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Autore: millyray    23/11/2013    2 recensioni
Per chi odia le morti ingiuste anche se eroiche dove a sopravvivere sono i malvagi, perché le eccezioni esistono, esistono sempre. Per chi ama il trionfo degli amori, gli amori veri, quelli un po' platonici e un po' terreni, a volte anche scontati. Per chi odia i misteri e i segreti che si celano dietro gli occhi di qualcuno, ma ama l'aria tormentata che essi hanno.
Be', credo che siate nel posto giusto.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NELL’EPISODIO PRECEDENTE DI “HUMAN LOVE… AND NOT”: Jack e Toshiko hanno trovato una macchina fotografica aliena in grado di trasportare indietro nel tempo le persone che le stanno a contatto, precisamente nel periodo della loro vita che più li ha scossi, costringendoli ad assistere, come fantasmi, a ricordi che hanno cercato di dimenticare.
Tosh ha rivissuto la propria triste infanzia segnata dalla brusca separazione dei genitori mentre Owen ha assistito ai maltrattamenti da parte della perennemente ubriaca quando era adolescente. Ora tocca a Ianto… chissà cosa lo ha traumatizzato tanto…

N.B. questo capitolo è piuttosto forte, ne sconsiglierei la lettura ai minori di 15 anni.

CAPITOLO DIECI – TEARS

Ero una bandiera ferma, che aspettava il vento
come un sorso d’acqua pura che scorre in gola.
(Io prima di te, E. Ramazzotti)

I cinque membri di Torchwood al completo vennero di nuovo catapultati in un vortice spazio-temporale che li fece finire, questa volta, in una strada deserta, nei pressi di un parco giochi piuttosto malridotto. Le altalene erano staccate, la scala per salire sullo scivolo mancava di alcuni gradini e l’erba cresceva incolta. Un pallone sgonfio e sporco era abbandonato nel mezzo, insieme ad alcune bottiglie di birra.

“Ma dove siamo?” chiese Tosh guardandosi intorno; non c’era niente, né casa, né segnale o cartellone pubblicitario che le facesse capire dove potessero trovarsi. Solo quel parco isolato e il cielo grigio sopra di loro.

“A Cardiff” le rispose Ianto, osservando qualcosa al centro del parco. “Nella zona più povera della città”.

“E tu come lo sai?” gli chiese Owen che sembrava star annusando l’aria con fare sospettoso.

“Guardate là!” esclamò Gwen attirando l’attenzione di tutti. Stava indicando col dito una panchina nel parco, l’unica panchina integra, dove era sdraiato un ragazzo, adolescente a giudicare dai lineamenti del viso. Aveva capelli scuri e leggermente lunghi, indossava un paio di jeans strappati e una felpa grigia a cui aveva arrotolato le maniche. Sembrava essere piuttosto magro per quanto larghi gli stavano quei vestiti. Teneva gli occhi chiusi, come se dormisse, le labbra distorte in un broncio e tra le dita stringeva una sigaretta.  

“Chi è?” chiese Tosh incuriosita.

“Ha un’aria familiare” le fece eco Owen. 

“Sono io”.

Tutti si voltarono verso Ianto con gli occhi sgranati. Tranne Jack che era rimasto impassibile a spostare lo sguardo dal Ianto adulto in piedi vicino a lui a quello adolescente sdraiato sulla panchina.

“Cosa?!” esclamò il dottore. “Non ci credo”.

L’altro scrollò le spalle. “Libero di non credermi”.

“Ma se quello sei tu, allora… siamo nel tuo passato” concluse Tosh, guardando di nuovo in direzione del ragazzo.

“A quanto pare”.

Ianto non cambiava mai atteggiamento, né espressione. Rimaneva sempre impassibile, neutrale, posato… eppure Jack in quel momento riuscì a vedere un barlume di angoscia negli occhi azzurri del ragazzo, qualcosa che lo faceva terribilmente soffrire, qualcosa che già in altri momenti aveva notato ma che ora sembrava essere più forte. Forse era arrivato alla radice, forse adesso avrebbe potuto capire perché…

“Certo che avevi un’aria da ragazzaccio” constatò Owen.

Ianto adolescente a quanto pareva non stava dormendo. Aveva riaperto gli occhi al cielo nuvoloso e aveva tirato un paio di boccate dalla sigaretta.

“Eh già” sospirò quello grande.

Jack gli si avvicinò silenziosamente e intrecciò la propria mano con quella del compagno. Ianto si voltò sorpreso trovandosi i suoi occhi a poca distanza che lo guardavano decisi ma pieni di affetto. E il ragazzo si sentì subito confortato, al sicuro.
Finché c’era Jack neanche i suoi ricordi potevano fargli del male.

Ad un tratto videro arrivare un altro ragazzo. Doveva avere più o meno l’età del Ianto steso sulla panchina ed era vestito quasi allo stesso modo. Solo che aveva i capelli tagliati cortissimi e una cicatrice sul sopracciglio destro.
Si avvicinò al ragazzo nel parco, ma questi non sembrava averlo notato o sentito. O forse faceva finta. Il nuovo giunto perciò fu costretto a dargli un paio di colpi sul fianco per farsi notare. Soltanto a quel punto il giovane Ianto aprì gli occhi azzurri e guardò l’altro con espressione indifferente. Poi, con lentezza e calma, si tirò a sedere per fare posto all’amico.

“Guarda che ho trovato” gli disse questi, saltando tutti i convenevoli. Tirò fuori dalla tasca un piccolo sacchetto con della polvere bianca all’interno. “Me l’ha data Jimmy. Dice che è di ottima qualità”.

Ianto sbuffò. “Spero che non ti sia costata troppo, per quel che vale la parola di Jimmy”.

“Prova” lo esortò l’altro. Prese un fazzoletto, ci mise sopra la polvere, tirò fuori due cannucce e ne porse una al ragazzo accanto a lui.

I due ragazzi si chinarono e si cacciarono un po’ di quella roba nel naso. Subito si buttarono a terra, scoppiando a ridere.

“Aspetta, aspetta” borbottò l’altro tra una risata e l’altra. “Jimmy ha detto che ci mette un po’ a fare effetto. Non puoi essere già partito”.

Ianto tornò di nuovo serio e guardò in direzione dell’amico.

“Voglio fare una cosa” disse questi afferrando il fazzoletto e cacciandosi in bocca tutta la polverina rimasta. Poi si avvicinò a Ianto e gli diede un bacio sulle labbra. Ianto gli accarezzò una guancia, mentre l’altro gli metteva una mano tra i capelli per trarlo più vicino a sé.

Ianto adulto, invece, sentì la stretta di Jack sulla sua mano farsi più forte e tutto il suo corpo irrigidirsi mentre osservava la scena. A quanto pareva scoprire che c’erano stati altri ragazzi che aveva baciato con la stessa passione con cui baciava lui non gli faceva molto piacere.

I due ragazzi nel parco, nel frattempo, si erano separati e ora si guardavano a vicenda negli occhi.

“Un bacio alla cocaina? Wow!” esclamò Ianto, sempre col suo tono indifferente. A quanto pareva quella era una caratteristica che lo accompagnava da sempre.

“L’ho visto fare in un film. Figo, vero?” fece l’altro, pulendosi le labbra con la manica della giacca.

“Sì, figo”.

“Guarda, ho un’altra cosa”, disse ancora l’amico e, da una tasca interna della giacca, tirò fuori una siringa con un ago appuntito e piena di una sostanza giallognola. La mise di fronte a Ianto guardandolo eccitato. “Allora, che ne dici?”

“Cos’è?”

“Una bella dose di eroina”.

Ianto rimase leggermente sbigottito e passò lo sguardo dalla siringa all’amico.

“Te la regalo. Ma solo perché sei mio amico”.

Il ragazzo era ancora un po’ sbigottito, ma prese la droga con molta cautela, come se fosse la cosa più preziosa al mondo.

“Davvero ti facevi di quella roba?” esclamò Owen, spostando lo sguardo sul Ianto adulto vicino a lui. Come gli altri era rimasto a guardare tutta la scena scioccato, incredulo, stupito. Nessuno si aspettava che il calmo, gentile, pacato Ianto da ragazzino fosse stato… be’, un drogato.

“E non è tutto”. aggiunse l’interpellato. Forse era meglio prepararli, sicuramente non sarebbero usciti indifferenti da quella esperienza. E lui aveva come l’impressione che sarebbe durata ancora molto.

Tornarono a concentrarsi sui due ragazzi nel parco. Ianto adolescente si era intascato la sua eroina, con tanto di commento da parte di Owen (“spero che almeno sia sterilizzato quell’ago), mentre l’amico di cui ancora non si era scoperto il nome si era alzato porgendo la mano anche all’altro.

“Andiamo dagli altri. Ci stanno aspettando” gli disse, spolverandosi i pantaloni.

“Ray?” lo chiamò Ianto. L’altro, che si era già avviato, si voltò di nuovo inarcando un sopracciglio. “Hmm?”

L’amico sembrò ponderare su qualcosa, poi scrollò il capo. “No, niente”.

Ray ridacchiò. “Dai, andiamo”.

Ianto lo raggiunse, accendendosi un’altra sigaretta. I due si misero a camminare nella luce del tramonto.

Gli altri cinque li seguirono senza fiatare. Jack non aveva staccato la mano da quella di Ianto, ma questi sembrava non avere il coraggio di guardarlo. Teneva lo sguardo fisso sulla sua copia giovane.

Arrivarono in un parcheggio, probabilmente sul retro di un supermercato. I due adolescenti si avvicinarono ad un gruppetto di altri ragazzi, tutti più o meno della stessa età, adolescenti ma dalle espressioni per niente rassicuranti. C’era solo una ragazza tra di loro, vestita di borchie e pelle e piena di matita nera attorno agli occhi. Quasi tutti si stavano fumando una sigaretta e qualcuno stringeva delle bottiglie di birra in mano.

“Ray, Ianto!” li salutò uno di loro, con una bandana in testa, battendo i pugni.

I membri di Torchwood, intanto, si erano avvicinati, rimanendo comunque a debita distanza, nonostante gli altri non potessero vederli.

“Dov’eravate finiti?” chiese un altro, che indossava un cappellino da baseball.

“Ho dovuto recuperare questo qui nella Discarica” ridacchiò Ray indicando Ianto.

“Discarica?” gli fece eco Owen.

“Così chiamavamo il parco. Ci lasciavamo tutta la spazzatura”.

“Perché vai sempre in quel posto sudicio?” a parlare era stato di nuovo quello che li aveva salutati inizialmente. Sembrava essere il capo della banda.

“E’ tranquillo”.

“Io odio la tranquillità. È così… silenziosa, pesante…” questa volta fu l’unica ragazza presente a proferire quelle parole. Sembrava essere la più cattiva del gruppo, tutta vestita e truccata di nero, con lo sguardo da dura.

“Taci, nessuno ti ha chiesto la tua opinione, Betsy” la rimbeccò il capo con tono severo. Lei si zittì, ma lo guardò malissimo. “Ho voglia di fare qualcosa” aggiunse poi, guardando gli altri ragazzi.

“Andiamo alla spiaggia” propose quello col cappellino da baseball.

“E a fare che? Raccogliere conchiglie?”

“Perché non rubiamo in quel supermercato?” propose allora un biondino, l’unico che fino a quel momento se n’era rimasto in silenzio.

Il capobanda sorrise e lo guardò come se lo volesse mangiare.

“Bravo, Chris, allora vedo che il cervello ogni tanto lo usi”.

Chris lo guardò storto ma non disse niente. Finì solo di fumarsi la sua sigaretta.

“Andiamo!” li esortò allora l’altro. Ray, Betsy, Chris e quello col cappellino da baseball si alzarono per seguirlo. L’unico a rimanere fermo e impassibile fu Ianto.

“Che fai, Bambi, non vieni? Abbiamo bisogno delle tue mani magiche”.

Ianto sembrò esitare ancora un po’, ma alla fine si decise a seguirli.

“Bambi? Mani magiche?” commentò Owen, ridacchiando.

“Sta’ zitto!” gli intimò Ianto adulto, seguendo i ragazzi, sempre attaccato a Jack, come fosse la sua ancora. E probabilmente lo era.

Arrivarono davanti alla porta d’ingresso del supermercato, sbarrata e chiusa con un lucchetto. Ma ciò non sembrò demoralizzare il gruppetto.
Si misero a cerchio attorno alla porta, lasciando Ianto nel mezzo. Questi si chinò a osservare la serratura.

“Betsy”, disse poi.

La ragazza, come obbedendo a un ordine muto, allungò una mano tra i suoi capelli arruffati estraendone una forcina e porgendola poi all’amico. Sembrava che non fosse la prima volta che facevano quella cosa, erano troppo ben organizzati.

In alcune mosse il giovane Ianto, con uno schiocco secco, fece scattare la serratura. Tolse il lucchetto e la catena, aprendo la porta.

“Questo è il paradiso”, commentò il capogruppo con un sorrisetto soddisfatto. “Arraffate tutto quello che potete”.

I ragazzi non se lo fecero ripetere due volte. Si calarono i cappucci sul viso, per non essere visti dalle telecamere, ed entrarono dentro. Prima di seguire gli amici, però, il boss si avvicinò a Ianto e gli sussurrò in tono malizioso: “Spero che tu ci sappia fare altrettanto bene anche con le cerniere”.

Il ragazzo non disse niente, rimase impassibile, osservandolo sparire dentro. Dopo di che si decise a raggiungerli.

“Cazzo, eri anche un ladro!” esclamò Owen sempre più scioccato. A dire il vero erano tutti scioccati. Avevano già visto il passato più brutto degli altri, ma questo era quello che li stava lasciando più interdetti.

Dopo pochi minuti i ragazzi uscirono, ciascuno con la propria refurtiva. Ianto stringeva tra le mani solo una tavoletta di cioccolato che aveva già scartato, il ragazzo col cappellino da baseball invece si era riempito di riviste con modelle nude in copertina.

“Andiamo a nascondere questa roba. Ci possiamo rivedere più tardi”.

Ciascuno dei ragazzi se ne andò nella propria direzione, solo Ray e Ianto si allontanarono insieme.

“Usala solo se ti serve, quella siringa”, si raccomandò il giovane coi capelli corti. “L’ho pagata cara”.

“Certo”, lo tranquillizzò l’amico, accendendosi un’altra sigaretta.

Il resto del tragitto lo fecero nel più completo silenzio, seguiti dal Torchwood che rimase sempre dietro le loro spalle. Quando arrivarono davanti al cancelletto di una casa dal giardino disordinato e malcurato e i muri scrostati, si salutarono.

“Spero che mio padre sia già a letto”, disse Ianto prima che l’amico se ne andasse.

“Se hai problemi non esitare a chiamarmi”.

L’altro annuì. Poi cominciò a dirigersi verso la porta d’ingresso con sguardo da condannato. Aprì la porta il più silenziosamente possibile e, in punta di piedi, andò verso le scale prendendo a salirle, tallonato sempre dai cinque. Era completamente buio nella casa ed effettivamente era parecchio tardi, se c’era qualcuno probabilmente doveva già essere andato a dormire.

“Oh cazzo!” esclamò a quel punto Ianto adulto.

“Che c’è?” chiese Gwen che non aveva mai sentito l’amico dire le parolacce.

“No… non pensavo che… non ricordavo che fosse successo quel… giorno”.

“Successo cosa?” fece Jack che aveva intuito che stava per succedere qualcosa di brutto. Ianto si girò verso di lui guardandolo con due occhi che sembravano implorargli aiuto. Ma Jack non aveva idea di che cosa fare.

“Che cosa deve succedere?” insisté Owen. Anche lui aveva una brutta sensazione.

“Ragazzi, non avrei mai voluto che vedeste questa scena”.

Di nuovo il dottore fece per aprire bocca e chiedere delucidazioni, ma una voce baritonale accanto a lui lo interruppe.

“Ianto?”

Ianto giovane, giunto ormai quasi in cima agli scalini, si bloccò e sembrò maledire tutti i santi del paradiso.

“Papà” disse, senza alcuna espressione.

“Ti sembra questa l’ora di ritornare?”

Il giovane non rispose subito. Spostò lo sguardo nella direzione dove stavano i cinque, ma senza vederli. Poi tornò a guardare il padre.

“Hai bevuto… di nuovo” concluse solo, anche se non c’entrava niente con la domanda fattagli dall’uomo. Probabilmente voleva solo sviare il discorso.

“Qui le domande le faccio io, ragazzino!” gridò, allora, l’uomo. “E vieni qui”.

Ianto esitò, come prima al supermercato, ma poi scese i gradini e raggiunse il padre. Questi gli diede uno schiaffo in piano volto, facendolo voltare per il contraccolpo.

Tosh gridò per lo spavento e Ianto adulto strinse di più la presa sulla mano di Jack, come se il dolore lo potesse sentire lui.

“Tu non mi devi mancare di rispetto, mi sono spiegato?” gridò di nuovo l’uomo in faccia al ragazzo. Era ubriaco, chiaramente molto ubriaco e il figlio riusciva a sentirgli benissimo l’alito che sapeva di birra. Gli faceva venire la nausea. Il padre lo sbatté contro il muro. “Quelli come te vanno puniti, vanno presi a botte. Sei solo un finocchio di merda”, e gli diede un altro schiaffo.

“No” bofonchiò Ianto adulto. “Non lo voglio… non voglio vederlo”.

Jack lo strinse a sé cercando di farlo voltare, ma l’altro non riusciva più a staccare gli occhi dalla scena.

Ianto giovane, sotto a quel nuovo schiaffo, cadde a terra. Il padre gli diede un calcio nello stomaco mozzandogli il fiato, tant’è che non riuscì nemmeno ad urlare e la sua bocca si distorse in una smorfia di dolore. Poi l’uomo prese a slacciarsi le brache.
Gli altri credettero che volesse solo togliersi la cintura per picchiare il figlio e invece… aveva abbassato la cerniera, calatosi i pantaloni e le mutande esponendo il suo membro duro e turgido. Poi si abbassò verso il figlio prendendo a maneggiare coi suoi pantaloni.

I cinque rimasero a guardare la scena con gli occhi spalancati, colmi di disperato terrore e orrore. Non potevano crederci. La scena era davanti ai loro occhi eppure non potevano crederci. Era… era angosciante, terrificante… inaudito.

L’uomo mise in bella vista il didietro del figlio e, con un affondo secco, lo penetrò, senza neanche preoccuparsi di non fargli male. La cosa non gli importava, dopotutto.
Ianto gridò. Un urlo che si doveva essere sentito fino alla fine della via, un urlo lancinante. Eppure nessuno accorse a vedere che cosa stava succedendo, nessuno accorse ad aiutarlo.
Il ragazzo prese a dimenarsi sotto di lui, battere i pugni per terra cercando di sgusciare via, ma la prese del padre era troppo forte.

“Ti prego… ti prego… ti prego…” cominciò a supplicarlo, col volto pieno di lacrime. “Mi stai… facendo male… ti prego… ti prego”.

Le sue suppliche però sembrarono animare ancora di più l’uomo che prese a spingersi dentro di lui con ancora più forza, e perché smettesse di fare rumore gli bloccò le braccia al pavimento con le proprie mani, tenendolo in una morsa d’acciaio. Il ragazzo non aveva altra possibilità se non lasciare che l’altro lo violentasse, pregando di svenire per non sentire più quel dolore.

“Ti piace, eh, Finocchio? È questo che si meritano quelli come te”.

“Ti prego… basta… ti prego…” lo supplicò ancora Ianto, piangendo e urlando senza sosta, lo sguardo rivolto verso il salotto dal quale vedeva provenire la luce della tv accesa.

Anche gli altri presenti nella casa desideravano trovarsi ovunque tranne che in quella stanza, di fronte a quella scena. Eppure ancora non ne potevano uscire. Quanto ancora sarebbe durata quella tortura?
Tosh si era accucciata per terra in direzione della porta con le mani sulle orecchie per non dover sentire le suppliche e le grida del ragazzo e i gemiti di piacere del suo aggressore, il viso rigato di lacrime e il corpo scosso dai singhiozzi. Anche Owen e Gwen si erano voltati, lui con le braccia appoggiate al muro e il sudore che gli colava sulla fronte e lei col viso nascosto sulla sua spalla, a trattenere il pianto.
L’unico che aveva abbastanza sangue freddo per guardare era Jack che non si era mosso di un millimetro, le labbra strette in un’espressione dura e Ianto tra le braccia gli piangeva contro la spalla.

“Jack, fallo smettere… ti scongiuro, fallo smettere”.

Il Capitano si sentì stringere il cuore. Che cosa poteva fare? Per l’ennesima volta si sentiva impotente e stava di nuovo permettendo che qualcuno facesse del male al suo Ianto. Non poteva nemmeno avventarsi contro quell’uomo e prenderlo a pugni fino alla morte.

Finalmente, dopo un ultima spinta da parte dell’uomo e un altro grido mezzo strozzato da parte del ragazzo, la violenza si concluse. Il padre si staccò dal corpo del figlio e, senza fare né dire niente, si allontanò con espressione beata, contento del suo orgasmo e il membro ancora penzolante.

Ianto adolescente, invece, rimase lì, steso a terra e coi pantaloni ancora abbassati, piccoli singhiozzi scuotevano il suo corpo magro e gracile.
Voltò lo sguardo pieno di lacrime in direzione di Jack e al Capitano, per una frazione di secondo, parve che lo avesse visto. Si specchiò in quelle pozze azzurre e piene di dolore trovandovi il suo Ianto, quello che in quel momento stava stringendo tra le braccia. Erano identici, gli occhi erano identici, stesso taglio, stessa grandezza, stesso colore… e stesso dolore. Adesso capiva, adesso capiva molte cose, cose che prima aveva dato per scontato, a cui non aveva fatto caso. E si diede mentalmente dello stupido. Come aveva potuto essere così superficiale?

Dopo un po’ anche il giovane Ianto cominciò ad alzarsi da quel freddo e sudicio pavimento. Dapprima cercò di mettersi a quattro zampe ma una scossa di dolore lo colpì nella zona del fondoschiena facendolo quasi cadere di nuovo a terra. Trattenne a stento un grido.
Il ragazzo però non mollò e riuscì a mettersi in ginocchio, lasciando sgorgare una lacrima ad ogni movimento. Si tirò su i pantaloni e, con non poca fatica, riuscì in qualche modo ad alzarsi in piedi. Evidentemente aveva paura che il padre tornasse di nuovo e che lo violentasse ancora o chissà cos’altro.

Anche gli altri, notando che era calato il silenzio, si erano voltati per vedere che cosa stava succedendo. Il ragazzo aveva cominciato a salire le scale dovendosi reggere con tutte e due le mani sul corrimano e un paio di volte rischiò di cadere.

Jack era stato il primo a seguirlo, esortando gli altri e trascinandosi dietro un Ianto ancora in lacrime che gli si era aggrappato alla schiena.

Finalmente Ianto adolescente riuscì a raggiungere la sua stanza. I cinque di Torchwood entrarono dentro rapidamente prima che il ragazzo sbattesse la porta dietro di sé con un calcio. Quel gesto però gli fece perdere il già precario equilibrio e così rovinò di nuovo a terra cadendo su un fianco. Un singhiozzo gli scappò dalle labbra.
Gattonò verso l’armadio e ne tirò fuori un borsone vuoto nel quale cominciò ad infilare vestiti alla rinfusa che tirava fuori dai vari cassetti, e altri oggetti che trovava in giro, apparentemente a caso. E tutto questo senza dire niente, senza proferire fiato, se non gemiti di dolore.
Infine infilò la mano sotto il materasso e ne estrasse fuori un coltello dalla lama ben appuntita.

Il gruppetto che era lì impallidì a quella vista pensando a che cosa avrebbe potuto farci. Ma poi, quando lo videro metterlo in una tasca della valigia, tirarono un sospiro di sollievo.

Dopo aver fatto quell’operazione, Ianto salì sul letto e prese il cellulare. Digitò alcuni numeri ma prima di schiacciare il tasto di chiamata rimase a fissare il muro di fronte a lui, con il poster di Star Trek.
Ci ripensò e lo ripose via. Si tastò le tasche e tirò fuori la siringa di eroina che Ray gli aveva dato poco prima.
Accese la lampadina sul comodino, afferrò un laccio che trovò li vicino e se lo legò sul braccio sinistro, poco sopra il gomito. Questa volta non c’erano ripensamenti. Distese l’arto e, con un solo colpo, affondò l’ago dentro la vena. Se gli fece male non lo diede a vedere. Iniettò tutta la stanza spingendo lo stantuffo e, immediatamente, il suo viso assunse un’espressione rilassata. Quando ebbe finito buttò tutto quanto a terra, senza neanche disinfettare, mentre una macchiolina di sangue si faceva largo lì dove si era bucato.
Infine si buttò sul letto e chiuse gli occhi, aspettando che il sonno lo cogliesse.

Jack, Gwen, Owen, Tosh e Ianto adulto vennero di nuovo risucchiati nel vortice e scomparvero. Si ritrovarono a Torchwood, nella loro base, così familiare e così calda.

 

 

MILLY’S SPACE

Ebbene, questa volta non ci ho messo tanto : ) dopotutto avevo il capitolo già pronto… che ne dite? Lo so, lo so, ho esagerato molto le cose. Nel telefilm non si dice che Ianto si drogasse né che era stato violentato dal padre, per quanto questi fosse violento, ma la mia vena sadica non ha resistito. Spero abbiate apprezzato lo stesso, sentitevi liberi di dirmi quello che pensate.

Nel prossimo capitolo, che dovrebbe essere la terza e l’ultima parte, vedremo che cos’è successo in seguito e come ha fatto Ianto a superarlo.

Spero ci sarete.
Baci : )

Milly.  

HELLOWSWAG: be’, non ci ho messo molto… contenta : ) fammi sapere che ne pensi. Un bacio.

  
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