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Autore: Artemide12    07/11/2013    2 recensioni
Le resta solo l’ultimo atto. Deve solo morire.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Mint Aizawa/Mina
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'After and Before'
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IL CIGNO BLU capitolo 1

Si chiude la porta del camerino alle spalle e vi rimane appoggiata, la mano ancora stretta intorno alla maniglia. Le luci sul soffitto e intorno allo specchio sono troppo forti rispetto a quelle del palcoscenico.

Può sentire le voci delle ballerine che affollano il corridoio. E la musica dell’orchestra, costante e quasi ininterrotta, come sangue che scorre nelle pareti stesse del teatro.

È inebriante. È uno dei pochi momenti in cui mente e corpo sono un tutt’uno, fusi in uno stato onirico e incostante in cui spazio e movimento esistono senza tempo né ricordi. In cui il dolore dei muscoli non esiste, e nemmeno le emozioni. In cui i suoi pensieri si riducono a suoni e colori e milioni di interpretazioni diverse.

Si sgranchisce le caviglie. Una alla volta.

Qualche frammento di realtà torna al proprio posto. Ha poco tempo, deve cambiarsi.

È la prima ballerina. È cigno, drago e fenice. Principessa e impostora.

Si contorce finché il costume non le scivola di dosso e diventa una macchia scura sul pavimento. Lo scavalca e raggiunge la toletta. La ballerina dall’altra parte dello specchio la fissa con occhi da uccello.

Afferra un panno imbevuto di struccante e se lo strofina con forza sul volto finché pelle arrossata non emerge da sotto strati e strati di colore.

Un ginocchio le balla a tempo con la musica. Si sforza di controllare il tic. Fa un paio di passi nel camerino, poi un paio di piroette. Si sgranchisce di nuovo le caviglie.

La ballerina nello specchio è così magra che lo stomaco è incavato rispetto al torace e le ossa del bacino minacciano di bucarle la pelle dei fianchi.

Si guarda intorno in cerca della trousse dei trucchi. È sicura di averla lasciata sulla toletta. Mentre rovista nei cassetti piega la testa da una parte e dall’altra per far scrocchiare il collo.

Una forcina cade a terra.

Mentre si piega per raccoglierla, un dolore improvviso le attraversa la schiena.

Con un gemito straziante, Mina cade in ginocchio. Afferra il piano della toletta con le mani per avere stabilità e stringe i denti aspettando che l’ondata passi.

Il dolore si affievolisce, ma non scompare. È lì, in mezzo alle scapole, vivo e pulsante.

«Non è reale» sussurra a se stessa. «Non è reale non è reale nonèreale.»

Ma le parole perdono di significato e il dolore esige di essere sentito. Si porta una mano alla nuca e l’altra alla base della schiena. Le sue dita si incontrano tra le scapole e premono, massaggiano e grattano. Ma il dolore non è lì. È… è più su, più dietro, più esterno.

Sono le sue ali. Sono piegate male, come braccia incastrate in una posizione scomoda da troppo tempo. Sono semiaddormentate, ma fanno male.

Deve – solo – riuscire – a – massaggiare – il punto – giusto.

Per un momento il dolore raggiunge un altro picco, poi scivola di nuovo verso il sopportabile.

Mina stringe i denti fino a farli slittare e ricaccia indietro le lacrime.

Deve truccarsi. Deve cambiarsi. Deve cambiare posizione alle sue al--

Si costringe ad alzarsi in piedi.

«Non è reale. Non. È. Reale.»

È questo che si ripetono gli amputati quando i loro arti fantasmi pretendono di essere ricordati, sentiti, curati?

Non è reale. Ma era reale. Era una parte del suo corpo, intrecciata alla meccanica di ogni movimento insieme a tutto il resto. Le ali sono sparite, ma le parti del cervello che una volta le controllavano rimangono. Rimarranno per sempre.

Deve truccarsi. Deve cambiarsi.

Afferra la trousse dal fondo del cassetto, ma il braccio muove la scapola che muove l’ala di destra e una nuova scarica di dolore le attraversa la schiena.

La trousse si rovescia a terra, vomitando il proprio contenuto sul pavimento. Mina si china a raccogliere i trucchi quasi alla cieca e ritrae di scatto la mano quando qualcosa di affilato le taglia un dito.

Deve truccarsi. Deve cambiarsi. Il balletto è quasi finito.

Un rasoio si è rotto cadendo e le lame si sono sfilate. Ne raccoglie una e ne studia il riflesso.

Il cigno nero ha fatto la sua parte. L’ultimo atto è tutto per il cigno bianco. Le resta solo l’ultimo atto. Deve solo morire.

È una lama piccola.

Ma anche quella dell’ultima volta era piccola e ha fatto il proprio lavoro. Peccato non aver saputo che per dissanguarsi abbastanza in fretta bisogna tagliare verticalmente invece che orizzontalmente.

Deve truccarsi.

Il fondotinta è sparso sul pavimento.

Deve cambiarsi.

Dov’è il costume bianco?, dove l’ha lasciato?

Usa lo sgabello della toletta come appoggio per alzarsi di nuovo. Quante volte ancora dovrà inginocchiarsi a raccogliere qualche pezzo?

Le spalle, le scapole, le vertebre. Cerca di fare circonduzioni, di far scrocchiare le cartilagini, di rilassare i muscoli. Di ricordare al suo corpo che le ali non esistono.

Ha letto da qualche parte che visualizzare l’arto mancante aiuta.

Dà le spalle allo specchio, poi volta la testa per poter vedersi la schiena nel riflesso. La ballerina nello specchio ha la pelle liscia, priva di cicatrici o di qualsiasi altro indizio di ali.

Eppure sono proprio lì. Può sentire l’attaccatura. Cerca di tracciarne i contorni e due cerchi rossi compaiono a tra le scapole e la colonna.

La musica scema. Per un istante l’interno teatro rimane avvolto dal silenzio.

E Mina realizza di avere ancora in mano la lama del rasoio rotto. La mano inizia a tremarle incontrollabilmente, ma deve sforzarsi per allentare la presa delle dita e posare la lama sulla toletta.

Recupera un panno pulito e se lo preme sulla schiena. Quando lo ritira è sporco di sangue.

«Dannazione!» geme, sull’orlo delle lacrime, tornando a tamponarsi la schiena.

Qualcuno bussa alla sua porta. «Mina? Ti voglio fuori tra esattamente 2 minuti e 10 secondi» ordina il suo istruttore prima di allontanarsi.

I trucchi sono ancora sparsi a terra.

Perché proprio in adesso? Perché proprio oggi? Perché proprio durante questo balletto? Perché dopo così tanti mesi in cui non aveva più pensato a nulla che non avesse a che fare con la danza?

Perché?

Per quanto tempo ha desiderato ogni giorno di sentirsi dire che sarebbe potuta tornare alla sua vita normale? Perché invece ora, ad anni di distanza, spera di scoprire che la guerra con gli alieni non sia finita affatto?

Sta cercando un costume diverso da quello del cigno bianco. Vuole un chimero diverso dal pubblico. Un chimero vero e delle ali vere.

Perché proprio adesso?

Ha visto Kyle nel pubblico. È stato solo un attimo, solo un caso, ma ne è sicura. Le torna alla mente come se lo avesse avuto davanti a sé lì nel camerino. Un volto visto per un nanosecondo ha scatenato qualcosa che il suo inconscio credeva di aver ingoiato del tutto.

Non può.

Non può tornare sul palcoscenico.

Non può tornare ad essere la principessa, o morirà con lei.

  
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