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Autore: ScleratissimaGiu    21/11/2013    5 recensioni
Jenna era depressa, ha tentato di uccidersi e ha ferito suo fratello, è andata in riabilitazione ed è guarita. Adesso, lei e i suoi due fratelli, Anthony e Layla, hanno deciso di passare un po' di tempo in uno chalet isolato, ma Jenna sente che qualcosa la sta osservando nel bosco...
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nel bosco non c’era niente di buono.
Jenna lo sapeva.
Aveva avvertito quella fastidiosa sensazione di essere osservata dal momento in cui era scesa dal pick up malandato di sua sorella: c’era un paio d’occhi, nascosti tra i cespugli o tra gli alberi, che le stavano trafiggendo la schiena.
- Jenna. 
Lyala era in piedi dietro di lei, un vago sguardo interrogativo dipinto sul volto.
- Sto bene, - le rispose la sorella.
Layla non si mosse.
Jenna si avvicinò e le prese la mano.
- Davvero, Lay. Davvero davvero.
L’altra annuì.
- Andiamo.
Ritornarono alla macchina.
Tony stava scaricando i bagagli con lentezza sorprendente, ma non potevano certo fargliene una colpa: era il gesso che lo rallentava.
Jenna si sentiva in colpa ogni volta che lo vedeva, il bianco delle bende ospedaliere sporcato dai colori dei pennarelli con cui i suoi amici l’avevano disegnato.
Per loro, Tony era solo caduto dalle scale con qualche piatto in mano, era sempre così distratto…
Il fatto che la sua sorellina minore gli avesse conficcato un coltello nella gamba non c’entrava nulla, ovviamente.
- Non mi fa schifo, se mi date una mano - si lamentò sbuffando il ragazzo.
Layla gli prese le valigie dalle mani e le portò in casa.
Tony sorrise a Jenna, che era incapace di ricambiare.
- Vedrai che l’aria di montagna ti farà bene, Jen - le disse incoraggiante - lo chalet dentro è bellissimo.
La ragazza annuì.
- Cioè, l’arredamento è molto semplice - rettificò lui - però non è male. Staremo piuttosto bene, credo.
Un altro cenno del capo.
Anthony voleva dirle che l’aveva già perdonata, che quel gesso se ne sarebbe andato presto, che lei stava male, quando era successo.
Le parole, benché fossero splendide e dalle buone intenzioni, gli morirono in gola; dunque si girò e tornò in casa.
Il vento si districava tra i rami e le foglie cadute sul terreno, provocando un vago brivido lungo la schiena di Jenna.
Quando non sentì più nulla, pensò “se n’è andato. L’ha fatto per farmi capire che se ne stava andando”.
Il bosco era tornato tranquillo e taciturno, il vento gelido soffiava con meno foga e gli uccelli canticchiavano pigramente da chissà dove.
- Jen, non entri?
Layla l’aspettava sull’uscio, provando a sorridere.
La ragazza sentiva la sua preoccupazione quasi fosse la propria.
Non posso uccidermi qui fuori, Lay, avrebbe voluto urlarle, qui non ho niente con cui farlo.
- Pensavo alla stagione - mentì, abbozzando un sorriso - non senti che freddo fa?
La maggiore si guardò in giro, sbuffando nuvolette candide dalle narici.
- Già, - convenne, incrociando le braccia - ma è la stagione delle piogge, fa sempre freddo qui. Dai entra, così ti metti un maglione.
La sorella ubbidì.
Lo chalet, come le aveva anticipato Tony, era una normale (quasi banale) costruzione in legno, arredata con mobili di poco costo ma adatti allo scopo.
La cosa più degna di nota nella stanza era il caminetto di pietra acceso che emanava un bel tepore, che contribuì a migliorare radicalmente l’umore di Jenna.
- Le camere sono di sopra - disse Tony, che stava armeggiando in cucina - scegli quella che vuoi.
La ragazza annuì e salì le scale.
Strano che Layla mi lasci dormire da sola, pensò, non ha paura che provi a impiccarmi o qualcosa del genere?
Ah, dimenticavo, il mio “brutto periodo” è passato: adesso sono una persona nuova, aperta al mondo, migliore in tutti i sensi.
Già, dopotutto ho solo cercato di uccidere mio fratello che voleva impedirmi di suicidarmi, mi sono tagliata la gola, ho passato cinque mesi in ospedale e nove in riabilitazione.
Una persona completamente nuova.

La prima porta si apriva su una piccola stanza senza finestre, che venne prontamente scartata.
La seconda, invece, ebbe una sorte migliore.
Certo, era fredda e umida, ma almeno c’era una finestra che dava sul piccolo giardino (lo spiazzo sterrato in cui avevano parcheggiato il pick up) e un armadio che stava in piedi.
Dopo aver portato su e sistemato almeno tre quarti dei bagagli, Jenna scese dai suoi fratelli.
Voleva dare l’immagine della ragazza cordiale e benvoluta.
Suo fratello stava ancora cucinando, mentre Layla stava controllando il fuoco del camino.
Dopo qualche minuto, le due sorelle avevano apparecchiato la tavola e si erano sedute aspettando il fratello con le pietanze.
Mentre lei e Layla stavano chiacchierando su quanto fosse vecchia la casa, Jenna sobbalzò al rumore del tuono, mentre la sorella e Tony si limitarono a dire che se l’aspettavano, dato il brutto tempo che aveva assoggettato la valle nelle ultime settimane.
- Temo che entreranno parecchi spifferi, stanotte - disse Anthony, aggiungendo altra legna al camino - meglio prepararci.
Layla annuì, mettendo la pasta fumante nei piatti.
Jenna avvertiva una strana sensazione.
Lo scroscio dell’acqua cresceva ogni secondo, i tuoni diventavano sempre più frequenti.
- Non mi piace… - mormorò Jenna.
Fuori, il rumore secco di un albero che veniva squarciato da un fulmine superò quello della pioggia.
Stavolta sobbalzarono tutti e tre i fratelli.
Tony uscì a vedere, mentre le ragazze rimasero sul portico.
L’albero era avvolto dalle fiamme.
- Tony, non avvicinarti troppo - gli gridò Layla, per farsi sentire sopra lo scroscio.
Improvvisamente, smise di piovere.
I tuoni si allontanarono velocemente, ma l’albero continuava a bruciare, anche se…
Le fiamme si propagavano dalla base del tronco e salivano fino alla sommità dei rami, per poi spegnersi.
L’abete gocciolava.
Anthony si avvicinò e allungò una mano, sulla quale cadde una goccia.
Ritornò in casa e la esaminò attentamente sotto la fievole luce del lampadario in soggiorno.
- È sangue, - disse, senza distogliere lo sguardo.
Jenna tremava, Layla aveva piegato la testa verso destra, convinta di aver capito male.
- L’albero sta… sanguinando? - chiese, con voce sottile.
Tony annuì.
Un tonfo sordo riempì la stanza.
Layla era svenuta.
Gli altri due fratelli si avvicinarono, ma non riuscirono a rianimarla.
- Portiamola di sopra, - suggerì Tony - poi le preparo qualcosa di caldo…
In due, con fatica, si caricarono il corpo di Layla un po’ sulle spalle e un po’ in mano, e la depositarono sul letto della camera di Jenna.
- È solo svenuta, - tranquillizzò il ragazzo - vedrai che starà meglio tra poco.
Jenna lo seguì in cucina.
Il silenzio si faceva sempre più intenso, finché, proprio quando pensava di impazzire, Jenna parlò.
- È impossibile.
Tony si voltò, la bustina del the che aveva in mano che sballottava a destra e sinistra.
- La conosci, - affermò - non è mai stata troppo forte…
- Gli alberi NON sanguinano - lo interruppe la sorella, picchiando una mano sul tavolo.
Anthony tornò a concentrarsi sulla tisana.
- No, - mormorò - lo so.
- Cosa succede, Tony?
Il ragazzo sospirò.
- Non lo so - si arrese, spegnendo l’acqua bollente - non so se esiste una qualche spiegazione scientifica, ma… è solo un albero, no?
Jenna lo fissò stancamente.
Pensava che se gli avesse parlato della cosa che la fissava nel bosco avrebbe pensato che ci era ricaduta di nuovo, così mentì.
- Già. Solo un albero.
Dal piano di sopra si avvertì un colpo.
- Hai sentito? - sussurrò la ragazza, fissando il soffitto.
Anthony annuì piano.
Un altro colpo, poi qualcosa che rotolava.
- Layla, rimani a letto! - ordinò Tony.
- Shh! - lo zittì Jenna - sento qualcosa.
Il ragazzo fece silenzio, ascoltando attentamente.
Plop, plop, plop.
Gocce che cadono in una pozza.
Jenna si alzò e andò nel soggiorno, seguita dal fratello.
Al centro della sala c’era una pozza scarlatta, dentro la quale cadevano, a intervalli brevi e regolari, piccole goccioline.
- Ma che cazz… - iniziò Tony, ma fu interrotto bruscamente.
Un pezzo di pavimento si staccò e cadde improvvisamente, proprio davanti ai loro piedi.
Dalla voragine, le goccioline continuavano il loro corso.
- Layla!
I due si lanciarono su per le scale, ma fuori dalla porta della camera furono costretti a fermarsi: il sangue si stava spandendo anche nel corridoio.
Jenna spinse delicatamente la porta.
Layla non aveva più braccia, né gambe, né testa.
Il suo corpo (almeno ciò che ne rimaneva) giaceva sanguinante vicino al buco nel pavimento, mentre gli arti erano sparpagliati in giro per la camera.
Jenna urlò, Tony sbatté la porta e la trascinò di peso giù per le scale.
Aprì la porta di scatto, ma le sue braccia cedettero sotto il peso di Jenna e la fecero cadere sul terreno ancora umidiccio.
La sorella smise di agitarsi.
Tony iniziò ad armeggiare nelle sue tasche alla ricerca disperata delle chiavi del pick up.
- Si può sapere che cazzo stai facendo? - strillò la ragazza, alzandosi e spazzolandosi i jeans.
- Cristo! - sbottò lui, tirando un pugno sul cofano.
- Cosa?
- Non trovo le chiavi!
In quel momento, Jenna ricordò che non era stato lui a guidare fin lì.
- Ce le ha Layla… - mormorò.
Tony la guardò.
- Vieni.
Risalirono le scale fino in camera.
Con riluttanza, Anthony armeggiò nelle tasche della sorella, ma non trovò nulla.
- Tony.
Il ragazzo si voltò.
Jenna era ferma sulla soglia, fissando qualcosa accanto a lui.
Qualcosa stava luccicando nella bocca del capo reciso di Layla, immerso nel sangue coagulato.
- Ma porca… - mormorò Tony.
Jenna distolse lo sguardo.
Il ragazzo allungò la mano, e già al primissimo contatto avvertì il sangue sulla sua pelle, sensazione che lo disgustò.
Individuò le chiavi e le estrasse con cura, poi ripresero la loro corsa disperata.
Arrivarono al pick up più in fretta di prima.
- Sali - sbraitò il ragazzo alla sorella, che ubbidì.
Tony inserì le chiavi nel quadro e girò.
La macchina non partiva.
Riprovò con più forza, ma il pick up non voleva saperne.
- Riprova! - gli gridò Jenna, ma ogni tentativo era vano.
Ricominciò a piovere, ma presto la pioggia divenne sempre più forte, sempre più forte…
- Oh, cazzo!
Il parabrezza iniziava a rompersi.
- Via, via, via!
I ragazzi corsero sotto il portico della casa.
Il parabrezza cedette, frantumandosi in migliaia di pezzettini.
- Meglio se entriamo… - suggerì Anthony.
- No! - si oppose Jenna - la cosa che ha ucciso Layla potrebbe essere lì dentro… anzi, c’è sicuramente.
Il fratello allargò le braccia in un gesto molto teatrale, e Jenna notò che avevano ancora il sangue di Layla sopra.
- E che differenza fa? - rise, ironico - morire qui oppure qualche chilometro più avanti?
Jenna non rispose.
Sapeva che la morte faceva un’enorme differenza.
- Come ti pare - sbottò lui - rimani pure qui.
Entrò e sbatté la porta, dopodichè la chiuse a chiave.
La sorella si accasciò contro di essa chiudendo gli occhi.
Il vento cominciò a infuriare, la pioggia mantenne la sua violenza.
Layla era morta.
Oh no, peggio, Layla è stata fatta a pezzi
Probabilmente la cosa della foresta l’aveva uccisa e 
Oh Dio ti prego ti scongiuro fa che se ne sia andato
Non riuscivano ad andarsene.
Per favore fa che finisca di piovere ti prego voglio andare via voglio andare a casa.
Jenna riaprì gli occhi.
La pioggia si fermò.
La ragazza si alzò e bussò energicamente alla porta.
- Tony, ha smesso di piovere!
I pugni si trasformarono presto in schiaffi violenti contro la porta.
- Tony, apri! Possiamo andare via!
La serratura scattò.
Jenna aprì la porta ed entrò, ma andò a sbattere contro qualcosa.
Dietro la porta non c’era Tony.
Non era granché alto, sembrava addirittura gobbo, tutto marrone e raggrinzito, senza peli né capelli e con gli occhi fuori dalle orbite.
Jenna gli sbatté la porta in faccia e corse nel bosco.
Il terreno era umidiccio e scivoloso, i rami più bassi degli alberi le frustavano il volto, ma lei non si voltò.
Oh Dio ti prego fa che non mi raggiunga ti prego sono stanca non ce la faccio
Il vento diventava sempre più freddo e 
Oh mio Dio che freddo ho paura
Il terreno cominciava ad assomigliare sempre più a sabbie mobili
Non vedo niente non so dove vado oh mamma mamma che paura che ho ti prego fa che non mi veda.
Ma Jenna correva.
Poi, quando stava per rallentare, convinta di aver messo la giusta distanza di sicurezza tra di loro, inciampò in una radice fuoriuscita dal terreno e cadde.
Il suo piede rimase impigliato, e più si agitava per tentare di liberarsi più le faceva male.
Poi avvertì un acuto dolore alla testa, e il buio si fece più intenso.

Quando rinvenne faceva caldo, ed era strano, perché ricordava bene la temperatura umida che c’era prima che perdesse i sensi.
La testa le faceva molto male, e man mano che le folate d’aria calda le arrivavano in faccia avvertiva una sensazione strana, come se le avessero incollato della plastica in faccia.
Lentamente, aprì gli occhi: non si trovava nel bosco, era tornata a casa.
Il fuoco nel caminetto crepitava lievemente, illuminando la stanza.
Lui non c’era.
Ignorando come, Jenna si accorse di essere incatenata e che i suoi movimenti erano radicalmente limitati.
Gettò uno sguardo alla gamba: i pantaloni si erano strappati,e la ferita era di gran lunga peggiore di quel che aveva pensato.
Buona parte della pelle era stata rimossa, lasciando intravedere il bianco dell’osso tra il sangue e la carne viva; un ferita che non poteva essere frutto di una normale caduta.
Jenna distolse lo sguardo sospirando.
Giunsero rumori di passi dalle scale, e lei si voltò in quella direzione.
Dopo poco, Lui si stava avvicinando a lei con passo claudicante.
Poggiò un piatto pieno di carne davanti a Jenna e glielo indicò, come a dire “mangia”.
La ragazza non si mosse.
- Chi sei? - gli chiese, rannicchiandosi contro la parete.
Lui non rispose.
- Hai ucciso Layla?
Annuì.
- Lasciami andare!
Lui si girò e risalì le scale.
Le lacrime bruciarono negli occhi di Jenna, che si rese conto in quel momento di quanta fame avesse.
Finì la carne in meno di cinque minuti, trangugiandola senza alcun ritegno, senza nemmeno chiedersi che cosa fosse davvero, e quando poggiò il piatto a terra si accorse che Lui era lì a fissarla.
- Dov’è Tony? - gli chiese la ragazza, d’istinto.
La creatura non rispose.
- Dimmelo.
Lui indicò il piatto.
Lo stomaco di Jenna si contrasse bruscamente, e tutta la carne che aveva ingerito uscì in un fiotto violento dalla sua bocca, proprio accanto a lei.
Poi si abbandonò contro la parete e ricominciò a piangere.
La creatura rimase a guardarla per un po’, dopodichè tornò di sopra.
Quando fu riuscita a calmarsi, Jenna svenne.

Quando si risvegliò, non ci volle molto per capire che non era più nel caldo soggiorno dello chalet.
Adesso era tutto buio, freddo e molto umido, ma non riusciva a capire dove fosse.
Sentiva i polsi che le facevano male, le bruciavano, le braccia le tiravano e i piedi non toccavano terra: l’aveva appesa.
Mi ha appesa come si appende la carne in macelleria.
Jenna provò a dondolare i piedi, ma non riusciva a colpire nulla.
Dal piano di sopra giunsero del colpi sinistri.
Dopo pochi minuti, come aveva predetto, Lui aprì la porta sopra le scale.
Jenna venne illuminata dalla luce del corridoio, e poté notare senza fatica la lunga lama che stringeva in mano.
La creatura scese lentamente le scale, sempre con la sua andatura claudicante, e si fermò davanti a Jenna.
- Per favore - pianse lei, per la prima volta dopo mesi - io non voglio più morire.
Lui allungò una mano e la posò delicatamente sulla guancia di Jenna, che non oppose resistenza.
Lei avvertì una sensazione strana, come se riuscisse a pensare a una sola frase: “so che non vuoi più morire”.
Dopodichè, seguirono altri pensieri, uno dietro l’altro.
“So che volevi ucciderti.  So che hai ferito tuo fratello.  So che non volevi stare qui.  Ma ci sei, sei qui.  Hai fatto del male, Jenna.  Non meriti di continuare a vivere.  Riesci a capirlo?”
Jenna annuì, come fosse ipnotizzata.
Come se la sua mente non fosse più in grado di ragionare.
“Bene.  È per questo che sono qui.  Adesso finirà tutto, ok?  Non sentirai più nulla.  Starai bene, te lo prometto.  Chiudi gli occhi”.
Jenna ubbidì.
Finisce tutto ora
Prese un respiro profondo
È tutto a posto
E sentì qualcosa di freddo e sottile che
Non c’è più niente
Le accarezzava delicatamente la gola
Di cui aver paura
La creatura prese bene la mira e conficcò il pugnale in piena gola a Jenna.
Un fiotto di sangue schizzò sulla sua faccia, ma Lui andava avanti, premendo il coltello sempre più in fondo.
La punta della lama fuoriuscì dal collo della ragazza, mentre il sangue le colava anche dagli angoli della bocca.
Quando vide che il liquido scarlatto aveva smesso di sgorgare, la mano della creatura si fermò.
Jenna aveva smesso di vivere, la sua missione era compiuta.
Si girò e risalì le scale, poi uscì dalla casa.
Fuori pioveva.
Lui volse la faccia al cielo, a bocca aperta, lasciando che le gocce gli entrassero in bocca e gli sgorgassero in gola.
Il suo colore marrone stava mutando in uno più vivo, come anche quello del terreno, degli alberi, della casa.
Pioveva sangue.
La creatura si stese sul terreno, continuando a tenere la bocca aperta.
A poco a poco, la terra lo inghiottì.




Angolo dell' Autrice:

Ciao stelline!
Scusate se sono prarticamente sparita, ma i miei professori mi hanno praticamente bombardato di verifiche e interrogazioni, senza contare che abbiamo iniziato alcune materie nuove (colgo l'occasione per chiedere a chiunque di voi ripetizioni di Fisica), così...
Beh, spero che la storia vi sia piaciuta, e abbia stimolato la vostra curiosità per dare un'occhiatina anche alle altre che ho scritto!
A presto!
  
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