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Autore: Yoan Seiyryu    19/11/2013    5 recensioni
Londra 1889. Il dottor Frankenstein porta a termine i suoi esperimenti: Gerhart è tornato in vita. Non tutto va secondo i piani poiché il Mostro viene rapito e sarà utilizzato per perpetrare diversi omicidi all'interno della città, scatenando il caos tra gli abitanti. Il Team Cheshire formato da Alice, Jefferson, Victor Frankenstein e Killian Jones cercherà di portare alla luce la verità su tali omicidi dietro cui si nascondono gli Oscuri Padroni della Notte. Scotland Yard parteciperà alle indagini con Graham Holmes ed Emma Adler, ostacolando talvolta il Cheshire Team, che agisce secondo principi molto diversi.
Le vicende si intrecceranno con nuovi personaggi, tra cui: Dracula, Jekyll/Hyde, Dorian Gray.
[Coppie: Sleeping Hook, Mad Beauty, Frankenwolf, Jolice, EmmaHunter]
Genere: Angst, Dark, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Dottor, Whale/Victor, Frankenstein, Jefferson/Cappellaio, Matto, Killian, Jones/Capitan, Uncino
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'There's no place like London'
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Dark Side of London












Prologo







I respiri profondi. I tuoni che squarciavano l’aria. Il battito di un cuore nuovo. Non era possibile sconfiggere la morte, così asserivano gli studiosi. Il corso della vita non si può arrestare né cambiare a proprio piacimento. Un sorriso tirato sulle labbra, la soddisfazione negli occhi cerchiati da lunghe notti insonni. Il fetore del laboratorio era inarrestabile, ma nulla profumava più della creazione della vita stessa. Si sentiva quasi simile a un dio mentre sfilava via il lenzuolo macchiato di sangue che copriva il corpo di Gerhart. Tutti avrebbero riso di lui se avesse raccontato di aver riportato in vita suo fratello, così come avevano fatto gli scienziati che avevano ascoltato le sue teorie malsane. Nessuno aveva creduto in lui, nessuno pensava che ce l’avrebbe fatta. Un altro tuono risuonò con forza alle sue orecchie ma continuò a rimanere  concentrato sul suo esperimento che aveva da poco spalancato le palpebre, prendendo a respirare con un certo affanno.
- Dottore? -  la voce del fedele servitore si fece strada tra i suoi pensieri.
- E’ vivo - si limitò a rispondere senza staccare gli occhi da suo fratello che ancora non accennava a muoversi, sembrava che stesse studiando l’ambiente in cui si trovava.
- Questa è magia - sussurrò l’altro che si avvicinava per poter essere certo di non star sognando.
- No, è qualcosa di molto più potente. E’ scienza.
Raggiungere la sua ambizione era ciò che desiderava, il mondo intero sarebbe caduto ai suoi piedi perché aveva distrutto la legge della natura, aveva sfidato Dio stesso e tutta la creazione, uccidendo la morte e lasciando cadere la paura nell’oblio.
Ora doveva affrontare il compito più arduo, quello di dimostrare a suo padre che i suoi sforzi non erano stati vani e che Gerhart non era l’unico figlio da cui poteva aspettarsi qualcosa di buono. Lasciò suo fratello al servitore, di modo che potesse preparare Lord Frankenstein alla notizia. Quando si recò da lui per confermargli la riuscita dell’operazione, Victor provò un’irrefrenabile desiderio di andare via da quel posto così lugubre. Una dimora talmente tanto grande e al tempo stesso inospitale e fredda, come la nebbia che era calata al di fuori della finestra. Detestava l’amore che suo padre riservava esclusivamente a Gerhart, detestava il modo in cui per anni era stato trattato, messo con le spalle al muro e considerato uno scansafatiche. Poteva leggere negli occhi del genitore la luce che gli illuminava il viso, Victor corse a stringere il pugno della mano con forza, persino quelle parole positive nei propri confronti lo fecero ribollire di rabbia. Ma ciò che non si sarebbe potuto aspettare era che Gerhart, al suo ingresso, preparato di tutto punto dal servitore, si mostrò in modo del tutto nuovo, come se non avesse pienamente coscienza di sé. Era più simile ad un animale che si muoveva per istinto ma senza razionalità, farfugliava parole che nessuno riuscì a comprendere. Che l’operazione avesse prodotto un effetto a metà? Tutto divenne confuso quando suo padre iniziò ad inveire contro di lui.
- Che cosa ne hai fatto di mio figlio? Hai creato un mostro! -  lo afferrò per il bavero della camicia strattonandolo con forza, un gesto che Gerhart non riuscì a sopportare poiché si gettò su di lui per poi strangolarlo senza pietà.
Victor non intervenne e lasciò correre, rimase anzi a guardare mentre suo padre svaniva da quel mondo, poco a poco, la sua anima forse sarebbe scesa all’Inferno per aver amato soltanto uno dei suoi figli. Si creò una smorfia sulle labbra, nel momento in cui Gerhart continuò a serrare la presa sul collo del defunto e a quel punto il fratello gli posò una mano sulla spalla.
- Gerhart, hai ucciso nostro padre - disse con tono di finta ammonizione.
Di certo era un imprevisto, non aveva immaginato che riportarlo in vita avrebbe compromesso le sue facoltà raziocinanti, ma in fondo anche la scienza ha un prezzo. Allo scoppio di un altro tuono Gerhart si alzò in piedi, osservò le mani con cui aveva strappato via la vita al padre e poi le portò alla testa iniziando a mugolare per il dolore. Doveva avere un’emicrania molto forte poiché si voltò di scatto per uscire dalla stanza e rifugiarsi in una stanza dove i tuoni arrivassero con meno impetuosità.
Victor lo lasciò fare, mentre si chinava sul corpo di Lord Frankenstein, per accertarsi della morte avvenuta. Gli chiuse le palpebre degli occhi e si alzò in piedi.
- Questa è la punizione per gli uomini che sono genitori solo a metà - così facendo fece un passo indietro per andare a recuperare Gerhart.
I passi lenti e misurati si recarono nello studio dove il fratello si era rifugiato, nel momento in cui si fece avanti per convincerlo a tornare nel laboratorio per degli accertamenti, provò un dolore smisurato all’altezza della nuca. Qualcuno lo aveva colpito alla testa con una forza spropositata e Victor cadde sul pavimento privo di sensi.
Non ricordò nulla di quel momento, non riuscì a vedere chi era stato il suo aggressore, la memoria pareva offuscata al momento del risveglio. La testa gli girava vorticosamente e la prima cosa che vide furono gli occhi del servitore che con preoccupazione tentavano di destarlo con l’aiuto dei sali per farlo tornare in sé.
 - Mi hai preso per una verginella impaurita? - gli domandò Victor mentre si alzava a fatica, portando una mano dietro la nuca per constatare il fastidio che provava premendo in quel punto.
- Immagino che non siano stati i tuoni a farvi perdere i sensi, Dottor Frankenstein - rispose il servitore prima di lasciarlo del tutto, accertatosi che potesse muoversi a proprio piacimento.
- Dov’è mio fratello? -  domandò quasi retoricamente mentre si avvicinava alla scrivania, vi era qualcosa di diverso.
- Nessuno l’ha più visto, deve essere scappato - spiegò l’altro stringendosi nelle spalle.
Victor sospirò profondamente nel momento in cui andò a raccogliere un biglietto aperto sul volume di un libro e ne lesse il contenuto: Gli Oscuri padroni della notte ti ringraziano per i servigi che hai reso loro.
Aggrottò le sopracciglia e strinse il pezzo di carta tra le mani, non aveva assolutamente senso, lui non era mai stato al servizio di nessuno se non della Scienza stessa.
- O forse qualcosa di peggio. Lo hanno rapito - appoggiò una mano sugli occhi per cercare di riprendersi da quella situazione.
Chi era a conoscenza dei suoi esperimenti? Come avevano fatto a trovare quelle informazioni? E soprattutto come avevano eluso la sorveglianza della casa? Erano domande a cui avrebbe risposto in seguito, la cosa che più gli premeva era il fatto che ora Gerhart fosse nelle mani di qualcuno che non doveva avere buone intenzioni.




 
 

  I

Monster


 
 


 
Tracciare una rotta commerciale con il compasso era un passatempo piuttosto discutibile, soprattutto se era costretto a farlo sulla sua cartina preferita. Il tè era stato appena lasciato sul tavolo della sala da pranzo, solitamente era lì che Jefferson ed Alice lavoravano per portare avanti il progetto di Mr Kingsley, l’uomo che aveva fondato la Compagnia Commerciale che alla sua morte passò nelle mani di Lord Ascot, il quale non era affatto propenso a seguire la linea d’azione del suo predecessore. Alice desiderava percorrere le orme di suo padre, ma per una donna non era facile intraprendere una missione simile, per questo aveva chiesto a Jefferson di aiutarla a conseguire i propri scopi. Lui era stato per anni un collaboratore di suo padre ma in seguito ad una grande perdita economica sul commercio di cappelli, cadde in disgrazia e fu preso sotto la tutela di Mr Kingsley. Da allora prese a vivere in quella casa, fungendo da servitore e talvolta anche da amico di Alice e Margaret, le due figlie che il suo datore di lavoro aveva lasciato, chiedendogli di vegliare su entrambe.
Alice. Alice. Alice.
- Alice, mi stai ascoltando?
- Oh, hai ragione, il tè! Non l’ho ancora versato, così si raffredderà – rispose lei alzandosi in piedi per sollevare la teiera e versare il contenuto nelle due tazze bianche.
Jefferson inarcò un sopracciglio per poi sospirare, abbandonò il compasso sulla cartina e si appoggiò al tavolo.
- In realtà mi chiedevo se avessi seguito il discorso riguardo alla nuova rotta commerciale, ma vedo che sei presa da altro – disse stringendosi nelle spalle.
Alice tirò le labbra in una smorfia e poi si sedette sulla sedia, sprofondandovi con poca eleganza, portandosi dietro la tazza di tè appena riempita e sostenendola con una mano sola.
- Scusami, è che mi sto annoiando, vorrei che le cose fossero più semplici di così – trasse un lungo sospiro ed iniziò a soffiare verso il fumo di calore da cui immaginò di essere avvolta.
Jefferson fece schioccare la lingua e spostò  la gamba che aveva appoggiato sul tavolo, incrociò le braccia sul panciotto rosso e alzò le spalle.
- Ma non lo sono e ormai non possiamo tirarci indietro, tra qualche mese dovremo organizzare la partenza per la Cina e se torneremo senza aver concluso nulla, gli Ascot ci cacceranno via dalla Compagnia – le spiegò la situazione ancora un’altra volta, ma Alice conosceva bene quella storia e non vi era bisogno di ripeterla ancora.
-  Per fare spazio ad Hamish, il figlio di Lord Ascot che soffre di mal di stomaco più o meno tutti i giorni e a tutte le ore – sussurrò lei prima che una smorfia si creasse sulle labbra rosee.
Jefferson non mancò di ridacchiare ripensando alla festa organizzata per il fidanzamento che Alice mandò all’aria affermando di non volersi sposare con lui e il giovane fanciullo non l’aveva presa molto bene.
Il maggiordomo di casa Kingsley bussò alla porta due volte per avvertire la sua imminente entrata, cosa che avvenne subito dopo.
- Perdonate il disturbo Miss, è appena giunto un visitatore che ha espressamente richiesto di poter incontrare Mr Jefferson, vorrebbe esser lasciato solo con lui.
Alice scoccò un’occhiata al diretto interessato che sollevò le spalle, non attendeva alcuna visita ma la curiosità della giovane ragazza non poté che accrescere: un uomo misterioso ed in più non voleva che ci fossero altri testimoni. Di che cosa poteva trattarsi? Alice sorrise, si sarebbe posizionata dietro la porta per poter origliare la conversazione. Uscì dalla stanza in fretta per potersi preparare, nascondendosi per il momento dietro ad una delle colonne del corridoio.
In lontananza vide giungere un  uomo ricoperto da un soprabito completamente abbottonato, i lineamenti del volto erano duri e due occhi chiari sfavillavano come bracieri. Probabilmente non aveva dormito poiché le occhiaie erano evidenti e il pallore risaltava se messo a confronto con il collo del cappotto, nero come la notte.
Non appena il Dottor Frankenstein fu annunciato, Jefferson si voltò verso di lui, era decisamente una visita inattesa e non aveva idea del motivo per cui si fosse recato fin lì per potergli parlare. Di cosa aveva bisogno questa volta?
- Victor – disse Jefferson mentre si avvicinava, allargando le braccia come segno di accoglienza, si fermò davanti a lui e allungò la mano perché gliela stringesse – non dirmi che i ladri di cadaveri che ti ho mandato hanno combinato qualche guaio – sorrise in modo tirato.
Il Dottor Frankenstein ricambiò la stretta di mano con una certa forza, per lasciare la sensazione di una personalità forte e sicura che si era creata con il sangue e il sudore.
- No, anche se avrei preferito che fossero più esperti. Non sono qui per lamentarmi di loro – non appena fu invitato a sedersi all’angolo della sala, dove erano posizionate due comode poltrone, vi si diresse immantinente per accomodarsi.
L’espressione dipinta sul volto indicava una certa tensione, aveva molta fretta ma al tempo stesso voleva giocare quella carta con più calma possibile.
- Sono tutto orecchie allora – Jefferson finse un minimo di disponibilità e si diresse verso la credenza dove erano conservati gli alcolici – tokaj? – gli chiese mentre preparava due bicchieri di cristallo e faceva uscire la bottiglia prima ancora di ricevere una risposta.
Victor si inumidì le labbra ed annuì.
- Sì, qualcosa di forte mi farà schiarire le idee – accettò di buon grado e rimase in attesa, avvolgendo i braccioli della poltrona con entrambe le mani.
Jefferson, con tutta la calma del mondo, versò il tokaj nei bicchieri e li posò entrambi sul tavolino di legno, sedendosi sulla poltrona davanti all’ospite. Un po’ si dispiacque per aver perso l’ora del tè con Alice, era un’abitudine a cui non rinunciava mai.
- Ho bisogno del tuo aiuto, Jefferson.
- E questo era piuttosto chiaro, la preoccupazione e la paura trapelano dalla tua espressione – lo interruppe quasi senza volerlo.
Victor sospirò mandando giù il tokaj tutto d’un sorso e posò il bicchiere vuoto sul tavolino.
- Ricordi quando ti parlai del mio esperimento riguardo il riportare in vita i morti, giusto? Ebbene, ci sono riuscito.
- Ah, tanti auguri allora. Perché mai dovrebbe interessarmi? – di nuovo gli impedì di continuare, ma non aveva mai provato interesse per quel tipo di esperimenti.
La prima volta, quando l’aveva incontrato al Reform Club che Charles Kingsley era abituato a frequentare, Jefferson lo prese come un folle dalle idee malsane. Farneticava riguardo alla possibilità di poter ricreare la vita, andando contro le leggi naturali. Oh, quanto avevano discusso in quel pomeriggio di novembre! Jefferson non gliel’aveva fatta passare liscia, soprattutto perché molti dei giovani gentiluomini sembravano piuttosto presi da teoria del Dottor Frankenstein. Ovviamente poi tutto sfumò in allegre risate e nessuno cadde più sull’argomento, nonostante Jefferson e Victor avessero continuato a incontrarsi al Club con i rispettivi aggiornamenti.
- In teoria potrebbe anche non interessarti, ma non so a chi altro rivolgermi. Ho riportato in vita mio fratello, ma non è più lui. Si comporta come se fosse un animale, dà ragione all’istinto ed è molto pericoloso. Pochi giorni fa qualcuno è riuscito ad entrare in casa e lo ha rapito, lasciandomi un biglietto a dir poco divertente – disse Victor andando a sollevare il bicchiere di tokaj ma si accorse che era terminato, Jefferson si alzò per andare a prendere la bottiglia e per versarne ancora all’ospite.
- Hanno rapito il morto? – si ostinò a non volerne sapere di defunti che tornano in vita.
- E’. Vivo. – puntualizzò Victor che iniziava a perdere la pazienza – tu conosci Londra meglio di chiunque altro, hai studiato a memoria la cartina dell’intera città e non vi è luogo che possa sfuggirti. Devi aiutarmi a ritrovarlo, potrebbe diventare molto pericoloso, soprattutto perché qualcuno desidera sfruttare la sua… mostruosità – terminò di dire, andando alla ricerca del biglietto all’interno della tasca del soprabito che non aveva desiderato togliere.
Jefferson sogghignò ampiamente nascondendo poi l’espressione soddisfatta dietro il bicchiere di tokaj che riuscì a finire in fretta, per versarsene un altro.
- Allora ammetti anche tu il lato mostruoso delle tue idee.
- No, certamente no. Devo solo affinare la tecnica per migliorare il risultato – rimanere calmo per Victor era una vera prova per se stesso, dopo tutto ciò che era accaduto in quei giorni non poteva permettersi di adirarsi perché doveva rimanere lucido per riflettere.
- Parlami di questo qualcuno che vuole approfittare del tuo fratello defunto per terrorizzare la città – lo incitò Jefferson, cominciando a prendere seriamente quell’argomento.
Victor gli porse il biglietto che finalmente aveva trovato per dare una risposta a quell’enigma che non riusciva a sciogliere.
Gli Oscuri Padroni della Notte ti ringraziano per i servigi che hai reso loro.
Jefferson passò una mano sulla fronte, cercando di comprendere che cosa volesse significare quel messaggio. Si fece raccontare tutto per filo e per segno, dunque Victor era stato attaccato di modo che uno di questi fanatici potesse rapire il mostro. Ma perché? A quali servigi facevano riferimento? E chi erano questi padroni della notte? Molte domande si affollarono nella testa di Jefferson ma non riusciva a tirarsi fuori da quell’ingarbugliamento, dunque si limitò a sospirar e a posare il biglietto sul tavolo.
- Un bel problema, buona fortuna Victor.
- Dunque non vuoi aiutarmi nella mia ricerca? – fu subito la prima domanda del Dottor Frankenstein che si oscurò in viso.
- E’ troppo pericoloso, non ho idea se questi Padroni della notte, come si fanno chiamare, siano dei fanatici o facciano sul serio, in entrambi casi non posso permettermi di essere coinvolto. Ho una responsabilità molto grande e devo proteggere Miss Kingsley a discapito di tutto il resto – confessò, nonostante mancasse di dire che in realtà non voleva immischiarsi minimamente in qualcosa di oscuro e senza senso.
Fu in quel momento che la porta della sala si spalancò, lasciando entrare Alice che aveva origliato tutta la loro conversazione e si era stancata di rimanere fuori in una posizione scomoda, con l’orecchio adagiato alla serratura per captare ogni minimo sussurro. Teneva le mani ai fianchi e aveva un andamento sbarazzino, disinvolto, ma non privo di eleganza. Victor si alzò per potersi inchinare davanti a lei, Jefferson si mise semplicemente in piedi, allargando le braccia verso l’esterno compiendo un gesto di diniego, ma non poteva far nulla in proposito, non era il padrone di casa.
- Miss Alice Kinglsey, posso presentarvi il Dottor Victor Frankenstein? – si improvvisò come mastro cerimoniere.
Victor avanzò verso di lei per poter compiere un impeccabile baciamano.
- E’ un vero piacere, Miss. Vostro padre mi ha spesso parlato di voi e finalmente ho l’occasione di constatare che le sue parole non fossero dettate solo dall’affetto di un genitore: siete incantevole – disse dopo averle lasciato la mano con delicatezza.
Jefferson roteò gli occhi al cielo, Victor non teneva mai un comportamento simile con nessuna donna, visto che non prendeva mai parte agli incontri in società.
- Eravate un amico di mio padre? – per un attimo Alice dimenticò il motivo della sua irruzione così improvvisa.
Victor annuì ed aggiunse:  - Ci siamo incontrati svariate volte al Club che frequentavamo, spesso parlava di voi .
Alice provò un moto di leggerezza e di serenità nel sapere una cosa simile: era sempre stata affezionata a suo padre e dopo la morte di lui si era chiusa nel suo angolo di fantasia per poter dimenticare una perdita così importante. Se non fosse stato per l’aiuto di Jefferson, non sarebbe riuscita a tornare alla luce.
- Tutto questo è molto toccante, ma il Dottor Frankenstein ora deve far ritorno a casa, ha un impegno molto importante da portare a termine – si intromise Jefferson, di modo che i due terminassero quella conversazione basata sulla convenienza e la formalità.
Alice gli scoccò uno sguardo infastidito e sempre tenendo le mani ai fianchi scosse vigorosamente la testa, poi si chinò per poter raccogliere il biglietto che era stato lasciato sul tavolo.
- Oh, in realtà vorrei che il Dottore si fermasse a cena, ho intenzione di parlare di affari – dunque indicò ad entrambi si sedersi nuovamente sulla poltrona.
Victor inarcò un sopracciglio, non era certo di voler discutere con quella giovane ragazza di una cosa che lo riguardava così da vicino. Jefferson al contempo cercò di strappare dalle mani di lei il biglietto enigmatico, ma Alice si scostò per sollevarlo in aria.
- Proprio così, voglio aiutarvi Dottor Frankenstein. Ho ascoltato la vostra conversazione e per quanto sia disdicevole origliare, non ho saputo resistere. Questo è un caso che va assolutamente risolto, i cittadini di Londra potrebbero trovarsi in pericolo, soprattutto se qualcuno vuole usare il mostro per fini immorali – spiegò che cosa intendesse con il suo ‘parlare d’affari’.
Jefferson scoppiò a ridere divertito da quella presa di posizione e appoggiò specularmente a lei le mani sui fianchi.
- Assolutamente no! Il Dottore  può andare a Scotland Yard, lì ci sono molti investigatori che saranno disposti ad aiutarlo per ritrovare suo fratello ed evitare l’impensabile – disse con tono perentorio.
Alice batté un piede a terra per reclamare il desiderio di tornare al centro dell’attenzione, quindi sciolse quella posa che lui aveva imitato e riprese ad osservare Victor, il quale si trovò improvvisamente tra due fuochi, infatti decise di rimanere in silenzio in attesa che l’atmosfera si raffreddasse.
- Ovviamente non può, Jefferson. Se Scotland Yard dovesse scoprire gli esperimenti del Dottore sui defunti potrebbe finire nei guai ed anche tu, visto che gli hai fornito ladri di cadaveri – Alice incrociò le braccia al petto usando un tono di rimprovero.
- Noto con piacere che abbiate compreso la situazione, Miss Alice – il sorriso si tirò sulle labbra di Victor, avere lei dalla sua parte voleva dire anche trascinarsi dietro Jefferson, di cui aveva assolutamente bisogno.
Lei si limitò a compiere un inchino appena accennato, per segnalare la sua estrema disponibilità, dunque senza nemmeno ricevere conferma dell’invito a cena andò a chiamare uno dei servitori per poter comunicare la presenza dell’ospite per quella sera. Jefferson non era affatto contento di ritrovarsi in quella situazione, quando Alice prendeva una decisione non vi era nulla che avrebbe potuto tirarla indietro. Dunque sarebbe stato costretto a seguire ogni suo passo e ogni sua parola per accertarsi che non finisse nei guai, come era solita fare.
- In ogni caso la calligrafia appartiene ad una donna – comunicò loro Alice sventolando il biglietto davanti ai loro volti – dunque immagino che la persona che vi abbia colpito in casa vostra fosse di sesso femminile, forse conosceva già il modo in cui entrare eludendo la servitù.
Nel momento in cui Alice si voltò dall’altra parte per potersi recare al tavolo ed iniziare ad arrotolare le carte topografiche della città per metterle da parte, Jefferson sprofondò sulla poltrona desiderando di poter dormire ore ed ore, per evitare quello strazio.
- Cosa suggerite di fare allora, Miss? Da dove iniziamo le nostre ricerche? – domandò Victor avvicinandosi anche lui al tavolo, appoggiando le mani sul bordo ligneo.
Comprendeva perfettamente che quella situazione potesse mettere tutti in pericolo, ma non era legato in alcun modo alla famiglia Kingsley e difficilmente si affezionava a qualcuno, tanto da provare un istinto protettivo.
- E’ ovvio Dottor Frankenstein, cominceremo dalla cronaca nera riportata sui giornali. Ormai sono trascorsi diversi giorni dal rapimento di vostro fratello ed è piuttosto ovvio che vogliano utilizzarlo in qualche losca maniera – spiegò il suo piano, aveva davvero pensato a tutto mentre origliava alla porta?
Il servitore entrò per portare con sé il giornale che era stato richiesto, The Illustrated London News, che consegnò ad Alice di modo che potessero dare inizio allo studio di quell’enigma.





 
**



 
 
- Stai ancora lavorando a questo caso? – una voce femminile si insinuò nelle orecchie di Graham che era intento a leggere alcune deposizioni.
Era seduto davanti alla scrivania e teneva una mano sulla fronte, lo aiutava a riflettere meglio e soprattutto mantenere una posizione curvata gli garantiva maggiore concentrazione.
- Non è un vero e proprio caso, ma vorrei porre fine a questo scempio. Guarda qui, William Burke e William Hare hanno confessato di lavorare per un uomo piuttosto rinomato in società, pare che faccia degli esperimenti su dei cadaveri, ma non hanno idea di quali. Gli procurano dei corpi ancora freschi e non imputriditi, sono piuttosto conosciuti visto che hanno un bel mercato alle spalle – finse di ridere con divertimento mentre batteva le nocche sulla pagina.
- Quindi conosci  anche il nome di questo sperimentatore? – la voce femminile prese un volto poiché andò a sedersi sulla sedia di fronte alla scrivania, mostrandosi in un abito stretto in vita e dalla gonna gonfia color mirtillo.
- No, i due sono riusciti a fuggire prima che potessi scoprirlo – si inumidì le labbra passando una mano dietro la testa per scombinare i capelli, di modo che potesse riflettere meglio.
Emma, la donna che si trovava di fronte a lui, alzò gli occhi al cielo e scosse la testa.
- Possibile che tu debba trovarti sempre ad un passo dalla soluzione e poi te la lasci sfuggire in modo così sciocco? – domandò retoricamente.
Graham sollevò gli occhi in quelli verdi di lei, mordendosi l’interno della guancia. Non aveva tutti i torti, era il migliore investigatore di Scotland Yard e risolvere casi difficili era la sua specialità. Ma non sempre riusciva a mirare l’obiettivo e a colpire al tempo stesso, soprattutto da quando il suo collega si era sposato e aveva lasciato il posto vacante. Non poté rispondere a quella provocazione poiché entrò uno dei collaboratori, affacciandosi sulla soglia.
- Holmes, abbiamo appena ricevuto un’informazione secondo cui una donna è stata trovata morta a Fleet Street, proprio fuori dalla locanda ‘Rabbit Hole’. Il caso è stato assegnato a te e ad Adler, cercate di capire di che si tratta, sembra che sia stato intravisto un individuo piuttosto particolare aggirarsi per quella strada - comunicato ciò si ritirò immediatamente.
Emma sollevò gli occhi al cielo e si alzò in piedi.
- Quante volte ho detto che non voglio essere chiamata in quel modo? Il mio nome è Swan – disse con una punta di fastidio che fece sorridere Graham.
- In realtà è solo un nomignolo che ti sei data, Adler – ora toccò a lei non poter rispondere perché lui si alzò dalla sedia per recuperare il soprabito e recarsi nel luogo dell’avvenuto omicidio.
Usciti da Scotland Yard si resero conto dell’ora tarda, la luna brillava alta nel cielo e non vi era possibilità di osservare le stelle, le luci delle lanterne erano forti e illuminavano la città che ancora non era andata a dormire. Presero una carrozza per raggiungere Fleet Street, entrambi conoscevano molto bene quella zona visto che si erano susseguiti diversi omicidi a discapito di molti viaggiatori, ignari di attraversare un luogo che avrebbero fatto meglio ad evitare.
Raggiunsero il luogo dell’omicidio con qualche difficoltà, furono costretti a percorrere a piedi diversi vicoli bui dove le luci non vi arrivavano e la povertà era visibile ad ogni angolo. Odori nauseabondi si insinuarono nelle loro narici, alcuni mendicanti zoppicavano in cerca di elemosina prima di cercare un luogo dove poter dormire. Ma l’ora era propizia più alle prostitute che uscivano dalle case di piacere per attirare i clienti conosciuti che si recavano fin lì dal centro stesso della città.
Non appena giunsero alla locanda si resero conto che alcuni collaboratori erano già pronti a studiare l’avvenuto omicidio. Graham si fece largo tra la piccola folla che si era ricreata intorno, nonostante non fosse una vicenda del tutto nuova, non era raro che prostitute o cameriere fossero uccise in zone come quelle. In quel caso però la vittima era vestita con cura, il buongusto lasciava a desiderare ma non doveva trattarsi di una lavoratrice notturna di Fleet Street. L’acconciatura si era sciolta e i capelli biondo ramati ricadevano sparsi sulle spalle, gli occhi verdi erano spalancati dal terrore, si poteva leggere nella sua espressione i suoi ultimi istanti di vita. Un rivolo di sangue correva lungo le labbra per raggiungere il mento e scivolare sul collo dove si evidenziavano i segni di uno strangolamento.  Graham si inginocchiò per poter analizzare l’occlusione delle vie aree, cosa che risaltava all’occhio visto che il collo sembrava spezzato.
- Chi ha ucciso questa donna deve aver usato una forza mostruosa, mi chiedo se sia una vittima casuale o se volesse far fuori proprio  lei – si avvicinò Emma dopo aver fatto sparpagliare la folla ma fece rimanere il locandiere che teneva una mano sulle labbra, sconvolto per quell’accadimento.
- Pare che nessuno abbia sentito urla di alcun genere, dunque l’attacco subito doveva esser stato tenace e la vittima aveva ricevuto un’improvvisata che non si sarebbe mai aspettata – riferì il locandiere che si era deciso a parlare.
- Dubito che sia casuale, ha ancora un anello di fidanzamento al dito, dunque non si è trattato di un omicidio per furto. Sappiamo di chi si tratta? Era a conoscenza di qualcosa che poteva creare problemi ad una persona in particolare? – Graham si rivolse al locandiere, il quale teneva un panno unto avvolto tra le mani e il pallore del volto era ben evidente.
- Questa giovane donna è Annie Miller, lavorava qui un tempo, prima di cadere tra le braccia di quegli scansafatiche.
- A chi vi riferite? – domandò Emma portando le mani ai fianchi, facendosi più interessata.
- La Confraternita dei Preraffaelliti, un gruppo di pittori che  frequenta spesso la mia locanda e si ubriacano fino a notte fonda cercando di trovare buone idee per sopravvivere. Una sera William Hunt ha deciso di prendere Annie come modella, pagandola il doppio di quanto potessi darle io e lei ovviamente non si è fatta sfuggire l’occasione – sputò a terra con una certa rabbia.
- Cosa potete dirci del rapporto che vi era tra Hunt e Miss Miller? – questa volta toccò a Graham chiedere informazioni più specifiche.
- Oh, sappiamo tutti che cosa accade nello studio di un pittore, tra lui e la sua modella preferita. Non conosco la vicenda per intero ma so che Annie si era stancata di lui e della sua indecisione, voleva cambiarla e renderla una donna colta, una vera idiozia! Alla fine Annie se ne è andata ed è riuscita ad accalappiarsi un altro uomo, da quel che so Mr Hunt non l’ha presa affatto bene – cercò di spiegare il locandiere.
Emma inarcò un sopracciglio, dunque poteva trattarsi di un omicidio avvenuto per gelosia e possessività, non aveva mai sentito parlare prima di questo pittore ma avrebbe avuto l’occasione di conoscerlo di persona.
Graham non era del tutto convinto che avessero trovato la soluzione, quei segni sul collo di lei indicavano una forza sproposita e voleva indagare di più.
- Non possiamo fare altro che recarci da questo Mr Hunt e riempirlo di domande – disse Emma stringendosi nelle spalle.
- Povera Annie, non si meritava una fine simile.











Note: 

° Per Alice ho preso spunto dal personaggio di Alice Kingsley (Tim Burton), ho iniziato a scrivere la storia prima di Ouat in Wonderland ma spero in futuro di far tornare il personaggio più in linea con quello della serie. 
° Il Reform Club è ripreso da 'Il giro del mondo in 80 giorni' di Jules Verne. 
° Fleet Street è un riferimento a Sweeney Todd. 
° Emma è una ladra, Irene Adler anche, potrebbe funzionare? Spero di sì.
° Annie Miller è la modella che lavorò con la Confraternita dei Preraffaelliti, ovviamente non è morta in queste circostanze.







// NdA:

Salve fandom! ^^
Eccomi qui a proporre una AU in cui potrete vedere interagire alcuni personaggi di Ouat in un'ambientazione decisamente particolare, quale quella della Londra vittoriana. Come ho detto nell'introduzione saranno inserite personaggi quali: Dracula, Dr Jekyll e Mr Hyde, Dorian Gray principalmente. La data è  molto generica, quindi non c'è accuratezza precisa con il periodo storico. 
Questo primo capitolo è più una sorta di introduzione, il prossimo verrà pubblicato agli inizi di dicembre. Se volete seguire gli aggiornamenti, conoscere i volti dei nuovi personaggi, potete iscrivervi al gruppo sulle mie storie ----> https://www.facebook.com/groups/507038592717142/
Alla prossima!  
   
 
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