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Autore: Eruanne    01/11/2013    13 recensioni
Un Regno circondato da montagne e brughiere desolate dimenticato da molti.
Una ragazza divenuta Regina a causa di un Fato inclemente.
Una richiesta d'aiuto contro un nemico ben noto caduta in mani lorde di sangue e sensi di colpa di un ritrovato Re sotto la Montagna.
La marcia ha inizio: porterà alla salvezza di entrambi?
Seguitemi in questo nuovo viaggio e lo scoprirete.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia, Un po' tutti
Note: OOC, Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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LA REGINA DEGLI ERED MITHRIN


PROLOGO


Lassù l'aria era fredda e rarefatta benché l'estate fosse avanzata, eppure la sentinella parve non farci caso, continuando a puntare gli occhi vigili verso ovest. All'udire l'ennesimo sbuffo scontento si voltò, trascurando il compito assegnatogli, e posò lo sguardo sul corpo intirizzito dell'altra vedetta: aveva posato la lancia a terra, frizionandosi il corpo con le braccia, e batteva i denti sotto la barba folta.

Era giovane, molto più di lui, e si trattava del suo primo vero incarico: era plausibile si comportasse così.

Nonostante i numerosi anni trascorsi, ancora ricordava la sua prima notte di guardia sul lato est degli Ered Mithrin: era inesperto ma elettrizzato, poiché finalmente si rendeva utile per il suo popolo e il sovrano. Rammentò anche l'adrenalina crescente man mano che le ore si erano susseguite, ma mai una volta si era distratto, concentrato com'era a scorgere ogni più piccolo particolare che l'oscurità gli celava. Il suo compagno – un vecchio nano che da tempo aveva raggiunto le Aule di Mandos – gli aveva battuto affettuosamente una mano sulla spalla, mostrandosi fiero del suo operato; disse inoltre che, finalmente, d'ora in avanti avrebbe avuto un valido aiuto.

Il petto gli si infiammò di calore e orgoglio proprio come allora, e batté un solo lieve colpo sulla roccia fredda con il manico della lancia, catturando l'attenzione del ragazzo.

<< Ti chiedo perdono, Bemli >> esordì, sfregando le mani tra loro << Penserai non sia molto efficiente, come sentinella. Solo che... non immaginavo ci fosse così freddo >>.

Il nano non poté fare a meno di ridacchiare di fronte all'ovvietà, scuotendo lievemente la testa coperta dall'elmo << Siamo quasi sul picco di una montagna, è assolutamente normale. Anche io battei i denti in quella gelida notte d'inverno, Tosur >>.

Il ragazzo lo guardò sbigottito, non credendo fosse sopravvissuto così a lungo per raccontarglielo: lui non credeva nemmeno di resistere altri venti minuti come ostaggio del vento sferzante! Ma Bemli era uno dei veterani più esperti e capaci, dedito al lavoro e terribilmente professionale, e ogni cadetto gli portava un profondo rispetto; perciò, quando gli avevano comunicato che l'avrebbe affiancato, si era sentito soddisfatto e intimorito insieme.

I numerosi giovani che l'avevano preceduto avevano descritto il vecchio come silenzioso e burbero, qualche volta dispotico; nessuno si era mai dato pena di parlarci più dello stretto necessario, specialmente dopo ogni tentativo a vuoto di conoscere il suo passato o i suoi anni di guardia. Il sentirgli confessare quel breve e insignificante dettaglio su una fredda serata di tempo prima - soprattutto la prima di servizio - rese Tosur quasi orgoglioso.

Rimase in silenzio per pochi minuti, non trovando parole adatte con cui ribattere: tutte quelle che gli si affacciavano nella mente erano a dir poco inutili e prive di peso.

La mancata risposta impensierì il nano; forse aveva ferito la sua dignità, sminuendone l'operato confrontandolo col proprio? Lo guardò di sottecchi tra uno spostamento d'occhi verso l'orizzonte e l'altro, concludendo che fosse semplicemente intimorito. Non poté impedirsi di sogghignare internamente, ricordando centinaia di espressioni altrettanto simili; pur così anziano era ancora in grado di mettere i novellini in difficoltà e in soggezione davanti al suo cospetto? Il suo smalto non si era scalfito né ingrigito, dunque: al contrario del suo corpo, ora meno scattante e allenato.

<< Non era mia intenzione renderti muto come un pesce, ragazzo >> disse bonario.

Tosur lo guardò sbigottito, domandandosi dove fosse finito il nano severo e silenzioso sempre descrittogli: i suoi amici si erano burlati di lui fin dall'inizio, fornendo quell'informazione falsa? Oppure era una sorta di esame architettato a suo discapito? Doveva scoprirlo. E, perciò, avrebbe dovuto affrettarsi a rispondere.

<< Affatto, signore. Conservavo il fiato >> aggrottò la fronte subito dopo, ripensando alla stupida risposta data.

Bemli, stavolta, lasciò che una bassa risata fuoriuscisse dalle labbra secche << Parola mia, è la prima volta che sento una tale scusante! >>.

Continuò a ridacchiare facendo sì che le orecchie di Tosur andassero a fuoco, per sua gioia e maledizione: ma neppure allora si scaldò a dovere.

Si strinse nelle spalle e borbottò qualcosa che assomigliava a “ Non sapevo che altro dire “ costringendo l'altro a guardarlo con un leggero sorrisetto.

<< Ecco, questa verità l'apprezzo di più. E posso anche intuire i motivi per cui non hai parlato: immagino che molti ti abbiano messo in guardia da me, non è così? >>.

Stavolta sarebbero state le guance a divenire rosate, se non ci fosse stato quel dannato vento a spazzare il calore. Per un fugace momento fu tentato di propinargli una bugia, ma sapeva non l'avrebbe accettata; inoltre, inimicarsi il proprio mentore la prima notte di lavoro non era propriamente un buon modo di cominciare.

<< Sì, è così >> ammise a denti stretti, preferendo osservare i confini da sorvegliare.

Bemli si era stupito della facilità con cui aveva posto la domanda, concludendo che oramai era troppo anziano per arrabbiarsi o prendersela col ragazzo, unica vittima della situazione; pertanto, sorprendendosi nuovamente, lasciò la sua postazione per avvicinarsi al tondo braciere di rame che li divideva. Tolse gli spessi guanti di cuoio nero e sfregò le mani tra loro, non preoccupandosi del colorito violaceo e dell'intirizzimento che le permeava; pose i palmi ad una lunghezza ragionevole dalle fiamme, beandosi del calore delle fiamme guizzanti e aranciate.

A dispetto della vergogna e dell'imbarazzo, Tosur ne seguì l'esempio facendosi scappare un lieve gemito appagato.

<< Per tutti questi anni ho lasciato prevalere il senso del dovere, non curandomi di essere costantemente affiancato da persone. Buona parte di colpa è soprattutto mia >> esordì Bemli, spezzando il silenzio << Non sono il mannaro feroce che credono e di cui ti hanno parlato: sei stato gabbato, giovanotto. Mi dispiace >> concluse, con un sorrisetto che la diceva lunga sul rammarico provato.

<< Siamo stati imbrogliati entrambi >> concesse il ragazzo, con una scrollata di spalle << Anche voi non avete mai provveduto a parlare con le nuove vedette: forse le avreste trovate piacevoli >>.

L'osservò attentamente, e parve notare solo in quel momento quanto le rughe sul suo volto fossero profonde; sembravano scavare la pelle, grazie alla luce tremula del fuoco. Ancora, si domandò se lui sarebbe stato in grado di perseverare nel suo compito così a lungo, e provò la medesima deferenza dei giorni precedenti.

<< Probabilmente. Ed è un vero peccato, se molti di loro erano come te >> si permise di sorridergli sinceramente, cogliendone la profonda confusione << Sei un bravo ragazzo, Tosur. Sarai una buona sentinella >>.

Il cuore del giovane nano sobbalzò e si riempì di gratitudine; buffo come sole poche frasi avessero sciolto la corazza rigida del mentore! Però si sentì in dovere di schernirsi, seppellendo il piacevole sentimento d'orgoglio che pompava furioso in egual misura al sangue.

<< Non penso d'essere molto qualificato per questo lavoro. Non vedo l'ora di rientrare e bere qualcosa di caldo! >> ammise, grattandosi il naso.

<< E' una questione d'allenamento, tutto qui >> disse, agitando una mano << Sapevi a ciò che andavi incontro quando l'hai scelto; presumo che nessuno ti abbia costretto >>.

<< Nossignore. Era la mia aspirazione fin da bambino >>.

<< E il fatto di possedere una buona vista ha contribuito >>.

<< Sì, signore >> fece un rigido cenno col capo, esponendo nuovamente i palmi alle fiamme.

<< Sono requisiti fondamentali, per una sentinella. Non è un mestiere da prendere sottogamba; il regno e persino Sua Maestà ci sono molto riconoscenti >>.

<< Sua Maestà >> borbottò Tosur, incupendosi << Al sicuro tra il tepore delle lenzuola mentre noi siamo qui fuori a tremare >>.

Il vecchio Bemli gli scoccò un'occhiata di disapprovazione, sentendo una sorda collera premere all'altezza dello stomaco << Dorme sonni tranquilli perché sa che noi osserviamo e vegliamo >> sbottò seccamente, senza curarsi di mandare in malora ogni buonsenso << Fai parte di quel gruppo che critica il suo operato e la sua reggenza? >>.

Gli occhi del ragazzo sfrecciarono allarmati attraverso l'oscurità, alla ricerca di ombre o movimenti estranei: per un attimo gli parve che una tremolasse minacciosa, ergendosi alta e imponente al di sopra delle altre, simile a una grande mano pronta ad afferrarli e stringerli con lunghe dita sottili ma letali. Con un brivido gelido che gli attraversò la schiena già congelata, però, constatò che non vi era nessun altro oltre loro due, là. E sospirò piano, sollevato.

Mantenendosi comunque cauto capì che doveva porre rimedio alla fese detta, sapendo d'essere stato frainteso << Certo che no: apprezzo ciò che sta facendo per il regno e il popolo. Non volevo giudicare negativamente >> sussurrò, voltando il capo da una parte all'altra, nervoso.

Bemli rasserenò lo sguardo, alzando le sopracciglia << Non c'è motivo di allarmarsi, giovanotto. Le guardie non entreranno da quella porticina con l'intento di prelevarti per rinchiuderti nelle segrete; il tempo di quei gesti si è concluso secoli fa >>.

Tosur si morse l'interno guancia, non riuscendo a controllare le parole che pronunciò immediatamente dopo con voce piatta e bassa << Non sono loro a preoccuparmi >>.

L'anziano nano si adombrò, annuendo solamente. Era stato sciocco da parte sua iniziare impulsivamente quel discorso, se ne rendeva pienamente conto solo in quel momento. Se Tosur gli avesse detto che, in realtà, faceva proprio parte dei contestatori, si sarebbe cacciato in un grosso guaio. Era da escludere che gli avesse mentito: il modo in cui si era guardato attorno – spaventato e terrorizzato – l'aveva convinto della sua buona fede e, di nuovo, fu costretto ad ammettere che era sveglio e accorto, molto più di lui.

Si spostò dal braciere, prendendo una torcia e accendendola; camminò furtivo verso la porta di ferro tenendo salda la lancia tra le mani, sentendo un serpente di paura attorcigliargli il cuore. Appoggiò l'orecchio alla ricerca di rumori insoliti come passi o respiri pesanti, ma non udì nulla; strinse la maniglia e, di scatto, abbassò e spinse aprendola con foga. Illuminò meglio lo stretto corridoio di pietra, osservando le crepe che percorrevano i muri come se potessero fornirgli indicazioni rivelandogli se qualcuno si era appostato a spiarli: ma nulla mostrò un passaggio umano a parte il loro, e ciò lo confortò lievemente.

Richiuse la porta con un sospiro, e si sfregò stancamente la fronte; ecco, forse era questo il motivo principale per cui non aveva mai dato confidenza ai novellini presentatigli nell'ultimo anno. Il silenzioso sospetto che aleggiava nel regno non giovava a nessuno di loro popolani, a conti fatti: troppo presi dalla diffidenza evitavano di parlare apertamente di certi argomenti, sentendosi al sicuro tra le mura domestiche dove potevano permettersi il lusso di conversare anche in piccoli gruppetti. Gli unici che traevano beneficio da quel timore erano le alte cariche, la maggior parte delle quali tramavano anche senza troppi accorgimenti alle spalle del sovrano; non erano un mistero le discussioni nella Sala del Consiglio, così come erano risapute le ormai rade e misteriose sparizioni di nani che avevano osato contestarli apertamente. Sua Maestà aveva aperto immediatamente delle indagini ma le guardie reali non avevano scoperto nulla, e quelle sotto il comando dei consiglieri – le responsabili di tali atti – non avevano collaborato. Era da loro che bisognava guardarsi costantemente le spalle.

Sentendosi tremendamente stanco e vecchio sospirò nuovamente, rialzando lo sguardo da terra e facendolo vagare sull'orizzonte, verso ovest: e fu allora che lo vide.

Non badò all'occhiata perplessa di Tosur, procedendo spedito verso il parapetto naturale della montagna; appoggiò le mani guantate sulla roccia, assottigliando lo sguardo nella notte. Sentì il suono di passi pesanti, e la figura più alta ma meno massiccia del ragazzo gli si affiancò. Lo udì trattenere il fiato, e la consapevolezza prese lentamente forma in lui: quei lontani e quasi indistinti bagliori di fiamma che si scorgevano non presagivano nulla di buono.

<< Laggiù... c'è il Monte Gundabad, non è vero Bemli? >> gli domandò con paura sempre più crescente.

Il nano sentì la gola inaridirsi, e non badò alle ventate sferzanti e gelide; volse brevemente gli occhi da sentinella alla volta celeste colma di stelle pallide, posandoli poi lungo la catena delle Montagne di Angmar. Cercò di perforarle per arrivare al di là, dove sapeva esserci la fonte di tale paura e sgomento.

<< Esatto, ragazzo >> si ritrovò a sussurrare, domandandosi quando avesse concesso il permesso alle parole di fuoriuscire dalle labbra; tremò, ma non tanto per il freddo, e Tosur se ne accorse.

Fu solo capace di guardarlo con occhi sgranati e colmi di una verità che non voleva essere confermata.

Non disse nulla, perciò l'arduo compito di tramutare i pensieri in parole costernate toccò al vecchio << Quelle luci non provengono dal Monte, ma dal di là: dalla Piana >>.

Una folata a dir poco potente sembrò accompagnare la sua frase, gelida come la voce di Bemli; le fiamme delle torce si spensero quasi all'unisono, rimase solo quella tremolante del grande braciere. Nessuno dei due si voltò, poiché trattenuti da una forza invisibile verso occidente, ad osservare quell'orrore. I loro cuori parvero battere in sintonia, aumentando i colpi potenti come martelli su un'incudine con una velocità spaventosa.

Era da sciocchi illudersi inutilmente: chiunque si stesse preparando ad una marcia dalla Piana di Angmar costituiva un serio e reale pericolo, in qualunque luogo si dirigesse.

Negli anni, Bemli aveva pensato spesso alla fortuna di non aver mai provato sulla pelle il significato del termine “attacco”, e non avrebbe mai immaginato di doversi rimangiare tutto proprio adesso, quando ormai la vecchiaia era già avanzata e il suo tempo stava per volgere al termine.

Rammentava bene l'anno precedente, quando i fuochi nemmeno troppo lontani a sud l'avevano fatto tremare e, d'altra parte, confortare per non essere presente al massacro.

<< Non è detto vengano verso di noi. Potrebbero incamminarsi dalla parte opposta >> sussurrò lentamente.

Tosur si risvegliò dall'intontimento, notando il volto teso e preoccupato quanto il suo a dispetto della debole rassicurazione << Siamo in tempo di pace >> ricordò, con un brivido << Però un numero elevato di torce può significare solo una cosa >> concluse, la voce strozzata.

<< Mi rammarica concordare. Ciò che proviene da quel luogo è maledetto e porta con sé solo morte e distruzione >>.

Tosur deglutì a vuoto, la lingua sembrava esserglisi annodata << Cosa suggerisce, dunque? >>.

Bemli non ebbe bisogno di pensarci: strinse solo i palmi ora fin troppo sudati << Corri nella montagna, e avverti il Capitano delle Guardie di Sua Maestà >>.





CAPITOLO UNO


Il nano richiuse la pesante porta di quercia decorata con intarsi dorati con un tonfo sordo, e poggiò la torcia accesa sul sostegno di ferro attaccato alla roccia liscia.

Fu con immensa difficoltà che si voltò e posò gli occhi azzurri al centro della camera in penombra; prese un profondo respiro tenendo le labbra serrate e, quasi per farsi coraggio, portò le braccia dietro l'ampia schiena. Mosse un primo passo lento e restio, poi un altro, e un altro ancora, non potendo immaginare la spontaneità meccanica con cui gli arti avevano eseguito quell'ordine impartito dal cervello.

Infine si fermò, espirando pesantemente a bocca socchiusa; uno sbuffo di fiato si disperse nell'aria, data la poca temperatura presente. Quella zona era sempre stata piuttosto fredda nonostante si trovasse in profondità, lo ricordava bene: le poche volte in cui vi era stato da ragazzo gli ritornarono nitide nella mente.

All'epoca, però, non avrebbe mai immaginato di provare una tale angoscia, una tale sofferenza, come accadeva da un anno a quella parte.

Posò la mano destra sulla lastra di marmo freddo, percorrendone la superficie con i polpastrelli finché non raggiunse le incisioni; anche l'altra mano si mosse a sfiorare una lastra marmorea praticamente identica e a nemmeno un metro dalla prima, compiendo gli stessi gesti nell'accarezzare quei segni dolorosamente famigliari.

Gli sfuggì un sospiro depresso, mentre il dolore minacciava di invaderlo. Chiuse gli occhi con forza, ma le tanto odiate e note immagini che vide lo afferrarono e trascinarono con violenza, tentando di ghermirlo. Chinò il capo, le mani tremanti a premere sul piano in un inutile tentativo di poter ancora toccare, e abbracciare, coloro che riposavano all'interno di quelle tombe bianche.

Nulla sembrava più avere un senso: né il suo ritrovato regno, benché meno l'esserne il sovrano. Anzi, ora quel ruolo gli risultava anche troppo stretto, come un cappio attorno al collo; lo soffocava, gli schiacciava il petto con una potenza inaudita al pari delle grosse manacce fetide dei tre Troll, o delle fauci possenti del bianco mannaro.

Il pensiero di saperli morti per difenderlo, poi, acuiva il suo stato d'animo. Ricordava indistintamente gli ultimi atti della battaglia, così come i suoni che gli avevano riempito le orecchie facendole ronzare persino una volta che si era svegliato. Eppure... eppure... immagini sfocate di stoffe turbinati, lacere e sporche di sangue, premevano per uscire dalla voragine in cui le aveva rinchiuse; bagliori di spada e suoni sibilanti di frecce le accompagnavano, in un gioco mortale e perverso che l'avrebbe condotto alla pazzia.

Ogni giorno si domandava perché avesse permesso la loro presenza nella Compagnia. Sua sorella era stata perentoria, e il suo iniziale rifiuto ora gli risuonava troppo spesso come una dolorosa ammissione di colpevolezza, una maledizione che difficilmente l'avrebbe risparmiato.

Rammentava bene i loro volti eccitati al pensiero della Riconquista di quel regno che mai avevano avuto occasione di vedere, di quella casa che mai avevano sentito tale. Ripensandoci, non sarebbe stato in grado di rifiutare il loro entusiasmo e la loro grande volontà. E anche Dìs l'aveva capito: per questo aveva acconsentito dopo innumerevoli raccomandazioni e ammonizioni, facendogli promettere di prendersi cura di loro come aveva fatto in tutti quegli anni da quando il marito era morto.

Il giorno della Battaglia dei Cinque Eserciti aveva infranto quel giuramento.

Erano stati loro a difenderlo, fino alla fine. Non lui. Troppo impegnato nella sua personale missione di vendetta, talmente cieco da non accorgersi di altri nemici al di là del più potente, immensamente ottuso per capire ciò che i suoi nipoti stavano sacrificando.

Era a causa sua se quelle due giovani vite si erano spezzate per sempre. Il rimorso non l'abbandonava mai, rendendogli insopportabile ogni dannatissimo momento da quando era accaduta la tragedia.

L'andare nelle cripte ogni qual volta poteva era una sorta di punizione, un tentativo alquanto misero di espiare i propri orrendi peccati: ma tutto rimaneva statico, nulla mutava ogni qual volta tornava in superficie. Ogni qual volta tornava alla vita.

Vita. Una parola ormai quasi priva del suo significato. La trovava tremendamente ingiusta, specie nei suoi riguardi: avrebbe scambiato ogni singola moneta d'oro della Stanza del Tesoro per tornare indietro nel tempo e salvarli entrambi.

Ma non sarebbe stato possibile, né vi sarebbe stata salvezza, per lui. La sua anima era marcia, sudicia del sangue dei suoi nipoti: a volte, gli pareva di scorgere del liquido rosso cupo sui palmi delle mani, e udiva il fastidiosissimo suono di piccole gocce che si infrangevano sul pavimento di pietra.

Gli pareva di udirle anche in quel momento.

Un rumore alle sue spalle lo riscosse e, rapido, mosse la testa verso l'entrata riconoscendo la figura della sorella, ancora con le mani appoggiate al legno. Dìs si mosse piano, respirando l'aria umida e solenne della stanza, e gli si avvicinò; lanciò una rapida occhiata alle rune, distogliendo lo sguardo per timore di venir sopraffatta dal tormento e dalle lacrime che le pungevano già gli angoli degli occhi.

Le dita della mano destra si posarono su un braccio del fratello, stringendo di poco la stoffa della camicia blu; a fatica, Thorin staccò la sua dalla tomba di Kili, accarezzandogliela in un muto ringraziamento per il gesto: una mano tesa che l'avrebbe riportato alla luce, un prezioso aiuto per allontanare la follia. Un atto di solidarietà fraterna, e di chi aveva perso persone fin troppo importanti.

Dìs l'osservò, notando quanto fosse invecchiato in poco più di un anno: i capelli grigi sembravano aumentati tra quelli neri, nuove e profonde rughe scavavano il suo volto dai tratti induriti e stanchi; gli occhi azzurri, un tempo ardenti di un orgoglio senza pari, erano spenti e vuoti, oltre che sofferenti. Il portamento autorevole e retto si era leggermente incurvato, come se un enorme peso invisibile fosse sceso sulle spalle forti ed esse non fossero più in grado di sostenerlo. Le si strinse il cuore, non lo negò: da un lato avrebbe desiderato abbracciarlo e consolarlo finché non avesse versato anch'ella tutte le sue lacrime, ma dall'altro avrebbe voluto scuoterlo, chiedergli di riprendersi e pensare a lei che aveva perduto due figli, non due nipoti. Il sangue del suo sangue. La carne della sua carne. Li aveva protetti e nutriti per nove lunghi mesi, amandoli visceralmente come solo una madre poteva amare, volendo donare tutta se stessa per loro. Volendo sbucciarsi le ginocchia o i gomiti al loro posto, come quando erano piccoli e le correvano incontro singhiozzanti e sanguinanti. Volendo cullarli per tranquillizzarli quando gli incubi li tormentavano non facendoli dormire. Volendo addossarsi tutti i problemi e le responsabilità che la crescita comportava. Volendo offrirsi per quell'impresa gloriosa ma pericolosa che li avrebbe allontanati da lei, e condotti bruscamente alla mercé di bestie immonde e luoghi insidiosi. Volendo morire, per loro.

Deglutì e strinse le labbra, ricordando il motivo del suo viaggio tortuoso nelle viscere della Montagna Solitaria; cercò parole adatte con cui iniziare una qualche frase, riuscendo a parlare seppur con tono roco.

<< Sei atteso nella Sala del Consiglio, fratello. Pare sia giunta una lettera di nostro cugino >>.

Non le rispose, limitandosi a fissare con sguardo vacuo i nomi di Fili e Kili; avrebbe voluto cadere in un oblio nero e denso, ma la mente iniziò a lavorare e a chiedersi il motivo di quella missiva inaspettata, creando possibili congetture che attendevano solo di essere smentite o confermate.

<< Thorin? >>.

La voce bassa di Dìs lo raggiunse, e respirò pesantemente << Immagino tu non ne conosca il contenuto >>.

Sua sorella scosse la testa << Ti attendevano >>.

<< Bene >>.

Si scansò rudemente dal suo lieve tocco, avanzando spedito verso la torcia ancora accesa; l'afferrò, stringendo convulsamente il legno tra le dita, e attese che Dìs lo raggiungesse per uscire. Ma lei non si mosse, donando un lungo sguardo a ciò che rimaneva dei suoi ragazzi: una semplice lastra bianca, e delle misere rune incise.

<< Un genitore non dovrebbe mai seppellire i propri figli. Avrei voluto vederli invecchiare, almeno finché non avessi lasciato questo mondo >> sussurrò, sapendo d'essere stata udita.

Thorin alzò lo sguardo da terra e lo posò sulla sua schiena, vestita con un abito nero a ricami geometrici argentati; i capelli erano intrecciati e raccolti sulla nuca in segno di vedovanza, e mostravano il collo sottile e bianco. Osservandola meglio, notò quanto fosse dimagrita: si chiese quando fosse accaduto, e se fosse stato ancora così cieco da non accorgersene. Evidentemente sì, dato che l'aveva appena appurato.

Un vago sentore di rabbia, il primo da innumerevoli mesi, sembrò sprigionare una debole scintilla nel suo petto; non poteva rischiare di perdere anche lei, non l'avrebbe sopportato.

L'affiancò, circondandole le spalle con il braccio libero; dopo qualche iniziale titubanza, Dìs gli poggiò il capo sulla spalla e si lasciò sfuggire il medesimo sospiro - che molto aveva in comune con un singhiozzo - che l'aveva scosso non appena era entrato.

Rimasero così, abbracciati, cercando conforto nell'altro finché la frase del Re di Erebor non riempì il silenzio.

<< Darei tutto ciò che ho dolorosamente conquistato per poter prendere il loro posto >> confessò, attirandola inconsciamente a sé.

Dìs sentì qualcosa incrinarsi all'altezza del cuore e, in risposta, portò una mano al petto del fratello << Sai che non lo permetterei >> disse, rimproverandolo << Avrei preferito avervi tutti e tre con me, però non possiamo cambiare ciò che è stato. Tu sei rimasto per governarci, Thorin. Devi tornare quello che eri, e fare in modo che il sacrificio dei tuoi nipoti non sia stato vano. La tua gente ha bisogno di te. Io ho bisogno di te, della tua forza e determinazione, del tuo intrepido coraggio e fiero orgoglio >>.

Si guardarono, scavando a fondo negli sguardi dell'altro fino a raggiungere l'anima, dicendosi parole che non sarebbero riusciti a pronunciare ma che aleggiarono e si depositarono sui loro cuori. Dìs aveva ragione: si stava lasciando andare, aveva perso la sua vitalità. Ciò che lo fece ripugnare di sé fu la dolorosa constatazione che non la stava consolando come meritava né che, per quanto disperato, non sarebbe riuscito a riportarli in vita. Nulla di tutto quello che stava patendo li avrebbe risvegliati; eppure, non poteva fare a meno di autocommiserarsi, ripensando mille e più volte alle colpe che l'affliggevano.

<< Mi dispiace >> mormorò, non riuscendo a sostenere il suo sguardo << Ora mi risulta difficile lasciarli andare >>.

La principessa gli lanciò un'occhiata truce, notando il suo rifuggirle << Avresti dovuto pensarci prima, ti pare? >> sibilò, malevola: si rese conto troppo tardi del significato della frase, e si rimproverò duramente; d'altra parte, però, si rese conto d'aver aspettato anche troppo tempo per esternare i suoi reali pensieri.

Ricevette attenzione, e un paio di occhi chiari si posarono sconcertati sul suo volto. Non attese altro, continuando quell'imprevedibile sfogo.

<< Ti avevo chiesto di non portarli con te, ti avevo pregato... >>.

<< E' stata una loro scelta >> l'interruppe, brusco << Erano adulti, sapevano a cosa andavano incontro... >>.

<< Erano solo dei ragazzi, Thorin, partiti per seguire te! >> il tono si alzò notevolmente, le guance si imporporarono << A loro non importava nulla di Erebor, o del drago che custodiva un inutile tesoro! >> inspirò violentemente, ma il tremore non cessò; tacque per brevi secondi e lo sguardo volò a terra, rialzandolo poi lucido di lacrime << Mi hai portato via i miei figli, per sempre. E ora sei qui a compiangerti, non adempiendo ai tuoi obblighi! Da quando permetti un tale comportamento? >> scattò, furiosa.

Thorin schiuse le labbra e aggrottò maggiormente la fronte, attonito. Non disse nulla, e Dìs abbandonò qualsiasi razionalità: lo afferrò per le spalle, scuotendolo così come era scossa la sua anima; desiderava reagisse in qualche modo, perlomeno.

<< Perché ti ostini a non voler vivere? Loro non torneranno indietro, lo sai! >>.

Thorin scattò veloce e le artigliò i polsi in una morsa, gli occhi azzurri scintillanti: di rabbia o tristezza, non avrebbe saputo dire.

Nel frattempo, quelli di Dìs si riempirono di lacrime: prima che potesse anche solo tentare di contrastarle, brucianti lacrime scesero sulle gote, e piccoli singhiozzi scossero quel corpo un tempo florido.

<< Così giovani... così... >> non riuscì a completare la frase, assoggettata dal dolore che rischiava di farla precipitare nella stessa pazzia del fratello. Ma, di nuovo, una forza inaspettata eruppe nel petto facendole assottigliare lo sguardo, ora brillante di una luce pericolosa.

<< Sei stato tu ad ucciderli >> sibilò, pur pentendosene nel profondo << Meriti di vivere nel rimorso, fratello, e meriterai qualsiasi punizione vorranno infliggerti i Valar >> era spossata, però le braccia spinsero rudemente un silenzioso e sconcertato Thorin che le teneva ancora fermi i polsi in una stretta via via sempre più flebile.

Ormai fuori di sé, pronunciò quella frase dal sapore di una condanna << Potrà perdonarti l'intera Terra di Mezzo. Potrai perfino perdonarti e trovare una sorta di felicità. Ma io non ti perdonerò mai >>.

Sentì di soffocare in quella cripta spaziosa e aerata; il fiato le mancò improvvisamente, così come il coraggio e la disperazione con cui si era accanita. Rimase solo il tremore e l'accompagnò un dispiacere tale da renderle opprimente la vista del corpo e dei tratti granitici del fratello. Come prima non disse nulla né reagì, accrescendole l'impotenza e l'ira. Doveva uscire, o le sue azioni sarebbero state imperdonabili; si sciolse facilmente dalla stretta e gli diede le spalle correndo fuori, tanto era il tumulto interiore del cuore.

Il re rimase solo coi fantasmi, udendo le frasi piene di dolore della sorella come se gliele stesse urlando nuovamente. Non la biasimava. Non poteva. Sapeva perfettamente che aveva ragione, e il senso di colpa tornò più vivido che mai rendendogli insostenibile qualsiasi pensiero e la solitudine della sua anima. Strinse le mascelle e, rabbioso, scagliò un pugno al muro scorticandosi le nocche; un fastidioso bruciore lo raggiunse ma era lontano, troppo lontano dal mare d'ira in cui nuotava. Guardò distrattamente le piccole bolle di sangue sulla pelle, espirando rumorosamente dal naso. Se ne andò, irrequieto, tornando in quel mondo di vivi che prima aveva tanto disprezzato: forse, stavolta, l'avrebbe accolto quasi come una benedizione.


<< Dunque? A cosa devo questa convocazione? >> esordì burbero, sedendosi pesantemente sulla sedia del re.

Balin, alla sua destra, estrasse da una tasca della casacca un foglio ripiegato, porgendoglielo << E' giunta una lettera dai Colli Ferrosi, e il messo ha insistito perché ti fosse consegnata personalmente. Nessun altro avrebbe dovuto leggerla eccetto te >>.

Thorin non commentò, accigliandosi solamente per il modo segreto con cui gli era stata inviata, e l'aprì con movimenti secchi e decisi; riconobbe la calligrafia arzigogolata e decisa del cugino e, man mano che procedeva nella lettura, aggrottò le sopracciglia fino a trasformarle in un'unica linea scura. I consiglieri si guardarono tra loro, attendendo con impazienza di conoscere il motivo di tanto turbamento; Dwalin, con le braccia strette al petto, esternò i pensieri comuni.

<< Ebbene? Di che parla? >> chiese, senza neppure dargli il tempo di terminare la lettura.

Thorin non gli rispose, arrivando finalmente alla firma e al sigillo regale di Dain. Ancora stupefatto gliela tese, senza parlare. Lo osservò scorrere silenziosamente le righe ed assumere lo stesso cipiglio che gli aveva percorso i tratti, per poi esternare il suo pensiero tramite un verso incredulo.

<< Allora? >> chiese Balin, innervosendosi.

<< Leggi tu stesso >> borbottò il fratello.

Balin gli lanciò un'occhiata in tralice e prese le lenti: come gli altri arrivò alla conclusione, sbalordito quanto loro.

<< Per Mahal >> borbottò.

<< Saremmo curiosi anche noi, sapete >> si intromise Bofur, alzando eloquente le sopracciglia scure.

Thorin si appoggiò meglio allo schienale dell'alta seggiola in attesa che il suo amico più fidato parlasse.

<< Questa lettera giunge dai Colli: ci informano che una colonna di orchi si sta muovendo a ovest e che, molto probabilmente, si sta dirigendo qui >>.

Il silenzio scese sui rimanenti membri della Compagnia, e si osservarono preoccupati.

<< Non hanno ancora imparato la lezione? >> domandò sarcastico Oin, sistemandosi il corno acustico accanto all'orecchio.

<< A quanto pare no >> commentò Thorin, incrociando le dita sotto il mento << Ma c'è dell'altro >>.

<< Che può esserci? >> chiese petulante Dori, scuotendo la testa.

<< Pare che in tutti questi anni ci sia sfuggito un Regno >>.

<< Sfuggito? >> ripeté Nori << In che senso? >>.

Balin sospirò << Avete mai sentito parlare del Regno degli Ered Mithrin? >>.

<< No, perché non c'è niente, tra quelle montagne >>.

<< Qui ti sbagli, Gloin. Dain ce l'ha confermato proprio qui >> il vecchio nano picchiettò sulla lettera ancora spiegata << La richiesta d'aiuto non proviene dai Colli Ferrosi, ma dagli Ered Mithrin: le loro sentinelle hanno notato bagliori sospetti durante le scorse notti di pattuglia, e temono si tratti di quei mostri; chiedono rinforzi in vista di una possibile battaglia... >>.

<< Aspetta un attimo >> si intromise Bofur, con un cipiglio serio mai visto sul volto << Siamo sicuri non sia una frottola? Voglio dire... abbiamo sempre saputo che le Montagne Grigie erano disabitate! >>.

<< Dubiti delle parole di un Durin? >> chiese Dwalin, stringendo battagliero un pugno.

Il giocattolaio scosse frettolosamente la testa, e Thorin decise di intervenire << Lascialo parlare. Le sue domande sono lecite >>.

L'amico sbuffò sprezzante, ascoltando la questione successiva.

<< Perché la lettera non è giunta dai diretti interessati? >>.

<< Questo non lo sappiamo, ma Dain scrive che non può accorrere in loro aiuto, perciò l'ha inviata a noi >> rispose Balin, scoccando un'occhiataccia al fratello che aveva roteato gli occhi al cielo, già impaziente e pronto per la guerra.

<< Quanto tempo ci rimane prima dell'invasione? >>.

<< Il messaggero è giunto stamattina partendo tre giorni addietro dai Colli Ferrosi, mentre gli Ered avevano inviato un corvo imperiale un paio di giorni prima >>.

<< Cinque giorni >> borbottò Gloin, lisciandosi la barba fulva << Possono essere un'enormità >>.

<< Ammesso partissimo domani, servirebbero altri due giorni di marcia >> rincarò Bombur, pensoso come mai gli era capitato << Potremmo non arrivare in tempo >>.

Molti annuirono d'accordo, e numerosi borbottii invasero la stanza finché non vennero quietati da una vocetta acuta.

<< Ma non sono arrivati altri messaggi >> obiettò Ori, parlando per la prima volta << Gli orchi – se di loro si trattava – potrebbero aver preso un'altra strada addentrandosi nel Reame di Angmar >>.

<< Tu credi sia andata così? >> chiese Dwalin, ben scettico << Abbiamo sbaragliato il loro esercito, ucciso il loro condottiero più feroce e ripresi il nostro regno. Sveglia, Ori: quelli vengono per noi >>.

Il giovane scrivano balbettò qualcosa e gli si imporporarono le guance, facendo sì che Nori prendesse le difese del fratello minore << Stiamo valutando ogni possibilità >> disse calmo, benché gli occhi mandassero lampi di rimprovero << Anche quelle che paiono meno probabili >>.

<< Questa è improbabile! >> esclamò il guerriero << La piana ai piedi delle Montagne di Angmar è infestata solo da quelle odiose creature; non procederanno verso ovest perché là non vi è nulla per cui valga la pena di combattere. Come è certo che il sole spunta a est avanzano contro di noi, probabilmente per vendetta >>.

<< Poco più di un anno è un tempo assai lungo per meditare una rivincita >> borbottò Dori, scuro in volto.

Dwalin sbuffò << Forse si sono riorganizzati trovando un nuovo capo >> rispose, sarcastico << Non so voi, ma non intendo scoprirlo quando ce li troveremo alle pendici della Montagna. Prima partiamo e meglio è >>.

<< Concordo >> disse Balin, annuendo << Se riusciremo a fermarli agli Ered Mithrin non tenteranno un'avanzata e comprenderanno che i Nani sono ancora un popolo vigoroso che si protegge a vicenda >> passò in rassegna i volti dei compagni e amici, fermandosi infine su quello cupo di Thorin << Dobbiamo prendere una decisione, ragazzo, e in fretta. Il destino di un popolo è appeso a un filo troppo sottile per attendere oltre >>.

Undici teste si voltarono verso il re, seduto a capotavola; si massaggiò le tempie col pollice e l'indice, cercando una soluzione al dilemma che lo dilaniava: l'onore e la vendetta lo stavano contendendo brutalmente, spaccandogli il cranio in mille pezzi. Per quanto pensasse, però, rimaneva solo una soluzione.

<< Erebor risponderà >> decretò, con voce vibrante e occhi scuri di rabbia << Rispediremo quel lerciume nel buco da cui è fuoriuscito >>.

Nonostante la contentezza, i cuori si appesantirono al vivido ricordo dei giovani eredi al trono morti in battaglia proprio a causa dello stesso nemico e, a fatica, non posarono lo sguardo sulle due sedie vuote all'altro capo del lungo tavolo di legno; Thorin, invece, assecondò quell'impulso sentendo un desiderio di morte e sangue premere sullo stomaco e propagarsi in ogni dove, tanto potente da fargli stringere spasmodicamente le mani, nascoste a occhi indiscreti.

<< Balin, avrò bisogno della tua presenza qui: Dìs non riuscirà a governare da sola. Dwalin, avverti i soldati: li voglio pronti entro domani mattina, anche se un contingente rimarrà a protezione del popolo e in caso di pericolo; decidi tu chi partirà o meno. Dori, Nori, Ori voi... occupatevi delle cavalcature: voglio i pony più freschi e veloci per ogni membro di questo Consiglio. Oin, Gloin, procuratevi delle mappe del territorio. Bifur, Bofur e Bombur: provvedete alle provviste e agli utensili per il viaggio: fatevi aiutare da altri nani ad impacchettarle con cura. Alle prime luci dell'alba vi voglio pronti a partire, o verrete lasciati indietro >>.


Thorin era nel suo studio, concentrato nello sfogliare alcune vecchie carte e lettere del cugino o del precedente Signore dei Colli Ferrosi alla ricerca di un qualche indizio su quel regno misterioso e improvvisamente comparso dal nulla; ancora stentava a credere alle parole vergare con l'inchiostro nero che l'informavano di questa fantomatica richiesta d'aiuto.

Sbuffò quando posò anche l'ultimo foglio; non vi era alcuna informazione o menzione agli Ered Mithrin, ed era impensabile prolungare la marcia fino ai Colli Ferrosi per richiedere una spiegazione soddisfacente: perciò l'avrebbe ottenuta direttamente dal re del regno.

Incapace di star seduto a lungo si alzò, percorrendo con passi lunghi e pesanti l'intera stanza, le mani costantemente dietro la schiena. Fu così che lo trovò Rella: perso in complicati e tortuosi pensieri a cui se n'erano aggiunti altri.

Aprì la porta – lasciata socchiusa – facendola cigolare un poco, e Thorin si fermò spostando il capo nella sua direzione; la fronte si spianò leggermente, ed un angolo della bocca si piegò di poco verso l'alto in un debole sorriso.

<< E' tardi, non dovreste essere ancora alzata >>.

Rella gli si avvicinò, posandogli una mano sull'avambraccio << So perfettamente quando è tempo di ritirarmi. Tu, piuttosto, dovresti dormire >>.

<< Non vi riesco >> mormorò, osservando il gioco di luce e ombra sul volto della nana; le prese una mano tra le sue, sospirando affranto senza vergogna: chi meglio di lei poteva conoscerlo e comprenderlo?

<< Ho saputo della lettera di Dain >> disse, optando per tergiversare l'argomento di cui inizialmente voleva parlare << Raccontami tutto >>.

Thorin l'accompagnò alla poltrona accanto al focolare acceso, e prese la sedia sulla quale si era seduto; si perse a contemplare la mensola sulla quale stavano i suoi effetti personali insieme a vecchi ricordi d'infanzia, e decise di raccontarle del popolo degli Ered Mithrin.

<< Ne eravate a conoscenza? >> domandò, una volta che ebbe terminato.

Rella era semplicemente sbalordita, ma lo nascose molto bene sotto la solita maschera di compostezza che la contraddistingueva << No. Certo che no. Se così fosse stato te ne avrei parlato immediatamente. Ciò che mi affligge maggiormente, però, è questo nuovo scontro imminente... >>.

<< Ho deciso di aiutare questo sovrano volendo combattere nel suo regno piuttosto che qui, appunto per tenervi al sicuro. Non dovete preoccuparvi >> assicurò, stringendole le dita con affetto.

La nana scosse piano la testa, restituendogli la stretta << Non mi preoccupo certo per me >> ribatté, severa << Sono preoccupata per te >>.

<< Non dovete >> ribadì.

<< Non posso perdere anche te, Thorin >>.

<< Madre... >> tentò, ma lei lo interruppe.

<< No, ascoltami. Sono contenta ti sia lanciato in questa nuova impresa, benché pericolosa; ma, figlio mio, ho paura che la tua ira possa trascinarti in luoghi bui da cui non potrai fuggire >>.

Nuove rughe si formarono sulla fronte del nano e, senza volerlo, si trovò a socchiudere minacciosamente le palpebre << Più oscuri di quelli che sto percorrendo ora? Ne dubito >> ribatté, sprezzante.

Rella sospirò, volendo trovare parole adatte con cui scuotere quell'unico figlio che le rimaneva, quel forte e determinato uomo diventato l'ombra di se stesso. Ma lei era nata dalla roccia, temprata dalle preoccupazioni e sofferenze che l'avevano segnata nel profondo; orgogliosa come poteva essere solo una giovane nana promessa in sposa al futuro Re di Erebor, era divenuta prima fredda Regina sotto la Montagna e poi severa madre dei Principi. Il carattere duro era servito a renderli ciò che erano attualmente, e di questo era estremamente orgogliosa oltre che particolarmente paga: Thorin, poi, le assomigliava più di Dìs, o del povero Frerin morto molti anni addietro. La vecchia Regina Madre aveva riposto tutte le sue più accanite e devote speranze nel nuovo Re sotto la Montagna; finalmente aveva potuto assistere al ritorno in auge del loro potente popolo grazie a quella dolorosa Riconquista che, d'altra parte, l'aveva privata degli eredi diretti.

Questo era stato il prezzo da pagare.

Una minima parte dell'anima inorridì a quel pensiero, eppure non fece nulla per scacciarlo poiché giusto. Il Fato richiedeva sempre delle vite in cambio: Frerin e Thror nella Battaglia di Azanulbizar e di conseguenza anche suo marito, fuggito chissà dove preda della pazzia; i nipoti nella Battaglia dei Cinque Eserciti, morti per permettere a Thorin di sopravvivere e governare come indetto dai Valar.

Purtroppo però il loro sacrificio non portava frutti, al momento, giacché suo figlio non mostrava il benché minimo accenno a voler ricominciare allontanando il senso attanagliante di colpa. Per quanto gli avesse detto che non c'entrava nulla con la tragedia continuava a rimuginarci senza sosta, come in quel momento. Lo capì guardandolo in quegli occhi così diversi dai suoi per colore, ma non per profondità.

Così come comprese che era accaduto qualcosa << Raccontami quel che ti angustia >>.

Thorin si mosse a disagio, ricordando le parole della sorella << Dìs >> disse solamente, prendendo un profondo respiro prima di continuare << Sostiene che sia responsabile della morte di Fili e Kili >>.

Rella alzò gli occhi al cielo, stringendogli spasmodicamente la mano << Sai che non è così! Sono stanca di vederti in questo misero stato, Thorin: è pietoso per un re, e lo è ancor più per il Re sotto la Montagna >> borbottò secca.

Il nano si ritrasse dalla presa ferrea, gli occhi che mandavano lampi furibondi << Ricordare i nipoti defunti è pietoso per voi? >> domandò, contenendo a stento la rabbia << Li ho cresciuti come figli, rimproverandoli per la loro negligenza ma riempiendomi d'orgoglio per gli uomini che erano diventati! Ora non potranno godere dei privilegi che la loro posizione comporta, né potranno sposarsi né invecchiare perché si sono battuti con coraggio e sono deceduti difendendomi coi propri corpi! Come potete dirmi che sono pietoso ai vostri occhi? >> ripeté, calcando volutamente l'aggettivo.

Rella non si scompose, o non lo dimostrò com'era solita fare. Le emozioni trovavano difficilmente accesso tra quei tratti granitici e profondi come pietra. Thorin, invece, in quegli sporadici scatti d'ira dimostrava anche troppo bene i suoi pensieri; incapace di star seduto si era alzato con foga, portandosi ad alcuni metri di distanza dalla madre, indignato e furente con la sua imperturbabile freddezza.

<< Non vi sconvolge saperli morti? >>.

La domanda accusativa la sferzò con brutalità << Naturalmente >> rispose, abbassando il capo << Erano pur sempre gli eredi al trono >>.

Thorin si lasciò scappare un'amara risata << Gli eredi al trono >> ripeté con un sussurro, appoggiando l'avambraccio sulla mensola del caminetto; i suoi occhi chiari si persero tra le fiamme guizzanti, lungo quelle lingue di fuoco dalle sembianze di asce, spade, vessilli e corpi contorti dal dolore.

<< Dimenticavo che nulla vi importa al di fuori del potere >>.

Rella sentì una furia cieca montarle in petto e, senza rendersene conto, si alzò avvicinandoglisi; accadde tutto talmente in fretta che nessuno dei due poté far niente per fermare il corso degli eventi: né la mano che, rapida, volò con ferocia e uno schiocco sonoro sulla guancia destra del Re.

Sbigottito, Thorin si ritrovò col capo voltato di lato dalla forza con cui era stato percosso e, lentamente, portò la mano sulla guancia offesa sentendola calda; la nana, invece, aveva lasciato penzolare il braccio lungo il fianco senza mai distogliere lo sguardo dal suo volto, benché l'addolorasse. Però avrebbe ripetuto il gesto un'altra volta se se ne fosse presentata l'occasione.

<< Il potere che tanto disprezzi ti permette di sedere sul trono che era di tuo nonno! Il potere ti rende temibile e autorevole agli occhi della gente, e degno del loro rispetto! La strada per ottenerlo e mantenerlo è irta di insidie e comporta inevitabilmente delle perdite, ma non per questo bisogna scoraggiarsi. Un Re non si mostra mai debole. Un uomo sì, ed è ciò che lo rende inferiore >>.

Thorin espirò, riconoscendo le frasi che udiva sin da quando aveva memoria, anche se ora storpiate per enfatizzare le sue convinzioni.

<< Sei tenuto a rendere onore alla Casa dei tuoi Padri finché non esalerai l'ultimo respiro, Thorin Scudodiquercia. Se essi potessero parlarti esprimerebbero la loro vergogna nel vederti in questo momento >> sibilò, arrabbiata e... disgustata? Così gli parve. << Perciò, marcerai con convinzione e combatterai con coraggio alzando al cielo lo stendardo dei Durin, facendolo garrire al vento. Se la codardia o qualsiasi altro sentimento inadeguato prevarranno sul tuo cuore come accadde a tuo padre... >> lasciò volutamente la frase in sospeso, trafiggendolo con uno sguardo rovente e ghiacciato insieme, acuendogli la sensazione dello stridere di due lame tra loro << ...puoi risparmiarti la fatica del viaggio di ritorno, e morire sul campo di battaglia >>.

Per la seconda volta, Thorin udì una sentenza tagliente come la lama di un'ascia pendergli minacciosa sul capo: oscillava pericolosamente di qua e di là, minacciando di staccarsi da quel sottile lembo che la sosteneva per conficcarglisi brutalmente sul cranio, uccidendolo atrocemente. Al contrario di prima, però, non sarebbe rimasto in silenzio: l'orgoglio – o ciò che ne rimaneva – gli impedì di tacere e mostrarsi vile. Proprio quello che Rella si aspettava da lui.

<< Tornare o morire sul proprio scudo. La scelta mi pare facile >> constatò ironico, portando meccanicamente le mani dietro la schiena.

<< Dipende da te >> replicò lei, con tono più ammorbidito; gli diede le spalle, incamminandosi verso la porta. Prima di varcare la soglia, però, si fermò e lo guardò un'ultima volta, alzando di poco un angolo della bocca sottile << Sono certa che sarai saggio e saprai trovare la risposta. Riposati, figlio. Domani sarà un grande giorno per il popolo di Durin >> se ne andò senza riuscire a dirgli quanto, in realtà, le dispiacesse per le tremende perdite.

Non rivelandogli quanto le sanguinasse il cuore a causa delle pesanti parole dette. Non confidandogli quanto l'amasse, e quanto temesse per la sua incolumità.

L'ultimo lembo di seta dell'abito sparì in uno svolazzo nero come pece. Come quell'oblio che lui tanto anelava ma che avrebbe dovuto abbandonare. O forse avrebbe dovuto accoglierlo per impedire ad altro di insinuarsi nel cuore eludendo le barriere alte e insormontabili.

Si risedette, appoggiando i gomiti sul legno scuro della scrivania, portando entrambe le mani a coprirgli il volto stanco e dolente, lacerato e confuso, collerico e triste, impotente e battagliero.

Proprio non riusciva ad abbandonare gli ultimi dialoghi, pur desiderando con tutta l'anima di dimenticarli. Di nuovo, innumerevoli sentimenti esplosero nel cuore, confondendolo e devastandolo: primi fra tutti, rabbia verso la sua condizione e amarezza profonda per quel che non sarebbe mai cambiato. Non indirizzò l'ira verso la madre poiché ciò che aveva detto, per quanto meschino e crudele, doveva servire unicamente per il suo bene, per farlo tornare come un tempo. A modo loro, sia Dìs che Rella cercavano di aiutarlo. Ma lui in che modo poteva aiutarsi?

Non trovò risposte.

Rimase in quella posizione a lungo, o forse gli parve tale; improvvisamente, come quando un lampo bianco si scaglia a terra durante un violento temporale, la soluzione gli apparve nitida e chiara. Era talmente semplice che rimase qualche istante come sospeso, immobile come la pietra che lo circondava.

E proprio come pietra sarebbe dovuto diventare.

Permettendo a quel che lo rendeva così debole di indurirsi.

Riversando il suo furore e la sua smania di vendetta verso il nemico.

Immergendosi totalmente in quella nuova impresa che l'avrebbe sciolto dai propri spettri, dalle sue paure. O che l'avrebbe ucciso. Sinceramente, non avrebbe saputo scegliere tra l'una o l'altra; anzi, forse attraverso la morte avrebbe finalmente riavuto la sua libertà.

Non gli importava vivere, o morire.

Ciò che contava era la vendetta. Solo questo. E, per Durin, l'avrebbe ottenuta.

Tirò un ultimo sospiro sentendo la stanchezza martellargli insistentemente sulle tempie, decretando fosse giunto il momento di coricarsi. Lo desiderava immensamente, e ringraziò il suo buon intuito per aver già preparato ogni fagotto per l'indomani all'alba.

Quando riabbassò le mani, nessun sentimento traspariva dal suo viso, né dagli occhi.

Se Rella avesse potuto vederlo sarebbe stata fiera di lui.








CANTUCCINO DELL'AUTRICE

Buonsalveeeeeeeeeee!!! Hahahahahaha, ero convinta di rimanere fuori dai giochi per un po' di tempo, e invece mi sono ritrovata impaziente di pubblicare questo primo capitolo con prologo della nuova storia XD!!!

Che ne pensate, vi è piaciuto ^^? Iniziamo già con un'atmosfera pesante per tutti, dalle sentinelle ai nostri Durin rimasti; chiedo umilmente perdono alle fans di Fili e Kili, non potete immaginare il dolore provato nello scrivere questo capitolo ç____ç: lo sapete, è dura che la vena tragica mi abbandoni! Qui abbiamo anche un Thorin devastato dalla perdita dei nipoti, con una sorella che lo “odia” – comprensibile, direi – e una madre molto ambiziosa e forte. Secondo me quel povero nano non vede l'ora di andarsene, anche se al momento accoglierebbe la morte con gioia :'(! Ma ci pensiamo NOI a dargli l'ammmmore che vuole ;)))

Al momento non ho altro da dire, perciò vi chiedo gentilmente di farmi sapere i vostri pareri tramite le vecchie recensioni ;))) ve ne sarò moooolto grata <3!

Alla prossima, un abbraccio a tutti quelli che commenteranno, leggeranno e decideranno di seguirmi :D!

Ciaooooooooooo

Anna <3

  
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