Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
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Autore: _Carol    23/10/2013    0 recensioni
È buio. Dove gli altri vedono gioia e serenità, io vedo distruzione e morte. Respiro. Ma non vivo. Non più. Sono morto. Io, sono la Morte.
Il mio nome è Gabriel.
Genere: Song-fic, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Gab sistema meglio quei tovaglioli, stanno per arrivare!- mia madre, peggio di un generale, impartiva ordini a destra e a manca.
-Rosalie, lascialo stare, è già tutto perfetto così.- mentre mio padre, al solito, rimaneva seduto sulla sua poltrona a leggere il giornale, del tutto rilassato.
Nemmeno ebbe finito di parlare, suonò la porta.
-Eccoli! Gab, tesoro, apri tu la porta?-
-Ma…- non trovai nemmeno una scusa plausibile per declinare l’incarico datomi da quella vipera di mia madre che mi ritrovai a compiere quel gesto che ogni essere umano compie quando si trova di fronte ad una porta: aprirla.
Entrarono in casa, la quale era “addobbata” quasi come se nel mio salone si stesse per fare il rinfresco di un matrimonio, o quasi.
Fiori al centro della tavola, candele, un profumo diverso per ogni metro quadro, tutto era abbinato, il che era alquanto irritante.
Il genere di organizzazione tipico di mia madre.
-Gab!- e quanto era odiosa quando mi chiamava in quel modo…e dire che ancora non si è levata questo vizio.
-Si, madre?-
-Non comportarti da maleducato, la cena non è ancora pronta, intrattieni la nostra giovane ospite.- di nascosto agli altri mi fece l’occhiolino.
Per risposta le feci segno di sgozzarla. Anche se era strano che su una cosa andassimo d’accordo.
-A-ehm, Lucy?-
-Si…Gab?- rise, l’aveva fatto apposta.
-Vieni, ti faccio vedere camera mia.-
Feci strada e senza esitare mi seguì, aprii la porta ed una volta dentro non sapevo che dire, come comportarmi. Allora fece tutto lei, un passo dietro l’altro, si guardava intorno come se non avesse visto mai poster, CD, o cose di questo genere. Poi il suo sguardo si posò sulla Les Paul.
-Suoni?-
-Si, qualcosa, ogni tanto.-
-Mi fai sentire?-
Era assurdo come con quel suo viso angelico riuscisse ad essere così sicura di se stessa.
Ed era così strano come senza batter ciglio io facevo ciò che lei mi diceva. Presi in mano la chitarra, mi sedetti ad un angolo del letto e, sistemato per bene lo strumento, accesi l’amplificatore e cominciai ad eseguire qualche nota, giusto per prendere confidenza con la mia chitarra.
Si sedette accanto a me, lasciando uno spazio di pochi centimetri, fissava le mie mani, di solito agili su quelle corde, che sudavano come non mai. A parer mio risultavo addirittura goffo, io, che su quelle sei corde ci ero cresciuto, da quando mio padre mi aveva regalato anni prima per natale la mia prima chitarra acustica, piccola, o almeno la misura adatta a me.
-Sei bravo!- esordì ad un certo punto. E poi continuò –Studi da tanto?-
-Grazie, beh da un po’…-
Improvvisamente calò il più totale silenzio, spezzato solamente da voci e rumori vari ovattati che provenivano dal piano di sotto.
Dapprima senza accorgermene mi persi nei suoi occhi, non fissavo altro che quelli, probabilmente con un’aria da ebete, più del solito almeno.
Quando me ne resi conto, abbassai di colpo lo sguardo, arrossendo visibilmente, mi sentivo bruciare dalla base del collo fino alla punta delle orecchie e su tutto il viso.
Rimasi per qualche minuto a seguire le particolari ondeggiature del parquet, finché Lei non poggiò un dito sotto il mio mento e mi sollevò il viso, all’altezza del suo, anche Lei cominciò a fissare, quasi come se li studiasse, i miei occhi.
-Ma…sono viola…- disse ancora interessata.
-Ehm…si…- mi sentii ancora più strano del solito.
-Sono bellissimi!- rispose mentre le si illuminava il viso.
-Ragazziii?! È pronta la cena, scendete?- mia madre, ogni scusa era buona per rovinarmi la vita.
-Arriviamo!- rispose pronta ed allo stesso tempo educatamente Lucy.
In pochi attimi staccò i suoi occhi dai miei, ritrasse la mano e si alzò dal letto, fu così armoniosa che il tutto sembrò un unico gesto così grazioso che non potei fare a meno di seguirla con lo sguardo, fino alla porta e all’inizio delle scale, poi sparì giù e senza degnarmi di uno sguardo.
Riacquisite le capacità intellettive, mi alzai anch’io, sistemai la chitarra al suo posto, spensi la luce e raggiunsi l’allegra combriccola.
Tutto faceva tanto scena da film, le due famiglie allegre, ogni minimo, curato dettaglio al suo posto, la discussione quasi per niente banale, il cane all’angolo dell’inquadratura, ma soprattutto Lei, la bellissima protagonista.
  
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