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Autore: Phantom13    30/10/2013    2 recensioni
Ocarina of Time, con alcuni vaghi riferimenti a Skyward Sword (Demise)
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Una fic dedicata al re della Sabbia e delle Tenebre, al terzo dei tre che deve vedersela con uno spicchio di quella Triforza che, sebbene considerata da tutti fonte di bene e prosperità, sembra condurre a nient'altro che dolore e sofferenza, specialmente per chi deve portarne in corpo una Parte e che deve per tale motivo fare i conti quel quel destino prescelto da altri, al quale si deve necessariamente rispondere e piegarsi al fine di seguirne i disegni, ovviamente incuranti della volontà del singolo.
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"L’aveva sempre saputo, in fondo, che la Triforza avrebbe vinto, che l’avrebbe costretto a diventare ciò che era stato scelto per essere."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Ganondorf
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ecco una fic che mi è balzata in testa dopo aver parlato con l'autrice MasterLink (alla quale va il merito di questa inaspettata one-shot ^.^).
Come sempre, prevale la mia ... ehm, insolita percezione del mondo di Zelda, quindi il lettore non si stupisca se troverà in questa fic concetti inusuali :)
Ma ora la smetto di cianciare e vi lascio alla lettura ^.^, con la speranza di lasciarvi un qualcosa di nuovo e con la promessa che, da parte mia, c'è stato il massimo impegno.

 


Sabbia, tenebra e altra sabbia ancora
 
Nel deserto Geld, sopra la sabbia d’oro e sotto al cielo di fuoco correva un ragazzo vestito di scuro. Ansimava, il poveretto, affannato dalla calura estrema di quelle terre bandite all’acqua e stremato dalla lunga corsa.
Sfrecciò davanti ad un’asta solitaria confitta a terra, con un lembo di stoffa viola ad ornarne la cima, lievemente smosso dal vento rovente. Alle spalle del giovane, non si intravvedeva neanche più il maestoso portone di legno che delimitava la fortezza Gerudo.
Correndo sulle dune friabili, con gli stivali che affondavano fino a metà altezza, il ragazzo, che al massimo dimostrava dodici anni, pareva quasi scappare. Da cosa, esattamente, lo sapeva soltanto lui (niente di fisico infatti lo stava inseguendo) poiché del suo popolo nessuno gli aveva mai posto domande. E come potevano quelle donne, sole donne, a permettersi di infastidire il loro legittimo sovrano con sciocche domande, inutili ai loro occhi, indispensabili a quelli del diretto interessato?
Il giovane sovrano sapeva che con quel suo gesto avventato –con quella fuga- avrebbe senz’altro fatto arrabbiare le sue due tate, le gemelle Twinrova. Era consapevole della lavata di capo che ne sarebbe seguita, ma rimanere per un altro minuto tra le spesse pareti di roccia della Fortezza per lui era impensabile.
Le occhiate che gli scagliavano tutte quante, la riverenza nel loro portamento, la venerazione nei loro gesti e la curiosità per l’unica persona là dentro a non appartenere al genere femminile. La loro paura.
Troppo da sopportare per un ragazzo tanto giovane. Pareva che tutti si aspettassero miracoli da lui, che trovassero in lui una sorta di messia quando in realtà, si sentiva un mostro.
La mano gli lanciò un’altra fitta di abbagliante dolore. Il ragazzo gridò, inarcando tutta la schiena. I suoi piedi inciamparono, facendolo finire con la faccia nella sabbia mentre il respiro gli si spezzava e la Triforza folgorava sul dorso della mano destra.
Ogni bagliore, era un dolore atroce. Il ragazzo chiuse forte gli occhi, raggomitolandosi su se stesso e stringendo la mano in questione con tutta la sua forza, come se stesse cercando di soffocare la gola di qualcuno. O qualcosa.
Di nuovo, come ogni volta, quella presenza ringhiò, scavando in lui, raspandogli sulle ossa e risalendo ancora un po’ più in su. Ormai, aveva già risalito quasi tutto il braccio, stava arrivando alla spalla.
Il respiro del ragazzo venne spezzato da un dolore più forte degli altri, mentre la presenza avanzava ancora un po’ dentro di lui. Due lacrime gli solcarono le guance, mentre i denti stridevano gli uni sugli altri.
La sabbia arroventata da un’intera giornata di sole gli stava praticamente cuocendo la pelle, ma lui non accennava ad alzarsi. La Triforza continuava a risplendere, con vaghi bagliori rossi.
Poi, con la stessa rapidità con cui tutto era iniziato, tutto finì. Lo Stemma Sacro si spense e il giovane erede Gerudo poté riprendere a respirare.
Non aveva mai parlato a nessuno del segno che pian piano si era disegnato sulla sua mano, né aveva mai menzionato quel qualcosa che sembrava pian piano prendere possesso del suo corpo, della sua anima e della sua mente.
Gli capitava, a volte, di sentire la sua voce e i suoi pensieri.
Il ragazzo deglutì con forza, ansimando, sempre sdraiato su quella terra infame, proprietà di ladri. E di un mostro.
Si sentì morire al sol pensiero. Qualcosa in lui gli suggeriva che contro quei Tre triangoli non c’era vittoria. Solo resa o sconfitta. In ogni caso, una perdita per lui che avrebbe significato perdere sé stesso.
C’era qualcosa, quando la Triforza si attivava, che lo spingeva verso … verso cosa non lo sapeva, ma sentiva come una sorta di catena, invisibile e impalpabile, che sempre più lo avvolgeva e lo trascinava, incanalandolo in una via prestabilita da altri.
Era come se, da quanto la Forza si era acceso in lui, un destino non suo stava prendendo violentemente possesso della sua persona e della sua vita, espropriandolo della propria volontà.
E ciò gli faceva paura.
Quella cosa lo stava cambiando. I suoi pensieri stavano cambiando, di tanto in tanto ne scovava uno che sapeva non appartenergli. Sentiva desideri che non aveva mai provato. Vedeva cose che i suoi occhi non avevano mai scorto. Voleva cose che mai gli erano interessate.
E quasi tutte riguardavano tenebre, sangue, potere e una certa persona vestita di verde.
Lentamente, con cautela, il ragazzo si rialzò, i granelli di sabbia attaccati ai vestiti. Distrattamente, si massaggiava con dita tremanti la mano traditrice guardandosi intorno al contempo, come a controllare di essere solo per davvero. Tirò su con il naso, asciugandosi il volto ancora bagnato di lacrime di dolore e terrore con la manica scura della giubba che lo avvolgeva.
Riprese lentamente a camminare, incurante del vento che gli frustava la faccia con i granelli di sabbia sollevati dall’aria. Ai suoi occhi, sembrava che quella sua terra, quel suo regno, lo stesse punendo per ciò che stava lentamente diventando - di ciò in cui veniva trasformato – richiudendoglisi attorno come una tomba come per soffocarlo, scagliandogli contro ondate di granelli di sabbia.
Un’altra parte di lui, del tutto nuova, invece, interpretava quel pensiero come un incentivo a trovare una terra migliore. Un regno meno aspro da conquistare. E distruggere.
Il ragazzo scosse forte la testa, chiudendo gli occhi per un attimo e ricacciando indietro quel ragionamento non suo.
Respirò forte una, due, tre volte prima di rimettersi a correre, in fuga da quella tenebra che gli stava crescendo dentro, nutrendosi di ciò che era stato fin ora e lasciando nient’altro che cenere.
Il sole, intanto, stava lentamente portando a termine il suo arco nella volta del cielo, mentre tra le mura di pietra della Fortezza Gerudo l’allarme era già scattato da un po’ per la sparizione dell’erede sovrano.
Intanto, i giovani passi della causa di quel collettivo attacco d’ansia erano giunti ai piedi del Tempio dello Spirito. Gli occhi del ragazzo si alzarono sull’enorme statua di donna, per metà ancora inglobata nella parete rocciosa dalla quale aveva avuto origine. Le grandi mani della statua, con i palmi verso il cielo, erano protese in avanti, sulle ginocchia piegate, come in meditazione. Il ragazzino si sentì vagamente rincuorare a quella vista, il motivo non lo sapeva nemmeno lui.
Perché si era recato lì? Forse, perché era il punto del suo regno più distante dalla Fortezza e dalle Gerudo.
Il sole toccò la sabbia del deserto, ad occidente. E la Triforza si svegliò di nuovo con rinnovato vigore.
Il ragazzo gridò di nuovo, di dolore e strazio, afferrandosi convulsamente la mano grondante di luce rossa. Crollò in ginocchio, piegandosi su sé stesso mentre il dolore divampava in lui.
Non potè trattenersi. Pianse di nuovo.
Ma questa volta non per la sofferenza che la Forza in via di risveglio creava in lui.
Bensì per la consapevolezza che gli rimaneva poco tempo ancora.
L’aveva sempre saputo, in fondo, che la Triforza avrebbe vinto, che l’avrebbe costretto a diventare ciò che era stato scelto per essere.
Eppure l’aveva realizzato solo ora.
Perdere la propria volontà.
La propria mente.
Il proprio corpo.
Il proprio essere.
Peggio che morire.
E tutto per portare a compimento un disegno più grande dell’immaginabile, che prevedeva Tre forze schierate in campo, incastonate nei corpi di altrettanti sciagurati la cui vita era stata vilmente manomessa in nome della salvezza comune e di un potere divino che portava null’altro che distruzione.
E a pensare ciò fu un ragazzino, piangente.
L’attuale re della sabbia.
Il futuro re delle tenebre.
Che infine, avrebbe sempre e comunque governato altra sabbia.
Di nuovo, il ragazzino urlò al cielo il proprio dolore, con voce rotta sia da esso che dall’angoscia di ciò che ne sarebbe derivato, cosciente del sangue destinato a venir versato. Ma, quella supplica, semmai venne ascoltata, non ricevette risposta poiché il destino di Ganondorf era quello. E quello sarebbe sempre rimasto. In nome di una guerra al di fuori del tempo.
Re di sabbia, tenebra e altra sabbia ancora.
Proprio quella sabbia sentì il suo richiamo e ne prese memoria, ma, si sa, la sabbia non è fatta per ricordare.
Re di sabbia, tenebra e altra sabbia ancora. 
  
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