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Autore: Sasita    02/11/2013    4 recensioni
I due soli di Gallifrey splendono ancora, il cielo arancione brilla di una nuova vita e le foglie riflettono immagini di quiete. Un bambino corre sull'erba, cercando di catturare una farfalla. Sogno o realtà? Passato o presente? A volte bastano poche parole ad accendere quella luce.
Easy for you to say, you don't have kids...
I was a dad once
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Doctor - 10, Doctor - Altro, Rose Tyler
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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I was a dad once


« Che ne vuoi sapere tu? Non hai dei figli »
« Sono stato padre, una volta »
 
 
Il cielo risplende, la luce del giorno si riflette in ogni angolo e il tuo sorriso è ancora più acceso dei raggi solari. Gallifrey è uno spettacolo in quella mattina primaverile. L’arancione quasi dorato della volta è sfavillante di energia e i due soli sprizzano riflessi in ogni dove. Le foglie argentate degli alberi sembrano miliardi di specchi, che rimandano le immagini limpide di una civiltà evoluta. Un bambino corre sull’erba profumata, rincorrendo una farfalla multicolore; sembra quasi un dipinto tanto è perfetto alla vista. Con le sue manine tese verso l’alto, i capelli bruni che si scompigliano al vento e gli occhioni azzurri vivi, pieni di quella gioia sprizzante, ingenua, che caratterizza i bambini. Il tempo, di cui il bambino ancora non sa di essere padrone, non gli ha ancora insegnato che la vita è fatta anche di tanti piccoli dolori. Perdite, rinunce, rimpianti che non si possono dimenticare, non se la rinuncia è la libertà. Ma quel bambino non lo sa: lui corre e vede tutto come se fosse uno spettacolo, un’immagine di una realtà immutabile, eternamente bella. E tu lo guardi, con quel tuo sorriso felice. Perché la felicità di un bambino è sempre contagiosa. Sei seduto su una roccia sporgente, con le mani posate sulle ginocchia e gli occhi attenti, pronti a farti scattare al primo segnale di pericolo. Ma non ci sono pericoli a Gallifrey, soprattutto per il figlio del Dottore. Dottore chi? In pochi sanno il tuo nome. E nessuno, neppure tu, conosce il tuo destino. Guardi quel bambino, il tuo bambino, e ricordi quando anche tu eri innocente, prima di fuggire alla vista del vortice del tempo. Quando ancora avevi un amichetto del cuore, che invece a quella vista è impazzito. Di persone ne hai viste ma non poi così tante, in fin dei conti sei un Signore del Tempo molto giovane ancora; sessant’anni o poco più, un bambino e una moglie. Una madre premurosa, che è sempre stata severa ma che ti ha sempre dato tutto. E soprattutto ti ha dato la stabilità: ti ha insegnato come vivere con il tuo carattere estroso dovuto alla consapevolezza di avere tutto tra le mani, senza però dimenticarti che il potere nasconde sempre un dovere, e che ogni azione si paga, anche se si è potenti come un dio. E ora che hai un figlio lo sai. Lo guardi, sorridi, sei felice. Lui ha tutta la vita davanti, e ce l’hai anche tu. Non è incredibile? Poche sono le razze nell’universo che, come voi Signori del Tempo, possono ingannare la morte e vivere per sempre. Siete una razza antica, destinata ad esistere fino alla fine del tempo. Eppure c’è qualcosa nell’aria che ti fa storcere le labbra. Si può esistere davvero fino alla fine del tempo? E’ come se un’enorme macchia scura stesse calando su quei soli impossibili. La quiete prima della tempesta. Ma non ci credi, così scuoti il capo e continui a pensare a tuo figlio.
« Papà! Papà! Sono riuscito a prenderla! »
Sorridi, complice vittorioso di quella piccola cattura, e mentre il bambino ti corre in contro ti prepari a prenderlo in braccio di slancio…
 
~ ~ ~ ~
 
Apri gli occhi. C’è uno strano rumore che quasi non riconosci. Non ricordi molto bene dove sei. Dormivi? Non capita spesso una cosa del genere. Sbatti le palpebre nel buio e d’improvviso la luce si accende, così come la tua memoria. Non hai più sessant’anni, non hai più un figlio innocente, non hai più un pianeta meraviglioso sotto i piedi. O meglio, ce l’hai, ma non è il tuo pianeta meraviglioso. Il rumore proviene dalla sala motori, così ti alzi dal divanetto nella libreria in cui ti eri appisolato e torni da Rose. Lei si volta e ti guarda con un sorriso stentato.
« Mi dispiace. »
« Per cosa? »
« Per quello che ho detto prima. »
Ci pensi un attimo, e poi sorridi, pensando al tuo piccolo e prezioso ricordo dimenticato. Un minuscolo regalo del tempo, che novecento anni ti avevano barbaramente nascosto.
« Grazie, piuttosto. »
« E per cosa? »
« Per avermi fatto ricordare… »
« Vuoi parlarne? »
« No. »
Sul tuo volto compare di nuovo il tuo sorriso furbo, e la tristezza sembra volatilizzarsi in un secondo. Non è così, ma devi fingere che lo sia. Devi farlo per lei, perché non diventi anche quella piccola  dolce umana un senso di colpa appartenente al tuo passato. Anche lei è così giovane e ingenua, come tuo figlio. Ma per lei provi qualcosa di diverso, qualcosa che probabilmente nasconde anche una punta di egoismo. E’ tutto ciò che ti rimane, ora che sai che si può perdere tutto. Ne hai avuti di compagni di viaggio nella tua vita e tutti sono stati importanti, per ogni tua rincarnazione. Ma lei è la prima faccia che la tua faccia ha visto. E’ come rinascere, rigenerarsi, con tutti i ricordi che hai ma come se tutto fosse nuovo. Lei è come se fosse la prima, anche se non lo è. Ripensi a tuo figlio, pensi a tutte le persone che hai amato e hai perso, ma sorridi. Devi farlo. Sei l’ultimo ormai e l’universo converge sulle tue spalle: meglio non scaricare il peso su qualcun altro.
« Allora, dove andiamo? »
Rose ti guarda come fa di solito quando non riesce a capire il tuo stato d’animo, ma poi i suoi occhi si illuminano e fa quell’espressione provocante che le si stampa in faccia quando sta per giocarti uno dei suoi scherzetti da ragazza.
« Stupiscimi », sussurra sporgendosi verso di te e toccandosi il labbro con la punta della lingua, in quel suo sorriso così caratteristico, e non puoi che pensare che lei sa cosa scatena dentro di te.
« Bene », sorridi anche tu e stavolta il sorriso raggiunge gli occhi, « Che ne dici della seconda stella a destra, quella che brilla di più? »
« Mi prendi in giro? Citi Peter Pan adesso? »
« Potrebbe stupirti cosa nasconde quella stella… »
« E vada per l’Isola che non c’è. »
« Nah… non è proprio quello il suo nome. E’ un po’ banale, non credi? »
« Io dico quello che so… », mette su quel rapido broncio, così teatrale, così dolce.
« Beh… », eccola, l’espressione in cui alzi la testa e guardi verso l’alto, per poi tornare a guardare verso la tua piccola umana, « che aspettiamo? Scoprirai come si chiama quando arriveremo… »
« Dai, un piccolo aiuto! »
« No… », tiri giù la leva della Tardis e le sorridi. « Pronta? »
« Decisamente… »
Sorridi di nuovo, un sentore amaro che ti sfiora la gola. Un giorno perderai anche lei, ma per adesso preferisci non pensare.
Le fai l’occhiolino, « Allons-y! »



 


Dice l'autrice:
Allora, è parecchio che non scrivo su efp... e temo di averci perso la mano. Ma ho avuto l'ispirazione vedendo un post su tumblr e improvvisamente tutti i feels che avevo dimenticato nel vedere fugacemente quella scena mi sono ripiombati addosso. Così ho avuto l'ispirazione. Il mio OTP (Tenth/Rose), inserito in un contesto non proprio romantico o sentimentale, ma intimo, nel condividere silenziosamente il ricordo di qualcosa di perduto per sempre. Spero vi piaccia... fatemi sapere :)

 
   
 
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