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Autore: Carmilla Lilith    11/11/2013    5 recensioni
Charles Rosewood si concede un romantico picnic con la propria fidanzata, ma ignora quanto le conseguenze di un suo precedente tradimento possano essere gravi...
Storia partecipante al contest "A bit of creepy" indetto da Lucetta Streghetta sul forum di Efp, ambientata in Scozia intorno al 1730.
Genere: Horror, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Berretti rossi
Jessica Boyle si trovava già a letto quando udì il suono delle cornamuse. Si alzò di scatto e raggiunse la finestra della sua modesta casupola, restando in ascolto: sì, non si era sbagliata.
La giovane indietreggiò, inquieta, e cercò d’ignorare quel suono: sapeva bene che la maggior parte degli abitanti dell’Ayrshire evitava di suonare ancora i loro tradizionali strumenti, per evitare d’incorrere nelle severe sanzioni imposte dalla Corona.
Soltanto i Redcap, i sanguinari folletti che abitavano sia le Highlands che le Lowlands, si sarebbero permessi un tale affronto all’autorità inglese. Certo, la fanciulla dai capelli rossi sapeva benissimo che erano solo leggende, ma era comunque spaventata ed era a conoscenza del perché: si diceva che i Redcap festeggiassero soltanto quando mietevano una vittima.
O quando ne attendevano una.
 
Il mattino seguente la ragazza si trovava nel piccolo giardino della sua dimora, intenta a stendere i panni: era raro che ci fossero giornate così belle nell’uggioso ottobre scozzese ed era meglio approfittarne, soprattutto per dimenticare il sinistro concerto della notte precedente.
Assorta nella propria mansione, non si accorse immediatamente del rumore degli zoccoli che si dirigeva verso di lei e notò il giovane purosangue bianco soltanto quando attraversò, al galoppo, la strada davanti alla sua casa. Alla fanciulla fu sufficiente una rapida occhiata per accorgersi di chi cavalcava quello splendido destriero: Charles Rosewood, l’inglese amico di Lord Boyle, conte di Glasgow. Non era solo, saldamente allacciata ai suoi fianchi vi era una cavallerizza assai giovane, con i biondi capelli che ondeggiavano al vento. Jessica trattenne a stento un gesto di stizza e ritornò ai suoi panni: ciò che faceva Charles non la riguardava più, ormai, anche se un sottile timore si era fatto largo nella sua mente.
Anche il giovane Rosewood aveva osservato rapidamente Jessica Boyle, prima di tornare a concentrarsi sulla cavalcata. Doveva ammettere, suo malgrado, che la ragazza scozzese era ancora bellissima, nonostante gli abiti popolani e il viso arrossato dal fulgido sole di quel giorno era sempre un piacere osservare i suoi lunghi capelli ramati e immaginare il verde scuro di quegli occhi.
Talvolta si sentiva in colpa per averla sedotta e abbandonata, ma era una sensazione che perdurava solo qualche istante: era una contadina scozzese, un’eventuale unione tra loro non era minimamente concepibile, anche se lui non fosse stato già fidanzato. D’altronde, al momento non aveva alcuna intenzione di dedicare altro tempo a miss Boyle, si stava recando con la sua compagna ufficiale presso la St. John’s Tower per un picnic e non voleva turbare in alcun modo quella splendida giornata.
 
Charles e la sua promessa sposa, miss Amanda May, raggiunsero in pochi minuti il verde prato che circondava la torre e i resti della vicina chiesa dedicata Saint John ed entrambi rimasero colpiti dalla romantica bellezza di quegli edifici diroccati e dalla quiete del luogo. Si trattava di edifici antichi, risalenti al periodo romanico, realizzati nella scura pietra locale. Le condizioni delle torre erano decisamente migliori, rispetto alle spoglie delle chiesa, ormai ridotte al solo pavimento e qualche brandello di mura.
Scherzosamente, l’uomo osservò che la torre poteva quasi essere abitato e strappò una breve risata a miss May, che gli ricordò delle leggende che popolavano la Scozia. “Magari qualche grazioso abitante dei boschi ha trovato rifugio nella torre!” ipotizzò la giovane, facendo sorridere il suo compagno.
Si diressero poi vero il cavallo e presero dal cestino che avevano assicurato al dorso della cavalcatura una tovaglia, dei sandwich e una bottiglia di vino, per poi iniziare il lieto pasto: mentre conversava con Amanda, mister Rosewood non poteva fare a meno di ringraziare mentalmente Lord Boyle, che gli aveva consigliato quel posto così suggestivo come meta del picnic. Charles apprezzava molto il fatto che, nonostante la sua morale molto rigida, il conte di Glasgow non lo biasimasse per aver tradito miss May e che, anzi, si fosse reso disponibile nell’aiutarlo con dei buoni consigli.
Troppo concentrati sulla piacevolezza di quella scampagnata, i due giovani non si accorsero dei tanti, minuscoli, occhi che li scrutavano torvi dagli anfratti della torre.
 
Il pomeriggio stava trascorrendo nel migliore dei modi, tuttavia Charles si sentiva inquieto, e avvertiva la strana sensazione di essere osservato da qualcuno. Più volte gli occhi scuri del nobile avevano vagato nel paesaggio circostante, concentrandosi sulla St. John’s Tower, ma sempre l’allegra risata di Amanda lo distraeva da quei cupi pensieri, portandolo a perdersi in quegli azzurri quanto il terso cielo di Scozia.
Non  videro i Redcap che strisciavano silenziosamente nell’erba con i  piccoli dirks già sguainati  e pronti a colpire gli stolti che avevano osato avventurarsi nel loro territorio.
Non fu difficile per i folletti raggiungere l’ignara coppietta, troppo concentrata in un giocoso inseguimento per notare i propri aguzzini che li avevano ormai raggiunti e, prima ancora che i due se ne accorgessero, i Redcap avevano attaccato: miss May cacciò un urlo di dolore e paura quando il primo dei corti pugnali le trafisse le caviglia e cadde a terra, divenendo facile bersaglio per le pugnalate successive.
Mister Rosewood accorse in soccorso della sua dama, ma venne anch’egli rapidamente ferito alle gambe dalle precise coltellate di alcuni agguerriti folletti.
Amanda urlava, terrorizzata e dolorante, mentre cercava disperatamente di alzarsi e fuggire dagli attacchi dei minuscoli nemici, che l’attaccavano senza sosta e con una ferocia inaudita: ormai i pantaloni da cavalerizza e la candida camicia della giovane erano impregnati di sangue vermiglio e a nulla servivano i calci e gli schiaffi con cui tentava di colpire l’orda di minuscoli assassini, che continuavano imperterriti nel loro attacco.  
Charles udiva le urla della fanciulla ma non poteva far nulla per soccorrerla, dato che i Redcap lo avevano ormai sopraffatto, sentiva le forze venirgli meno a causa delle numerose e profonde ferite provocate dall’affondo dei dirks e di alcune claymore nelle sue carni. L’ultima cosa che il giovane udì prima perdere i sensi di fu l’urlo straziante di Amanda quando l’occhio sinistro della giovane venne trapassato dall’ennesimo colpo di un barbuto Redcap, poi fu il buio.
 
Mister Rosewood si riprese a fatica e aprì lentamente gli occhi, rendendosi conto che si trovava in una stanza piuttosto buia, illuminata soltanto da alcune fiaccole. Era incantenato a un muro e, poco distante da lui, si trovava una piccola vasca in pietra circolare ricolma di un liquido rosso e vischioso, dall’inconfondibile olezzo ferroso, in cui erano  immersi numerosi cappelli in stoffa, che il giovane riconobbe come quelli dei Redcap.
Preso dal panico, Charles cominciò a cercare con lo sguardo Amanda e a chiamarla a bassa voce, temendo che i suoi aguzzini potessero sentirlo, ma non ottenne alcuna risposta. Si lasciò scivolare a terra e, preso dallo sconforto e dal disgusto, vomitò  per poi abbandonarsi a un pianto sconsolato.
Scosso dai brividi e  con gli occhi velati dalle lacrime, l’inglese impiegò parecchio tempo per notare che rare gocce vermiglie cadevano nella vasca in pietra, con un lento e osceno tichettio.
Alzò lentamente lo sguardo, senza riuscire a fermare l’urlo di puro orrore che scaturì dalla sua bocca: appeso al soffitto, infatti, c’era il cadavere di Amanda May. La giovane era nuda e sulla sua candida pancia era presente un profondo taglio. Alcuni pezzi d’interiora, sfuggiti dalla ferita, penzolavano nel vuoto, lasciando che il sangue gocciolasse tetramente nella vasca sottostante.
Le urla terrorizzate di Charles attirarono l’attenzione dei folletti, che raggiunsero rapidamente il loro prigioniero. Il giovane prese a piangere e supplicare i Redcap, ma le sue suppliche non ebbero alcun effetto, se non quello di divertire i piccoli assassini, che si lanciarono in una sguaiata risata.
Il capo del piccolo manipolo si avvicinò al prigioniero, sfoderando la propria claymore e puntandola al collo dell’inglese, che si limitò a urlare più forte che potè, prima che la spada affondasse nel suo cuore, provocando degli schizzi di sangue che parvero scatenare l’ilarità dei Redcap.
L’assassino estrasse rapidamente la propria arma dal petto dello sventurato e fece un cenno ai suoi sottoposti, i quali si affrettarono a liberare il cadavere dalle catene.
Il cadavere di mister Rosewood sarebbe presto andato incontro alla medesima sorte di quello della sua fidanzata e il suo sangue avrebbe tinto di vermiglio i cappelli dei suoi assassini.
 
Quella notte, poco prima di coricarsi, Lord Boyle udì il suono di alcune cornamuse in lontananza. L’uomo rabbrividì, realizzando che il suo piano era riuscito e i Redcap stavano festeggiando le nuove vittime.
Sospirò. In parte si pentiva di ciò che aveva fatto a Charles Rosewood ma, d’altro canto, non aveva avuto alcuna scelta: quello sciocco inglese aveva osato disonorare una donna del suo clan e non poteva permettere che l’onta non venisse lavata con il sangue.
Certo, in qualità di conte di Glasgow non poteva esporsi, ma sapeva bene che i folletti non avrebbero gradito un’invasione del loro territorio, così aveva lasciato a loro il lavoro sporco, limitandosi a decantare il romanticismo delle rovine della St. John’s Tower davanti a mister Rosewood.
Un ultimo brivido percorse il Conte, mentre l’immagine dei sgargianti berretti rossi dei folletti balenava nella sua mente, accompagnati dall’idea dei sinistri bagliori lanciati da quei piccoli e micidiali dirks che rilucevano al chiarore lunare.
 
L’angolo dell’autrice
 
Salve a tutti! Eccomi di ritorno al genere horror dopo un sano periodo di astinenza, anche se questo lavoro è piuttosto particolare.
La storia che avete appena letto avviene nei pressi della cittadina di Ayr (situata nell’Ayrshire scozzese), dove si trova la St. John’s Tower e la residenza dei conti di Glasgow, intorno al 1730.
I termini dirks e claymore indicano rispettivamente il pugnale scozzese e la spada. Tutte le informazioni sono state tratte da Wikipedia e da “La Grande Enciclopedia dei Folletti” di Pierre Dubois.
Questo racconto, inoltre partecipa al contest A bit of creepy indetto da Lucetta Streghetta sul forum di Efp.
Tornerò presto a parlare di folletti, anche se in chiave decisamente più classica, non prima di aver risolto una  faccenda riguardante i miei cari amici succhiasangue.
A presto,
Carmilla Lilith.
   
 
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