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Autore: Madama Pigna    19/11/2013    3 recensioni
MISSING MOMENT della serie 'Il ritorno dei Tre'.
Non era un maremoto, anche se sembrava quasi un’esplosione.
Non era un messaggio lanciato a leghe di distanza da qualche balena.
E nemmeno quel fastidiosissimo rumore di superficie che udiva negli ultimi duecento anni.
 
Era.. qualcosa che aveva fatto tremare il suo intero essere. Era energia.
Era magia.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Thor
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Il ritorno dei Tre'
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Dal momento che domani ci sarà la prima serata cinema di Thor 2 (almeno per chi non ha avuto la fortuna sfacciata di vedere la primissima.. ma lasciamo perdere) e forse molte di voi saranno al cinema, e io oltre a quello avrò vari impegni e non so neanche se questa maledetta connessione mi funzionerà decentemente, ho deciso di pubblicare questo one-shot, missing moment della serie 'Il ritorno dei Tre' oggi, in sostituzione all'undicesimo capitolo della long. Vi farò attendere fino alla prossima settimana per quello, mi spiace. 
Molto aangst, specie all'inizio, siete avvisati.













Da tempo, ormai, si era rassegnato all’idea di dover passare il resto della sua vita nelle profondità del mare.
Chiuso in quella che non era mai diventata la sua casa; perché era la sua prigione, e per quanto l’oceano fosse vasto ed eterogeneo, per quanto potesse viaggiare in lungo e in largo per le acque, una prigione rimaneva. Non avrebbe mai più assaporato il tanto desiderato calore del sole sulla pelle, non avrebbe mai più guardato i prati verdi nell’iride di sua sorella Hela, o di suo padre Loki, né i cieli azzurri di suo fratello Fenrir, e nemmeno il fuoco ardente di Angroba. Era solo, e lo sarebbe sempre stato.
 
Crescendo, non aveva più avuto troppa paura delle altre creature marine, essendo ormai molto più grande di loro, ma al di fuori della caccia cercava sempre di evitarle, memore di tutte le volte in cui, ancora piccolo, aveva rischiato più volte di essere divorato.
L’unico lato positivo delle buie distese marine, dove era esiliato, era la mancanza quasi totale di predatori tali da metterlo seriamente in pericolo, almeno da adulto.
 
Ma quella solitudine lo faceva impazzire. A volte credeva di aver dimenticato come si parlasse, e temeva che a forza di pensare senza interagire con qualcuno sarebbe diventato veramente pazzo. Era solo un bambino, quando era stato mandato lì, e aveva dovuto sviluppare una sua psiche, un suo modo di pensare, una sua indipendenza,da solo, senza nessuno che lo consigliasse, che lo amasse, che lo tirasse su di morale. Sarebbe andata bene persino una presenza indifferente o addirittura violenta, purché esistesse.
 
Era sempre stato una persona insicura, e adesso le sue angosce erano aumentate in modo terribile.
 
Aveva paura del buio, e l’ambiente che lo circondava non era di nessun aiuto.
Aveva paura di Thor, che lo aveva gettato in mare senza alcun rimorso o ripensamento.
Aveva paura dell’odio, del disgusto che aveva visto nei suoi occhi, il giorno in cui lui e i suoi fratelli erano stati separati.
Aveva paura delle cose più grandi di lui, e quindi anche del mare. Dei ‘pesci luminosi’ che percorrevano i meandri più oscuri di quell’immensità, sebbene in realtà fossero piuttosto piccoli.
Aveva paura di impazzire, lì dentro, sempre se non era già accaduto.
Aveva paura della sensazione di soffocamento. Poteva respirare grazie alle branchie, ma sentiva sempre più spesso la mancanza dell’aria fresca e pulita della Jarnvidr. Con il passare dei secoli (specialmente negli ultimi due o tre), invece, le acque marine si erano fatte sempre più..sporche. Non sapeva il perché o il per come, ma era così. E lo capiva dalla sua respirazione, la sua e quella dei pochi pesci intorno a lui.
Aveva, anche, paura delle sue tossine. Sapeva perfettamente di possedere un veleno potentissimo, e del resto pure l’unico antidoto, e fin da piccolo ne era terrorizzato. Non usava mai questa sua capacità, se non in casi davvero disperati, o quando perdeva del tutto il suo autocontrollo.
 
A causa di tutte queste ragioni, di questi timori, fino a non molto tempo prima Jormungandr Lokison viveva in un perenne stato di terrore, che non lo lasciava mai, e lo avvolgeva come un freddo, soffocante lenzuolo. Durante i giorni della muta, poi, era, se possibile, anche peggio, perché viveva un momento in cui chiunque avrebbe potuto aggredirlo.
 
 
 
Aveva quasi dimenticato cosa fosse un altro sentimento al di fuori della paura. Arrivati a quel punto, contava solo la sopravvivenza, perché i ricordi dell’infanzia felice si erano allontanati mille miglia e la speranza con loro. Viveva alla giornata, basandosi solo sull’istinto.
 
 
Nonostante tutto, una volta l’anno, durante le sue migrazioni c’era sempre un posto in cui voleva tornare.
 
Come qualsiasi altro animale, era in grado di percepire lo scorrere del tempo con il cambio delle stagioni, e nel periodo più caldo dell’anno, quando il gelo del Mare del Nord era un po’ più sopportabile, c’era un punto, vicino a quel territorio a lui noto come Scandinavia, in cui si fermava, qualche minuto o qualche ora non aveva importanza, e alzava lo sguardo verso la superfice.
 
Dalle profondità in cui si trovava, anche le acque sopra di lui erano nere, e qualcun altro non avrebbe visto niente lì intorno. Ma il Serpente di Midgard conosceva bene quelle ombre, e sapeva che, sopra la distesa marina, lassù, in cielo, c’era il punto in cui, tanti secoli prima, un portale dimensionale si era aperto su quel mondo, lasciandolo cadere in acqua. Quando Thor Odinson lo prese per il serpentesco collo e lo scagliò via, lontano dalla sua famiglia.
 


Probabilmente avrebbe dovuto odiarlo, per ciò che gli aveva fatto.
Ma non aveva mai conosciuto l’odio, prima di allora. Nessuno gli aveva insegnato cos’era.
E provava troppo terrore nei confronti del Tonante, anche solo per detestarlo.
 

Quello, in ogni caso, era il giorno in cui smetteva di essere solo un serpente marino troppo grosso, e ricominciava ad essere Jormungandr, figlio di Loki e fratello di Hela e Fenrir.
 
Il giorno della malinconia, della tristezza e della disperazione, forse, ma dove ricominciava a riprendere i ricordi della sua vita precedente, lasciando scivolare via un pochino della sua paura. Il giorno in cui affrontava i suoi timori, cercando di sconfiggere la sua maledizione.
 
 


Alzò lo sguardo, ingoiando il groppo che aveva in gola. Un tentativo solo. Uno soltanto. Poi avrebbe ricominciato la sua vita di sempre, almeno fino all’anno prossimo.

Mosse le sue spire affinché potesse salire verso la superfice. Con il passare dei minuti, il nero perenne sbiadì leggermente, senza, però, svanire. Finché, ad un certo punto, incontrò resistenza. L’acqua si fece velocemente più densa intorno a lui, al punto che gli parve di nuotare nella melassa che preparava Angroba quando era piccolo. Si fece immediatamente più teso, ma non cedette. Lottò contro l’incantesimo che gli impediva di risalire verso il cielo. Forse quella volta.. quella volta sarebbe stato diverso.. Se lo ripeteva sempre, e sapeva benissimo che era inutile; ma provare, almeno una volta tanto, lasciare che si accendesse una piccola luce di speranza, era l’unico modo che aveva per non smarrire se stesso.
 

Doveva farcela. Per Fenrir. Per Hela. Per suo padre.
Ma era così difficile..
 
Era impossibile, ecco cos’era.
 



Se fosse stato in forma umana, sarebbe scoppiato a piangere.
O forse no, visto che non aveva più un’idea precisa su come si dovesse fare.
In ogni caso, fece dietro front, scendendo verso il fondo molto più facilmente di quanto fosse risalito.
 


Poi accadde una cosa strana.
All’improvviso, un’inaspettata quanto insolitamente potente vibrazione attraversò l’acqua, diversa da tutte le altre che Jormungandr aveva mai sentito.
 
 
Non era un maremoto, anche se sembrava quasi un’esplosione.
Non era un messaggio lanciato a leghe di distanza da qualche balena.
E nemmeno quel fastidiosissimo rumore di superficie che udiva negli ultimi duecento anni.
 
Era.. qualcosa che aveva fatto tremare il suo intero essere. Era energia.
Era magia.
 
Per un momento ebbe ancora paura. Ma poi, la netta sensazione (sicuramente merito del sangue di suo padre) che qualcosa si fosse spezzato, definitivamente, gli fece venire una strana agitazione. D’istinto, volse il voluminoso capo verso l’alto, non trovando più la solita resistenza di quando risaliva. Sbarrò gli occhi, sorpreso.
Che.. che fosse..?
Finita?
 
Poteva risalire?
 
No. Per quell’anno, non poteva provarci ancora. Il suo animo non avrebbe retto un secondo fallimento in così poco tempo.
 
Eppure.. Quella sensazione.. Come se dovesse risalire.. Quella certezza quasi assoluta che stavolta ci sarebbe riuscito.. Non voleva abbandonarlo.
 
Decise di ascendere, lentamente, ma lo fece.
L’acqua salata non faceva più troppa resistenza. Era come farsi strada tra le macerie di un possente muro. Gli ostacoli c’erano, ma nessuno di essi rendeva impossibile attraversarlo.
Sempre più velocemente, risalì le centinaia di metri che lo separavano dall’aria.
 
Cento metri.
Era ancora buio.
 
Duecento metri.
Il nero sfumò gradualmente ad un blu scuro, come una notte senza luna.
 
Trecento metri.
L’acqua divenne un pochino meno gelida, dando a Jormungandr un po’ più di speranza.
 
Quattrocento metri.
Nella sua mente riecheggiavano le risate di Fenrir, le prese in giro di Hela.
 
Cinquecento metri.
Gli sembrava quasi di vedere i riflessi dei raggi solari, ma forse era solo una sua impressione, era ancora troppo in fondo.
 
Seicento metri.
La resistenza svanì del tutto, e Jormungandr si sforzò ancora di più per raggiungere la meta il prima possibile.
 
Settecento metri.
Poteva farcela!
 
Ottocento metri.
L’acqua si fece più calda. D’un tratto le sue spire non gli sembravano più troppo intorpidite.
 
Novecento metri.
C’era sempre più luce! C’era sempre più luce! Ormai la vedeva chiaramente. Era ben poca, in realtà, ma per un serpente che aveva passato quasi tutta la vita al buio, era tanta.
Tanta, bellissima luce.
 
Mille metri.
Era quasi sul pelo dell’acqua. Ormai ne era certo: ce l’aveva fatta.
 
 
Stava quasi per rompere la tensione superficiale. La sua testa stava per riemergere, dopo tanti secoli, dal mare.Ma poi accadde qualcosa. Qualcosa di terribile.
 
All’improvviso, il livello dell’acqua sopra di lui si alzò. Non era lui che stava scendendo, ma il mare che si stava sollevando. Come se l’ultimo strato della sua prigione non si fosse ancora infranto.
 
Nuovamente, il panico lo assalì. No, non poteva essere.. Non adesso che era quasi arrivato..
 
Urlò, e il suo urlo somigliava a qualcosa a metà tra il verso di una balena e il sibilo di un serpente, che dopotutto era quello che era.
Prese a testate la superfice, ma era come una pellicola elasticissima. Poteva emergere quanto gli pareva, ma l’acqua lo avvolgeva ugualmente come un bozzolo. Non riusciva a rompere quell’ultima barriera.
 
La paura e la disperazione presero il sopravvento. Non era più in grado di ragionare lucidamente. Gli mancava il respiro, aveva le vertigini, la nausea, gli faceva male il petto e non coordinava più i suoi movimenti. Il panico ormai lo avvolgeva, come soffocandolo.
 
Com’era possibile?! Perché doveva fallire proprio in quel momento? Perché? Che cosa aveva fatto di male in tutta la sua vita per meritarlo?! Che cosa?!
All’improvviso gli sembrò di sentire la voce di Thor Odinson, mentre lo lanciava nel profondo degli abissi. Crepa, schifoso mostro mezzosangue!
Il solo pensiero lo gettò ancora di più nel panico, e sentì, come una corda alla gola, la paura di morire, o peggio, di rimanere per sempre lì.
 
Poi, proprio un attimo prima che la sua mente superasse il punto di non ritorno, l’acqua ritornò alla sua normale propensione fisica, scivolando verso il basso e lungo la sua pelle, come doveva essere.
 
Sentì i polmoni rinascere, dopo più di mille anni, gonfiandosi dell’aria fresca e pulita dell’alba. Dovette chiudere gli occhi, pur di non rimanere accecato.
Un sibilo forte e acuto riempì il cielo, e il Serpente di Midgard ricadde in acqua, stavolta in assidua ricerca della terra ferma.
 
 
 
 
Si trasformò a pochissima distanza da una spiaggia arenosa. Con le ultime forze che gli rimanevano, uscì dall’acqua, trascinandosi con le mani, non ricordando più come ci si dovesse muovere in un corpo umano. Provò ad alzarsi, un paio di volte, ma in entrambe cadde, finendo per fermarsi sul bagnasciuga a pancia in giù, stringendo la sabbia come per accertarsi che fosse vera. I granellini si attaccavano al suo corpo, nudo e bagnato, come se fosse cosparso di colla, ma non gli importava. I capelli, sciolti, gli erano cresciuti a dismisura dall’ultima volta, tanto da raggiungere quasi i piedi.

Si guardò le mani, sottili e pallide come quelle di un cadavere. Era sempre stato chiaro di carnagione, ma la mancanza di luce, in tutti quegli anni, aveva tolto quasi del tutto il colore della sua pelle, che adesso era come malaticcia. Anche i capelli avevano perso la loro tonalità aurea, e ora erano di un biondo platino leggermente grigio.

Non si riconosceva più, in quel corpo, ben più sviluppato dall’ultima volta. Più alto, più sottile. Molto più forte, sicuramente, ma sempre e comunque estraneo.
 
 
Si mise a piangere, dopo secoli e secoli che non lo faceva. Non sapeva se per la felicità di essere uscito dall’oceano, o per l’orrore che aveva dovuto subire. In quel momento provava troppe emozioni per capire davvero come si sentiva. Confuso, probabilmente.
Si voltò a pancia in su, portandosi una mano sulla fronte per asciugarsi le lacrime. Il cielo era ancora grigio, ma un piccolo spicchio di sole si stava facendo strada tra le nuvole.
 
 
 
Un fulmine squarciò il cielo, e un rombo di tuono scosse l’aria, facendo sobbalzare Jormungandr per lo spavento. Lo avevano scoperto?!
Volse il capo a destra e a sinistra, cercando tracce del Tonante. Ma non ne vide.
Solo una strana sensazione, come un formicolio dentro la testa.. C’era qualcuno, ma non sapeva chi..
 
- Tanta paura per una saetta, Jor? Sei messo peggio di quanto pensassi.. -.
- L’anzianità si fa sentire, fratelli miei! -, continuò un’altra voce.
- Ma smettila, che sei la più vecchia tra noi tre! -.
 
Il serpente si voltò, per capire chi avesse parlato. Ma non c’erano molte persone a chiamarlo così.
A pochi metri da lui, un giovane uomo lo guardava a braccia aperte, con un sorriso scherzoso stampato in viso. Aveva una chioma ribelle di capelli neri e degli occhi azzurri che ben conosceva. E poi c’era una donna, con occhi verdi come l’erba della Jarnvidr e un viso molto bello. Il tempo aveva cambiato i tratti, come anche i corpi, ma erano loro, senza ombra di dubbio. Ancora troppo stupito per parlare, vide i due giovani semidei avvicinarsi, e Fenrir gli porse la mano per aiutarlo ad alzarsi. Jormungandr l’afferrò, sollevandosi, perse l’equilibrio un paio di volte ma suo fratello lo anticipò sempre, sorreggendolo.
 
- Cre-credevo.. -, provò il biondo, sentendo la propria voce roca e spezzata, dopo anni di mutismo. – Credevo che.. che non vi avrei visti mai più -, riuscì a dire, con le lacrime agli occhi.
 
Il serpente abbracciò i fratelli stretto stretto, singhiozzando, intenzionato a non lasciarli mai più. Fenrir e Hela ricambiarono la stretta, immaginando bene quanto quell’esperienza fosse stata traumatica per il loro gemello.
Ci sarebbe stato tempo, per tutto il resto, e per spiegargli perché era stato fatto loro tanto male.
Ma quello che contava, in quel momento, era essere di nuovo insieme.
 
- Anche noi, Jor. Anche noi -, rispose Hela.
  
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