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Autore: Laine Granger    08/11/2013    3 recensioni
-Shinji, c’è della posta!- chiamò la voce di Misato dalla cucina. Shinji la raggiunse infastidito, poiché sapeva già che per lui non ci sarebbe stato nulla. Stavolta invece si sbagliava. Sul tavolo infatti era poggiata una busta con scritto il suo nome: “Per Shinji Ikari”.
-Forse i tuoi parenti hanno finalmente deciso di farsi sentire- provò a indovinare Misato, sorseggiando dalla sua lattina di birra. Dapprima Shinji concordo con lei: non vi era nessuno, oltre ai suoi parenti, che avrebbe avuto bisogno di scrivergli una lettera, perché tutte le persone con cui aveva rapporti si trovavano alla Nerv, quindi lo vedevano ogni giorno. Eppure conosceva bene la calligrafia dei suoi zii e non somigliava affatto a quella della busta. L’unica cosa da fare era aprirla, anche se aveva un brutto presentimento. Estrasse il biglietto che stava all’interno e lo lesse silenziosamente: “Caro Shinji, sei invitato domani pomeriggio in città per una passeggiata. Ti aspetto alle quattro alla rampa per il personale della Nerv. Con affetto, Kaworu”.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kaworu Nagisa, Shinji Ikari
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Shinji x Kaworu
Suona per me.
Tu (non) sei solo.
 
 
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-Shinji, c’è della posta!- chiamò la voce di Misato dalla cucina. Shinji la raggiunse infastidito, poiché sapeva già che per lui non ci sarebbe stato nulla. Stavolta invece si sbagliava. Sul tavolo infatti era poggiata una busta con scritto il suo nome: “Per Shinji Ikari”.
-Forse i tuoi parenti hanno finalmente deciso di farsi sentire- provò a indovinare Misato, sorseggiando dalla sua lattina di birra. Dapprima Shinji concordo con lei: non vi era nessuno, oltre ai suoi parenti, che avrebbe avuto bisogno di scrivergli una lettera, perché tutte le persone con cui aveva rapporti si trovavano alla Nerv, quindi lo vedevano ogni giorno. Eppure conosceva bene la calligrafia dei suoi zii e non somigliava affatto a quella della busta. L’unica cosa da fare era aprirla, anche se aveva un brutto presentimento. Estrasse il biglietto che stava all’interno e lo lesse silenziosamente: “Caro Shinji, sei invitato domani pomeriggio in città per una passeggiata. Ti aspetto alle quattro alla rampa per il personale della Nerv. Con affetto, Kaworu”.
Shinji rimase esterrefatto, e intuì che il suo stupore era trapelato nel viso, dato che Misato gli chiese se andasse tutto bene. Rispose frettolosamente di si e scappò fuori dall’appartamento. Richiuse la porta alle sue spalle e vi si appoggiò ansante. Attese che il respiro si fosse calmato del tutto, prima di iniziare a marciare avanti e indietro nell’aria notturna. “Ma è pazzo?” fu il suo primo pensiero. “Che problemi ha? Perché ha scritto questa lettera? Ha idea di cosa sarebbe successo se Misato l’avesse letta senza avvertirmi? Si sarebbe fatta un idea completamente sbagliata, e a subirne le conseguenze sarei stato io, mica lui! Che cosa gli salta in mente? Se doveva dirmi qualcosa, avrebbe potuto farlo in qualsiasi occasione!” O forse no. Smise di camminare. Adesso che ci pensava, Shinji dovette ammettere che negli ultimi giorni, aveva decisamente evitato Nagisa. Passava pochissimo tempo alla Nerv, per non incontrarlo e quando, dopo i test con gli Eva lo incrociava negli spogliatoi, raccoglieva subito i suoi vestiti e se ne andava non concedendo a Kaworu neanche mezzo minuto per attaccare una conversazione. In cuor suo sapeva che questo comportamento era infantile, ma non riteneva che fosse colpa sua. “E’ stato lui a cominciare, la notte in cui Ayanami è morta…”. Si fece forza per ricacciare indietro le lacrime e la tristezza che lo assalivano sempre al solo ricordo di Rei Ayanami. “Ha detto delle cose così imbarazzanti… E’ normale che io non voglia più stargli accanto. E questa lettera? Crede davvero che accetterò l’invito? Neanche per sogno!” Shinji rientrò in casa, andò in camera sua e nascose la busta nell’armadio. Prese il lettore musicale con le cuffie e si mise alla scrivania. In momenti del genere, gli avrebbero fatto comodo dei compiti scolastici per scacciare i pensieri fastidiosi, ma dopo l’incidente di Ayanami, buona parte della città era andata distrutta, quindi la scuola aveva chiuso i battenti. “E poi, con la città ridotta in questo stato, cosa avrebbe intenzione di fare tutto il pomeriggio?”. Shinji continuò a tormentarsi finché non gli venne in mente il fatto che la lettera non presupponeva una risposta, quindi anche se lui non fosse andato sul luogo dell’incontro, Nagisa sarebbe rimasto lì ad aspettarlo. Per quanto Kaworu gli desse noia e non tollerasse la sua invadente presenza, Shinji non sopportò l’idea di essere atteso inutilmente da quel ragazzo, così ritenne giusto avvisarlo che non sarebbe andato all’appuntamento. Prese il cellulare dalla scrivania e, visto che non voleva parlargli ed era notte, gli scrisse un messaggio in cui si scusava di non poter andare in città a causa di un impegno importante. Stava per inviarlo, quando ricordò di non avere il numero di Nagisa. In verità, non sapeva nemmeno se l’altro avesse un cellulare. Lanciò via il suo e si portò le mani dietro la nuca, mirando il soffitto con la fronte corrugata. Avrebbe dovuto parlare a Nagisa di presenza. Si disse che poteva benissimo informarlo che aveva rifiutato l’invito e andarsene senza aggiungere altro. Non era poi così impossibile come faccenda. Si rilassò, contento di aver trovato la soluzione al problema: domani ci sarebbe stato un test con gli Evangelion, quindi avrebbe visto Kaworu di sicuro. Mise il pigiama e si preparò a dormire sonni tranquilli.
La mattina dopo fu la sveglia a riportarlo alla realtà, visto che Misato si alzava sempre tardi. Si preparò, fece colazione e partì alla volta della Nerv. Aveva una strana angoscia, come prima di un esame. Non gli piacque quella sensazione, pertanto accelerò il passo: “Prima gli parlo, e prima non avrò più niente a che fare con lui”. Di fronte l’ingresso dello spogliatoio, prese un gran respiro, serrò i pugni e mise un piede sulla soglia, ma non trovò nessuno. Cautamente fece il giro delle stanze, controllando anche le docce, ma di Nagisa nessuna traccia. “Forse è già sull’Eva” rifletté dopo l’infruttuosa ricerca. Dunque si infilò il Plug Suit, entrò nella gabbia e salì sullo 01. Appena fu all'interno e i suoi polmoni vennero riempiti di LCL, approfittò subito del collegamento radio per chiedere alla dottoressa Akagi se Kaworu fosse sullo 02.
-Oggi Kaworu non è venuto- rispose Ritsuko.
-Come? Perché?- domandò Shinji esasperato.
-Ha chiesto una licenza dicendo di avere un impegno. In effetti, quello di stamani è un semplice test di sincronia. Il fatto che non sia presente, non è una tragedia-
 Shinji ammutolì. Come avrebbe potuto informare Nagisa che non sarebbe andato all’appuntamento? Ci pensò per l’intera durata del test, maledicendo Kaworu perché gli dava troppi problemi. Ritenne di non avvertirlo e lasciare che passasse tutto il pomeriggio ad attendere inutilmente, ma quest’intento durò poco. Non sapeva spiegarsi il motivo per cui non riusciva a far del male a Kaworu. -Lui non è nessuno per me!- gridò per dar vigore alle sue riflessioni, ma si accorse di aver esagerato e rabbrividì per la vergogna. Ora anche dalla sala controllo sapevano che stava ancora pensando a Nagisa.
Il collegamento radio si aprì: -Shinji, il tuo test sta andando male. C’è qualcosa che ti turba?- proruppe la voce di Ritsuko.
-No, nulla. Ho solo un  po’ la testa fra le nuvole- spiegò Shinji desiderando vivamente che ciò bastasse a placarla.
Ci fu un attimo di silenzio, poi la dottoressa continuò: -Se hai bisogno di parlare con Nagisa, puoi cercarlo nella sua stanza-
Shinji arrossì violentemente. -Non è così..! Io..!- tentò di difendersi, ma Ritsuko lo liquidò annunciandogli che il test era terminato e poteva andarsene.
Shinji, rosso di imbarazzo, scese dall’Eva e corse a cambiarsi tenendo lo sguardo basso: non voleva che loro notassero quanto era sconvolto. Evidentemente, dal test era risultato un forte squilibrio che aveva spinto Ritsuko a informarsi sulla sua salute. Adesso, con gran rammarico di Shinji, l’intero staff di supporto sapeva che la ragione delle sue angosce era Kaworu. Chissà quali idee si stavano facendo tutti quanti! Forse ridevano alle sue spalle e lo canzonavano. Odiò intensamente Nagisa e ancora una volta desiderò dargli un bel pugno in faccia. Oramai non gli importava più dell’appuntamento. Voleva solo spaccare i denti alla fonte delle sue sciagure. Con la rabbia che lo percorreva da capo a piedi, Shinji indossò i vestiti e si lanciò verso la stanza di Kaworu, prevedendo che lo avrebbe colto di sorpresa visto che non chiudeva mai la porta a chiave, poiché nessuno gli faceva visita. -Stavolta lo picchio sul serio!- gridò quando la porta della camera scivolò di lato rivelando che Kaworu non era neanche là.
Shinji sentì la rabbia dileguarsi alla vista della stanza vuota. Il test con lo 01, la corsa appena fatta e il repentino cambio d’umore stroncarono Shinji a tal punto che dovette trascinarsi fino al letto quasi incosciente, per non perdere completamente i sensi. Gli venne un attacco d’affanno, si strinse forte al cuscino in attesa che passasse e, piano piano, il respiro si fece nuovamente regolare. Anche se adesso si era calmato, Shinji decise di rimanere lì a riposarsi. Sedette guardandosi attorno nella penombra. La stanza era sempre la stessa, talmente uguale da rievocare in lui i ricordi della notte in cui morì Ayanami, ricordi così vividi che gli sembrò quasi di sentire la voce di Kaworu:
Dimmi. Che sensazione fa? Quando ci si innamora di qualcuno che sensazione fa? Quando vorresti toccare l’altra persona… Quando vorresti baciarla… Quando hai paura di perderla… Che effetto fa? Mentre combattevo con l’angelo… I pensieri del First Children si sono riversati dentro di me. Ho provato una sensazione di tepore… E sono stato colto dalla nausea… Come se stessi lentamente soffocando. È questo… l’amore? Che sensazione fa, quando qualcuno prova per te un sentimento del genere? Per esempio, se ti innamorassi di me… che effetto mi farebbe?”.
Shinji cadde preda di un conato di vomito. Strisciò in bagno e cacciò fuori la colazione: quel ricordo lo aveva nauseato. -Non è possibile che io mi affezioni a lui. Siamo maschi! Chi mai potrebbe legarsi a una persona del genere? Una persona che uccide a sangue freddo. Una persona che, vedendo Asuka rischiare la vita, trovava fosse uno spettacolo interessante. Una persona che è rimasta indifferente alla morte di Ayanami. Come potrei legarmi a qualcuno così insensibile? Come potrebbe essere mio amico? Non potrò mai provare altro che disgusto nei suoi confronti!-
Shinji si diede una ripulita e tornò a stendersi sul materasso. Se ne sarebbe andato già da un bel pezzo, ma voleva essere totalmente tranquillo. Se Ritsuko, Maya o gli altri lo avessero beccato in corridoio ancora sconvolto, avrebbero ottenuto la conferma alle loro strane fantasie, specie se lo avessero visto uscire dalla camera di Nagisa. Shinji avrebbe dato di matto se idee così assurde avessero continuato a proliferare: piuttosto sarebbe salito sull’Eva per far saltare in aria la Nerv.
Dal letto notò che sul tavolino al centro c’era una penna, un block notes e una gran quantità di fogli bianchi spiegazzati e accartocciati. Ce n’erano così tanti che alcuni erano caduti sul pavimento. Non ci volle molto per scoprire che erano le bozze del messaggio che aveva ricevuto. L’immagine di Kaworu, seduto lì a scrivere e riscrivere la lettera fece divertire Shinji, che ridendo si rigirò fra le lenzuola, afferrò il cuscino e inspirò l’odore di Nagisa. Respirò più volte quel profumo che non era in grado di definire. Chiese a se stesso perché lo stesse facendo, dato che un minuto prima aveva affermato di disprezzare Kaworu, ma non ne venne a capo. Sentiva però che il pensiero di Nagisa intento a scrivere parole indirizzate a lui, gli dava molto piacere.
Una terribile consapevolezza stava per farsi strada dentro di lui. Uno strano tepore. Niente che avesse mai provato. Spalancò gli occhi terrorizzato e gemette: -No!-. Stava per sopprimere quella sensazione, e ci sarebbe riuscito di sicuro, se solo avesse avuto modo di riordinare le idee razionalmente. In quell’istante però, la porta si aprì e comparve Kaworu, sul cui viso si dipinse la sorpresa nel vedere Shinji disteso sulle lenzuola e abbracciato al cuscino.
-Shinji, ma che…-
-Zitto!- gli intimò Shinji sedendosi. Essere stato colto da Nagisa in una situazione così sconveniente fu il colpo di grazia per lui, dopo una giornata tanto stressante. E come se non bastasse, non aveva avuto modo di soffocare i pensieri imbarazzanti che aveva appena formulato e che ora si erano radicati in lui. La sua mente non ragionava più: l’unica cosa che riusciva a immaginare era di fuggire velocemente da quella stanza. Si alzò. Sulla soglia diede una spallata a Kaworu. -Ti odio- gli urlò, e scappò via, cercando un luogo in cui niente potesse ricordargli ciò che era successo, anche se era impossibile.
Vedeva tutto sfocato. I corridoi della Nerv divennero tunnel grigi, le persone si trasformarono in ombre senza espressione e i suoni erano distorti, come ovattati. Si trovava in una bolla vuota, il cui unico scopo era di isolarlo affinché non pensasse a nulla. Fin da bambino, quando suo padre l’aveva abbandonato, Shinji si era chiuso nel suo mondo, disprezzando gli altri e la loro compagnia. Dal suo arrivo a Neo Tokyo 3, aveva conosciuto molte persone alle quali si era affezionato, ma questo non gli impediva di sollevare le mura intorno al cuore ogni volta che ne aveva bisogno. Questa era una di quelle occasioni: perché il solo ricordare Kaworu Nagisa era peggio di qualsiasi cosa. Come aveva potuto concepire quel genere di pensieri su un individuo così? Avrebbe preferito chiunque, ma non lui. Non voleva accettarlo. Finora si era sempre comportato in maniera scontrosa e diffidente verso Kaworu, e agendo così, era riuscito a mettere la giusta distanza fra loro: gli stava bene. Ma adesso come avrebbe fatto ad allontanare Nagisa? Ora che quello strano tepore si era insediato nel suo petto facendolo sentire come se stesse per soffocare?
Mentre si arroventava su domande a cui non sapeva e voleva rispondere, le gambe lo condussero a casa. Aveva percorso quel tragitto talmente spesso che, senza accorgersene, si ritrovò davanti l’ingresso, e forse era la cosa migliore. Se avesse continuato a navigare su acque tempestose sarebbe annegato, quindi sperò nell’aiuto di Misato per tirarsi su. Lei c’era fortunatamente: -Come è andato il test?-
-Misato, ho bisogno di parlarti-esordì Shinji ignorando la domanda e accomodandosi in soggiorno. Misato era la persona che meglio lo conosceva e sapeva che con lui c’erano momenti per ridere, e momenti che necessitavano delle premure di una madre. Adesso, Shinji era il suo bambino: -Su, dimmi-.
Shinji indugiò, mordendosi il labbro, indeciso se compiere quel salto oppure no.
-Sai che di me puoi fidarti- lo incoraggiò Misato.
Shinji riconobbe di non poter fare altrimenti o sarebbe impazzito, quindi vuotò il sacco: -Mi chiedevo.. ecco.. come si fa a..- si strinse nelle spalle.
-A?- incalzò Misato.
-Mi chiedevo come si fa a capire se si è innamorati di qualcuno- Shinji pronunciò la frase senza guardare Misato negli occhi: provava troppa vergogna.
In un occasione quotidiana, Misato lo avrebbe beffeggiato un po’ per un quesito del genere, ma stavolta rimase seria, perfino più del solito. Lanciandole un occhiata, Shinji notò che la donna aveva un espressione che mai le aveva visto. Anche lei, in quell’istante, stava decidendo se compiere un salto. Infine sospirò: -Beh, io sono stata innamorata una sola volta in vita mia, e scommetto che sai a chi mi riferisco-.
Shinji annuì col capo. Rioji Kaji era stato l’amore di Misato, ma era venuto a mancare. Da quando era successo, non ne avevano più discusso. Shinji sapeva come quella conversazione la facesse soffrire e forse avrebbe dovuto interromperla, ma il fatto che lei ne stesse parlando, era il segno evidente della sua volontà di confidarsi, quindi la lasciò proseguire.
-Come già sai, da giovane persi mio padre nel Second Impact. Da allora non rivolsi a nessuno l’affetto che gli avevo riservato. Kaji mi ricordava mio padre, e questo fu il motivo per cui mi legai a lui, ma non l’unico. Non so bene come spiegarlo. Quando lo conobbi meglio, mi resi conto che la mia esistenza, che finora si era esaurita in me soltanto, continuava anche al di fuori di me, in lui. Il mio io aveva scavalcato i confini del mio corpo per raggiungere Kaji. Io stessa ero Kaji. Condivisi con lui le mie esperienze, i miei grandi dolori, ma anche la mia gioia, e altrettanto fece Kaji con me. Io ero lui, e lui era me. Quando mi svegliavo al mattino e mi addormentavo la notte, avevo la certezza che in un altro luogo, dove era lui, si trovava una parte di me, probabilmente la più preziosa. Se ero da sola, sapevo che in realtà c’era lui con me, perché custodivo il suo cuore. Ecco. Quello fu il momento in cui capii di amarlo- gli occhi di Misato si velarono di lacrime e per un po’ pianse coprendosi il volto con le mani. Shinji rimase lì senza proferir parola: non sapeva come consolarla. Si sentì profondamente in colpa per averla spinta a tanto, ma Misato era una donna forte, e presto si ricompose. Asciugò le proprie lacrime e si mise dritta. Il suo aspetto poteva sembrare lo stesso di poco prima, ma le sue pupille tradivano un immensa tristezza. Nonostante questo, continuò: -In seguito entrambi, anime dannate, avemmo paura di tanta felicità. Pensammo di non meritare di essere sereni, a causa del nostro passato. Eravamo ancora legati alle persone che ci erano state strappate, dunque ci separammo. Ora che ho perso anche Kaji, mi rendo conto che insieme a lui avrei potuto essere davvero felice. Sono stata una stupida. Ho commesso molti errori, ma questo è certamente il mio maggior rimpianto-.
-Misato…- esalò Shinji: la voce gli si spezzò in gola.
-Ascoltami bene, Shinji. Se almeno stavolta mi darai retta, avrò adempito al mio compito di tutrice, ma te lo dico soprattutto da amica: se pensi di amare qualcuno, non avere paura. Prendi al volo l’occasione, perché potrebbe non ripetersi. Se hai qualcosa da dire a una persona, non rimandare oltre e digliela. Io avrei voluto farlo. Non sai cosa la vita potrebbe avere in serbo per te, quindi se hai modo di essere felice, devi fare il possibile per renderlo vero. Se sarai stato felice almeno un istante, potrai dire che è valsa la pena di vivere-.
-Essere felice, io? È assurdo- ora toccò a Shinji versare lacrime: il discorso di Misato era stato così doloroso… -Io non merito di essere felice, non so nemmeno cosa significhi. Non faccio altro che provocare dolore a chi mi sta accanto. Perché uno come me dovrebbe avere diritto alla felicità? Io posso solo soffrir…-
Schiaf.
La mano di Misato si era levata in aria e aveva colpito Shinji con violenza. Il ragazzo attonito non reagì. Si limitò a tacere e fece per andarsene, ma Misato gli fu addosso. Shinji, sentendosi aggredito, pensò che Misato lo avrebbe picchiato, ma non era un problema per lui, abituato a incassare sempre.
In verità, quello di Misato non era un assalto, ma un abbraccio. La donna strinse Shinji a se, circondandolo col suo corpo.
-Sei proprio uno scemo- gli sussurrò delicatamente all’orecchio. -Noi tutti abbiamo commesso degli sbagli, ma non per questo ci viene negata la felicità. Il futuro esiste affinché possiamo riscattarci, non per piangerci addosso! Quelli che si angosciano sulle cose passate sono dei deboli. La forza delle persone è di credere in un futuro più luminoso, ma le cose non cambieranno mai, se non siamo noi a impegnarci per renderle migliori. Capisci ciò che intendo, Shinji? Anche tu meriti di essere felice-.
Il corpo di Misato era caldo e accogliente. Shinji provò la stessa sensazione di quando sua madre Yui lo prendeva in braccio durante le loro passeggiate: era il suo unico ricordo felice. Aveva sempre desiderato riavere indietro sua madre e non avrebbe mai immaginato che il destino gliel’avrebbe restituita nella persona di Misato. Abbracciò la donna che gli era così vicina non solo fisicamente, ma soprattutto col cuore.
-Grazie- le disse. Una parola sola bastava a esprimere la gratitudine per tutto ciò che Misato aveva fatto per lui da quando l’aveva incontrata.
-Sono io che devo ringraziarti, Shinji. Prima che arrivassi tu, questa casa era vuota. Adesso non sono più sola-. Misato gli diede un bacio sulla guancia e sciolse l’abbraccio. Si guardarono dritto negli occhi: avevano smesso di piangere.
-Se la tua felicità risiede in qualcuno, devi andare da quella persona. Non temporeggiare, vai e dille ciò che devi. Sii sicuro di te, sei un uomo-.
-Si- I pensieri non avevano alcun valore: ciò che andava fatto era seguire il cuore. Fu la prima volta per Shinji, ma le parole di Misato lo sostenevano.
Entrò in camera sua, aprì le ante dell’armadio ed estrasse la lettera di Kaworu, infilandola in tasca. Passando dalla cucina per uscire, fu richiamato da Misato: -Un ultima cosa. Ricorda che non siamo noi a decidere di chi innamorarci. Succede e basta-.
Shinji non comprese pienamente il significato di quel consiglio, a causa dell’emozione.
Salutò Misato e scappò fuori. Per strada rilesse il contenuto della lettera. Kaworu lo avrebbe aspettato alla rampa d’uscita per i membri della Nerv. In breve giunse sul luogo indicato. Prima di voltare l’angolo però, controllò l’orario e scoprì che mancava un'altra ora: era decisamente in anticipo. Come ingannare il tempo? Ritenne opportuno misurare il luogo in cui si sarebbero visti, per decidere dove farsi trovare, e sapere come muoversi. Si sentì uno stupido a voler prendere tutte quelle precauzioni riguardo a un semplice appuntamento, ma lo fece ugualmente per stare tranquillo. Inoltre Nagisa sarebbe arrivato fra un bel po’.
Girò l’angolo e vide Kaworu.
Shinji spalancò gli occhi: -Ma che…?!- si tappò la bocca con la mano, esterrefatto. Kaworu gli dava le spalle e non l’aveva notato, quindi si ritrasse nuovamente dietro al muro, schiena contro la parete e i palmi delle mani poggiati ai mattoni. Trattenne il respiro qualche secondo, accertandosi di non essere stato scoperto. Appena fu chiaro che Nagisa non si era accorto di nulla, Shinji riprese a respirare con calma, anche se le tempie gli pulsavano: “Che ci fa già qui?” si lamentò. “E’ in anticipo di un ora!”, poi pensò che Nagisa si trovava nella sua stessa situazione. Era un bel guaio. Shinji avrebbe voluto esaminare il terreno, ma il piano era da escludere. “Cosa faccio? Se mi presento subito, sembrerà che ero ansioso di incontrarlo. Non posso. Altrimenti crederà che io abbia pensato a lui tutto il giorno!” l’idea gli fece accapponare la pelle. “Starò dietro questo muro fino alle quattro, e poi lo raggiungerò!” decretò alla fine, rilassandosi. Nell’attesa sbirciò più volte Nagisa, che si era seduto e canticchiava, osservando incuriosito il paesaggio urbano. Quando non lo spiava, Shinji provava a immaginare cosa avrebbero fatto, di quali argomenti avrebbero discusso e come avrebbero impiegato il pomeriggio. Allo scoccare delle quattro, Shinji si rese conto che avevano davvero pochi espedienti con i quali intrattenersi, e ancor meno ero gli argomenti di cui parlare. Al pensiero di loro, impantanati in un silenzio teso e imbarazzato, Shinji sentì evaporare l’impazienza di stare con Nagisa, che venne soppiantata dal terrore. C’era una sola cosa di cui discutere con lui, e Shinji era tutto tranne che pronto ad affrontarlo. Ritenne saggio portare qualche minuto di ritardo, per far sembrare che la situazione gli interessasse poco e per avere il coltello dalla parte del manico: Nagisa sarebbe apparso come l’unico dei due ad aver desiderato l’incontro, pertanto Shinji avrebbe potuto trattarlo a suo piacimento.
Si fecero le quattro e mezza, le cinque, e poi le sei.
Shinji era ancora dietro la parete, poiché non appena provava a fare un passo verso Nagisa, il suo corpo si arrestava, rifiutandosi di muovere un muscolo e dilatando l’agonia.
Kaworu camminava su e giù inquieto, senza canticchiare, perlustrando la strada nervoso e sobbalzando qualora vedeva un ombra o sentiva un rumore.
Shinji si odiò intensamente: si era riproposto di non far attendere l’altro, che adesso, per colpa sua, sembrava un anima in pena. Shinji non ce la faceva. Era più forte di lui. Aveva sempre lasciato che fossero gli altri a decidere della sua vita e a dirgli cosa fare. Stavolta la scelta era tutta su di lui e non c’era nessuno a dargli ordini. Si trovava di fronte a un bivio: permettere alla vita di scorrergli davanti senza prenderne parte, o vivere compiendo una scelta.
Stava rendendo vane le parole di Misato, che si era confidata per infondergli coraggio.
Alzò lo sguardo verso la città. Il sole era basso sui pochi edifici rimasti, ma presto sarebbe tramontato. Fra quei palazzi c’era anche la sua vecchia scuola, ormai chiusa. Ricordò che un giorno, a lezione avevano studiato un antico mito greco.
Il racconto narrava che in origine, la specie umana era diversa. Si trattava di esseri con due teste, quattro braccia e quattro gambe. Poiché erano arroganti verso gli dei, questi decisero di punirli dividendoli in due, affinché fossero deboli. Da allora gli esseri umani sono sempre stati tristi, desiderando la loro altra metà. Solamente dopo averla cercata e ritrovata, gli uomini sarebbero stati nuovamente completi. 
Somigliava a quello che aveva detto Misato, la quale aveva capito di essere innamorata quando la sua essenza era uscita da lei per ricongiungersi a Kaji.
“La mia altra metà… Chi è la mia altra metà?”.
Forse Asuka. No. Lei era travolgente, ardente come una fiamma viva: troppo diversa dal calmo e pacato Shinji.
Forse Rei. Shinji non se l’era mai chiesto. Lui e Rei si erano avvicinati molto, però adesso non aveva importanza: lei era morta per salvarlo.
Forse Kaworu. Quando Shinji pensava a lui, gli veniva alla mente una serie di eventi spiacevoli, come il gattino ucciso da Nagisa, o come il suo divertimento mentre guardava Asuka soccombere contro l’angelo, o come la sua indifferenza al dolore che tutti provavano per la perdita di Ayanami. Queste cose impedivano a Shinji di uscire dal suo nascondiglio e andare da Kaworu. Lui non voleva legarsi a una persona del genere. Gli risuonò in testa l’ultima frase di Misato: -Ricorda che non siamo noi a decidere di chi innamorarci. Succede e basta-. Poco prima non ne aveva compreso il senso, ma ora era meno oscuro, e ne fu spaventato: “Non posso controllarlo. Non lo accetto”.
Desiderò andar via da là, tornare a casa, fiondarsi sotto le lenzuola e non uscirne per giorni e giorni.
Però udì dei passi. Sarebbe fuggito, ma rimase paralizzato dalla sorpresa. I passi si fecero vicini e dall’angolo apparve Kaworu.
Shinji lo vide bene e ne fu dispiaciuto. Nagisa era amareggiato, scuro in viso e logorato dal dolore. Shinji aveva assistito a questo processo mentre lo spiava, ma solo osservandolo da vicino si accorse di quanto male gli avesse arrecato non presentandosi all’appuntamento.
Kaworu strabuzzò gli occhi, non credendo a ciò che vedeva. Il dolore sul volto scomparve quasi completamente, ma rimase un ombra. Shinji impietrito sperò che l’altro dicesse qualcosa, ma non lo fece. Quindi tremante prese la busta dalla tasca dei pantaloni e la sventolò: -E’ ancora valido l’invito?- la voce minacciava di spezzarsi a ogni sillaba.
Kaworu non gli toglieva gli occhi di dosso, sospettoso: -Perché non sei venuto?-
Shinji improvvisò, a disagio: -Ehm, ho avuto un impegno con… con Misato. Mi affida sempre tutte le faccende di casa-.
Kaworu era ancora uno spettro impenetrabile. Shinji non capiva: -Ti avrei avvisato. Per questo stamattina ero nella tua stanza-. Kaworu divenne, se possibile, più nero: i suoi lineamenti erano di ghiaccio.
-Che ti prende?- chiese Shinji implorante. Ripensò al loro scontro di quella mattina e fu colto dal panico: aveva detto a Kaworu di odiarlo. Provò un gran senso di colpa. Nonostante si fosse sentito dire “Ti odio”, Kaworu era andato ugualmente all’appuntamento e aveva aspettato Shinji un pomeriggio intero. Evidentemente ci teneva moltissimo. Quello spettro sul suo viso era la diffidenza dovuta a una ferita aperta. Shinji atterrito non sapeva come comportarsi.
La giornata era finita. Presto il sole sarebbe declinato verso le montagne e lui non aveva fatto altro che danneggiare il suo prossimo come era solito fare da sempre. La persona che aveva davanti era una statua che si limitava a scrutarlo con occhi di marmo, senza fiatare.
“La storia si ripete” pensò Shinji. “Prima con mio padre, poi con Asuka, con Rei, e ora anche con Kaworu. Sono bravo soltanto a fare terra bruciata intorno a me”.
-Mi spiace tanto Kaworu, per averti fatto perdere tempo. Ci vediamo-. Lo salutò con la mano, gli diede le spalle e si avviò verso casa. Immaginò che Misato avrebbe capito subito che alla fine aveva fallito e sarebbe rimasta delusa da lui, inadatto a fare tesoro dei suoi insegnamenti. Avrebbe rimpianto di aver rivelato i suoi segreti a un tale idiota, incapace anche solo di scusarsi per aver ferito qualcuno. “E pensare che sarebbe bastato chiedergli scusa” si rammaricò Shinji. Poi comprese ciò che Misato intendeva comunicargli quando gli aveva detto che il futuro esiste per permettere alla gente di riscattarsi se commette degli sbagli.
“Ma le cose non cambieranno mai se non siamo noi a impegnarci per renderle migliori”.
Shinji respirò piano per non cedere a uno dei suoi attacchi d’affanno. -Non voglio rinunciare a un'altra persona. Per quanto io non capisca nulla di questa situazione, lui è l’unico che mi è rimasto-. Fece marcia indietro e corse più veloce che poté alla rampa che conduceva al Geo Front. Temette di non trovare nessuno, ma fortunatamente Kaworu era ancora lì e stava per poggiare la mano sul pulsante d’apertura.
-Nagisa, fermati!- gridò ansante. Kaworu si bloccò appena in tempo e si voltò confuso a guardarlo: come poco prima, non disse nulla.
Shinji invece sapeva che se non avesse parlato, la distanza fra loro sarebbe diventata incolmabile. -Io, ecco… Vorrei… Vorrei scusarmi per stamattina-.
Kaworu non fiatava.
-Non so neanche io cosa mi è preso. Non era colpa tua-
Kaworu era ancora una statua.
-So che se non mi scuserai, non riuscirò a dormirci sopra. Permettimi di farmi perdonare. Cosa posso fare?-
Kaworu continuò a scrutarlo diffidente, però Shinji notò che la sua maschera iniziava ad avere delle crepe. -Kaworu, ti prego di perdonarmi. Farò quello che vuoi tu se servirà a qualcosa-. Shinji parlava sinceramente, e il suo discorso doveva aver fatto breccia nell’armatura di Kaworu, perché questi si sciolse in un largo sorriso. Sembrava che la gioia più grande lo stesse irradiando, poiché appena corse verso Shinji, parve volare. Il suo viso prima scuro, ora emanava la luce di un angelo.
-Gli esseri umani sono più interessanti di quanto credessi. Possono far soffrire terribilmente il loro prossimo, ma con le giuste parole sono capaci di fargli ritrovare la serenità. E tu in particolare, Shinji Ikari, potresti distruggermi o elevarmi a dio se solo lo volessi. Possiedi le chiavi della mia felicità-.
Questo improvviso cambio d’umore stupì molto Shinji: -Da-Davvero? Tu esageri-
-Niente affatto. È la verità-. Il sorriso di Kaworu si allargò.
Shinji era perplesso: -Significa che mi perdoni?- azzardò.
-Certo! In realtà, non sarei riuscito a tenere a lungo il broncio con te. Prima o poi avrei ceduto. Proprio come un essere umano che si trova nel deserto torna sempre alla sorgente-.
Shinji era ancora confuso a causa di un tale cambiamento. Kaworu raggiante, lo prese per il polso.
-Ma che fai?-chiese Shinji opponendo resistenza.
-Se non sbaglio, hai detto che avresti fatto qualunque cosa per avere il mio perdono-.
-Beh, si- ammise Shinji, pentito. -Che vuoi fare? Fra poco sarà sera-
Kaworu si guardò intorno: -Siamo ancora in tempo. Anzi, la sera cade proprio a fagiolo-. Sospinse Shinji e si avviarono lungo la strada. Le montagne nascondevano il sole completamente ormai, e l’arancione del cielo era striato di viola e di blu. Shinji non era convinto: -Siamo in tempo per cosa?-.
-Lo vedrai presto-. Il sorrisetto furbesco di Kaworu non faceva presagire nulla di buono. Deviarono per una stradina di ciottoli e erba che si scostava dai palazzi e saliva per una collina. Lì c’erano solo piccole alture caratterizzate dal fogliame e dalle rovine di alcuni edifici. -Dove stiamo andando?-chiese Shinji.
-Non posso rivelartelo. Manca poco-. Kaworu si fermò, lasciò il polso dell’altro e tirò fuori dalla tasca un fazzoletto ti tela: -Devo bendarti-.
-Cosa? Sei folle? No!- obiettò Shinji a quella proposta assurda: -Anzi dimmi dove stiamo andando-.
-E’ una sorpresa. Ora, se non ti dispiace, ti benderò. Hai detto che avresti fatto qualunque cosa-.
Shinji fece segno di no.
-Ti prometto che sarà di tuo gradimento. Però voglio che tu sia sorpreso, per questo devi mettere la benda. Accontentami, su- fece Kaworu supplichevole.
Rassegnato, Shinji permise a Kaworu di mettergli il fazzoletto di tela sugli occhi. Nell’oscurità si maledisse per aver stretto quel patto letale. Avrebbe dovuto essere lui ad avere il coltello dalla parte del manico, e invece era finito alla mercè di Nagisa.
Non vedeva nulla. All’improvviso la mano di Kaworu si strinse intorno alla sua. Shinji avvampò. Nagisa cominciò a guidarlo con la voce, avvisandolo su dove mettere i piedi per non inciampare. Shinji fu grato che la benda nascondesse il rossore che aveva sulle guance. Camminò così per un po’, aggrappato alla mano dell’altro e attento alla sua voce: si sentì come un bambino, ma lo accettò, perché dopo ciò che aveva fatto a Kaworu, questo era il minimo per farsi perdonare.
Kaworu si fermò e Shinji fece altrettanto. Le mani si separarono e Shinji si tese istintivamente nell’oscurità alla ricerca della sua guida. Si pentì subito di quel comportamento immaturo, e si ricompose. -Nagisa, dove sei finito?-. Provò a togliere la benda, ma la voce dell’altro glielo proibì: -Aspetta! Non levarla. Fallo quando te lo dico io-.
Il suono era distante. “Ma che sta combinando?” pensò, preoccupato per ciò che lo attendeva oltre il fazzoletto. Sentiva solo i passi di Nagisa sull’erba e dei “click” ogni volta che i passi si arrestavano. Iniziò a temere seriamente nell’udire qualcosa che strisciava e si spostava: -Posso toglierla?-.
-Un attimo- ci fu un ultimo “click”. -Si, adesso puoi!- annunciò eccitata la voce di Kaworu.
Shinji levò la benda ansioso. Inizialmente provò soltanto dolore agli occhi, poiché in un secondo era stato investito da una luce accecante. Quando le pupille si furono abituate a quella luce, Shinji poté finalmente vedere, e rimase senza parole.
Erano fra le colline e le rovine di poco prima, ma davanti a lui c’era un tavolino rotondo apparecchiato per cena. La tovaglia cadeva fino a terra facendo pieghe sull’erba bassa. Sopra il tavolo invece era stato preparato per due, e al centro era stato sistemato un vaso di vetro di fiori. Accanto c’erano due sedie, poste una di fronte all’altra. Poiché era sera, non avrebbe potuto vedere nulla, ma attorno al tavolo c’era una gran quantità di lanterne elettriche. Non erano uguali, alcune emanavano una luce bianca, altre invece una calda. Le lanterne erano prevalentemente nei paraggi del tavolino, ma alcune poggiavano sulle rovine più vicine, rendendo tutto ben visibile.
Kaworu era lì in mezzo soddisfatto, e appena notò lo stupore infinito di Shinji, divenne talmente contento che gli scappò una risata.
Shinji ne fu meravigliato: era l’ultima cosa che si aspettava di vedere al mondo.
-Ti piace?-chiese Kaworu sorridendo. -L’ho preparato stamattina. Ho chiesto alla Dottoressa Akagi una licenza, visto che il test non era importantissimo, e sono venuto in città. Da quando è stata abbandonata, è facile procurarsi ogni genere di cosa. Sono riuscito a rimediare il tavolo e il resto da alcune abitazioni incustodite, invece le lampade le ho prese da un ex negozio di elettronica scampato alla distruzione. È stato faticoso, ma credo che sia venuto bene. Il risultato mi soddisfa. Tu cosa ne pensi? È di tuo gradimento?-.
Shinji non aveva afferrato neanche la metà di ciò che Kaworu aveva detto. Pensava piuttosto alla sua codardia. Mentre Nagisa era occupato a organizzare tutto questo, lui aveva cercato una scusa per defilarsi dall’invito. “Sono proprio un idiota” convenne. Chissà come si era sentito  Kaworu quando, tornato alla Nerv dopo i preparativi, aveva incontrato Shinji che gli aveva detto “Ti odio”.
-Sono un maledetto stupido-sussurrò facendo eco alle sue considerazioni.
-Cosa?-domandò Kaworu lontano. -Sei stupito? Capisco. Anch’io lo sarei!-.
Lieto che l’altro non avesse sentito bene ciò che aveva detto, Shinji lo raggiunse vicino al tavolo: -Grazie Kaworu, non c’era bisogno che ti preoccupassi tanto-.
-E’ stata la scelta giusta. Se non avessi preparato questa cena, tu saresti arrivato in ritardo e avremmo dovuto rimandare-. Kaworu era appagato dalla sua idea. -L’intenzione originale era di passeggiare durante il pomeriggio e poi venire qui. Ma va bene lo stesso-.
Shinji si chiese come facesse quel ragazzo a perdonargli ogni cosa senza mostrare risentimento. Se lui non si fosse presentato, la cena e la fatica di Kaworu sarebbero andate sprecate, eppure questi sembrava non pensarci affatto: era semplicemente felice che le cose fossero andate come voleva, e soprattutto che Shinji si trovasse lì.
-Avanti, sediamoci- disse Kaworu prendendo posto, e Shinji lo imitò. Nagisa si abbassò per frugare sotto il tavolo e sollevandosi, mostrò un sacchetto contenente varie scatole di plastica: -Non so cucinare- ammise. -Ho preso il cibo alla mensa del quartier generale. Dovrebbe essersi mantenuto bene, anche se non sarà caldo-.
-Fa niente. Di solito mangio i cibi pronti del supermercato, quindi è perfetto-.
Kaworu affaccendato nel disporre il cibo sui piatti, alzò gli occhi verso il suo commensale e gli fece un gran sorriso. Shinji arrossì e distolse lo sguardo.
-Pronto!- annunciò Nagisa. -Il primo boccone è dell’ospite-.
-Ah, si-. Shinji non aveva fame, ma si concentrò sul cibo e ne prese una porzione con la forchetta.
-E’ buono?- chiese Kaworu.
-Si, molto- rispose Shinji, e ritenne che il cibo fosse un ottimo modo per non guardare in faccia l’altro. Nonostante avesse lo stomaco chiuso, diede alla cena più importanza di quanto realmente ne avesse.
-Perché non fai caso a me?- Kaworu se ne era accordo. -Sono lieto che la cena ti piaccia, ma vorrei che mi parlassi. Ho fatto questo per te-.
Shinji era a disagio. Come aveva sospettato, lui e Nagisa avevano poco di cui discutere: -Di cosa vuoi che ti parli?-.
-Uhm- fece Kaworu. -Forse dovrei essere io a cominciare, visto che sono in un certo senso il “padrone di casa”-.
Shinji dedusse di essere finito dalla padella alla brace perché, conoscendo Nagisa, sarebbe andato dritto al nocciolo della questione.
Kaworu ripose la forchetta: -C’è una cosa che vorrei dirti- esordì. -L’avrei fatto prima, ma ogni volta che ti incrociavo alla Nerv, mi evitavi. Non credevo nemmeno che saresti venuto oggi. Però ci speravo- si fece serio, e Shinji percepì che stava arrivando il peggio. -La notte in cui è scomparso il First Children eri nella mia stanza, ricordi? Ti posi delle domande sui miei sentimenti, e ti dissi che provavo qualcosa per te. Ma sono stato interrotto dallo squillo di un telefono, e per settimane ho desiderato riprendere il discorso con te, però non me l’hai permesso. Non ti nasconderò che sono stato male per questo, tuttavia starti lontano mi ha fatto capire che ho bisogno di te. Sei il primo e unico essere umano al quale mi sono affezionato. Non riuscirei a indirizzare verso nessun altro quello che sento per te. Mi manchi. Appena ti ho visto alla rampa, oggi pomeriggio, ho mostrato diffidenza verso di te, a causa di ciò che è successo stamattina, ma in fondo al mio animo stavo esultando, perché anche se mi avevi ferito, in quel momento eri lì e non mi importava d’altro-.
La sincerità di Kaworu colpì Shinji come pugnalate in pieno petto. Per lui, abituato a discutere per giri di parole, quella schiettezza era uno schiaffo in faccia. Eppure, il discorso di Kaworu gli aveva dato anche piacere. Un piacere che lui stesso era riuscito a soffocare, ricordando ancora i motivi per i quali non doveva legarsi a Nagisa. In cuor suo sentiva attrazione per Kaworu, ma la ragione gli imponeva di lasciarlo perdere, di non affezionarglisi.
“E se la mia altra metà si trovasse davanti a me?” pensò guardando Kaworu. “Forse dovrei solo lasciarmi andare. Dovrei cogliere quest’occasione, ma in che modo, se la mia mente me lo vieta?”.
Kaworu chiuse gli occhi, prese un bel respiro e tornò a fissare Shinji con un nuovo bagliore: -Voglio dirti ciò che non sono riuscito a dire quella notte. Anche se tu dovessi respingermi, me ne farò una ragione, ma devi almeno saperlo. Prima non ne ero sicuro, ma ora ne ho la certezza. Shinji Ikari, io ti a…-
-Fermo!-.
Shinji si alzò da tavola, con le mani tese fra se e Nagisa, il quale dopo un iniziale confusione, si rabbuiò e chinò gli occhi verso i piatti: -Dunque mi disprezzi a tal punto?- chiese in un sussurro acre. -Non vuoi nemmeno sentirtelo dire da uno come me. Devo farti veramente disgusto-.
-Ti sbagli. Se fosse come sostieni tu, non ti avrei mai seguito qui-.
-E allora perché mi rifiuti così?! Cosa diamine ti ho fatto?!- Kaworu era furioso, sbatté un pugno sul tavolo e le sue pupille lanciarono fiamme. Shinji non l’aveva mai visto in quello stato, e probabilmente lo stesso Kaworu non conosceva quest’aspetto di sé.
Shinji fece appello al poco coraggio che aveva: -Prima devi fare una cosa per me-.
Nagisa non si fidò: -Cosa dovrei fare?- chiese dubbioso: le ferite infertegli da Shinji erano nuovamente aperte.
Shinji alzò il braccio per indicare un cumulo di rovine non distanti da loro. Kaworu cercò di metterle a fuoco grazie alla luce delle lanterne, e scorse una vetrata. Non comprese subito, ma la riconobbe: -Quel luogo…- farfugliò.
Shinji afferrò una delle lampade da terra, dirigendosi verso le rovine. Più si avvicinavano, più i ricordi affioravano per entrambi. Era il rudere di una chiesa, ovvero il luogo in cui si erano incontrati.
-Avevo dimenticato che fosse qui- ammise Kaworu. -Tu invece l’hai ricordato-. La sua rabbia sfumò per far spazio alla gioia.
Il tetto era andato a pezzi, c’era solo qualche parete che minacciava di crollare, la vetrata e il pianoforte con la seggiola.
-Perché hai portato la lanterna?- chiese Nagisa, dato che la luna e le stelle illuminavano abbastanza. Shinji si recò al pianoforte, vi posò la lampada sopra e fece cenno a Kaworu di raggiungerlo. Appena egli fu seduto sulla seggiola, con le dita pronte e sfiorare i tasti illuminati, Shinji gli sussurrò: -Suona per me-.
Kaworu si limitò a sorridergli. Un sorriso sereno ma serio contemporaneamente.
Shinji chiuse gli occhi e lasciò che la musica lo cullasse. La musica lo avrebbe guidato verso la sua destinazione, verso ciò di cui aveva bisogno. Perché ciò che gli serviva non si trovava nel presente che stava vivendo, ma nel passato. Aveva bisogno di vedere le cose in un altro modo, da una prospettiva che aveva posseduto, ma che ormai aveva perso. Era un modo di vedere non condizionato da eventi spiacevoli. Ciò di cui aveva bisogno non era pensare, ma sentire col cuore. Un cuore che, ne era certo, la musica sarebbe stata in grado di toccare. Quelle note avrebbero svegliato il suo cuore che, rinvigorito si sarebbe finalmente liberato dalle catene della ragione. Se fosse successo, Shinji sarebbe riuscito a legarsi a Kaworu. Perché ad unirli erano state quelle note di pianoforte. Le stesse note che, tempo addietro, lo avevano condotto in quella chiesa e li avevano fatti incontrare. Fu in quell’occasione che si era innamorato di Kaworu.
Non voleva più guardare Nagisa ripensando a cose spiacevoli, voleva guardarlo come la prima volta in quella chiesa, mentre suonava il pianoforte.
Shinji riaprì gli occhi. Kaworu era di fronte a lui e gli fece posto nella seggiola, invitandolo a sedersi. Shinji si accomodò sulla superficie ridotta che bastava a malapena per entrambi: erano fianco a fianco.
-Aiutami a finire la canzone- propose Nagisa.
Shinji non sapeva suonare bene come l’altro, ma ci provò. Suonando, si accorse che le loro dita andavano a tempo. Le note di uno si inserivano perfettamente fra quelle dell’altro e viceversa, generando una melodia che era soltanto la loro e che solo loro avrebbero potuto replicare.
Shinji ebbe il presentimento che la persona che gli stava accanto era la sua altra metà. Si girò verso Kaworu ma non lo riconobbe. Il ragazzo che aveva davanti non era quello che Shinji voleva a ogni costo evitare, ma quello che aveva conosciuto tempo fa, grazie al suono di una canzone: adesso lo vedeva con il cuore.
Smise di suonare, portò una mano dietro il collo di Kaworu, avvicinò i loro visi e lo baciò sulla bocca. Kaworu, preso alla sprovvista, fu rigido all'inizio, ma si sciolse e ricambiò esultante. Fu il primo vero bacio per Shinji, e ne seguirono altri. Kaworu gli sorrise euforico.
Shinji imbarazzato si alzò raccogliendo la lanterna e andò via. -Ehm… E’ tardi, meglio andare a casa-.
-Ti accompagno- disse Kaworu seguendolo fra le alture. Entrambi non parlavano, invischiati in un silenzio impacciato e si passavano le dita sulle labbra, nervosi.
Al ritorno, videro che sul tavolo i piatti erano stati svuotati. Shinji credette che ci fosse qualcun altro da quelle parti e si angosciò. Da sotto la tovaglia invece uscì un piccolo gattino.
Kaworu si abbassò per prenderlo: -Oh, è stato lui a mangiare gli avanzi-.
Shinji fu terrorizzato da quel gesto: -Ehi! Non ucciderlo!-. Ricordò quando Nagisa aveva tolto la vita a un micio perché lui non poteva prenderlo con sé. Pensò che guardare Kaworu col cuore, non avrebbe cambiato la sua natura oscura.
Tuttavia Kaworu, anziché strangolare il micio come aveva fatto in passato, lo prese in braccio: -Non voglio ucciderlo-.
Shinji gli credette, perché il modo in cui cullava la creatura era davvero affettuoso. Gli venne un idea: -Che ne dici se ce ne prendiamo cura noi?-.
-Prendercene cura? Vuoi che ci occupiamo di un altro essere vivente?-.
-Lui ha solo noi. Qui non passa nessuno-.
 Kaworu ci meditò su, scrutando prima il gatto, poi Shinji: -Dovrei rivolgere il mio affetto a un essere che non sei tu. E’ impossibile-.
Shinji arrossì: -Puoi volere bene a entrambi-.
Il vento soffiò forte per un attimo e il gattino rabbrividì. -Ha freddo- constatò Kaworu, tenendolo stretto.
Shinji colmò la poca distanza che li separava e mise le braccia intorno all’altro, per coprire il gattino dal vento. -Dovremo venire a trovarlo ogni giorno, magari dopo i test con gli Eva-.
Kaworu assunse un espressione sognante: -Passerò del tempo con Shinji-.
Questi lo guardò perplesso. Kaworu tossì: -Ops, ho pensato a voce alta!-.
Shinji rise imbarazzato: -Succede anche a me!-.
Kaworu approfittò della vicinanza per dargli un bacio leggero sulla guancia, poi ripose il gattino sul tavolo: -Continua la tua cena, domani verremo a portarti altro cibo-.
Per dissimulare il nervosismo, Shinji si dedicò a spegnere le lanterne elettriche. In città c’era ancora qualche lampione funzionante, ed era una fortuna, altrimenti si sarebbero persi.
Mentre camminavano in silenzio, Kaworu gli prese la mano. Lo fece diversamente rispetto a quando lo aveva bendato. Ora fece aderire le loro mani incastrando bene le dita fra quelle di Shinji, che si voltò dal lato opposto con le orecchie rosse. -Ka-Kaworu, io non credo di poter…-.
-Shhh- gli fece l’altro. -Va bene così-.
Shinji provò a defilarsi da quella situazione: -Dobbiamo dividerci, casa mia è lontana dall’ingresso al Geo Front-.
-Non fa niente. Con questo buio è meglio che io ti accompagni- rispose Kaworu serenamente, rendendo palese che intendeva accompagnarlo per stare ancora insieme.
Shinji pensò che quel ragazzo dovesse sentirsi molto solo, se approfittava di ogni minimo istante per stare con qualcuno: -Ieri notte ti ho cercato, ma non ho il tuo numero di cellulare-.
Kaworu si fece interrogativo: -Cosa volevi dirmi?-.
Shinji ritenne che quello slancio di benevolenza gli avesse scavato la fossa. Cosa avrebbe detto a Nagisa? Che lo aveva cercato per annullare l’appuntamento? Come poteva farlo, dopo quello che era successo? “Rovinerò tutto” si rammaricò. Però, sentiva che fra i ruderi di quelle colline era cominciato qualcosa, e non era soltanto una sua immaginazione, perché la mano calda di Kaworu intrecciata alla sua era reale. Qualsiasi cosa fosse nata quella sera, non poteva iniziare con una menzogna. Sarebbe stato sincero: -Ecco, io… Volevo dirti che non sarei venuto oggi-.
-Per le faccende che ti ha lasciato Katsuragi?-.
Nel confessare, Shinji strinse forte la mano dell’altro: -No. In verità, quando ho ricevuto la tua lettera ho avuto paura. Temevo di incontrarti, e volevo disertare l’invito. Sono un codardo. Hai tutto il diritto di essere arrabbiato con me- non ebbe il coraggio di sostenere lo sguardo di Nagisa, però udì la sua risata. Stupito, gli chiese: -Che c’è da ridere?-.
Kaworu gli rivolse un gran sorriso: -Sono felice-. Shinji lo fissò incredulo.
-Credevo che non saresti venuto, che non volessi stare con me. Era comprensibile. Ma non ho smesso di sperare. Anche se all’inizio hai pensato di rifiutare, ciò che importa è che ora sei qui-.
Con la mano libera, Kaworu accarezzò il viso di Shinji, che sussultò nervoso.
-Posso baciarti?-chiese Nagisa.
Shinji ebbe l’istinto di obiettare, ma lo represse: -Non c’è bisogno di chiedere il permesso-.
Kaworu lo costrinse a guardarlo negli occhi e si avvicinò abbastanza perché le loro labbra si sfiorassero: -Non respingermi-.
Shinji annuì impercettibilmente, e sentì le labbra di Nagisa posarsi con decisione sulle sue. Per quanto si sforzasse di essere tranquillo, rimase un po’ teso. Kaworu aprì leggermente la bocca e con la lingua invitò Shinji a schiudere le labbra. Shinji percepì la presenza dell’altro sulla lingua, ma non la trovò invadente, anzi era gradevole. Gli piaceva il modo in cui Kaworu muoveva le labbra e la lingua giocando con le sue. Divertito da questo gioco, lasciò la timidezza da parte, rilassandosi e, senza che se ne fosse accorto, si trovò con entrambi i palmi delle mani sul viso di Nagisa, che gli cingeva i fianchi. Quando ci fece caso, si separò di scatto. -Scusa, io… Non volevo- era sconvolto dal suo stesso comportamento.
-Di cosa di preoccupi? È stato bellissimo- Kaworu era raggiante.
Shinji imbarazzatissimo si avviò a passo veloce verso casa, con Nagisa alle spalle.
-Aspetta Shinji, perché fai così?-.
-Io… Mi- Mi sembra di star correndo troppo con questa cosa-.
Kaworu gli prese il gomito e gli si parò davanti implorante: -Stammi a sentire. Non abbiamo molto tempo. Dovresti averlo capito ormai-.
-Che intendi dire?-.
-Ci sono delle persone, nelle alte sfere, che stanno decidendo le sorti del mondo, e noi siamo soltanto pedine in mano loro. L’unica libertà che ci resta è di stare insieme-.
Shinji se ne era già reso conto: -Ti riferisci a mio padre e alla Seele?-.
Kaworu non rispose, lasciando intuire che le cose stavano proprio in quel modo: -Non c’è tempo per pensare, Shinji. Dobbiamo vivere quel che ci resta, e io voglio farlo con te-.
Shinji comprese bene: era ciò che gli aveva detto anche Misato. Sospirò, consapevole che era tutto vero, ma per quanto difficile avrebbe potuto essere il futuro, nessuno lo avrebbe privato dei suoi sentimenti, adesso che c’era Kaworu.
Il palazzo in cui vivevano Shinji e Misato era oltre la strada. Prima che ognuno andasse per conto proprio, Shinji richiamò Kaworu: -Hai un cellulare? Avrò bisogno del tuo numero se dobbiamo occuparci del gattino-.
-Giusto. Mi è stato dato un telefono dalla Nerv, per le emergenze. Il numero dovrebbe essere questo- Kaworu mostrò il display all’altro.
-Ok, ti salvo il mio- Shinji scrisse il suo recapito sul cellulare di Kaworu e nel restituirglielo notò che questi aveva le guance rosse: -Che ti prende?- domandò.
Kaworu indugiò prima di dire: -Ti dispiace se ogni tanto ti scrivo?-.
Shinji soffocò a stento una risata.
-E’ che nel mio appartamento non ho mai nulla da fare. Mi annoio-.
-Non c’è problema! I cellulari servono a questo-. Shinji pensò a quanta solitudine si nascondesse dietro quella richiesta. Eppure Kaworu continuava a sorridere.
-Allora a domani Shinji. Buonanotte-.
-Buonanotte Kaworu-. Shinji lo osservò mentre tornava al Geo Front. Prima di girare l’angolo, Kaworu lo salutò con la mano e Shinji fece lo stesso.
Salito a casa, scoprì Misato addormentata sul tappeto del soggiorno, con delle birre vuote accanto. Spense il televisore e la luce: -Buonanotte Misato, e grazie- le augurò anche se lei non poteva sentirlo, e le baciò la fronte.
Quando fu nella sua stanza, chiusa la porta, sedette alla scrivania con le cuffie e la musica nelle orecchie, mirando il soffitto. Era incredibile come la sua vita fosse cambiata in un giorno: le bugie e le paure erano scomparse. Ciò che temeva non significava niente. Alcune cose si erano sistemate, altre avevano bisogno di più tempo per guarire, ma non ne era spaventato, perché insieme a lui c’erano delle persone che gli volevano bene e lo avrebbero sostenuto: non era solo.
Un bip del telefono lo riportò con i piedi per terra. Lo schermo recitava: “Un messaggio da Kaworu”. Shinji sentì il battito del cuore accelerare come gli era successo con la lettera. Stavolta però, il batticuore aveva tutt’altra natura.
“Dormi? Io non ho sonno” comunicava il messaggio.
Vi rispose: “Nemmeno io”.
“Mi tieni compagnia?”
“Si, certo. Sono felice di aver passato la serata con te”
“Lo sono di più io, credimi. Anche se ho dimenticato a dirti una cosa”
“Cosa?”
“Ti amo, Shinji Ikari”.
Cadde quasi dalla sedia leggendo l’ultimo messaggio: nessuno gli aveva mai detto nulla del genere. Nel suo petto si diffuse un calore nuovo. Era come se la sua essenza, finora circoscritta fra le pareti dell’animo, ora si trovasse anche fuori, in un altro luogo: lì dove era Kaworu.
Avrebbe voluto rispondergli: “Ti amo anche io”. Non fu abbastanza tenace per farlo, ma col sorriso sulle labbra, si ripromise che la prossima volta ci sarebbe riuscito.
  
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