NELL’EPISODIO
PRECEDENTE DI “HUMAN LOVE… AND NOT”:
Jack e Toshiko hanno
trovato una macchina fotografica aliena in grado di trasportare
indietro nel
tempo le persone che le stanno a contatto, precisamente nel periodo
della loro
vita che più li ha scossi, costringendoli ad assistere, come
fantasmi, a
ricordi che hanno cercato di dimenticare.
Tosh ha rivissuto la propria triste infanzia segnata dalla brusca
separazione
dei genitori mentre Owen ha assistito ai maltrattamenti da parte della
perennemente ubriaca quando era adolescente. Ora tocca a
Ianto… chissà cosa lo
ha traumatizzato tanto…
N.B.
questo capitolo è piuttosto forte, ne sconsiglierei la
lettura ai minori di 15
anni.
CAPITOLO
DIECI – TEARS
Ero
una bandiera ferma, che aspettava il vento
come un sorso d’acqua pura che scorre in gola.
(Io prima
di te, E. Ramazzotti)
I
cinque membri di Torchwood al completo vennero di
nuovo catapultati in un vortice spazio-temporale che li fece finire,
questa
volta, in una strada deserta, nei pressi di un parco giochi piuttosto
malridotto. Le altalene erano staccate, la scala per salire sullo
scivolo
mancava di alcuni gradini e l’erba cresceva incolta. Un
pallone sgonfio e
sporco era abbandonato nel mezzo, insieme ad alcune bottiglie di birra.
“Ma
dove siamo?” chiese Tosh guardandosi intorno;
non c’era niente, né casa, né segnale o
cartellone pubblicitario che le facesse
capire dove potessero trovarsi. Solo quel parco isolato e il cielo
grigio sopra
di loro.
“A
Cardiff” le rispose Ianto, osservando qualcosa al
centro del parco. “Nella zona più povera della
città”.
“E
tu come lo sai?” gli chiese Owen che sembrava
star annusando l’aria con fare sospettoso.
“Guardate
là!” esclamò Gwen attirando
l’attenzione
di tutti. Stava indicando col dito una panchina nel parco,
l’unica panchina
integra, dove era sdraiato un ragazzo, adolescente a giudicare dai
lineamenti
del viso. Aveva capelli scuri e leggermente lunghi, indossava un paio
di jeans
strappati e una felpa grigia a cui aveva arrotolato le maniche.
Sembrava essere
piuttosto magro per quanto larghi gli stavano quei vestiti. Teneva gli
occhi
chiusi, come se dormisse, le labbra distorte in un broncio e tra le
dita
stringeva una sigaretta.
“Chi
è?” chiese Tosh incuriosita.
“Ha
un’aria familiare” le fece eco Owen.
“Sono
io”.
Tutti
si voltarono verso Ianto con gli occhi
sgranati. Tranne Jack che era rimasto impassibile a spostare lo sguardo
dal
Ianto adulto in piedi vicino a lui a quello adolescente sdraiato sulla
panchina.
“Cosa?!”
esclamò il dottore. “Non ci credo”.
L’altro
scrollò le spalle. “Libero di non
credermi”.
“Ma
se quello sei tu, allora… siamo nel tuo passato”
concluse Tosh, guardando di nuovo in direzione del ragazzo.
“A
quanto pare”.
Ianto
non cambiava mai atteggiamento, né
espressione. Rimaneva sempre impassibile, neutrale, posato…
eppure Jack in quel
momento riuscì a vedere un barlume di angoscia negli occhi
azzurri del ragazzo,
qualcosa che lo faceva terribilmente soffrire, qualcosa che
già in altri
momenti aveva notato ma che ora sembrava essere più forte.
Forse era arrivato
alla radice, forse adesso avrebbe potuto capire
perché…
“Certo
che avevi un’aria da ragazzaccio”
constatò
Owen.
Ianto
adolescente a quanto pareva non stava
dormendo. Aveva riaperto gli occhi al cielo nuvoloso e aveva tirato un
paio di
boccate dalla sigaretta.
“Eh
già” sospirò quello grande.
Jack
gli si avvicinò silenziosamente e intrecciò la
propria mano con quella del compagno. Ianto si voltò
sorpreso trovandosi i suoi
occhi a poca distanza che lo guardavano decisi ma pieni di affetto. E
il
ragazzo si sentì subito confortato, al sicuro.
Finché c’era Jack neanche i suoi ricordi potevano
fargli del male.
Ad
un tratto videro arrivare un altro ragazzo.
Doveva avere più o meno l’età del Ianto
steso sulla panchina ed era vestito
quasi allo stesso modo. Solo che aveva i capelli tagliati cortissimi e
una
cicatrice sul sopracciglio destro.
Si avvicinò al ragazzo nel parco, ma questi non sembrava
averlo notato o
sentito. O forse faceva finta. Il nuovo giunto perciò fu
costretto a dargli un
paio di colpi sul fianco per farsi notare. Soltanto a quel punto il
giovane
Ianto aprì gli occhi azzurri e guardò
l’altro con espressione indifferente.
Poi, con lentezza e calma, si tirò a sedere per fare posto
all’amico.
“Guarda
che ho trovato” gli disse questi, saltando
tutti i convenevoli. Tirò fuori dalla tasca un piccolo
sacchetto con della
polvere bianca all’interno. “Me l’ha data
Jimmy. Dice che è di ottima qualità”.
Ianto
sbuffò. “Spero che non ti sia costata troppo,
per quel che vale la parola di Jimmy”.
“Prova”
lo esortò l’altro. Prese un fazzoletto, ci
mise sopra la polvere, tirò fuori due cannucce e ne porse
una al ragazzo
accanto a lui.
I
due ragazzi si chinarono e si cacciarono un po’ di
quella roba nel naso. Subito si buttarono a terra, scoppiando a ridere.
“Aspetta,
aspetta” borbottò l’altro tra una risata
e
l’altra. “Jimmy ha detto che ci mette un
po’ a fare effetto. Non puoi essere
già partito”.
Ianto
tornò di nuovo serio e guardò in direzione
dell’amico.
“Voglio
fare una cosa” disse questi afferrando il
fazzoletto e cacciandosi in bocca tutta la polverina rimasta. Poi si
avvicinò a
Ianto e gli diede un bacio sulle labbra. Ianto gli accarezzò
una guancia,
mentre l’altro gli metteva una mano tra i capelli per trarlo
più vicino a sé.
Ianto
adulto, invece, sentì la stretta di Jack sulla
sua mano farsi più forte e tutto il suo corpo irrigidirsi
mentre osservava la
scena. A quanto pareva scoprire che c’erano stati altri
ragazzi che aveva
baciato con la stessa passione con cui baciava lui non gli faceva molto
piacere.
I
due ragazzi nel parco, nel frattempo, si erano separati
e ora si guardavano a vicenda negli occhi.
“Un
bacio alla cocaina? Wow!” esclamò Ianto, sempre
col suo tono indifferente. A quanto pareva quella era una
caratteristica che lo
accompagnava da sempre.
“L’ho
visto fare in un film. Figo, vero?” fece
l’altro, pulendosi le labbra con la manica della giacca.
“Sì,
figo”.
“Guarda,
ho un’altra cosa”, disse ancora l’amico
e,
da una tasca interna della giacca, tirò fuori una siringa
con un ago appuntito
e piena di una sostanza giallognola. La mise di fronte a Ianto
guardandolo
eccitato. “Allora, che ne dici?”
“Cos’è?”
“Una
bella dose di eroina”.
Ianto
rimase leggermente sbigottito e passò lo
sguardo dalla siringa all’amico.
“Te
la regalo. Ma solo perché sei mio amico”.
Il
ragazzo era ancora un po’ sbigottito, ma prese la
droga con molta cautela, come se fosse la cosa più preziosa
al mondo.
“Davvero
ti facevi di quella roba?” esclamò Owen,
spostando lo sguardo sul Ianto adulto vicino a lui. Come gli altri era
rimasto
a guardare tutta la scena scioccato, incredulo, stupito. Nessuno si
aspettava
che il calmo, gentile, pacato Ianto da ragazzino fosse
stato… be’, un drogato.
“E
non è tutto”. aggiunse l’interpellato.
Forse era
meglio prepararli, sicuramente non sarebbero usciti indifferenti da
quella
esperienza. E lui aveva come l’impressione che sarebbe durata
ancora molto.
Tornarono
a concentrarsi sui due ragazzi nel parco.
Ianto adolescente si era intascato la sua eroina, con tanto di commento
da
parte di Owen (“spero che almeno sia sterilizzato
quell’ago), mentre l’amico di
cui ancora non si era scoperto il nome si era alzato porgendo la mano
anche
all’altro.
“Andiamo
dagli altri. Ci stanno aspettando” gli
disse, spolverandosi i pantaloni.
“Ray?”
lo chiamò Ianto. L’altro, che si era
già
avviato, si voltò di nuovo inarcando un sopracciglio.
“Hmm?”
L’amico
sembrò ponderare su qualcosa, poi scrollò il
capo. “No, niente”.
Ray
ridacchiò. “Dai, andiamo”.
Ianto
lo raggiunse, accendendosi un’altra sigaretta.
I due si misero a camminare nella luce del tramonto.
Gli
altri cinque li seguirono senza fiatare. Jack
non aveva staccato la mano da quella di Ianto, ma questi sembrava non
avere il
coraggio di guardarlo. Teneva lo sguardo fisso sulla sua copia giovane.
Arrivarono
in un parcheggio, probabilmente sul retro
di un supermercato. I due adolescenti si avvicinarono ad un gruppetto
di altri
ragazzi, tutti più o meno della stessa età,
adolescenti ma dalle espressioni
per niente rassicuranti. C’era solo una ragazza tra di loro,
vestita di borchie
e pelle e piena di matita nera attorno agli occhi. Quasi tutti si
stavano
fumando una sigaretta e qualcuno stringeva delle bottiglie di birra in
mano.
“Ray,
Ianto!” li salutò uno di loro, con una bandana
in testa, battendo i pugni.
I
membri di Torchwood, intanto, si erano avvicinati,
rimanendo comunque a debita distanza, nonostante gli altri non
potessero
vederli.
“Dov’eravate
finiti?” chiese un altro, che indossava
un cappellino da baseball.
“Ho
dovuto recuperare questo qui nella Discarica”
ridacchiò Ray indicando Ianto.
“Discarica?”
gli fece eco Owen.
“Così
chiamavamo il parco. Ci lasciavamo tutta la
spazzatura”.
“Perché
vai sempre in quel posto sudicio?” a parlare
era stato di nuovo quello che li aveva salutati inizialmente. Sembrava
essere
il capo della banda.
“E’
tranquillo”.
“Io
odio la tranquillità. È
così… silenziosa,
pesante…” questa volta fu l’unica
ragazza presente a proferire quelle parole.
Sembrava essere la più cattiva del gruppo, tutta vestita e
truccata di nero,
con lo sguardo da dura.
“Taci,
nessuno ti ha chiesto la tua opinione, Betsy”
la rimbeccò il capo con tono severo. Lei si
zittì, ma lo guardò malissimo. “Ho
voglia di fare qualcosa” aggiunse poi, guardando gli altri
ragazzi.
“Andiamo
alla spiaggia” propose quello col
cappellino da baseball.
“E
a fare che? Raccogliere conchiglie?”
“Perché
non rubiamo in quel supermercato?” propose
allora un biondino, l’unico che fino a quel momento se
n’era rimasto in
silenzio.
Il
capobanda sorrise e lo guardò come se lo volesse
mangiare.
“Bravo,
Chris, allora vedo che il cervello ogni
tanto lo usi”.
Chris
lo guardò storto ma non disse niente. Finì
solo di fumarsi la sua sigaretta.
“Andiamo!”
li esortò allora l’altro. Ray, Betsy,
Chris e quello col cappellino da baseball si alzarono per seguirlo.
L’unico a
rimanere fermo e impassibile fu Ianto.
“Che
fai, Bambi, non vieni? Abbiamo bisogno delle
tue mani magiche”.
Ianto
sembrò esitare ancora un po’, ma alla fine si
decise a seguirli.
“Bambi?
Mani magiche?” commentò Owen, ridacchiando.
“Sta’
zitto!” gli intimò Ianto adulto, seguendo i
ragazzi, sempre attaccato a Jack, come fosse la sua ancora. E
probabilmente lo
era.
Arrivarono
davanti alla porta d’ingresso del
supermercato, sbarrata e chiusa con un lucchetto. Ma ciò non
sembrò
demoralizzare il gruppetto.
Si misero a cerchio attorno alla porta, lasciando Ianto nel mezzo.
Questi si
chinò a osservare la serratura.
“Betsy”,
disse poi.
La
ragazza, come obbedendo a un ordine muto, allungò
una mano tra i suoi capelli arruffati estraendone una forcina e
porgendola poi
all’amico. Sembrava che non fosse la prima volta che facevano
quella cosa,
erano troppo ben organizzati.
In
alcune mosse il giovane Ianto, con uno schiocco
secco, fece scattare la serratura. Tolse il lucchetto e la catena,
aprendo la
porta.
“Questo
è il paradiso”, commentò il capogruppo
con
un sorrisetto soddisfatto. “Arraffate tutto quello che
potete”.
I
ragazzi non se lo fecero ripetere due volte. Si
calarono i cappucci sul viso, per non essere visti dalle telecamere, ed
entrarono dentro. Prima di seguire gli amici, però, il boss
si avvicinò a Ianto
e gli sussurrò in tono malizioso: “Spero che tu ci
sappia fare altrettanto bene
anche con le cerniere”.
Il
ragazzo non disse niente, rimase impassibile,
osservandolo sparire dentro. Dopo di che si decise a raggiungerli.
“Cazzo,
eri anche un ladro!” esclamò Owen sempre
più
scioccato. A dire il vero erano tutti scioccati. Avevano già
visto il passato
più brutto degli altri, ma questo era quello che li stava
lasciando più
interdetti.
Dopo
pochi minuti i ragazzi uscirono, ciascuno con
la propria refurtiva. Ianto stringeva tra le mani solo una tavoletta di
cioccolato che aveva già scartato, il ragazzo col cappellino
da baseball invece
si era riempito di riviste con modelle nude in copertina.
“Andiamo
a nascondere questa roba. Ci possiamo
rivedere più tardi”.
Ciascuno
dei ragazzi se ne andò nella propria
direzione, solo Ray e Ianto si allontanarono insieme.
“Usala
solo se ti serve, quella siringa”, si
raccomandò il giovane coi capelli corti.
“L’ho pagata cara”.
“Certo”,
lo tranquillizzò l’amico, accendendosi
un’altra sigaretta.
Il
resto del tragitto lo fecero nel più completo
silenzio, seguiti dal Torchwood che rimase sempre dietro le loro
spalle. Quando
arrivarono davanti al cancelletto di una casa dal giardino disordinato
e
malcurato e i muri scrostati, si salutarono.
“Spero
che mio padre sia già a letto”, disse Ianto
prima che l’amico se ne andasse.
“Se
hai problemi non esitare a chiamarmi”.
L’altro
annuì. Poi cominciò a dirigersi verso la
porta d’ingresso con sguardo da condannato. Aprì
la porta il più
silenziosamente possibile e, in punta di piedi, andò verso
le scale prendendo a
salirle, tallonato sempre dai cinque. Era completamente buio nella casa
ed
effettivamente era parecchio tardi, se c’era qualcuno
probabilmente doveva già
essere andato a dormire.
“Oh
cazzo!” esclamò a quel punto Ianto adulto.
“Che
c’è?” chiese Gwen che non aveva mai
sentito
l’amico dire le parolacce.
“No…
non pensavo che… non ricordavo che fosse
successo quel… giorno”.
“Successo
cosa?” fece Jack che aveva intuito che
stava per succedere qualcosa di brutto. Ianto si girò verso
di lui guardandolo
con due occhi che sembravano implorargli aiuto. Ma Jack non aveva idea
di che
cosa fare.
“Che
cosa deve succedere?” insisté Owen. Anche lui
aveva una brutta sensazione.
“Ragazzi,
non avrei mai voluto che vedeste questa
scena”.
Di
nuovo il dottore fece per aprire bocca e chiedere
delucidazioni, ma una voce baritonale accanto a lui lo interruppe.
“Ianto?”
Ianto
giovane, giunto ormai quasi in cima agli
scalini, si bloccò e sembrò maledire tutti i
santi del paradiso.
“Papà”
disse, senza alcuna espressione.
“Ti
sembra questa l’ora di ritornare?”
Il
giovane non rispose subito. Spostò lo sguardo
nella direzione dove stavano i cinque, ma senza vederli. Poi
tornò a guardare
il padre.
“Hai
bevuto… di nuovo” concluse solo, anche se non
c’entrava
niente con la domanda fattagli dall’uomo. Probabilmente
voleva solo sviare il
discorso.
“Qui
le domande le faccio io, ragazzino!” gridò,
allora, l’uomo. “E vieni qui”.
Ianto
esitò, come prima al supermercato, ma poi
scese i gradini e raggiunse il padre. Questi gli diede uno schiaffo in
piano
volto, facendolo voltare per il contraccolpo.
Tosh
gridò per lo spavento e Ianto adulto strinse di
più la presa sulla mano di Jack, come se il dolore lo
potesse sentire lui.
“Tu
non mi devi mancare di rispetto, mi sono
spiegato?” gridò di nuovo l’uomo in
faccia al ragazzo. Era ubriaco, chiaramente
molto ubriaco e il figlio riusciva a sentirgli benissimo
l’alito che sapeva di
birra. Gli faceva venire la nausea. Il padre lo sbatté
contro il muro. “Quelli
come te vanno puniti, vanno presi a botte. Sei solo un finocchio di
merda”, e
gli diede un altro schiaffo.
“No”
bofonchiò Ianto adulto. “Non lo voglio…
non
voglio vederlo”.
Jack
lo strinse a sé cercando di farlo voltare, ma
l’altro non riusciva più a staccare gli occhi
dalla scena.
Ianto
giovane, sotto a quel nuovo schiaffo, cadde a
terra. Il padre gli diede un calcio nello stomaco mozzandogli il fiato,
tant’è
che non riuscì nemmeno ad urlare e la sua bocca si distorse
in una smorfia di
dolore. Poi l’uomo prese a slacciarsi le brache.
Gli altri credettero che volesse solo togliersi la cintura per
picchiare il
figlio e invece… aveva abbassato la cerniera, calatosi i
pantaloni e le mutande
esponendo il suo membro duro e turgido. Poi si abbassò verso
il figlio prendendo
a maneggiare coi suoi pantaloni.
I
cinque rimasero a guardare la scena con gli occhi
spalancati, colmi di disperato terrore e orrore. Non potevano crederci.
La
scena era davanti ai loro occhi eppure non potevano crederci.
Era… era
angosciante, terrificante… inaudito.
L’uomo
mise in bella vista il didietro del figlio e,
con un affondo secco, lo penetrò, senza neanche preoccuparsi
di non fargli
male. La cosa non gli importava, dopotutto.
Ianto gridò. Un urlo che si doveva essere sentito fino alla
fine della via, un
urlo lancinante. Eppure nessuno accorse a vedere che cosa stava
succedendo,
nessuno accorse ad aiutarlo.
Il ragazzo prese a dimenarsi sotto di lui, battere i pugni per terra
cercando
di sgusciare via, ma la prese del padre era troppo forte.
“Ti
prego… ti prego… ti prego…”
cominciò a
supplicarlo, col volto pieno di lacrime. “Mi stai…
facendo male… ti prego… ti
prego”.
Le
sue suppliche però sembrarono animare ancora di
più l’uomo che prese a spingersi dentro di lui con
ancora più forza, e perché
smettesse di fare rumore gli bloccò le braccia al pavimento
con le proprie
mani, tenendolo in una morsa d’acciaio. Il ragazzo non aveva
altra possibilità
se non lasciare che l’altro lo violentasse, pregando di
svenire per non sentire
più quel dolore.
“Ti
piace, eh, Finocchio? È questo che si meritano
quelli come te”.
“Ti
prego… basta… ti prego…” lo
supplicò ancora
Ianto, piangendo e urlando senza sosta, lo sguardo rivolto verso il
salotto dal
quale vedeva provenire la luce della tv accesa.
Anche
gli altri presenti nella casa desideravano
trovarsi ovunque tranne che in quella stanza, di fronte a quella scena.
Eppure ancora
non ne potevano uscire. Quanto ancora sarebbe durata quella tortura?
Tosh si era accucciata per terra in direzione della porta con le mani
sulle
orecchie per non dover sentire le suppliche e le grida del ragazzo e i
gemiti
di piacere del suo aggressore, il viso rigato di lacrime e il corpo
scosso dai
singhiozzi. Anche Owen e Gwen si erano voltati, lui con le braccia
appoggiate
al muro e il sudore che gli colava sulla fronte e lei col viso nascosto
sulla
sua spalla, a trattenere il pianto.
L’unico che aveva abbastanza sangue freddo per guardare era
Jack che non si era
mosso di un millimetro, le labbra strette in un’espressione
dura e Ianto tra le
braccia gli piangeva contro la spalla.
“Jack,
fallo smettere… ti scongiuro, fallo
smettere”.
Il
Capitano si sentì stringere il cuore. Che cosa
poteva fare? Per l’ennesima volta si sentiva impotente e
stava di nuovo
permettendo che qualcuno facesse del male al suo Ianto. Non poteva
nemmeno
avventarsi contro quell’uomo e prenderlo a pugni fino alla
morte.
Finalmente,
dopo un ultima spinta da parte dell’uomo
e un altro grido mezzo strozzato da parte del ragazzo, la violenza si
concluse.
Il padre si staccò dal corpo del figlio e, senza fare
né dire niente, si
allontanò con espressione beata, contento del suo orgasmo e
il membro ancora
penzolante.
Ianto
adolescente, invece, rimase lì, steso a terra
e coi pantaloni ancora abbassati, piccoli singhiozzi scuotevano il suo
corpo
magro e gracile.
Voltò lo sguardo pieno di lacrime in direzione di Jack e al
Capitano, per una
frazione di secondo, parve che lo avesse visto. Si specchiò
in quelle pozze azzurre
e piene di dolore trovandovi il suo Ianto, quello che in quel momento
stava
stringendo tra le braccia. Erano identici, gli occhi erano identici,
stesso
taglio, stessa grandezza, stesso colore… e stesso dolore.
Adesso capiva, adesso
capiva molte cose, cose che prima aveva dato per scontato, a cui non
aveva
fatto caso. E si diede mentalmente dello stupido. Come aveva potuto
essere così
superficiale?
Dopo
un po’ anche il giovane Ianto cominciò ad
alzarsi da quel freddo e sudicio pavimento. Dapprima cercò
di mettersi a
quattro zampe ma una scossa di dolore lo colpì nella zona
del fondoschiena
facendolo quasi cadere di nuovo a terra. Trattenne a stento un grido.
Il ragazzo però non mollò e riuscì a
mettersi in ginocchio, lasciando sgorgare
una lacrima ad ogni movimento. Si tirò su i pantaloni e, con
non poca fatica,
riuscì in qualche modo ad alzarsi in piedi. Evidentemente
aveva paura che il
padre tornasse di nuovo e che lo violentasse ancora o chissà
cos’altro.
Anche
gli altri, notando che era calato il silenzio,
si erano voltati per vedere che cosa stava succedendo. Il ragazzo aveva
cominciato a salire le scale dovendosi reggere con tutte e due le mani
sul
corrimano e un paio di volte rischiò di cadere.
Jack
era stato il primo a seguirlo, esortando gli
altri e trascinandosi dietro un Ianto ancora in lacrime che gli si era
aggrappato alla schiena.
Finalmente
Ianto adolescente riuscì a raggiungere la
sua stanza. I cinque di Torchwood entrarono dentro rapidamente prima
che il
ragazzo sbattesse la porta dietro di sé con un calcio. Quel
gesto però gli fece
perdere il già precario equilibrio e così
rovinò di nuovo a terra cadendo su un
fianco. Un singhiozzo gli scappò dalle labbra.
Gattonò verso l’armadio e ne tirò fuori
un borsone vuoto nel quale cominciò ad
infilare vestiti alla rinfusa che tirava fuori dai vari cassetti, e
altri
oggetti che trovava in giro, apparentemente a caso. E tutto questo
senza dire
niente, senza proferire fiato, se non gemiti di dolore.
Infine infilò la mano sotto il materasso e ne estrasse fuori
un coltello dalla
lama ben appuntita.
Il
gruppetto che era lì impallidì a quella vista
pensando a che cosa avrebbe potuto farci. Ma poi, quando lo videro
metterlo in
una tasca della valigia, tirarono un sospiro di sollievo.
Dopo
aver fatto quell’operazione, Ianto salì sul
letto e prese il cellulare. Digitò alcuni numeri ma prima di
schiacciare il
tasto di chiamata rimase a fissare il muro di fronte a lui, con il
poster di
Star Trek.
Ci ripensò e lo ripose via. Si tastò le tasche e
tirò fuori la siringa di
eroina che Ray gli aveva dato poco prima.
Accese la lampadina sul comodino, afferrò un laccio che
trovò li vicino e se lo
legò sul braccio sinistro, poco sopra il gomito. Questa
volta non c’erano
ripensamenti. Distese l’arto e, con un solo colpo,
affondò l’ago dentro la
vena. Se gli fece male non lo diede a vedere. Iniettò tutta
la stanza spingendo
lo stantuffo e, immediatamente, il suo viso assunse
un’espressione rilassata. Quando
ebbe finito buttò tutto quanto a terra, senza neanche
disinfettare, mentre una
macchiolina di sangue si faceva largo lì dove si era bucato.
Infine si buttò sul letto e chiuse gli occhi, aspettando che
il sonno lo
cogliesse.
Jack,
Gwen, Owen, Tosh
e Ianto adulto vennero di nuovo risucchiati nel vortice e scomparvero.
Si
ritrovarono a Torchwood, nella loro base, così familiare e
così calda.
MILLY’S
SPACE
Ebbene,
questa volta non ci ho messo tanto : ) dopotutto
avevo il capitolo già pronto… che ne dite? Lo so,
lo so, ho esagerato molto le
cose. Nel telefilm non si dice che Ianto si drogasse né che
era stato
violentato dal padre, per quanto questi fosse violento, ma la mia vena
sadica
non ha resistito. Spero abbiate apprezzato lo stesso, sentitevi liberi
di dirmi
quello che pensate.
Nel
prossimo capitolo, che dovrebbe essere la terza e l’ultima
parte, vedremo che cos’è successo in seguito e
come ha fatto Ianto a superarlo.
Spero
ci sarete.
Baci : )
Milly.
HELLOWSWAG:
be’,
non ci ho messo molto… contenta : ) fammi sapere che ne
pensi. Un bacio.