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Autore: Jade Lee    26/10/2013    0 recensioni
Alieni a Londra, viaggi nel tempo, gite nello spazio...
Nulla di nuovo o di strano per il Dottore.
Cosa ne pensa a proposito il Dottor Watson, però?
Dopo la morte di Sherlock Holmes, tanto, nulla pare più avere senso, per lui.
" [...] Certo che sei davvero strano...-
A quel punto, John salta in piedi come una molla, sollevando le braccia al cielo in un gesto esasperato.
- IO? Io sono quello strano, secondo te? - sbotta, al limite della sopportazione.
- Non mi credi, però mi ascolti. Vuoi delle risposte e potresti estorcermele puntandomi addosso quella pistola - il Dottore accenna col capo in direzione dell’arma abbandonata tra i cuscini del divano - eppure preferisci parlarmi. Sì, per gli standard di un normale essere umano sei piuttosto strano, John Watson -"
Genere: Avventura, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Sherlock Holmes
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Eccoci alla seconda e, per ora, ultima parte. Volevo rendere la storia più lunga, ma così mi sembra di chiudere meglio il cerchio.
La mia mente pullula di nuove avventure per questa improbabile coppia che mi piace assai, quindi credo seriamente che al più presto riprenderò a scrivere di loro!

Voglio ringraziare chi ha recensito, preferito, seguito o anche solo letto questa breve storia, sperando che vi sia piaciuta quasi quanto mi sono divertita io a scriverla ^-^

Buona Lettura!


P.S.: Mi auguro che la mancanza di un Beta non abbia infierito troppo sulla correttezza della FF <-< nel caso notaste e(o)rrori, sentitevi liberi di segnalarmeli. A forza di rileggerla, le cose poi sfuggono!


Don't Mess With Doctor Watson

 
- Allora, chi è? - domanda il Dottore, interrompendo il silenzio che si è creato dal momento in cui sono usciti dal 221 B di Baker Street.
John, completamente perso nei suoi pensieri da allora, si riscuote bruscamente, sollevando poi lo sguardo alla ricerca del profilo dell'altro uomo, come a volersi accertare che effettivamente sia stato proprio lui a parlare.
 
- Chi è chi? - vorrebbe davvero darsi un tono per non apparire così stupido di fronte al Dottore, ma sente di aver fallito miseramente. Il suo cervello è attanagliato da un sentimento che John riconosce come senso di colpa. Nonostante il tempo trascorso dalla morte del detective, John si sente turbato all'idea di seguire un altro uomo alla ricerca dell'adrenalina di cui il suo corpo ha bisogno. Di cui il suo animo si nutre come una droga. E' sciocco: Sherlock è morto e innegabilmente anche John ha smesso di vivere con lui, per questi tre lunghi anni dalla sua scomparsa.
Ha smesso di vivere mentre era ancora in vita. La logica dunque dovrebbe portarlo a supporre che la comparsa del Dottore possa essere un balsamo curativo per il suo animo ferito. Invece... Invece quel senso di colpa non sfuma, non se ne va.
Si sente un traditore.
 
L'immagine della ragazzina tanto somigliante al consulente investigativo, poi, gli ronza insistentemente per la testa, rimbalzando qua e là nella scatola cranica come una pallina del flipper incastonata tra due pistoni. La sua debolezza e il suo desiderio di riavere Sherlock lo sta davvero portando alla consunzione al punto da fargli rischiare la vita contro... un alieno?
Sì, realizza con sgomento. La risposta è sì.
 
Dal canto suo, il Dottore se ne sta buono con le mani in tasca. Conosce benissimo l'effetto che scatena sulle persone quando le coinvolge nella sua vita sfrenata e senza regole, neppure quelle basilari dettate dallo Spazio e dal Tempo. L'uomo al suo fianco - John Watson - emana calore umano solo a guardarlo. E' una di quelle persone che trasmettono istintivamente fiducia e protezione. Il Dottore sta cercando di inquadrarlo da quando s'è svegliato ammanettato al pavimento.
Portamento impeccabile, mani ferme e precise, occhi scavati da tristezza e stanchezza. Quest'ultimo particolare l'ha colpito profondamente. Non ha occasione di scontrarsi spesso con uno specchio - non li ama particolarmente - ma è sicuro che è ciò che incontrerebbe anche guardando a fondo nei suoi. Vivere a lungo è un sogno proibito che molte creature accarezzano con bramosia e feroce desiderio. Di fronte alla prospettiva della morte pare così allettante! Eppure, dopo aver visto i suoi più cari amici morire, indifferentemente per mano del tempo o di un destino crudele, e aver provato la gelida sensazione dell'abbandono, il Dottore sente sempre di più il peso dei secoli sulle sue spalle. Si è spesso accorto di essere più riflessivo, più introverso, più cupo, meno incline a godersi le piccole meraviglie che l'Universo, nonostante le sue enormi conoscenze, ancora gli regala nei momenti meno attesi. John, con la sua tristezza carica d'orgoglio, pare proprio celare qualcosa di speciale.
 
Ecco perché il Dottore non gli mette fretta, nonostante una certa voglia di conoscere almeno qualcuno dei pensieri che si susseguono scarmigliati nella mente di John. Quando riprende a parlare, lo fa in tono premuroso e sinceramente interessato.
- La ragazza. Insomma, l'immagine che hai accolto in casa. Loro assorbono e si ispirano ai ricordi. Chi ti ricorda? -
 
John si ferma, sprofondando le mani nelle tasche del giubbotto. Lui non ha mai parlato a nessuno del suo lutto, non si è mai sfogato. Con chi, poi? Sherlock è diventato immediatamente il centro del suo universo, quando è tornato dall'Afghanistan ferito fisicamente e psicologicamente. John ha escluso il resto dalla sua vita, aggrappandosi a quella fonte inesauribile di sorprese che il consulente investigativo rappresentava. Salvo poi ritrovarsi con il nulla attorno a seguito della Caduta. Prima non ci aveva mai pensato; dopo si è maledetto spesso per quell'incuria.
 
Il Dottore non rappresenta nulla nella sua vita: è un incontro casuale che probabilmente non si ripeterà. Uno svago di qualche ora prima di riprecipitare nel vuoto.
Nulla di male, dunque, nello sfogarsi, giusto? In fondo non è più facile con uno sconosciuto?
 
- E' una sorta di immagine femminile del mio migliore amico. Lui... è stato ucciso, circa tre anni fa. -
Incredibilmente la sua voce non si spezza, le mani non tremano. E' libero di raccontare la sua verità. Perché John non ha mai dubitato di Sherlock e sa che a ucciderlo è stato Moriarty. Non materialmente, certo. Ma quel subdolo manipolatore è la vera causa della sua perdita. Morto con lui, su quel maledetto tetto, poco prima che Sherlock allargasse le braccia come a voler accogliere il cielo e si lanciasse sull'asfalto caldo. Dopo aver lasciato il suo "biglietto" a un impotente John, costretto ad assistere a quell'orrido spettacolo.
In prima fila per la distruzione del suo cuore.
 
Il Dottore annuisce lentamente, fermandosi a sua volta. Segue il profilo di un palazzo davanti a loro con espressione pensierosa. Sulla fronte corrugata si formano lievi fossette. Se l'aliena avesse seguito lui, che aspetto avrebbe assunto l'immagine? Capelli biondi e dolcissimi occhi scuri, molto probabilmente.
- Anche io ho perso qualcuno di molto importante, poco tempo fa. La mia compagna di viaggio, Rose. Lei è... - si interrompe, incapace di trovare le parole adatte a descrivere la situazione nel modo più chiaro possibile. Sospira.
 
John lo guarda dritto negli occhi, rivelando con quel semplice gesto allo sguardo attento del Dottore tutto il dolore che porta schiacciato con insistenza dietro le sue iridi color oceano. Il Dottore sente, in quel preciso istante, di essere davvero compreso fino in fondo.
 
Finché quell'atmosfera carica di ricordi si spezza all'improvviso. Un urlo strozzato porta entrambi a voltarsi in direzione di un vicolo poco distante. Il Dottore estrae il cacciavite sonico e cerca ancora lo sguardo di John, ora acceso di febbrile entusiasmo. Proprio ciò che si aspettava! Ben lieto di lasciarsi contagiare, si apre in un sorriso soddisfatto - o psicopatico, a seconda dei punti di vista - prima di partire di corsa verso la fonte del rumore. John scatta con lui in perfetta sintonia, in un tacito accordo costituitosi immediatamente e segretamente tra loro.
 
**
 
Il vicolo in cui si infilano è simile in tutto e per tutto a quelli che appaiono nei film dell'orrore ambientati in città, dove i malcapitati protagonisti si infilano per sfuggire all'assassino che li segue implacabile. In realtà, a John ricorda anche quello in cui hanno svoltato lui e Sherlock quando, ammanettati, scappavano dalla polizia in quello che pare ormai un passato remotissimo e indistinto. Ma non è questo il punto e il dottor Watson preferisce impedire alla sua mente di divagare, in un momento come quello.
 
Un uomo giace steso a terra, coi lineamenti distorti da un'angosciosa espressione di terrore. John, sconvolto, si lancia rapidamente nella sua direzione, inginocchiandosi al suo fianco per afferrarne il polso abbandonato al suolo. Sa che è morto ancor prima di farlo, ma la sua mente ha bisogno di un ulteriore accertamento per riuscire a capacitarsene. La pelle al tatto è febbricitante, fatto assolutamente inusuale per una persona appena deceduta. Il corpo di John getta ombra sul cadavere, dunque si sposta appena per poter favorire della lieve illuminazione pubblica che filtra dalla strada principale. Sull'avambraccio si ramificano lunghe volute rossastre, che John segue con le dita in tutta la loro lunghezza. Non è un tatuaggio, questo è sicuro; resta il fatto che non ha mai visto nulla del genere in tutta la sua lunga esperienza medica.
 
Il Dottore, intanto, svolazza lì attorno, accompagnato dal penetrante suono del suo misterioso attrezzino. Sta passando in rassegna i muri di mattoni e la pavimentazione sconnessa della stradina, nel tentativo di individuare la direzione presa dalla misteriosa visitatrice inviata sulla Terra in avanscoperta. Solitamente i Laruth non si dimostrano così aggressivi nei confronti degli indigeni del pianeta che esplorano - sono perlopiù dei curiosi, dei viaggiatori - eppure questo ha già ucciso un uomo innocente, dopo aver tentato di fare lo stesso con John. Il Dottore lancia uno sguardo al poveraccio riverso a terra e poi a John che ne sta sorreggendo il braccio, perso nelle sue analisi.
 
Per un lungo attimo, si sente in colpa per non essere riuscito ad impedirlo. Il Laruth deve essere semplicemente spaventato, dopo la sua brusca apparizione nell'appartamento di Watson. Il Dottore ha intenzione di trovarlo al più presto per tentare di parlargli e tranquillizzarlo. Se raggiungessero un accordo, potrebbe rispedirlo sul suo pianeta senza creare ulteriori problemi. Nè gli Umani nè i Laruth ne dovranno uscire danneggiati, se possibile.
 
John continua ad esaminare il corpo esanime, constatando di non aver perso l'abitudine alla ricerca dei dettagli più inquietanti.
- E' morto poco meno di dieci minuti fa, lo abbiamo sentito gridare... Eppure il suo corpo è già in completo stato di rigor mortis. - Solleva il braccio un po' di più, di modo che anche il Dottore possa vederlo chiaramente. - Presenta inoltre questi strani disegni sulle braccia, chiaramente non tatuaggi. Sembrano quasi sottocutanei, se solo la cosa non fosse completamente impossibile. Non c'è alcun rilievo sulla cute che lasci intendere un'incisione, però. L'epidermide è intatta e... bollente. Cristo, questo sì che è impossibile! Più delle tue storie di alieni e navi spaziali... -
 
Il Dottore si volta interessato nella sua direzione, squadrandolo attentamente da testa a piedi. John si sente come un topo da laboratorio sventrato sul tavolo e studiato con attenzione da uno scienziato occhialuto dotato di pinzette. La sensazione, però, non gli dispiace poi così tanto, nello stesso modo in cui gli risulta vagamente famigliare. Sherlock lo premiava sempre con una brevissima occhiata compiaciuta, ogni qual volta si prodigava in un'osservazione profonda in grado di colpirlo.
 
In questo aspetto, il Dottore sembra molto più disponibile di Sherlock. Annuisce con un gran sorriso sulle labbra prima di commentare con un: - Fantastico! Ottimo spirito d'osservazione! - che lascia John spiazzato e al contempo soddisfatto. Non nello stesso modo in cui lo facevano i rarissimi apprezzamenti di Sherlock, ovvio. Però beh, può andare. E' gratificante lo stesso.
 
Il Dottore s'avvicina a sua volta all'uomo, piegandosi sulle ginocchia per esaminare meglio il braccio. Lo tira nella sua direzione, andando ad analizzarlo col cacciavite dal rumorino delizioso. Il movimento provoca una rotazione del capo del morto, permettendo a John di individuare un nuovo dettaglio.
 
- Guarda, manca un pezzo del padiglione auricolare. - La ferita è netta e cicatrizzata, eppure qualcosa porta John a credere che sia assolutamente recente.
 
Il Dottore alza la testa di scatto, occhieggiando ciò che John gli ha descritto.
 
Poi sgrana gli occhi, una strana consapevolezza che si fa strada in lui.
 
- Meglio andare! - dice allarmato, scattando rapidamente in piedi. John, ancora accovacciato, lo guarda dal basso verso l'alto senza capire.
 
- VIA! - urla allora il Dottore, indicando con un ampio gesto del braccio la fine del vicolo, culminante nella parallela della via dalla quale sono giunti John e il Dottore.
 
John a quel segnale violento scatta, come un corridore al fischio dell'arbitro. Anche questo, cosidera una parte remota del suo cervello pervaso dagli stimoli dell'adrenalina, dev'essere un provvidenziale rimasuglio del suo rigido addestramento militare.
 
Fanno appena in tempo ad uscire dal vicolo e lanciarsi nel bel mezzo della strada, fortunatamente chiusa per lavori e sgombra dal traffico, prima di essere investiti dall'onda d'urto della potente esplosione divampata alle loro spalle. Vengono entrambi sollevati dal suolo e lanciati un paio di metri più avanti, con le orecchie popolate da rombi infernali e gli occhi inumiditi dalle lacrime causate dal calore delle fiamme. John tossisce e rotola sul fianco, lasciandosi sfuggire un gemito quando preme sulla spalla ferita. Volta appena la testa verso il Dottore, trovandolo seduto per terra a gambe larghe con stampata sul volto la classica espressione da "bambino impressionato dalle gesta del padre". Davvero da psicopatico, pensa stancamente, abbandonandosi per un attimo al suolo col respiro pesante. Perché toccano tutti a lui? Ok, sì, Sherlock non era psicopatico, ma sociopatico iperattivo. La sostanza non cambia di fronte a certi eventi: il detective gongolava di fronte a brutali ed efferati omicidi, il Dottore gongola di fronte all'esplosione del vicolo in cui fino a due secondi prima stavano esaminando il cadavere di un uomo ucciso da un alieno. Fantastico, no?
 
Una mano lo scuote delicatamente dal suo improvviso stato di torpore. Il Dottore si accerta che non sia ferito - non lo è, si sente solo un po' scosso - prima di dirgli qualcosa che suona tanto come un "so da che parte è andato". Le orecchie ancora gli fischiano, non è in grado di cogliere perfettamente le parole. Si alza, forzando i muscoli delle gambe che non hanno la minima intenzione di reggerlo. E' davvero fuori allenamento! Al contrario, il Dottore pare aver già recuperato ogni energia. Parte di corsa nella direzione di Regent's Park senza ulteriori esitazioni e John si trova nuovamente dietro di lui, trascinato inesorabilmente dagli eventi.
 
**
 
Il Parco è deserto. Persino Londra offre momenti di solitudine e conforto, in certe ore della giornata. Il cielo è sereno, di un bel blu scuro che lascia indovinare la presenza di stelle ben visibili, cancellate ovviamente dalle luci intense della città. Peccato, si trova a pensare John, mentre si abbandona sulla prima panchina che vede. Ha il fiato corto, mentre il Dottore non dimostra neppure il minimo segno di fatica. Eppure non sembra molto più giovane di lui... Deve essere un tipo abituato alla corsa. Non lo perde d'occhio un attimo mentre riposa le sue membra stanche e doloranti. Lo conosce poco ma gli pare così svagato, in certi frangenti, da non sembrare in grado di guardarsi le spalle da solo. John è stato abituato a coprire i suoi compagni usciti in avanscoperta e ad assicurarsi che Sherlock non si facesse sparare dal primo criminale apparso al suo orizzonte, dunque mantiene alto il suo livello d'attenzione. Le orecchie non gli fischiano più, però non è sicuro di aver già recuperato del tutto l'udito.
 
La figura del Dottore scompare un secondo per poi riapparire sotto il cono di luce gettato da un lampione. Alto, con un lungo cappotto dall'orlo pronto ad accarezzare il terreno ogni qual volta si piega sulle ginocchia alla ricerca di tracce sul terreno. Niente colletto alzato, niente capelli ricci. Sono i piccoli dettagli che fanno la differenza, giusto? Questi sono sufficienti a torcergli lo stomaco e ricordargli nuovamente che no, non è con Sherlock. Le sensazioni sono più o meno le medesime, però manca quel plus che rendeva i casi dell'unico Consulente Investigativo al mondo così intriganti all'occhio del suo Blogger. Manca lui, col suo carattere spigoloso pieno di inaspettati punti di luce. E ancora senso di colpa.
 
Come materializzato dal peggiore dei suoi incubi - o dal migliore dei suoi sogni - Sherlock Holmes appare ai margini del suo campo visivo, appena illuminato dalla tenue luminescenza di un'insegna pubblicitaria posta vicino ai cancelli del parco. John salta in piedi nel momento preciso in cui il Dottore si volta a guardare il nuovo arrivato. Mentre il primo è letteralmente terrorizzato e ridotto ad una poltiglia di sentimenti inutilizzabili dalla sua mente in tilt, il secondo si fa avanti, sfoggiando un'aria seria e solenne.
 
- Finalmente ci rivediamo! - esordisce, invitando John a rimanere indietro con un cenno della mano. John non ha comunque la minima intenzione di avvicinarsi a quella visione contraria ad ogni buon senso. Fissa senza fiato gli occhi vuoti eppur vivi dell'immagine del suo migliore amico, squarciato da un acutissimo dolore.
 
L'immagine non proferisce parola né si muove per alcuni istanti, salvo poi puntare la sua attenzione su John e allungare un braccio nella sua direzione, in un tacito invito ad avvicinarsi.
John non si muove, pietrificato in maniera quasi letterale. Stringe i pugni in modo così convulso da conficcarsi le unghie nel palmo della mano e non accorgersene neppure. Le nocche sono bianche dallo sforzo.
L'immagine, allora, pensa bene di gracchiare qualcosa in una lingua stramba con una voce totalmente inadatta alle fattezze di Sherlock, cozzando violentemente con i ricordi che John ha di quella profonda e baritonale del detective.
L'alieno non ha la minima idea della reazione a catena che ha innestato, ingenuo come un bimbo che punzecchia un alveare col bastone perché reputa le api che ci bazzicano attorno "così carine!"
 
John strabuzza gli occhi, sconvolto da un tale affronto. Uno stupido alieno venuto da chissà quale fottutissimo buco nell'Universo si sta deliberatamente prendendo gioco di lui e dei suoi ricordi, infilando un dito ricoperto di sale nelle sue piaghe non ancora sanate! Una cieca furia si impadronisce di lui, facendogli bollire il sangue e pizzicare le dita. Oh, quanto vorrebbe la sua pistola! Perché ha dato retta al Dottore e l'ha abbandonata a casa? Nulla, però, gli impedisce di risolvere la faccenda alla buona e vecchia maniera.
 
I Laruth assumono la forma di un amato ricordo della vittima prescelta per ricevere da questa ospitalità e amore, di modo da infilarsi subdolamente nella sua casa e, in caso di bisogno, nutrirsi del suo corpo senza scrupolo alcuno. Il loro pianeta d'origine, così ostile e aspro, li educa ben presto alla sottile e subdola arte del sopravvivere ad ogni costo. L'ultima cosa che l'extraterrestre si aspetta, dunque, è di venire investito dal travolgente uragano di rabbia in cui si è trasformato il buon Capitano John Watson, medico di formazione militare, rinomato per la sua pazienza e abilità professionale.
Stuzzicato nel profondo e colpito nel suo dolore, John è balzato in avanti, sorprendendo persino il Dottore. I ricordi sono improvvisamente debordati dalla diga in cui li ha rinchiusi per questi due anni e quasi nove mesi, inondandolo con la forza di un fiume in piena. Di fronte al falso volto di Sherlock, non esita a colpire il maledetto impostore dritto sul naso la prima volta con la destra, accompagnando poi con una mezza rotazione del busto un secondo pugno con la mancina, preciso sui denti.
La prima e unica volta in cui ha colpito il vero Sherlock, poco distante dall'abitazione di Irene Adler, John ha lasciato una lieve ecchimosi a pochi millimetri dallo zigomo del detective, evitando con cura quei due punti così sensibili del viso del suo amico.
La Donna ha rimarcato il fatto come palese segno d'amore.
 
Ebbene sì. John può amare Sherlock di un sentimento inspiegabile, con ogni fibra del suo essere, a tal punto da non riuscire a levarselo dalla testa e a farsi una ragione della sua scomparsa. A tal punto da sentirsi in colpa ogni volta che prova il desiderio fare qualcosa senza averlo al suo fianco. A tal punto da sentirsi uno sporco traditore nel vivere un'incredibile avventura ai limiti del paranormale con un misterioso individuo che conosce semplicemente come il Dottore.
Ma John non ama affatto chi si prende gioco del suo grandissimo sentimento, come la malefica creatura che si nasconde dietro un aspetto non suo.
 
Il volto del finto Sherlock, scolpito da un'espressione di genuina sorpresa, prende a screpolarsi davanti a lui, percorso da crepe che vanno via via allungandosi.
Si sbriciola come una maschera di porcellana che si abbatte al suolo, svanendo e lasciando il posto ad una sagoma lattiginosa dalle lunga braccia nodose e la testa calva, su cui spiccano due occhi intelligenti e vigili.
John indietreggia istintivamente di un passo, ancora sconvolto e incapace di elaborare l'accaduto, senza distogliere lo sguardo da quella creatura tanto inconcepibile che lo scruta. Il Dottore lo affianca, ma il Laruth non lo degna della sua attenzione, troppo concentrato sulla vittima che lo ha sconfitto.
Poi, all'improvviso, scompare nel nulla.
 
Il Dottore sorride, poggiando una mano sulla spalla di John.
- Complimenti, John Watson. Sembra che tu non abbia bisogno del mio aiuto per risolvere certi problemi diplomatici con creature provenienti da un altro pianeta! -
 
John non risponde, con lo sguardo ancora fisso davanti a sé.
Ora che l'adrenalina lo sta abbandonando, percepisce chiaramente di tremare.
 
**
 
Il ritorno a Baker Street è silenzioso. John sta ancora sbollendo tensione e adrenalina, accorgendosi di quanto il suo corpo abbia rallentato certi processi durante il lungo periodo di letargo seguito alla morte di Sherlock. E' sicuro che non riuscirà a dormire per almeno un paio di notti. Domani mattina Sarah lo scruterà con piglio critico, analizzando con disapprovazione le sue occhiaie più scure del solito.
Il Dottore, dal suo canto, cammina al suo fianco con le mani affondate in tasca e lo sguardo allegro di chi ha risolto un problema in modo semplice e rapido. Gli è piaciuto il piglio deciso con cui John ha affrontato i suoi fantasmi. Certo, un tantino brusco, però dannatamente efficace. E' certo che il Laruth non scorderà l'umano che l'ha colpito con tanta forza: sono creature sì orgogliose, ma assolutamente rispettose nei confronti di chi le sconfigge.
 
Il portone verde scuro del 221 B si fa sempre più vicino ad ogni passo, assieme alla sottile inquietudine che sta nascendo in John. Si ferma, seguendo con lo sguardo il Dottore. Il misterioso uomo procede ancora di tre o quattro passi prima di accorgersi che John è rimasto indietro. Si volta nella sua direzione, un'espressione interrogativa stampata in faccia.
 
- Dove andrai, adesso? - domanda a bruciapelo il dottor Watson, cercando di cogliere con estrema attenzione le reazioni dell'altro Dottore.
 
Il Dottore scrolla le spalle e si avvia in direzione di una cabina telefonica della Polizia blu.
Di quelle che erano diffuse negli anni '60 e oggi non ci sono più.
Quella cabina non gli risulta affatto famigliare. Non in quel punto di Baker Street, davanti a casa sua. John ne è più che certo. Insomma, ci passa davanti tutti i giorni!
Ormai però non bada più a certe stranezze assolutamente incongruenti, non dopo la serata appena trascorsa. Sarà soltanto l'ennesima bizzarria del Dottore.
 
-  La prossima destinazione è un'incognita anche per me. Non sarebbe divertente, altrimenti! - risponde il Dottore, infilando la chiave nella porta blu. La scosta producendo un lungo cigolio.
 
John annuisce con un gesto mesto del capo. Non è proprio bravo ad affrontare certi momenti. Le separazioni.
- Suppongo sia un addio, Dottore. -
 
Il Dottore alza la mano in un cenno di saluto. John abbozza un sorriso e si volta, lasciandosi alle spalle quella serata che ha tanto il sapore di un sogno.
Non fosse per le escoriazioni alle mani e i vestiti impolverati, assolutamente reali e tangibili, prove incontrovertibili a testimoniare l'accaduto.
 
- Ehi, John! - La voce allegra del Dottore lo coglie quando ha già il piede poggiato sul primo gradino davanti al portone d'ingresso. John si volta, spiazzato dal lampo cospiratorio che sprizza dalle iridi del Dottore. Sta tenendo aperta per metà la porta della cabina blu, accennando allo spiraglio con la testa. - Non vuoi dare un'occhiata? -
 
Stuzzicato dal tono del Dottore e dall'aria inusuale di quella cabina totalmente fuori contesto, John torna sul marciapiede, attraversandolo a passi lenti verso il limitare della strada, dove il Dottore lo attende. Gli rivolge uno sguardo carico di sospetto e dubbio, prima di decidersi a compiere un passo verso l'interno.
Il Dottore, poggiato col fianco al TARDIS, sorride divertito.
 
John esce una manciata di istanti dopo, con gli occhi sbarrati dalla sorpresa; dinnanzi a una tale scena, il Dottore non riesce ad impedirsi di scoppiare in una sonora risata.
- Dovresti vedere la tua faccia, John Watson! Sembra che tu abbia appena visto un'astronave aliena! -
 
John punta la cabina con l'indice della mano destra. Apre la bocca perché DEVE dire qualcosa. Difendersi dalle prese in giro, perlomeno! Al secondo suono inarticolato che gli abbandona le labbra, però, decide che forse è meglio lasciar perdere. Guarda il Dottore, come a volergli chiedere un implicito permesso, poi rientra, sentendosi come un bambino che ha appena scoperto una montagna di regali sotto l'albero di Natale. Stavolta il Dottore lo segue all'interno, chiudendosi la porta alle spalle.
 
- Allora, che ne pensi? - chiede ad un John Watson tutto intento a posare gli occhi qua e là, sovraccaricato di stimoli. - Questo è il mio carissimo TARDIS! - per rimarcare il tono affettuoso, rifila un'amichevole pacca alla consolle centrale che ha nel frattempo raggiunto.
 
- Credo sia lo cosa più incredibile che abbia mai visto! - commenta John, esaltato. Dopo una serata simile gli pare impossibile il riuscire a stupirsi ancora, e invece!
 
- Risposta esatta! - il Dottore prende a volteggiare qua e là, come una brava guida turistica fa per mostrare al suo seguito tutte le meraviglie del posto che stanno visitando. Poi si ferma, in posizione speculare a quella di John, osservandolo da oltre gli strani comandi sparsi un po' ovunque sotto forma di leve, monitor e invitanti bottoni rossi.
- Io viaggio da solo - esordisce il Dottore, tutto ad un tratto, attirando nuovamente su di sé l'attenzione di John. Nella frase vi è un grandissimo "ma" sottointeso che oscilla pericolosamente nella sua testa sotto forma di invitante tentazione. Smette persino di respirare, in attesa che il Dottore termini le sue osservazioni.
- Però anche tu lo sei, John Watson. Solo, intendo. Una persona come te non lo merita. -
Pausa.
John respira piano, giusto perché si tratta di una funzione vitale. Il battito accelerato del suo cuore non si placa comunque con la ripresa della normale ossigenazione.
- Che ne dici di un viaggio con me? Oltre i confini del tuo mondo e, se lo desideri, della tua Galassia! -
 
John s'appoggia al bancone di comando davanti a lui, giusto per non cadere. La prima, stupidissima frase che riesce ad elaborare è:
- Ma io lavoro, insomma, non posso piantare tutto e sparire così... -
 
Nessuna menzione alla sua vita, ai suoi affetti, al suo tempo libero. Il Dottore capisce immediatamente che il buon John Watson dev'essere infinitamente più solo di quanto avesse mai potuto pensare. Ecco perché s'avvicina per posargli una mano sulla spalla.
- Ma io non viaggio solo nello Spazio. Viaggio anche nel Tempo. - Glielo butta lì così, come se fosse una cosuccia da nulla, chinandosi appena un po' per sussurrarglielo come si fa tra bambini per condividere un segreto segretissimo. - Posso riportarti qui, in questa stessa sera del 16 Ottobre, quando lo desideri. - Poi arretra di un passo, per guardarlo meglio negli occhi. - Beh? Andiamo? -
 
A questo punto, John non ha più nulla da ribattere. Non cerca neanche più un motivo per ribattere.
- Andiamo! -
E questa è la sua scelta definitiva.
Il Dottore scatta alla consolle, pronto alla partenza.
 
"Chissà i commenti, se lo scrivessi sul blog!" è l'ultimo pensiero di John, prima di ritrovarsi costretto a sorreggersi per via degli sbalzi bruschi del TARDIS.
 
**
 
- Comunque... - puntualizza il Dottore con tono pignolo, sfoderando una faccina melodrammaticamente triste - la mancanza di un tuo commento sul fatto che il TARDIS sia più grande all'interno mi ha profondamente deluso, John Watson! Sappilo! -
 
Sono appena atterrati ( secondo il Dottore; John utilizzerebbe maggiormente il termine "schiantati", ma vabbé... ) e John è troppo carico di aspettative per prendersela. Ride invece, tanto, asciugandosi una piccola lacrima all'angolo esterno dell'occhio causata dal troppo divertimento.
- Mi è stato insegnato a non constatare l'ovvio, Dottore - ribatte, lasciando l’altro con un leggero broncio.
- Piuttosto, dove siamo finiti? -
 
Il Dottore indica l'uscita con un gesto della mano.
- Perché non vai a scoprirlo? - Nessuna traccia residua delle precedenti espressioni di esagerato disappunto, solo quel fremito sincero che prova quando può sorprendere ancora i suoi compagni di viaggio, nonostante tutto.
 
John si avvia deciso alla porticina blu, spalancandola con un cigolio.
Poi si affaccia su un mondo completamente nuovo.   
   
 
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