In fondo al racconto ho trascritto l’elenco dei temi a cui ho dovuto attenermi, e altre note per la giuria.
Se lo apprezzate, sarei felice che lasciaste qualche recensione.
Buona lettura.
MaxT
Sogni di goccia
Ciao. Mi chiamo Wanda. Vi ricordate di me?
Forse no, a vedermi così cresciuta, atletica
e con fluenti capelli neri.
Eppure, se mi guardate bene in viso, scommetto che
mi riconoscerete. Io sono la ex goccia astrale, la controfigura, di Will
Vandom, la leader delle W.I.T.C.H. La avete presente?
Mi sto godendo la mia nuova vita a Midgale. Me la
sono guadagnata ribellandomi a lei.
Qualcuno dice che sono destinata a diventare un personaggio
chiuso e marziale. Palle! Chi può conoscere il futuro?
Quelle che stanno discutendo, sedute al tavolo della
mensa con me, sono le mie amiche, le altre ex gocce delle W.I.T.C.H.
Le sosia che finalmente hanno rivendicato esistenza e libertà. E’
passato solo un mese da quel giorno drammatico e glorioso.
Che dite? Non siamo più così sosia?
Lo so. Abbiamo potuto scegliere il nostro aspetto, e lo abbiamo cambiato
in meglio.
Guardate quella Barbie bionda, alta più di
un metro e ottanta. Quella che sta preoccupandosi per l’inesistenza del
suo guardaroba primaverile. Lei è Carol. La ex goccia di…
è facile indovinare!
Quell’altra, quella allegra, con luminosi occhi verdi
e belle curve, è Irene. E’ la mia migliore amica. Basterà
immaginarla con le alette ed i capelli più corti per riconoscervi
la somiglianza con Irma.
La cinesina è Pao Chai. Dal nome, forse vi
ricorderete della goccia di Hay Lin, ma la somiglianza fisica non è
molto evidente. E’ vero, agli occhi di un occidentale i cinesi si somigliano
tutti. Però non ha più alcuni tratti tipici di Hay Lin: le
orecchie da Dumbo e la mandibola spigolosa. Invece, di lei saltano all’occhio
la frangetta, i capelli sciolti e una bella figura da modella, che stona
con la sua timidezza.
Quella con la pelle scura è Therese, detta
Terry. Non potete non riconoscere la goccia di Taranee. È cambiata
pochissimo, a parte i lunghi capelli ricci e la mancanza di occhiali.
Perché lei sembra avere ancora quindici anni,
e noialtre diciotto o più? Perché lei, al momento di scegliere,
non ha voluto apparire maggiorenne. E’ stata l’unica. Mi brucia ammetterlo,
ma inizio a pensare che sia stata la più saggia, perché…
Una delicata scrollata ad una spalla mi ruba ai miei pensieri.
Irene mi sta fissando negli occhi, in enigmatica attesa.
“E tu, Wanda, cosa ne pensi?”.
“Eh? Di cosa?”.
“Di quello che dicevamo. Dei compagni di classe, insomma”.
Mi guardo attorno. La mensa si sta svuotando. Tra qualche
minuto dovremo dividerci e tornare in aula per le lezioni pomeridiane.
“Scusate. Mi ero persa a fantasticare”, devo ammettere.
Irene mi studia con attenzione. “Wanda, sono giorni che
sei un po’ strana!”. Mi batte un dito sulla fronte. “Cosa bolle in questa
pentola?”.
E’ davvero così evidente? Mi faccio coraggio.
“Ragazze, io ho un progetto un po’ pazzo”, butto lì. “Vorrei farmi
un giretto ad Heatherfield”.
Otto occhi stralunati mi guardano. “E perchè mai?”.
Esito a rispondere. “Per incontrare Matt”.
“Matt?”, chiede Irene accigliata. “Matt Olsen? E una
volta che l’hai rivisto?”.
“Voglio farmi conoscere”, aggiungo, intimorita dal suo
sguardo.
Un attimo di incredulità accoglie le mie parole.
“E’ la cosa più stupida che tu abbia detto da
quando esisti”, tuona infine Carol. “E poi, una volta lì, cosa gli
dirai? ‘Buongiorno, sono la goccia astrale di Will’ ? ‘Vieni a vivere con
me a Midgale’?”.
“No”, minimizzo, “Voglio solo fargli sapere che esisto”.
Irene mi prende a braccetto. “Wanda, sai che non andrà
così. Questa tua speranza è solo un sogno ad occhi aperti”.
“Sai bene che è il ragazzo di Will! Vuoi rompere
l’accordo con le guardiane?”, si allarma Therese. “Va tutto a nostro scapito!”.
Mi acciglio. “Perché? Io voglio solo…”.
“Wanda, credimi. Tu non ‘vuoi solo…’ ”. Therese
mi fissa negli occhi. “Ti basterebbe se dicesse ‘Piacere, Matt Olsen’ e
tirasse dritto?”.
“Ma anche ammettendo che tu sia in grado di fare colpo
su di lui…”, riprende Carol, “…poi come la gestisci la situazione? Per
stare dietro ad un ragazzo ci vuole tempo, costanza. Quanto potrai stare
lì, tu? Un giorno? Due?”.
Therese è sempre più preoccupata. “E come
potresti stare lì senza scontrarti con Will?”.
Will! L’idea mi fa montare su il rancore che provo. “Non
ho paura di lei. Non è in grado di riassorbirmi, né di picchiarmi”.
Stringo i pugni. Il maglione lascia intravedere, ai polsi, i miei tendini
tesi come corde d’acciaio.
Carol si alza, cercando di trattenere l’irritazione.
“Wanda, questa idea è perdente. Il meglio che tu possa ottenere
è di chiuderti con lui per mezz’ora in uno sgabuzzino delle scope.
Ma l’esito più probabile è una delusione tremenda, se non
peggio”.
“Ricordalo come l’hai conosciuto”, insiste Irene. “Tutti
noi abbiamo dovuto rinunciare a qualcosa di caro. La mia famiglia…”.
Irene ha rigirato il coltello in una piaga aperta di
tutte noi. Anche Carol, che stava per allontanarsi con il vassoio in mano,
si blocca un attimo. Poi continua verso il carrello portavassoi, ma il
passo non è più lo stesso.
E’ sera. Siamo di nuovo nel nostro bell’appartamento,
dove siamo mantenute dalla Fondazione Astro Nascente in qualità
di orfane meritevoli. Siamo sedute comodamente su divani e poltrone, attorno
al tavolino basso di radica ed a tazze di tè fumante. Il soggiorno
è tinto dalla luce rossastra di un sole ormai stanco.
“Ebbene?”. Irene, seduta a gambe e braccia incrociate,
studia Carol. “Hai detto che avresti voluto continuare il discorso iniziato
in mensa”.
Faccio attenzione. Me l’ero perso completamente, immersa
nelle mie fantasie, prima che Irene mi scuotesse.
“Sì”. La nostra Super Cornelia ci guarda, una
per una. “Non offendetevi, ma, secondo me, rischiate di andare in una direzione
sbagliata”.
“Ciòè?”, schernisce Irene, “Non vestiamo
bene? Stai per darci una lezione di moda?”.
Non capisco. Parlavano di vestiti, di strade, o cos’altro?
“Non proprio”. Carol si erge, decisa. “Ragazze, come
premessa, vi dirò cosa mi aspetto io dal mio futuro. Io vengo da
una famiglia felice ed agiata”.
Irene ha un sorrisino malizioso. “Pensavo che venissi
da un lampo delle mani di Cornelia”.
Un lampo delle mani… Non ascolto più. Ripenso
alla prima volta che vidi la luce. Quando Will mi creò perché
prendessi il suo posto per alcune ore, ero persa come una neonata venuta
al mondo già adolescente, con solo un bigliettino di istruzioni
a cui aggrapparmi. Lo lessi male, e baciai Matt solo per questo, ma mi
accorsi subito di averlo sconvolto. Da cosa? Consentitemi di non spiegarlo.
Così, poco dopo, quando lo rincontrai a scuola
e mi venne vicino con quello sguardo così speranzoso… lo presi a
schiaffi! Che scema, scema, scema! Mi vergogno ancora, al ricordo!
Per miracolo, Will riuscì a ricucire i rapporti,
e presto la mia vita spezzettata e monotona di goccia astrale cominciò
ad essere colorata da sprazzi della compagnia di questo ragazzo premuroso
e sensibile.
Non fu una cosa immediata. Poco a poco, mi accorsi
che agognavo di essere destata dal mio limbo per vederlo. Pensavo alle
sue carezze, alle sue parole ed ai suoi sorrisi. Ci fu un momento in cui
questo bisogno diventò insopprimibile.
Poi riuscii, con uno sforzo di volontà, a passarlo
in secondo piano, perfino a rinunciarvi, quando decidemmo di fuggire da
quella parvenza di vita che non ci bastava più.
Solo dopo mi sono resa conto che quella storia d’amore,
cominciata in sordina, nei miei pensieri non ha mai avuto fine.
Un cambiamento improvviso del tono della conversazione
mi distoglie dai miei ricordi. Cosa mi sono persa?
La piccola Terry sta tenendo testa a Carol. “Non mi piace
ciò che dici. La tua visione dei rapporti è simile a un mercato
azionario. Bellezza, denaro, prestigio sociale… per me non sono queste
le cose più importanti”. Cerca le parole. “I rapporti si costruiscono
con mille cose, pensieri, confidenze, fiducia, passioni comuni… Più
le cose sono stereotipate, e meno valgono. Tanti uomini possono guardarsi
in giro, scegliere una biondona da copertina, recitare qualche frase fatta,
regalarle un mazzo di fiori rossi o anche un anello di brillanti. Violini
e rose…Ma non ti sembra tutto stereotipato? Cosa c’è di unico dietro
a tutto ciò?”.
Vediamo Carol a bocca aperta. Si era abituata all’ironia
di Irene, ma questo...
Dopo qualche istante di incertezza, la bionda riprende
il controllo della discussione.
“Non giudicarmi così superficiale, Therese. So
capire cosa c’è dietro a delle belle parole, o dietro all’intenzione
di un regalo. Però io mi sto muovendo per ottenere ciò che
voglio. E tu? Aspetti che sia il caso a portarti davanti all’uomo dei tuoi
sogni?”. Ci guarda, una dopo l’altra. “Io vi consiglio di definire cosa
volete realmente, e di agire di conseguenza”.
Ho deciso. So cosa voglio realmente. Non posso restare
con questo rimpianto per tutta la mia vita.
Sono partita prima dell’alba, lasciando un biglietto
di spiegazione. ‘Tornerò presto ’ , c’è scritto, ma non ho
chiarito che cosa significhi questa parola.
Sto andando a cercare Matt, il mio sogno proibito.
Sì, ad Heatherfield.
Su cosa baso le mie speranze? Non solo sul fatto che
sembro più grande e bella di Will.
Non l’ho detto alle altre, perché me ne vergognavo
un po’: prima di lasciare quella città, ho seminato un bel po’ di
zizzania tra lei, Matt e la loro amica Rebecca. Forse questa erba ha messo
radici.
Mentre il treno si muove nella notte, guardo le luci
passare ipnotiche davanti ai finestrini. Chissà chi abita in quelle
case?
Penso ad un piano d’azione. Anzi, ne penso dieci.
A momenti mi sembrano perfetti, a momenti temo che crolleranno come castelli
di carte. Alcuni sono sottili come certe stalattiti, ed altrettanto fragili.
E’ già metà mattina quando il treno arriva
in stazione. Il terreno è innevato. I rumori della città
sono ovattati.
Ad Heatherfield, l’inverno ha voluto dare un ultimo colpo
di coda. ‘Come me’, mi sorprendo a pensare.
Faccio una buona colazione, mentre osservo chi parte
e chi arriva. Poi mi decido.
Passo uno: andare al negozio di animali di nonno Olsen,
e scoprire se Rebecca è ancora lì.
Detto fatto. Mi procuro una cuffia ed un paio di occhiali
scuri da due soldi per essere meno riconoscibile, e percorro a piedi la
strada ben conosciuta verso il negozio.
Eccolo. Olsen’s Pet Shop. Il furgone è
ancora parcheggiato davanti.
Mi avvicino alla vetrina. Fingo di guardare dei criceti,
invece cerco una pantera. Rebecca. Eccola lì!
Lavora ancora nel negozio! Non ci voleva. Potrebbe riconoscermi,
se non altro perché sa della mia esistenza. Senza contare che potrebbe
essere una concorrente in più.
Devo capire. Will è ancora la ragazza di Matt?
Dunque, oggi è martedì. Entrambi dovrebbero
uscire da scuola alle 13, poi Will avrà il rientro pomeridiano e
lui no.
Percorro la strada tra il negozio e la sua casa. E’ una
villetta di legno con un garage, ed un giardino modesto e disordinato a
cui solo la neve riesce a conferire un aspetto immacolato. Un grande albero,
spoglio e solitario, fa finta di ombreggiare il centro del giardino. Chissà
com’è, dentro, la sua casa? Io non ci sono mai entrata e, a mia
memoria, neanche Will. La tentazione di bussare è forte. Non ho
mai conosciuto sua madre.
Ricomincia a nevicare. Dove andrà Matt questo
pomeriggio? Al negozio? A provare qualche brano musicale con gli amici
del Cobalt Blue?
Contattarlo al ritorno da scuola sembra la prospettiva
più promettente. Lui fa una strada diversa da quella di Will.
Idea! Sfrutterò il suo interesse per gli animali.
Lo urterò per strada, farò finta di essermi fatta male. Gli
chiederò se ha visto il mio cagnolino, mi fingerò disperata,
così mi aiuterà a cercarlo e romperò il ghiaccio con
lui. Mi guarderà come se fosse la prima volta. Gli piacerò
di certo.
Mi dirigo verso la scuola. Mi fermo duecento metri prima,
defilata dietro un giardino all’angolo. Sbircio da sopra un cespuglio.
Manca ancora mezz’ora alla campanella di uscita.
Aspetto. Immagino. Fantastico.
Il tempo passa lento. Ho i piedi umidi ed intirizziti.
Finalmente qualcuno comincia ad uscire. Anzi, è
una piena di studenti e studentesse che lasciano lo Sheffield Institute.
Ecco là Will e le sue amiche, tutte assieme. Ed
ecco LUI!
Si salutano… sembrano tornati in rapporti cordiali. Ho
l’impressione che il mio operato non abbia lasciato segno tra loro. La
sta sfiorando! Sento quasi una fitta, quando vedo le loro dita intrecciarsi.
La vedo allontanarsi con le sue amiche, dopo un ultimo
cenno di saluto, e confondersi tra la folla.
Addio, Will. L’ultima partita tra noi sarà combattuta
alle tue spalle.
Matt viene da questa parte. Siamo ancora troppo vicini
alla scuola per farmi avanti, così cammino a grandi passi per precederlo
di un altro isolato. Attenta, Wanda, qui si scivola…
Bene, eccomi. All’angolo c’è un giardino pubblico
recintato da siepi ed ornato di alberi spogli. Il luogo ideale per perdere
un cane.
Gli faccio la posta da dietro un cespuglio. Sta arrivando.
Coraggio, Wanda, ora o mai più!
“AH!” . “OUF!”. L’impatto è violento,
viso contro viso.
Quando riapro gli occhi, il mondo sembra più luminoso.
Ho perso la protezione degli occhiali scuri, che mi pendono un attimo da
un orecchio prima di sfuggire.
Matt è caduto pesantemente a terra. Oddio, dovevo
essere io a farmi male… Meno male che c’è la neve ad attutire il
colpo.
“Ah! Ma da dove è uscita, signorina?”.
Mi ricordo che sembro più grande di lui. Una scelta
sbagliata? “Scusami, ti prego. Ti sei fatto male?”.
“Adesso vediamo”, dice tentando di rimettersi in
piedi. “Il polso … ”.
“Aspetta… ti do una mano”. Lo aiuto a sollevarsi per
un braccio, e gli scuoto un po’ la neve dalla schiena. Quando è
in piedi, finalmente mi guarda in faccia. E’ stranito! Ha riconosciuto
la somiglianza!
“Mi dispiace tanto”, ripeto. Poi, come cercando di farmi
perdonare: “Anch’io mi sono fatta male”.
“Davvero? Dove?”, mi chiede automaticamente, senza pensarlo.
Mi fissa sempre con quello sguardo strano.
Dove? “Qui… ohi!”. Fingo un’aria sofferente mentre
mi copro il naso. “E poi… ahi, anche la caviglia”.
Mi guarda scettico per un lungo attimo, poi torna a guardarsi
il polso. “Beh, questo si muove. Non credo che sia rotto. E la sua caviglia?”.
“E’ una cosa da poco…ahi”, fingo di minimizzare. “Però
non ci voleva. Prima Fuffy, e ora questo… come potrò ritrovarlo?”,
finisco con voce angosciata.
“Fuffy?”.
“Il mio cane”, chiarisco. Poi, finto-speranzosa: “Lo
hai visto?”.
“Non mi pare. Com’è’?”
Com’e? “Ha degli occhi dolci, un sorriso affettuoso,
e dimena la coda come solo lui sa fare”.
“Degli occhi… una coda…”. Si passa una mano sul mento.
“Così non mi aiuti molto. Che razza è?”.
“E’ un… bassotto. Sì, un bassotto marrone e nero,
con un collare… rosso”. Cerco di commuoverlo zoppicando. “E ora come farò
a trovarlo?”, piagnucolo sofferente.
Si guarda in giro, osservando le orme sulla neve. “Quando
lo hai perso?”.
“Forse venti minuti fa, qui vicino. Gli ho tolto il guinzaglio
nel parco. Ha visto una cagnolina in distanza, ed è partito come
un razzo”.
“Forse adesso è più contento!”. Finisce
la frase con un sorriso ironico che mi ferisce.
“Ti prego! Cosa sarà di lui? Era un regalo di
mia madre!”. Fingo di commuovermi. “Ora lei non c’è più…”.
Mi commuovo davvero.
Continua a guardare il terreno attorno a noi. “Hai seguito
le sue orme?”
Ahi, ecco una domanda che non avevo previsto. “Ho provato…
ma i marciapiedi erano tutti calpestati”.
“Avevi un guinzaglio?”.
Cavolo…. “Sì…”. Fingo di cercarlo nelle tasche.
“Oddio, l’ho perso! Sono nel pallone!”. Mi guardo intorno con sguardo
infelice. “Conosco poco la città, e tra poche ore dovrò tornare
via in treno”.
Perché Matt ha uno sguardo così diffidente?
La mia storia fa davvero così acqua?
“Sei venuta in treno con il cane?”.
Si può? Non saprei. “Volevo trovare un vecchio
amico”.
“Perché non ti fai aiutare da lui?”. Fa tanto
di andarsene.
“No! Ti prego! Non so come fare, da sola”. L’angoscia
nella mia voce è sincera. Non mi crede,
lo sento.
“Chiama le tue quattro amiche”, mi sibila da sopra la
spalla.
TUTTO! SA TUTTO! Will glielo ha detto! Mi pare quasi
di sentire le parole esatte.
“Matt, ti prego…”.
Fa un sorrisino cattivo. Non lo avevo mai visto così.
“Ma guarda. Conosci anche il mio nome! Proprio un incontro casuale!”.
Mi sono tradita definitivamente. “Matt, ascoltami, ti
prego! Devo parlarti!”
“Del tuo cagnolino, o del denaro rubato da Rebecca?”.
“Devo parlarti di me! Ormai sai chi sono!”. Il
cuore va a mille, sento le pulsazioni nelle orecchie. “Perché non
vuoi capire un’altra cosa?”.
Sguardo scettico. “E sarebbe?”.
“Che anche io ti amo, Matt. Che il primo bacio che hai
creduto di Will te l’ho dato io. Che abbiamo parlato, ci siamo abbracciati,
che abbiamo passato assieme ore ed ore. Ora, credi anche tu che io sia
un’ombra? O una bambola da far apparire e sparire a comando?”.
Mi guarda con disprezzo. E’ questo che ho meritato?
“Quelle volte, io credevo di essere con Will. E delle
tue bugie, cosa mi dici? Tutte le tue menzogne per farla soffrire, per
allontanarla da me…”.
Le mie gambe iniziano a tremare. “Matt, ti prego! Io
non ho avuto scelta”.
Scuote la testa. “Parole! Una scelta è sempre
possibile”. Mi guarda storto. “Non ho nessun ricordo bello di te.
Hai lasciato uno strascico di rancori, di malintesi, di sospetti che nessun’altra
avrebbe potuto creare”. Alza la voce, mi punta contro il dito. “Ora ti
dico solo questo: vattene, sparisci dalla nostra vita, dimenticati di me!
E lascia che io mi dimentichi di te!”.
Si volta, si allontana a passo deciso nella neve. Lo
guardo allontanarsi. Sento i suoi pensieri. No, non sono capace di raccontarli.
Lo ho davvero meritato?
Una voce gentile mi fa trasalire. “Quel ragazzo si vergognerà
di quanto ha detto non appena avrà girato l’angolo”. E’ una signora
di mezza età, ferma a pochi passi.
Anche altre persone si sono fermate, ed ora riprendono
imbarazzate la loro via.
La signora si accosta di lato. “Signorina, tutti facciamo
cose di cui poi ci pentiamo. Non so cosa abbia lei da rimproverarsi,
ma quel ragazzo mi ha ricordato una persona che ho scacciato moltissimi
anni fa”. Sento che mi tocca un braccio. “Mi creda, in pochi minuti mi
sono vergognata di me, ed ho tenuto tutto dentro per mesi, finché
non sono riuscita a confidarlo ad un’amica”.
Non riesco a guardarla. Non riesco a tenere gli occhi
aperti. Sto iniziando a singhiozzare. Sono ancora impalata sul marciapiede?
Sento di nuovo la voce della signora. “Venga, signorina.
C’è una panchina asciutta proprio a quattro passi”. Mi guida per
un braccio, come una cieca, fino a farmi sedere. Sento il contatto freddo
con il metallo. Cerco di aprire un occhio, ma tutte le immagini sono velate.
“Signorina, posso esserle ancora utile?”, dice la voce
gentile.
Faccio segno di no. Non riesco a parlare.
“Allora la lascio. Ma ricordi, il passato non dura per
sempre. Le persone cambiano. I pensieri cambiano. Forse un giorno voi due
avrete un’altra possibilità. O forse no. In ogni caso, non lasci
che poche parole dette con rabbia si inchiodino nei suoi pensieri. Addio”.
Sento i passi ovattati della misteriosa benefattrice
che si allontanano sulla neve. Tento di guardarla, ma vedo tutto velato.
Non mi ricordo il suo viso. Non la rivedrò mai più.
Non ho quasi memorie del viaggio di ritorno verso Midgale. Sono rimasta sola nei miei rimorsi, nei miei rimpianti, a rivivere quelle scene, a percepire quei pensieri, ad immaginare mille varianti, tanto che alla fine non sono neanche sicura del mio ricordo. Le luci che mi sono sfrecciate davanti agli occhi, nell’oscurità della sera, non sembravano più quelle dell’andata. Chi lo dice che la notte è romantica? Che parla al cuore?
L’arrivo a casa, a tarda sera, è come un risveglio.
Mi apre Irene. “Wanda…”. Le basta un’occhiata per capire
com’è andata. Mi abbraccia. “Perché l’hai voluto fare?”.
Pao Chai sta ascoltando musica su un divano, dividendo
gli auricolari con Terry. Li tolgono subito, e mi vengono incontro di qualche
passo. “Wanda, ti abbiamo aspettata”. “Vuoi parlarcene?”
Faccio cenno di no. Vorrei dirigermi in camera. Invece
Irene mi guida verso la cucina. “Cara… hai mangiato? Ti ho tenuto in caldo
la cena. Ho cucinato io, stasera”.
Pao Chai fa da spalla: “Mangia, è squisita!”.
“Non volevamo farti trovare la casa vuota, se fossi rientrata
stasera”. Therese si siede accanto a me. “Vuoi raccontarci qualcosa?”.
Cosa posso dire? “Sapeva tutto. Gliel’ha detto”. Guardo
in basso, ma percepisco lo sguardo di preoccupazione e stupore che passa
tra le mie amiche.
“Matt sa di noi?”. Gli occhi di Pao sono spalancati più
di quanto credessi possibile.
“Ma allora gli hanno raccontato tutto!”. Terry scuote
la testa, incredula. “Kandrakar… i poteri… Con quali parole si può
raccontare una storia così ed essere credute?”.
Irene mi riempie un piatto, e mi mette una forchetta
in mano. Mando giù qualcosa, come in trance. Sento mani che mi accarezzano
le spalle. Irene, sono certa. Riconosco il tocco.
Infatti è lei. “Cara, hai bisogno di dormire”.
Mi porge un bicchiere. “Bevi, ti farà bene”.
Quest’acqua ha un sapore dolce ed amaro.
Sento ancora che dice: “Vieni a letto, cara. Domani mattina
tutto ti sembrerà un po’ più lontano”.
Il mio sonno è stato popolato di sogni.
Ricordo solo frammenti. Ricordo viaggi in treno verso
posti che si chiamavano sempre Heatherfield, ma ogni volta erano diversi.
Strade mai viste, che però avevo la sensazione che dovessero essermi
familiari.
Cercavo un posto conosciuto, ma non lo trovavo mai,
in un intrico di strade e piazzette sempre nuove. Ricordavo che una signora
era stata molto buona con me, ne avevo un ricordo lontano come se fossimo
state a lungo amiche, ma il tempo avesse cancellato tutto. La cercavo in
luoghi estranei, fermavo i passanti per interrogarli, ma quando mi chiedevano
di descriverla non ne ero capace.
Questa mattina sono passata dal sonno alla veglia quasi
senza accorgermi. Ho gli occhi aperti sulla stanza illuminata dal sole,
ma non saprei dire da quanto tempo.
Che giorno è? Mercoledì… Comincio a ricordare
il mio bruttissimo martedì, e qualcosa torna a farmi male dentro.
Qualcosa che urla: MATT MI ODIA!
Sento, al dilà della porta, un canticchiare che
si avvicina: “Doom dududu domm boom da da boom”. Chi…
“Ehi, cara! Come hai dormito?”. Irene entra in camera
con un vassoio. “Colazione a letto, oggi!”.
Sorride. E’ bello vedere quel viso, la mattina. Avrei
voluto una mamma così.
“Grazie, Irene. Che ora è?”.
“Sono le nove e mezza. Non preoccuparti per la scuola,
ho già avvisato che non vai”.
”E neanche tu?”.
“Oggi ho cose più importanti da fare”. Mi accarezza
la spalla, e continua a canticchiare:
I've been crying for so long,
fighting tears just to carry on,
but now, but now, its gone away.
Ha una voce bellissima. Ripete più volte la stessa
strofa. Forse sa solo quella, o forse nel resto c’è qualcosa che
non sopporterei. Grazie, Irene.
Quando la sua voce è sfumata nel silenzio, tendo
l’orecchio. “E le altre?”.
“Hanno detto che resteranno qui con noi questo pomeriggio”.
“Anche Carol?”.
“Anche lei. E’ tornata a casa tardi ieri sera, ma ha
portato qualcosa che ci potrebbe aiutare a passare la mattina”. Tira fuori
la custodia di un DVD. “Guarda, è l’ultimo cartone animato di Miyazaki.
Mi ha detto che è stupendo”.
Mi rigiro tra le mani la copertina, di un bel cartoncino
blu.
“Lo vedrai con me?”, chiedo.
“Certo. Sono qui per te. Cinque minuti, ti porto qui
la TV, poi mi fai posto nel lettone. Servizio completo”.
Mentre va, bevo la tazza di latte. Ha un retrogusto amarognolo.
Non importa, mi fido di Irene.
Sono fortunata ad avere un’amica di cuore come lei. Se
non ci fosse, dovrei inventarla. Non so come faccia Carol a pensare che
è grossolana.
Più tardi, nella mattinata, le sono vicina in cucina, facendo finta di aiutarla, e lei sta al gioco, facendo finta di averne bisogno. In realtà, sono troppo in pallone per essere d’aiuto, ma non me la sentivo di restare in camera senza di lei. E poi, a Irene piace cantare mentre cucina, e a me piace tanto ascoltarla. Sa partire da canzoni malinconiche, che ricalcano il mio stato d’animo raccontando di amori delusi e solitudine, per arrivare piano piano, per gradi, a brani pieni di gioia di vivere.
Il campanello mi scuote dal mio coma. E’ già ora
di pranzo. Vado ad aprire.
Sono le nostre amiche. Carol è la prima, come
spesso, seguita a cagnolino da Pao, e Terry viene dietro più distante.
Sua Altezza mi guarda. Resta un attimo sospesa
tra ‘Te l’avevo detto’ e ‘Fai vacanza, furbona?’, poi opta per una mano
sulla spalla. “Allora, Wanda?”.
Allora… “Hai buon gusto per i film, biondona. Era stupendo”.
Pao non dice niente. Mi abbraccia. In un momento migliore,
potrei sentire cosa ha dentro.
Terry è l’ultima. “Ciao, Wanda. Ci hanno chiesto
di te in tanti”.
Irene batte un mestolo su una pentola. “Ragazze, si mangia!”.
Oggi ha dato il meglio di sé anche in cucina.
“Cavie in arrivo”, ricambia amabilmente Carol.
A tavola, non riesco a concentrarmi sulla conversazione,
ma è piacevole sentire queste presenze.
Mi pare di percepire uno sguardo interrogativo di
Terry . Quando si alza per prendere una mela, bisbiglia qualcosa nell’orecchio
di Irene. Come unica risposta, lei fa un cenno con la testa verso un flaconcino
appoggiato sulla credenza.
Abbiamo finito il dolce. Ora sono meno intontita di prima.
Sento quasi il bisogno di affrontare l’argomento.
“Ragazze, secondo voi è giusto soffrire così
per amore?”.
Mi guardano sorprese. Certo si erano ripromesse di evitare
ogni allusione.
Nessuna meraviglia che sia Carol a rispondere per prima.
“Wanda, ragazze, la parola amore non ha un solo significato. Sarò
chiara, spero che non mi odierete per questo. Secondo me, mitizzare l’amore
è una follia. Il ritenere insostituibile un uomo che si conosce
appena è una specie di malattia”.
Sento il mio cuore che, pian piano, accelera i suoi battiti.
E’ chiaro che sta alludendo a me.
Continua sicura: “Abbiamo avuto sotto gli occhi alcuni
casi. Non vi parlerò né di Wanda, né di Will, e neppure
di Taranee. Vi parlerò di una persona che conosco come me stessa:
Cornelia”.
Tace un attimo. Tacciamo tutte. Si sente solo il ticchettio
dell’orologio.
“Vi parlerò di quando Caleb, contro ogni aspettativa,
la ha lasciata. Lo abbiamo… lo hanno disapprovato tutte… anche io, da dentro
di lei”.
Ricordo benissimo. Tutte noi abbiamo sofferto per Cornelia,
al ricordo.
“Ma, a distanza di tempo, ho capito quanto lui sia stato
un vero signore”.
Questa conclusione di Carol ci spiazza tutte.
“Come…”. La bocca aperta di Irene è un’icona alla
sorpresa.
“E’ stato un signore, lo ripeto. Lui ha visto con realismo
che le loro prospettive erano troppo diverse, che quel legame non avrebbe
portato a ciò che speravano. Ha detto a Cornelia che le voleva bene,
ed ha deciso anche nell’interesse di lei. Altri uomini non avrebbero esitato,
ne avrebbero approfittato per farsi una bella ragazza non alla portata
di tutti, incuranti che poi la sua delusione avrebbe potuto essere ancora
più profonda”.
Tic, tac, tic, tac…
“E Cornelia?”, continua. “Lei diceva di amarlo… ma alla
fine lo ha insultato, lo ha scacciato, odiato… E’ stato giusto?”.
“Vista così, no”, ammette Irene.
“Allora, ascoltatemi: quello che Caleb ha chiamato ‘voler
bene ’, per me, è un sentimento maturo, generoso e razionale. Invece,
quello che Cornelia ha chiamato ‘amore’ è una specie di malattia,
un sentimento possessivo, irrazionale e totalizzante che fin troppo spesso
si trasforma in odio. E’ una follia che spinge a stare male ed a fare stare
male. Credetemi, ora sono vaccinata”.
Mi guarda. “Wanda, non hai pensato che il rifiuto di
Matt potrebbe essere stato positivo? In fondo, era nelle condizioni di
approfittare di te”.
Io non sento più l’orologio. Il tu-tump che lo
copre
viene da dentro di me.
“Carol, puoi dire così solo perché non
lo hai VISTO, non lo hai SENTITO! Io l’ho ancora, dentro questi occhi!
Le sue parole risuonano ancora, in queste orecchie! E non c’era NIENTE
nel suo viso, nel suo pensiero, nelle sue inflessioni che facesse
percepire alcuna preoccupazione PER ME. Solo ODIO. DISPREZZO. Mi ha CACCIATA,
come una CAGNA, questo è tutto!”.
La stanza si scioglie. Sto piangendo, anzi, singhiozzando.
“Mi odiaaa!”. E, quel che mi brucia di più, forse l’ho meritato.
Mentre mi copro il viso con le mani, sento la voce di
Irene: “Carol, la tua razionalizzazione si può fare solo sulla pelle
degli altri. Da parte mia, se non fossi capace di amare mi sentirei come
quegli alberi senza foglie!”. Me la immagino indicare fuori dalla finestra,
verso il giardino.
Sento il tintinnio di un cucchiaino in un bicchiere.
Ora la sua voce è vicina. “Tieni, cara, bevi questo”.
Ancora il sapore dolce e amaro. Bevo avidamente. Qualunque
cosa sia, è miracolosa, o forse è la mia immaginazione a
fare miracoli.
Pian piano, i miei singhiozzi si acquietano, e la stanza
riprende forma.
Dopo una sosta imbarazzata, è Terry a riprendere
la discussione.
“Carol, si vede che la tua impostazione nasce da qualcosa
che ti ha bruciata, e che non vuoi ripetere”.
“Avrà bruciato Cornelia, semmai”, le replica Carol
a braccia conserte.
Terry ignora la risposta: “Bene, anche io ho assistito
in prima fila alla delusione di Taranee, ma questo non ha cambiato l’immagine
che ho del mondo”.
“…”.
“Secondo me l’amore è una cosa complessa, difficile
da definire. Non si riduce al voler bene. Non si riduce al sesso. E neppure
al colpo di fulmine o a parole melodrammatiche come ‘Non posso vivere senza
di te’ o ‘Tu sei il mio ieri ed il mio oggi’. Per me l’amore è fatto
di molte piccole cose, lo scoprire come ti guarda l‘altro, come cambia
il tono della sua voce quando si rivolge a te, i piccoli interessi comuni,
i ricordi di qualche momento, le persone a cui si vuole bene assieme, le
piccole occhiate che ti fanno capire che cosa pensa… queste, e tante altre
cose che non sono capace di elencare”.
Il viso di Carol è teso, quando risponde: “Io
sono d’accordo con quanto dici. Però l’amore, come tutte queste
cose, può essere costruito giorno dopo giorno sulla base di una
scelta”.
Terry scuote la testa. “Io invece credo nel valore delle
cose che nascono da sole”. Poi si volta verso Pao Chai. “E tu, cosa ne
pensi?”.
La cinesina sembra ricercare qualcosa nella memoria, poi
alza l’indice e sentenzia: “Confucio disse: ‘La passione di un uomo
è come un incendio che scoppia nell'erba alta e arida: divampa ardente
e furioso, ma viene domato ben presto. Una donna, invece, è come
il calderone di un mago, che deve sobbollire a lungo sui carboni prima
di poter sprigionare il suo incantesimo’”.
Cade un attimo di silenzio ammirato per l’antica saggezza
orientale.
E’ Therese a romperlo: “Bello. Ho letto qualcosa di molto
simile su un libro di Wilbur Smith”.
“Ti dico che è Confucio, cara”, risponde perentoria
Pao Chai. Però le ho notato un lampo di esitazione negli occhi.
E’ il momento di Irene. “Ragazze, sapete che vi dico?
Per me l’amore è la cosa che più dà gioia nella vita.
L’amore per gli amici… per la casa… per le mille cose belle che si possono
fare… ma quello che riempie di più la vita è l’amore con
un uomo. E’ una fonte di calore, di soddisfazioni che nient’altro può
dare…”. Mi strizza l’occhio. “E poi, diciamocelo, può andare male,
può finire, ma per ogni delusione d’amore è pronto un rimedio:
un nuovo amore! Il mondo è pieno di ragazzi interessanti, troverete
quello giusto per voi, prima o poi. Dovete solo vedere le cose nel modo
migliore”.
Sono sorpresa. Siamo tutte sorprese, per il brio con
cui Irene ha sostenuto un punto di vista che non tutte sottoscriverebbero.
Sarà per questo, sarà per ciò che mi ha messo nel
bicchiere, mi fa sorridere il sentire certe cose esposte in una luce così
positiva.
Irene si è accorta del suo successo. “Allora,
ragazze: che ne dite di uscire questa sera? Andremo tutte ad annegare le
tristezze al Black Cat? Musica, ragazzi ed allegria!”.
Sera. Siamo tutte davanti all’insegna di questa discoteca:
un gatto nero che ci guarda con occhi luccicanti, sullo sfondo di una luna
gialla e luminosa.
“Io non sono mai stata una frequentatrice di questi locali”,
osservo.
Anche Terry è dubbiosa. Pao guarda verso Carol,
che le sorride rassicurante.
“Anche io sono nuova”, dice Irene, “Ma so una cosa sola:
qui tanta gente si diverte”. Riprende a canticchiare tra sé:
Everybody's gonna love today, gonna love today, anyway
you want to, anyway youv'e got to, love love me, love love me, love love…
Entriamo. Paghiamo l’ingresso passando vicino a due eleganti
buttafuori. Nessuno si sogna di controllare se siamo minorenni.
Riguardo Irene. Mi sorride sicura.
Mano a mano che avanziamo nella semioscurità,
tra sagome di persone disegnata da lampi di luce surreale, la musica si
fa più forte ed ipnotica.
Irene si volta e ci urla qualcosa a perdifiato. Inutile,
non la capisco.
Ci indica un tavolino quadrato attorniato da un lineare
divano nero. Credo che tutto qui intorno sia nero, tranne la gente e le
luci rutilanti, che sembrano sospese nel vuoto cosmico. Sì, queste
immagini irreali sembrano quelle di dèi primigenii che danzano nel
cosmo appena creato.
Siamo sedute. Il profilo di Terry disegnato dai bagliori
non mi lascia capire la sua espressione.
Irene mi urla qualcosa nell’orecchio. Al terzo tentativo,
riesco a intendere ‘… consumazione…’, e vedo che mi indica quello che sembra
il banco di un bar fiocamente illuminato. Si alza in piedi, e si fa capire
a gesti in modo sorprendentemente chiaro. Il linguaggio dell’indice: io…
lei… il bar… le altre tre… il divano… un giro dell’indice… loro… il bar.
A cosa serve parlare, se si ha un indice?
Al banco, il suono della musica è un po’ attenuato.
Il banconiere muove la bocca, immagino che abbia detto ‘Signorine, in che
cosa posso servirvi? ’, ma anche se fosse ‘Che volete? ’ non cambierebbe
molto.
Mi accosto ad Irene. “C’è Coca Cola?”
Lei mi guarda con disapprovazione. Mi dice qualcosa d’altro,
che non capisco. Dopo il terzo tentativo, fa un gesto che sembra voler
dire ‘Lascia fare a me’. Mostra due dita e poi scandisce al barista, esagerando
i movimenti della bocca, qualcosa che può sembrare ‘Grand Marnier’.
Guardo preoccupata la bottiglia che l’uomo afferra, e
da cui riempie di liquido ambrato due bicchieri alti e stretti, molto spessi.
Prendo in mano quello che mi porge. E’ bellissimo. Le
onde che increspano la superficie del liquore creano giochi di luce quasi
ipnotici. Il profumo è lontano miglia da ogni mio ricordo
di prima.
Guardo interrogativa Irene. Lei ricambia con un sorriso
rassicurante, poi sorseggia dal suo bicchiere e si dirige nuovamente dalle
nostre amiche.
Appena mi sono seduta, Terry si avvicina, annusa il bicchiere
e mi chiede qualcosa. Posso rispondere solo con un’alzata di spalle. Non
so se il lungo sguardo che mi dedica sia di curiosità o di preoccupazione.
Assaggio il liquore con la punta della lingua. Al primo
contatto, sembra fuoco. Quando si scioglie in bocca, però, ha un
buon sapore dolce. Lo centellino. Vedo che Irene mi sta studiando, soddisfatta.
Accosta il suo bicchiere al mio per un cin-cin.
Anche le altre sono tornate con dei bicchieri. Cerco
di capire cos’abbia preso Terry. Mi allunga il suo boccale, pieno di un
liquido limpido e scuro con mille bollicine, ciascuna delle quali ripropone
in piccolo il gioco di luci del locale.
Le sorrido. Una irriducibile brava ragazza. Cosa ci fa,
qui con noi?
Mi pare che il suo sguardo sia quasi di rimprovero. In
realtà, queste luci mostrano scorci di visi con riflessi surreali.
Uno può vedervi l’espressione che immagina.
Cara Terry, lo so. Forse domani me ne pentirò.
Forse ci sarà un nuovo prezzo da pagare, per questo. Non importa.
Questa sera voglio cambiare qualcosa. Voglio essere come Irene, la mia
amica tra le amiche. Voglio guardare il mondo con grandi occhi spalancati,
come i suoi. Voglio provare a godere di queste sensazioni che non ho mai
provato prima, ed assaporare fino in fondo questa esperienza nuova.
Mentre le luci danzano sulle persone davanti a me e la
musica assordante prende il posto di ogni pensiero, mi sorprendo a canticchiare
anche io:
I've been crying for so long,
fighting tears just to carry on,
but now, but now, It’s gone away.
Everybody's gonna love today, gonna love today, anyway
you want to, anyway youv'e got to, love love me, love love me, love love…
Note per la giuria del III° contest “i criticoni”
MaxT
Prompts cui attenersi:
* Parole Parole - Mina feat. Alberto Lupo
Parlato: Cara, cosa mi succede stasera, ti guardo ed è come la prima volta
Canto : Che cosa sei, che cosa sei, che cosa sei
Parlato: Non vorrei parlare
Canto: Cosa sei
Parlato: Ma tu sei la frase d’amore cominciata e mai finita
Canto: Non cambi mai, non cambi mai, non cambi mai
Parlato: Tu sei il mio ieri, il mio oggi
Canto: Proprio mai
Parlato: È il mio sempre, inquietudine
Canto: Adesso ormai ci puoi provare/ chiamami tormento dai, già che ci sei
Parlato: Tu sei come il vento che porta i violini e le rose
Canto: Caramelle non ne voglio più
Parlato: Certe volte non ti capisco
Canto: Le rose e violini/ questa sera raccontali a un’altra,
violini e rose li posso sentire/ quando la cosa mi va se mi va,
quando è il momento/ e dopo si vedrà
Parlato: Una parola ancora
Canto: Parole, parole, parole
Parlato: Ascoltami
Canto: Parole, parole, parole
Parlato: Ti prego
Canto: Parole, parole, parole
Parlato: Io ti giuro
Canto: Parole, parole, parole, parole parole soltanto parole, parole tra noi
Parlato: Ecco il mio destino, parlarti, parlarti come la prima volta
Canto: Che cosa sei, che cosa sei, che cosa sei,
Parlato: No, non dire nulla, c’è la notte che parla
Canto: Cosa sei
Parlato: La romantica notte
Canto: Non cambi mai, non cambi mai, non cambi mai
Parlato: Tu sei il mio sogno proibito
Canto: Proprio mai
Parlato: È vero, speranza
Canto: Nessuno più ti può fermare/ chiamami passione dai, hai visto mai
Parlato: Si spegne nei tuoi occhi la luna e si accendono i grilli
Canto: Caramelle non ne voglio più
Parlato: Se tu non ci fossi bisognerebbe inventarti
Canto: La luna ed i grilli/ normalmente mi tengono sveglia/
mentre io voglio dormire e sognare/ l’uomo che a volte c’è in te quando c’è/
che parla meno/ ma può piacere a me
Parlato: Una parola ancora
Canto: Parole, parole, parole
Parlato: Ascoltami
Canto: Parole, parole, parole
Parlato: Ti prego
Canto: Parole, parole, parole
Parlato: Io ti giuro
Canto: Parole, parole, parole, parole parole soltanto parole, parole tra noi
Parlato: Che cosa sei
Canto: Parole, parole, parole
Parlato: Che cosa sei
Canto: Parole, parole, parole
Parlato: Che cosa sei
Canto: Parole, parole, parole
Parlato: Che cosa sei
Canto: Parole, parole, parole, parole parole soltanto parole, parole tra noi
Attinenza con Parole parole? In primo luogo nel discorso
tra Carol e Therese, in cui una disprezza le manifestazioni stereotipate,
e l’altra sostiene di essere in grado di capire cosa c’e sotto le parole
ed i comportamenti, siano essi stereotipati o originali. Nello stesso discorso
sono stati citati o parafrasati diversi versi della canzone.
Anche la risposta di Matt:( Parole!..) richiama il
ritornello della canzone.
* Love Today – MIKA
Doom dududu domm boom da da boom..
Everybody's gonna love today, gonna love today, anyway you want to, anyway youv'e got to, love love me, love love me, love love
I've been crying for so long,
fighting tears just to carry on,
but now, but now, its gone away,
Hey girl why can't you carry on,
Is it cos your'e just cloudin your mother,
little tight, like to taste for fun,
Well you aint gonna taste no other,
gonna make you a lover,
Everybody's gonna love today,love today, love today, gonna
love today, anyway you want to, anyway youv'e got to, love love me, love
love me, love love
girl with a groove with the big bust on, big bust on,
Wait till your mother and your papa's gone, papa's gone
, ohh mutha 4 her papa, shock shock me, shock shock me, shock shock,
Everybody's gonna love today, gonna love today, anyway you want to, anyway youv'e got to, love love me, love love me, love love
yeah she's a lover and she's mighty fine ,
give her a dollar and she'll make you smile,
Hooker, walk a looker, walk away!
Carry dresses like a kid for fun,
licks her lips like their something other,
tries to tell you life has just begun,
but you know she's gettin sumthing otha, makes yiou a
life from the mother,
Everybody's gonna love today,love today, love today, gonna
love today, anyway you want to, anyway youv'e got to, love love me, love
love me, love love
girl with a groove with the big bust on, big bust on,
Wait till your mother and your papa's gone, papa's gone
, ohh mutha 4 her papa, shock shock me, shock shock me, shock shock,
I said everybody's gonna love today, gonna love today,
gonna love today, I said everybody's gonna love today, gonna love today,
anyway you want to dadadadadaddadadadaddaadd fades away
Attinenza con Love Today? Alcune strofe vengono canticchiate
prima da Irene, poi da Wanda, e chiudono il racconto.
I discorsi di Irene, inoltre, sembrano riflettere
lo spirito della canzone.
* Immagini 029 (albero spoglio in mezzo alla neve) e 049 (goccia e superficie del liquido increspata)
Attinenza all’immagine dell’albero e della neve? Ad Heatherfield ha nevicato, e sia nel giardino di casa Olsen che nel parco sono accennati alberi spogli. Inoltre l’immagine dell’albero spoglio à messa in bocca anche ad Irene come metafora di una donna che non sa amare.
Attinenza all’immagine del liquido rosso? In primo
luogo, nell’immagine c’è una goccia, e loro sono le ex gocce astrali.
Questo è echeggiato anche nel titolo del racconto.
In secondo luogo, potrebbe essere il liquore che Wanda
centellina, e le cui onde ed i cui riflessi sono descritti nel testo.
Inoltre, potrebbe ricordare le gocce di ansiolitico
che Irene le versa nell’acqua del bicchiere.
* La passione di un uomo è come un incendio che scoppia nell'erba alta e arida: divampa ardente e furioso, ma viene domato ben presto. Una donna è come il calderone di un mago, che deve sobbollire a lungo sui carboni prima di poter sprigionare il suo incantesimo. (Wilbur Smith)
Attinenza con la frase di Wilbur Smith? In primo luogo, essa è citata parola per parola da Pao Chai nella discussione attorno al tavolo da pranzo, anche se erroneamente attribuita a Confucio da Pao. Inoltre è echeggiata, nella sostanza, nel flashback di Wanda durante la discussione in soggiorno.
* Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende, | prese costui de la bella persona | che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende. (Dante Alighieri)
L’attinenza con la frase di Dante è il triangolo amoroso tra Will, Wanda e Matt, triangolo che era tale solo nell’immagine della goccia, in quanto lui non sapeva neppure della sua esistenza; alla fine, Wanda deve constatare che la sua liberazione ha coinciso con la perdita di questa parvenza di legame affettivo.
* PROMPT JOLLY: La speranza è un sogno ad occhi aperti. (Aristotele)
La frase di Aristotele sul sogno e sulla speranza è
parafrasata, con poche modifiche, in una frase di Irene, verso l’inizio,
e va intesa riferita all’illusione di Wanda di poter riprendere i contatti
con Matt, il suo sogno che si è infranto a contatto con la realtà.
Inoltre il sogno riecheggia nel titolo del racconto.