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Autore: LawrenceTwosomeTime    06/11/2013    3 recensioni
Com'è possibile avere nostalgia di un passato che non è ancora stato vissuto? Matteo ed Elisa sperimenteranno sulla propria pelle che esistono altre realtà oltre a quella cui sono legati. Le loro priorità cambiano a ritmo vertiginoso: è necessario fare una scelta.
Genere: Drammatico, Mistero, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La Fiesta avanzava traballando sullo sterrato, lo scintillio della carrozzeria appena visibile oltre l’intrico di rami.

Il bosco dopo la pioggia profumava di vita e decomposizione, ma Elisa e Matteo non potevano sentirlo, avevano i finestrini chiusi, pensavano a tutt’altro.

“Teso?”
“Perché lo chiedi?”
Il silenzio gravò su di loro solo per pochi attimi.
“Mi preoccupo. Non sei costretto, sai”
Lui inspirò una boccata di aria viziata.
“No, non sono teso. Sono… amareggiato. Depresso, invidioso, sprezzante, malizioso, sarcastico, insicuro, devastato, abbattuto, insofferente. Ma non sono teso”
“Bene”

Quel bosco sembrava non finire mai. Nessuno dei due ricordava quando vi erano entrati. Un attimo prima c’era la campagna, il cielo bianco, casupole sparse; l’attimo dopo, gli alberi. Era come se viaggiassero dentro una gigantesca bolla, dove suoni e distanze si confondevano. Rumori ovattati, reticoli di frasche: tutto sembrava scorrere al rallentatore, la strada stessa era un paradosso.

“Quanto ci ha impiegato, a costruire l’albergo?”
Elisa arricciò il naso.
“Più o meno cinque anni”
“Anche se il progetto covava nella sua testa da molto prima”, aggiunse quasi sottovoce.
Matteo fischiò.
“Ammiro questa determinazione. Sai, le persone testarde che sono capaci di portare avanti un’idea per tantissimo tempo mi… affascinano. Da un lato penso che sia stupido accanirsi su un modello che con il passare dei mesi si distacca sempre di più dalla sua forma originale, ma credo che ci voglia coraggio… si, coraggio, per continuare ad amarlo anche dopo che è diventato irriconoscibile”
Lei lo fissò con la coda dell’occhio per un secondo o due, il tempo di capire come rispondere.
“Be’, forse non funziona proprio così. Magari l’idea nasce incompleta, monca, e poi si rafforza man mano che il progetto prende forma”
Il ragazzo annuì.
“Già”

Qualche goccia isolata ticchettava ancora sul parabrezza.

“Puoi fermarti?”
“Mh? Si, certo. Più avanti c’è una conca, dovrei riuscire a parcheggiare. Che hai, non ti senti bene?”
Matteo fece di no con l’indice mentre l’altra mano correva a coprire la bocca.
La macchina si fermò. Lui sgattaiolò fuori, sporse la faccia fin dentro la lunga erba bagnata e rilasciò quello che premeva per uscire.
Poteva sentire Elisa che gli dava dei timidi colpetti sulla schiena.
Quando ebbe finito, si pulì le labbra con una foglia.
“Va’ un po’ meglio?”
Cristo, perché gliel’aveva chiesto?
Sentì gli occhi che gli si inumidivano, e prima che potesse arginarle le lacrime scesero a fiotti. Se ne stava lì, piegato in due a piangere, con Elisa come unica spettatrice e la compagnia discreta del bosco, e tuttavia si vergognava come non mai.
“Io… io sono un fallito… ecco la verità nuda e cruda… ho sbagliato tutto…”
“Non sei un fallito”
“No?”
“No”
Per quel che ne sapeva, poteva anche essere solo a parlare con sé stesso, tanto era fioca ed evanescente la voce di Elisa.
“Non sei un fallito. Sei un creativo, hai talento”
“E allora perché mi sento così di merda?”
“Lo sai il perché”
“No, non lo so!”

Le fronde ondeggiavano lievemente, come a cullare le cinciallegre.

“Hai paura. E sei anche pigro”
“Si, lo so”
“Tutto proiettato dentro te stesso”
“Lo so”
Elisa si guardò i piedi.
“Vuoi… vuoi che ce ne andiamo?”
“Non lo so”
“Mi piace questa nuova filosofia del so, non so, credo che ti aiuterà contro le tue insicurezze”
Per la prima volta, Matteo fece un risolino.

Un minuto dopo erano di nuovo in macchina, a motore spento.
“E insomma, ecco la situazione”, disse Matteo.
“Irma decide di dare l’avvio alla sua promettente carriera con un superalbergo superlussuoso, ne approfitta per invitare mezzo mondo, mi dico che sono contento per lei, decido di andare, si, non c’è problema, ma la verità è che mi piacerebbe sparire sottoterra, e nonostante questo non ho cambiato idea, forse voglio vedere fino a quanto posso cadere in basso…”
“Okay, frena…”
“Ormai ho deciso, non voglio più fare l’architetto, io non… ah!, giusto, non te l’avevo detto: farò lo scrittore! Ho cominciato a scrivere, lo sai?”
“Matteo…”
“Solo che le mie storie parlano sempre delle stesse cose: gente depressa che perde il lavoro, gente che si butta dai ponti o che ci vive sotto. Una volta ci può stare, due anche, ma i potenziali lettori cominciano a rompersi le palle se dopo quindici pagine non c’è stata ancora una scena di sesso, un omicidio violento o che so io. E l’unica alternativa sono storie in cui ci sono due tizi in macchina che attraversano un bosco, e lui non vorrebbe andare dove sta andando e lei lo compatisce – che ti devo dire?, è inutile, non posso fare a meno di ripetermi, forse sto diventando vecchio…”
“Prima il mutismo, poi la logorrea?”
“Scusa”

Vennero le quattro e mezza.

“Siamo in ritardo”
“Elisa, senti…”
“Mh?”
“Ho avuto un’idea. È un’idea per una storia”
“Oh, ti prego…”
“Aspetta aspetta aspetta, assecondami solo per un minuto, okay?”
“Va bene…”
“Allora, ci sono due tizi fermi in macchina che dovrebbero essere in un posto ma non ne hanno proprio voglia…”
“Correzione: un tizio non ne ha voglia, l’altro potrebbe anche avercela…”
“Che c’entra? Mica parlo di noi due. Dunque, si, questi due tizi preferiscono starsene fermi in macchina a vegetare, e di colpo uno dei due propone di passare il tempo in modo creativo…”
“Oh mio dio…”
“No no no, non è quello che pensi, fammi finire. Perciò, ecco, il tizio maschio dice: e se facessimo finta di essere in un ricordo? Un brutto ricordo?
“Fammi capire, loro sono intrappolati in un ricordo?”
“No, non intrappolati, loro sono il ricordo. Il ricordo è un pezzo della loro vita, un pezzo della vita di entrambi, qualcosa che condividono – ma in un certo senso è già avvenuto, c’è già stato – e al contempo si svolge in un illusorio presente. Se assumiamo che il Tempo è immobile e la percezione è un costrutto umano, allora non c’è poi questa gran differenza tra ricordi e realtà, tra presente e passato. Si tratta solo di rileggere la nostra idea di quello che definiamo l’ora, il qui e ora, capisci?”
“Non lo so, mi sembra un po’ contorto”
“È che serve pensare in modo laterale per assimilare il concetto, io stesso lo sto definendo in corso d’opera”
“E poi?”
“E poi realizzano che hanno passato i quaranta, che hanno entrambi avuto successo, che la loro vita è perfetta. Sono seduti nell’ampio ufficio di lui a chiacchierare davanti a un buon whisky. Godono di ottima salute, sono sposati con persone che amano, il loro lavoro gli da’ un sacco di soddisfazioni. Cose così”
“Tutto questo è molto brillante, ma non si risolve in una fuga dalla realtà?”
“La storia è racchiusa in un guscio metafisico…”
“Ma il cuore della storia è la fuga, sbaglio?”
“Si, bè…”
“Quei due tizi, che poi saremmo noi, avranno pure dovuto affrontare delle difficoltà per arrivare dove sono arrivati, in questa ipotetica realtà immacolata dove tutto è perfetto – che poi trovo fin troppo ingenua, talmente falsa da suonare quasi grottesca”
“Cerca di venirmi incontro, la trovata del cambio di prospettiva è interessante, si apre a diversi quesiti esistenziali”
“Io parlo di te e di me, perché è chiaro che vuoi parlare di quello. Non si può ignorare il presente fantasticando di un futuro perfetto. Puoi continuare a ripeterti che tutto andrà meglio, che il domani sarà migliore di oggi, ma finché non ci metterai mano in prima persona non cambierà nulla. Non scenderanno gli angeli dal cielo per trasportarti nella terra promessa”
“Grazie tante, hai distrutto il mio sogno”
“Mi dispiace, ma devi capire cosa significa vivere nel presente”

Matteo sorbì con soddisfazione un sorso di Canadian Club.
“E insomma, spiegami come abbiamo fatto ad arrivare senza che Irma notasse la nostra assenza”
Elisa si succhiò l’unghia ben curata del pollice.
“Era troppo impegnata a stringere mani e farsi bella coi finanziatori. Quello che mi lascia perplessa è il viaggio in macchina… non sono sicura di ricordare esattamente di cosa abbiamo parlato. È quasi come se non fosse un vero ricordo. Come se non fosse successo”
“Anch’io ho la stessa sensazione”
La vetrata dell’ampio ufficio foderato di pannelli di mogano lasciava entrare gli ultimi raggi di sole. Lo spettacolo della città infiammata dal tramonto era come sempre maestoso.
Matteo si allentò la cravatta con la mano libera e socchiuse gli occhi nel pulviscolo.
“A quanto ne so, ho avuto una giovinezza pressoché perfetta”
Nessuno ha una giovinezza perfetta”, scherzò Elisa.
“Vero, ma io ci sono andato molto vicino. Ero sempre circondato da amici, ho convissuto con donne fantastiche e collezionavo un successo dopo l’altro, come ora del resto”
“Ti hanno mai detto che pecchi di immodestia?”
“Neanche una volta. In questa società non c’è nessuno che abbia le palle per farlo, e a mia moglie non è mai dispiaciuto. Del resto, è grazie alla mia naturale competitività se ho raggiunto i risultati che ho raggiunto. In un modo o nell’altro, vale anche per te”
Elisa piegò la testa con un sorriso accondiscendente.
“Forse. Ma io non vado in giro a sbandierarlo ai quattro venti”
Matteo le prese la mano.
“Concedi a questo decrepito ultraquarantenne di compiacersi un po’ del suo successo… In fondo, diamo talmente per scontata la certezza del nostro benestare che abbiamo dimenticato il brivido dell’insicurezza”
“Se ci ripenso mi vengono eccome, i brividi. Dipendere dalla propria famiglia, provare a immaginarsi nel futuro… sembra la preistoria, ma nonostante tutto quei giorni mi paiono ancora troppo vicini: sono contenta che ce li siamo lasciati alle spalle”
Matteo sospirò.
“A me un po’ mancano, invece. Non avere la tranquillità di chi sa che è nato per sfondare, barcamenarsi per sbancare il lunario. Quei giorni avevano il sapore dell’avventura, ti dovevi aspettare un imprevisto ogni minuto, e questo ti faceva sentire vivo”
“Io ricordo più che altro una sensazione di immobilità: come essere arenati in una palude a bordo di una tavola di legno rosa dai tarli”
“Brillante definizione di instabilità, ma chère!”
“Ma quel pomeriggio…”
Gli occhi della donna elegante davanti a lui sembravano persi in un mondo molto lontano.
“Quel pomeriggio noi eravamo diversi
“Ci puoi giurare. Tanto per cominciare, non avevo questa pancia”
“No, non intendo fisicamente. Noi pensavamo… noi eravamo come sperduti. In un altro ordine di idee”
Matteo tacque, sentendo un formicolio che gli risaliva lo stomaco.
“Eravamo disperati”, disse infine con una nota di insicurezza nella voce.
“Io soprattutto. E non riesco a capire come. So solo che certi pomeriggi, pomeriggi come quello che stiamo cercando di ricostruire, mi tornano in mente senza preavviso, dal nulla, quasi che qualcuno me li abbia cancellati dalla memoria. Mi spaventano, perché suggeriscono quello che avrei potuto essere, quello che avrei potuto diventare. E non so dire perché, ma mi mancano”
“Dovresti essere pazzo per rivolerli indietro”, disse Elisa con un’espressione indecifrabile.
“Forse è proprio questo il punto. La mia vita è perfetta, non c’è posto per le incertezze. Non c’è colore, non c’è… l’emozione. Non più”
“Davvero baratteresti la tua esistenza di adesso con una gioventù piena di problemi?”
“A dirtela tutta, sono felice di non poter scegliere. Perché se così fosse, rimarrei bloccato a metà strada tra le due opzioni”

La pioggia aveva ripreso a cadere.
“L’hai visto? Hai visto il nostro futuro?”
Elisa tremava, e non certo per il freddo.
“L’ho sentito. Come un ricordo, ma proiettato nel domani. Un déjà-vu incredibilmente lungo”
“È perché ci crediamo, la nostra consonanza di intenti lo rende reale. Da soli non sarebbe lo stesso”
Lei deglutì.
“Cerchiamo di essere razionali. Quello che tu chiami consonanza di intenti non è altro che una linea di condotta, un flusso di pensiero che potrebbe ripercuotersi in una realtà immediata. Non certo in un futuro da fotoromanzo”
“E chi sei tu per stabilire cosa c’è nel nostro futuro? Stai disattendendo la tua stessa creazione, così darai vita a una singolarità. Capisci cosa c’è in ballo? Non possiamo tirarci indietro. Dobbiamo unire le due estremità”
“Non posso credere di essere qui e allo stesso tempo laggiù
“Qui è laggiù. Non c’è altro da capire”
“Ho detto credere, non capire. Il futuro non si avvera solo perché pensato. C’è qualcosa che non torna”

Matteo posò il bicchiere e si prese il setto nasale tra pollice e indice.
“Credo… di aver esagerato. Questo ufficio è diventato troppo grande”
Provò ad alzarsi, ma un capogiro lo avvertì che avrebbe fatto meglio a rimanere seduto. Elisa era immobile come una statua, e altrettanto fredda.
“C’è una sorta di conflitto nel nostro ricordo”, disse lui.
“Due versioni della stessa realtà”
Elisa si morse il labbro.
“No, non è la stessa realtà. Sono due visioni possibili per due realtà potenziali”
“Io non ci voglio credere. Cioè, insomma, guardaci! Tra mezz’ora andremo a prendere i ragazzi, questa sera ci siederemo davanti alla televisione e domani sarà un altro giorno, proprio come oggi”
“Non fuggire dalle tue responsabilità. Tu hai dato vita a questa scissione, e tu devi risolverla”
“Teoricamente si tratta di un ricordo del passato che rimanda al nostro futuro. Non puoi attribuirmi la colpa di una cosa che non è mai iniziata”
“Ci siamo dentro entrambi. Qualcuno avrà pur cominciato, e quel qualcuno non sono io”
“Cosa posso fare?”
“Le due realtà… sono inconciliabili. Una esclude l’altra. Devi scegliere”

Elisa aprì un finestrino. Il profumo del bosco invase l’abitacolo.
“Stiamo scherzando?”, sbottò Matteo.
“E io dovrei scegliere tra una vita perfetta e la merda che sto vivendo oggi? Sentiamo, dove sarebbe il conflitto?”
Elisa gli prese il viso tra le mani.
“Dovresti rinunciare a te stesso. Alla tua giovinezza. Sapendo di non averci nemmeno provato”
“Cosa c’è di desiderabile in questo universo? Il senso di impotenza? La frustrazione? Vomitare nel bosco?”
“Si tratta di decidere: vuoi la speranza oppure la nostalgia?”
“Tu questa me la chiami speranza? Non c’è nessuna speranza! La mia giovinezza è finita anni fa, non ho più niente per cui vale la pena lottare. Preferisco godermi il crepuscolo pensando a quello che è stato, a quello che un altro me è stato, anziché continuare a strisciare nel fango per poi finire i miei giorni sepolto sotto montagne di merda”
“Dipende da te. Sei davvero così remissivo?”

Matteo tirò un pugno al tavolinetto.
“No, non lo sono, dannazione! Sono uno dei più importanti costruttori del Paese, ho fondato un impero praticamente dal niente, e tutto quel che mi rimane sono i miei ricordi di gioventù, dei tempi in cui sognavo di cambiare il mondo, non di controllarlo. Preferisco morire anziché trascinarmi in questo ufficio un giorno dopo l’altro, pulito, soddisfatto, sorridente, solo come una farfalla sotto vetro, un completo senza corpo, cazzo!”
Due rughe dalla piega morbida si formarono sulle guance di Elisa quando la donna sorrise.

La macchina fu rimessa in moto. Il bosco riprese a scorrere dietro ai finestrini. Matteo ed Elisa andarono avanti.
  
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