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Autore: nari92    23/10/2013    1 recensioni
Jefferson riceve una notizia tanto importante quanto inaspettata e vuole condividerla con qualcuno che ne capisca l'importanza, così si ritrova una notte al castello oscuro a confidarsi con Rumpelstilskin in persona.
"Rumpelstilskin annuì serio e lo guardò poi allontanarsi, con la triste consapevolezza che invece Jefferson avrebbe dimenticato quel prezioso consiglio."
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jefferson/Cappellaio Matto, Signor Gold/Tremotino
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                   A friend in the darkest hour
 

 Era ormai notte fonda, ma al castello oscuro la differenza percepita non era troppa, in quanto, come il nome può facilmente suggerire, le tenebre regnavano sovrane anche in pieno giorno; l’unica luce padrona della grande sala principale del maniero era quella proveniente da una lampada ad olio, poggiata sul tavolo in mogano che dominava incontrastato la scena. Il solo rumore a rompere il pesante silenzio proveniva dall’esterno, il costante cicalio che si spargeva per la foresta incantata durante i mesi estivi e dal quale neanche la residenza del signore oscuro era esentata. Il padrone del suddetto castello, soffrendo quella sera di una forte insonnia, era seduto su una maestosa poltrona di un rosso talmente accesso da risultare inquietante. Nelle sue mani un tomo di oltre 1000 pagine, debolmente illuminato dalla sopracitata lampada ad olio, riguardante gli avvenimenti delle prime guerre tra Orchi e uomini ai tempi della seconda era, ma la conoscenza di Rumpelstilskin riguardo quegli eventi così significativi non fu incrementata dalla lettura, dato che da più di due ore il suo sguardo era posato sulla stessa identica pagina, e, più in particolare, sull’espressione “colpo di stato”. Ciò che tormentava l’oscuro signore era un peso, un peso che portava nel cuore da più di 100 anni, e di cui non si era mai liberato, mai con nessuno. Nessuno è mai stato degno di questa fiducia pensò il folletto, autogiustificandosi per il riserbo.
Nonostante tutto, quella notte Rumpelstilskin sentiva il bisogno di un amico. Non per confessare ciò che lo opprimeva (mai avrebbe corso il rischio di far conoscere il suo segreto unico scopo di vita ad anima viva, o morta, non si sa mai), ma per alleviare il peso della solitudine, per potersi distrarre dai propri pensieri e liberare la mente.
“Non credevo che l’oscuro signore facesse le ore piccole, pensavo fosse necessario alzarsi presto per stringere accordi con le anime disperate” la voce lo fece quasi sobbalzare, cogliendolo di sorpresa, evento più unico che raro.
“I cattivi non dormono mai dearie, non te l’hanno detto? E d’altronde, mi piace rendermi disponibile 24 ore su 24” rispose cercando di nascondere il suo stupore per la visita. “Ma non voglio trattenerti Mastro dei Cappelli, prego, parlami del motivo della tua inaspettata visita, qualche merce interessante dai tuoi mondi straordinari?” chiese col pittoresco gesto della mano che lo contraddistingueva.
“No, io… a dire la verità il motivo della mia visita non c’entra con i nostri affari”
Rumpel acuì lo sguardo. Se da un lato era lievemente deluso, perché ogni volta che Jefferson arrivava al castello, lui sperava ardentemente che fosse riuscito a rimediare un modo per arrivare in un mondo senza magia, dall’altro era estremamente incuriosito dal comportamento del suo…”socio in affari”. Generalmente quando le persone lo cercavano lui sapeva già di cosa avevano bisogno, leggeva il futuro e leggeva dentro le loro anime; ma stavolta era diverso, non riusciva a captare alcun segnale. Tuttavia lasciò che il suo ospite vuotasse il sacco spontaneamente e non fece domande. Pochi istanti dopo, il Cappellaio riprese la parola.
“Sono qui perché… ho ricevuto una notizia importante e avevo bisogno di dirla a te, Rumpelstilskin”
La dichiarazione destò stupore nell’animo del padrone del castello, e la sua mente iniziò a vagare, tentando di risolvere il piccolo arcano. Quale poteva mai essere la notizia che Jefferson si sentiva in necessità di condividere con lui?
Una nuova guerra si preannunciava? Impossibile, era lui che teneva i fili di quel branco di burattini che si facevano chiamare Re e Regine.
Era forse stato trovato un rimedio efficace alla piaga che stava mietendo selvaggiamente vittime da ormai più di nove mesi? Altamente improbabile, una cura di quel genere richiedeva uno sforzo magico non indifferente e Reul Ghorm non poteva aver trovato la formula così rapidamente.
Quale poteva essere la novità così importante da comunicare nel pieno della notte al Signore Oscuro? Più ci rifletteva e meno le idee sembravano plausibili; Jefferson pose fine ai suoi ragionamenti rispondendo alla sua muta domanda.
“Alice…Alice è incinta. Noi avremo un bambino. O una bambina. In ogni caso…sarò padre. Il punto è che sarò padre.”
Per un attimo Rumpelstilskin si sentì mancare. Da quanto non sentiva parlare di bambini? Da quanto non provava l’emozione di una nascita? Da quanto non sperimentava la timorosa attesa dei primi passi e delle prime parole?
Si rivide in un attimo con in braccio il neonato Bae. Quelle ditine sottili e rosee, quei delicati piedini, quel viso ancora rossastro e tondo.
Si riscosse.
“E…come mai il grande cappellaio matto ha ritenuto di dover venire fin qui, nella mia umile dimora per avvisarmi?” esclamò con gesti teatrali ancora più marcati del solito, per nascondere l’emozione.
“Nessun motivo in particolare. Ho solo pensato che…beh che un vecchio amico meritasse di saperlo”
“Ah.”
Rumpelstilskin si trovò a corto di parole, e non era qualcosa che gli accadeva spesso. Solo suo figlio ci era riuscito qualche volta, e solo Belle ci sarebbe riuscita ancora, ma lui questo ancora non lo sapeva.
Finalmente riprese il controllo di sé stesso e formulò una frase.
“Immagino che a questo punto sia d’obbligo offrirti qualcosa da bere. Prego, accomodati”
Jefferson si sedette con un cenno di assenso e il folletto fece apparire una bottiglia e due calici. Versò l’ottimo liquore per sé stesso e per il suo inaspettato ospite e poi porse il calice a quest’ultimo.
I due si scrutarono con i bicchieri in mano per qualche minuto, senza saper bene come iniziare un discorso, tanto la situazione era surreale; mai si era vista un’amicizia più strana, ma al tempo stesso Rumpel dovette ammettere a sé stesso che, nonostante tutto, non si sentiva a disagio, lì, con Jefferson, in silenzio.
“Come avete deciso di chiamarla?”
“Perché chiamarLA?” Chiese Jefferson lievemente stupito. E poi realizzò all’istante, sbuffando e lanciando uno sguardo di disapprovazione al folletto che, fingendo ingenuità, ridacchiava.
“Oh! Mi dispiace, temo di averti rovinato la sorpresa!” disse, sfoggiando uno dei suoi migliori ghigni divertiti.
Jefferson scosse la testa sconsolato borbottando qualcosa su quanto fosse seccante comunicare notizie personali a che ne sa già più di te, e poi rispose “per una femmina avevamo pensato a Madison…”
“Suona più una condanna a morte che un nome.”
“Patricia”
“Se nascerà sessantenne potrebbe calzarle a pennello.”
“Biancaneve”
“Oh no, credimi, porterebbe parecchia confusione”
Jefferson aggrottò le sopracciglia perplesso ma non chiese spiegazioni.
“Hai esaurito la mia scorta di nomi femminili e, onestamente, non so neanche perché ti sto dando retta…”
“Perché sai che ho buon gusto, non per niente mi hai chiesto di procurarti giacche di pelle simili alle mie”
“Ad ogni modo questo è quanto, non ho altri nomi…”
Rumpelstilskin lo fissò per alcuni istanti. Poi gli pose una domanda che a Jefferson parve in qualche modo assurda, o comunque inusuale.
“Come vorresti tua figlia?”
“In che senso?”
“Come vorresti che fosse?”
“Io vorrei che…. vorrei che lei…oh, sembrerà pretenzioso…”
“Tutto sembra pretenzioso quando si parla di figli”
“Vorrei che portasse grazia al mondo. Che portasse la bellezza e la serenità insieme, sì, la grazia ecco. C’è un nome che significa questo?”
Rumpelstilskin allargò la bocca in uno dei suoi famosi ghigni d’occasione, quelli che apparivano sul suo volto proprio un attimo prima di concludere un accordo estremamente vantaggioso. Questa volta, però, oltre alla soddisfazione personale di essere sempre un passo avanti a qualsiasi altro essere vivente, sperimentò anche una nuova sensazione, contentezza per essere riuscito ad aiutare un….un amico.
“Esiste indubbiamente” rispose quindi enigmatico, con il ghigno sempre stampato in viso.
“E sentiamo, quanto costa?”
“Costo?” Rumpel esclamò fingendosi quasi offeso dall’insinuazione.
“Ogni cosa ha un prezzo con te Rumpelstilskin”
“è vero, ma non dovrebbero mai essere i bambini a pagarlo. Consideralo come un…regalo per la nascita ecco. Il nome che stai cercando è Grace. Un nome che porta con sé grazia, bellezza, serenità, e tutte le belle qualità che vuoi affibbiare all’innocente frugoletta” concluse con una smorfia.
Jefferson lo guardò colpito. Era effettivamente ciò che stava cercando, Grace era così…così perfetto, Alice l’avrebbe senz’altro adorato.
“Grazie, era proprio quello che volevo”
“Ho fatto una missione di vita dell’accontentare al meglio i desideri della gente”
“Quasi filantropia”
“In mezzo agli altri hobbies”
Jefferson sorrise all’affermazione. Sapeva bene che l’uomo (uomo? Folletto? Creatura?) accanto a lui era quanto di più lontano da un filantropo si potesse immaginare; aveva sempre preferito tenersi fuori dai suoi loschi affari, seguendo la filosofia, un poco ipocrita a dire il vero, del “meno so, meno sensi di colpa mi tormenteranno di notte”, ma in un modo o nell’altro le voci che giravano sull’Oscuro erano giunte anche alle sue, sorde fino ad un certo limite, orecchie. Nonostante sapesse quindi ben più di quanto avrebbe voluto sulle azioni moralmente discutibili del suo vicino di poltrona, il Cappellaio non poteva fare a meno di pensare, di tanto in tanto, che ci fosse qualcosa di più in Rumpelstilskin di quanto un primo sguardo e un giudizio affrettato potessero cogliere. Aveva come la sensazione che tutte le sue scene, tutti i suoi comportamenti tendessero ad uno scopo superiore, che i suoi atteggiamenti riprovevoli non fossero fini a sé stessi: insomma percepiva qualcosa, come un disegno dietro la maschera di atteggiamenti costruiti che il folletto mostrava all’esterno. Non poteva fare a meno di chiedersi, di quando in quando, se avesse mai amato qualcuno, e spesso, ultimamente, tendeva a rispondersi di sì. Certo, erano solo sue sensazioni, ma in fondo la vita è un susseguirsi di sensazioni,no?
Perso nelle sue riflessioni Jefferson non si era accorto che il suo ospite si era alzato e stava girovagando inquieto per l’immenso salone.
D’un tratto Rumpelstilskin pronunciò una frase in modo talmente netto e solenne che il cappellaio non osò controbattere o rispondere. Annuì semplicemente e rimase a domandarsi perché mai l’oscuro avesse avuto bisogno di pronunciare quelle parole.
Le parole furono precisamente: “non si abbandonano i figli, mai. Per nessuna circostanza, per nessun motivo. Neppure se lo si fa per il loro bene, neppure se sembra esserci una motivazione morale dietro. Non si abbandonano i figli, devi capirlo bene, ora che stai per diventare padre”.
Poi Rumpelstilskin si voltò e Jefferson si accorse che stava rigirando tra le mani una vecchia sciarpa ingiallita, logora e lisa.
“Cosa ha a che fare quello sciallo con l’essere padre?”
“Assolutamente nulla. Una semplice associazione di idee…”
Rumpelstilskin posò lo scialle rapidamente, si riscosse e tornò a sedersi accanto al cappellaio, il ghigno divertito e scaltro nuovamente dipinto sul viso.
Jefferson infine si alzò, posò il bicchiere e guardò il folletto dritto negli occhi, cercando le parole giuste per rispondere, ma il silenzio li avvolse nuovamente.
A romperlo fu uno dei soliti ironici commenti del signore oscuro
 “Beh dearie, a questo punto credo proprio che dovresti andare, la tua adorata mogliettina si starà chiedendo dove tu sia finito…vorrà senz’altro festeggiare la bella notizia” ghignò malizioso.
“Immagino che stia dando la comunicazione a tutto il villaggio, come suo solito, ma hai ragione, dovrei proprio andare” Jefferson ignorò volutamente le provocazioni non troppo velate.
Il cappellaio era già quasi alla porta quando si fermò e lentamente si girò verso il suo vecchio amico.
“Grazie Rumpelstilskin. So che non è facile per te aprirti, quindi ti dico solo grazie, non dimenticherò le tue parole, lo giuro”
Rumpelstilskin annuì serio e lo guardò poi allontanarsi, con la triste consapevolezza che invece Jefferson avrebbe dimenticato quel prezioso consiglio.
E non sapeva perché, ma questo pensiero gli appesantiva il cuore, anche se, al tempo stesso, lo faceva sentire meno solo.
 
 
 
 
 
 
 
La campanella tintinnò e Gold levò lo sguardo dall’antica macchina da scrivere che stava riparando con cura certosina per lanciare uno sguardo inquisitore al nuovo arrivato.
“Mr Hatter, cosa la porta nel mio umile negozio?” calcò la sua finta modestia volutamente.
“Dacci un taglio Rumpelstilskin, io ricordo”
Gold lo guardò con malcelato stupore, era la seconda volta che quell’uomo lo prendeva in contropiede.
“Non lo sapevo” ammise infine sconfitto “come è possibile?”
“Non lo so neppure io, immagino dipenda dal fatto che quando la maledizione è stata scagliata mi trovavo in Wonderland”
Il proprietario del negozio di rarità annuì silenzioso, capendo probabilmente più di quanto avrebbe mai dichiarato.
“Sei venuto per cercare il tuo miracoloso cappello? Mi dispiace informarti che purtroppo non è più in mio possesso” allegò all’affermazione una smorfia che ricordava tanto il Rumpelstilskin del mondo delle fiabe.
“Non è per questo che sono qui” Jefferson distolse lo sguardo.
Gold non voleva fare domande, ma la curiosità, una sensazione a lui tendenzialmente estranea, stava prendendo campo dentro di lui.
“Sono qui per chiederti come si fa”
“Come si fa a fare cosa, dearie?” stavolta Gold non riuscì a trattenere la domanda.
“A vivere con sé stessi, dopo aver abbandonato il proprio figlio”
La durezza di quelle parole colpì Gold in pieno petto, come una coltellata.
“Non si può. Si passa la vita a rimpiangere un singolo istante, e questo può farti uscire di testa, ma di certo lo sai meglio di me” non c’era ironia, ma solo amarezza in quella constatazione.
“Ci deve essere un modo per tornare indietro, per rimediare all’errore”
“C’è e si chiama perdono. Dobbiamo sperare che non sia solo una bella invenzione delle fate turchine, ma che esista davvero. O le nostre vite non hanno più un vero senso”
Jefferson annuì guardandolo dritto negli occhi.
“Prima del perdono deve esserci il ricordo però. E questa tanto attesa Salvatrice non sembra troppo incline a credere”
“Lo sarà, sai che pianifico sempre tutto alla perfezione”
Jefferson annuì di nuovo, ma con poca convinzione, e Gold seppe che ci avrebbe messo il suo zampino nella vicenda.
Poi, l’ironia ritrovata, Jefferson sorrise di sbieco e commentò.
“Affidarsi alle fate turchine, è così poco Signore Oscuro.”
“L’amore per i figli ci porta nei luoghi più impensati, ma credimi, non andrò da Nova a confidarmi piangendo” ghignò Gold
“Credo che eviterò anch’io”
I due si guardarono negli occhi, come nel migliore dei déja-vu.
“Spero davvero che tu ritrovi tuo figlio Rumpelstilskin, per quanto orribili siano state le tue gesta, nessuno merita un destino così.”
“E per quanto orribili siano i tuoi cappelli, neanche tu lo meriti, Hatter”
“Buona fortuna dunque”
“Buona fortuna”
Tolse il braccio dal bancone a cui si era appoggiato, lanciò un ultimo sguardo a quell’uomo il cui cuore era tormentato dallo stesso peso che tormentava il suo e poi si allontanò in fretta verso la porta.
Mentre la campanella risuonava per il colpo secco di Jefferson, Gold provò per la seconda volta una sensazione agrodolce, come molti anni prima.
Dolore per aver ricordato il suo più terribile sbaglio, sollievo per avere un amico al proprio fianco in questa lotta.
 
 
 
 
 
 
 
 
NOTE: Ho sempre pensato che tra Jefferson  e Rumpel ci fosse almeno un po’ di stima reciproca e ho adorato le loro scene insieme nella 2X05, in più è Jefferson che ha liberato Belle, così…mi sono immaginata queste (improbabili) situazioni. Spero non risultino troppo assurde e i personaggi non troppo OOC!
Le recensioni sono ipergradite, come sempre :) 
  
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