le intristiva il viso non prese coscienza, ed era meglio così.
Perché Merlino era vecchio, tanto vecchio, più di quanto volesse credere lui stesso, e sapeva che Aerith era circondata da persone che la amavano, persone che avrebbero sacrificato se stessi  pur di renderla felice, compagni che si struggevano per conoscere il motivo di quel breve ma sordo dolore che alle volte feriva gli occhi della maga.
Un lampo di sofferenza che lui stesso avrebbe voluto catturare tra le dita per liberarla da ciò che la tormentava.
E c’era qualcuno dietro quell’angolo che si sarebbe voluto caricare di quel dolore, qualcuno che avrebbe potuto amarla come avrebbe meritato, perchè  lui  aveva visto brillare negli occhi di quel bambino senza luce il desiderio di proteggerla, di poter essere per lei  un giorno l’uomo al quale affidarsi.
L’uomo dal quale lasciarsi amare.
- E a quale scopo. Non farei altro che farlo soffrire – sussurrò a se stessa, il viso inghiottito dalle fiamme nelle quali per un attimo rivide una figura femminile che correva, che non aveva mai smesso, una figura che alla fine di tutto, nonostante la distanza guadagnata, veniva sempre raggiunta – credo che ognuno di noi abbia già qualcosa per cui essere tristi. Ed aggiungere dolore al dolore non sarebbe giusto.
- Ma neanche sminuire il proprio per il bene altrui lo è Aerith – e nella voce di quel vecchio mago si potè percepire la tristezza di un padre incapace di consolare il dolore di una figlia afflitta da un male incurabile.
Le coprì la mano con la propria in un gesto affettuoso che lei ricambiò debolmente, inghiottita da immagini che nella sua testa divenivano sempre più cupe, tristi, dolorose.
- Io non sminuisco ciò che ho subito, ma li  amo troppo per potermi permettere di condividere il mio passato con loro. Voglio che mantengono la visione che hanno di me.
La stretta si rafforzò sulla sua mano, quasi a darle un conforto di cui Aerith non aveva bisogno, perché non era per orgoglio che non voleva scoperchiare il vaso dei propri ricordi, non era per la paura di essere commiserata che non parlava, ma era per difenderli da un dolore che era suo dovere reggere da sola.
Lei che le sue responsabilità se le era assunte fin da bambina.
Fin da quando  lo sguardo stupito di sua madre Elmyra  le aveva fatto capire di essere diversa.
Di avere un compito da assolvere, un dovere che forse mai avrebbe smesso di portare a termine.
Perché ci sarebbe sempre stato bisogno di una guida in quel mare di oscurità, e avrebbe sempre teso la sua mano quando fosse giunto il momento di accogliere una nuova anima sola.
Lo doveva  ai suoi antenati.
Lo aveva voluto per se stessa.
Aiutare chi non chiedeva aiuto. Salvare chi non voleva essere salvato.
Essere le braccia in cui potersi abbandonare ad un sonno pacifico e sereno che niente avrebbe più turbato.
- Ma loro conoscono solo l’Aerith gentile e caritatevole, mentre l’altra parte di te stessa rimane nascosta in quell’ombra che anche se non te ne accorgi, qualche volta si riesce ad intravedere – le mormorò con un filo di voce.
- E lì deve rimanere – si trovò ad affermare lei con durezza, alzando sul suo mentore uno sguardo che sapeva divenire più forte di un uomo con la spada in mano, più saggio di un vecchio dalle rughe pesanti come coltri di sabbia, e in quel momento, più triste di un ultimo respiro spirato nelle braccia di chi si sta per lasciare.
- Perché anche se sono stata braccata come un animale, anche se sono stata trattata come una cavia da laboratorio da dissezionare e accoppiare  ciò non ha mai cambiato  quello che sono sempre stata.
- Cosa?
Attese Merlino.
Attese per secondi nei quali potè percepire i due respiri strozzati in fondo alla stanza, e su per le scale, fermi ad attendere assieme a lui un’affermazione che ripulì lo sguardo di Aerith dalla tristezza e della rabbia che le aveva scavato il viso.

 - Una fioraia.
La risata che cavò dal petto del vecchio mago fu dolce, una cascata di zollette di zucchero che continuarono a galleggiare nel flusso dorato del tè che ripresero a bere in silenzio, le mani strette in un abbraccio che sapeva di un amore filiale che né l’uno né l’altra avevano avuto la possibilità di provare fino in fondo.
E mentre le prime luci dell’alba rischiaravano le strade di un' assonnata Fortezza Oscura Axel  chiudeva   in silenzio la distanza tra le scale e la stanza da letto, il viso prosciugato dal colore che la luce filtrata dalla finestra del corridoio gli donò con gentilezza.
Toccò l’asse che scricchiola, quello che aveva svegliato lui e l’altra figura  scivolata assieme a lui fuori dal letto per  tendere l’orecchio e ascoltare ciò che non doveva essere udito, ciò che Aerith aveva fatto bene a non raccontare.
Perché faceva male.
A lui, fece male.
Un dolore che se in Axel aveva risvegliato il desiderio di correre sotto le coperte e stringere al petto Roxas nella speranza di aver solo sognato tutto quello, nel ragazzo fermo sugli ultimi  quattro scalini aveva ucciso la luce nello sguardo.
E fu quando i raggi di una nuova aurora  raggiunsero  lentamente il primo scalino, fu quando il passo soffice di piedi piccoli e la voce sottile toccò le corde di un cuore che nessuno prima d’allora era anche solo riuscito a sfiorare che Riku si convinse a muoversi, scendendo gli ultimi scalini in due e celeri falcate che lo portarono lì dove il suo cuore gli aveva sempre sussurrato di voler essere.
Lì dove si fermò a guardare il sussulto di sorpresa con il quale Aerith alzò su di lui uno sguardo perso  prima di riconoscerlo e augurargli il buon giorno con un sorriso mentre lo sguardo tornava ad illuminarsi  e in fondo, lì dove la luce non arrivava,  un’ombra ancora più terribile e crudele si annidava come un serpente in attesa di mordere e infettare del suo veleno chi quella stessa luce aveva provato a smorzare.
Un veleno  nero  come il cuore che quelle piccole mani pallide aveva raccolto da terra, divenendo inconsapevolmente una prigione di dita  dalla quale Riku  non era più riuscito a liberarlo.






Continua…



Dopo una vita, ecco un nuovo capitolo.
Ringrazio chi ha letto, e dedico questo capitolo a kalea95  per essere stata ancora una volta così gentile da farmi sapere la sua sulla storia, davvero, grazie di cuore.
Cercherò di aggiornare per quanto possibile, un saluto
Gold Eyes
  
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