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Autore: SylviaGreen    24/11/2013    2 recensioni
Si possono dire tante cose su Sylvia Green: dormigliona, golosa, chiacchierona, irriverente, pigra, incontrollabile. Ma su due cose si può andare sul sicuro: non è una strega e non ha ricevuto la sua lettera per Hogwarts.
Eppure, per una strana successione di eventi, Sylvia Green si ritrova a bordo dell'Hogwarts Express, a chiacchierare tranquillamente con Harry e Ron. L'autrice si sarà bevuta il cervello? Probabile.
Ma allora, cara Sylvia Green, che cosa sei?
«Una wimag», risposi automaticamente. «Cioè qualcosa di strano, complicato e ignoto».
STORIA INTERROTTA
Genere: Commedia, Fantasy, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Draco Malfoy, Famiglia Weasley, Harry Potter, Hermione Granger, Nuovo personaggio
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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Ehi, anche io so volare!
 


 
Avrei voluto urlare. Per avvisare Harry, per far tornare indietro il tempo in qualche modo, per impedire in qualunque maniera mi fosse possibile che lei non vedesse quello che aveva appena visto, per fare qualcosa, qualunque cosa fosse …
C’è sempre la speranza che in realtà non sia successo niente …
«Potter!», gridò la McGranitt, il panico e la rabbia nella voce, le labbra sottilissime. «Cosa diamine ti è saltato in mente, si può sapere?».
Come non detto.
Harry rimase paralizzato, la scopa stretta in una mano e la ricordella nell’altra. Il suo brusco atterraggio lo stava rapidamente portando alla realtà. «Io … professoressa …». La voce gli morì in gola: stava capendo il problema.
«Come osi …», sibilò lei, stringendo ancora di più la bocca. Era impossibile dire se fosse più arrabbiata o più spaventata. Non sapevo quale fosse peggio. «Avresti potuto romperti l’osso del collo … mai, da quando sono a Hogwarts …».
Lui continuava a tacere. Non aveva ancora mollato la scopa, e ora la stringeva come se fosse l’unica ancora di salvezza che avesse. La lenta realizzazione delle conseguenze di ciò che la sua impulsività lo aveva spinto a fare si poteva distinguere chiaramente nei suoi occhi e sulle nocche, che stavano diventando progressivamente bianche dallo sforzo di aggrapparsi alla scopa.
Nessuno parlava, e l’unico rumore nel cortile era il bubbolare lontano di un gufo, nella Foresta Proibita, probabilmente arrabbiato per essere stato svegliato da qualcosa. Tutti fissavano alternativamente la McGranitt e Harry, cercando di capire per primi quale sarebbe stata la prossima mossa di uno dei due; l’unica che guardava a terra, con un’irritante aria di chi la sa lunga, era Hermione. Come se la situazione non fosse stata abbastanza problematica, lei fissava l’erba accanto alla sua scopa con grande interesse, e mi sembrava quasi di vedere un sorrisetto minuscolo aleggiarle sul volto. Certo: non era lei quella che l’aveva fatta volare senza permesso, e non era lei quella che era rimasta a guardare mentre un suo compagno di casata lo faceva.
Ma non era l’unica che gioiva.
Draco Malfoy, alle spalle della professoressa McGranitt, stava dicendo qualcosa a Tiger e Goyle sottovoce.
Qualcosa che aveva tutta l’aria di essere divertente.
Reagii d’impulso. «Ma professoressa, è stato provocato!», esclamai.
Molti sbatterono le palpebre, sorpresi: non si aspettavano un tale risvolto nella situazione.
«Silenzio, Green», rispose la McGranitt senza neanche guardarmi. «Potter, seguimi».
Harry aveva appena incominciato a muovere la gamba destra che altre voci esplosero tra i Grifondoro: la mia richiesta era caduta nel vuoto, ma per lo meno aveva risvegliato qualcosa.
«Professoressa, Neville …».
«Taci, signorina Patil[i]».
«Non è stata colpa sua, professoressa …».
«Green, non ti avevo detto di smetterla?».
«Ma dico davvero …».
«Green, per favore …»
«Ma Malfoy …».
«Basta così, Weasley».[ii]
«Sì, però Malfoy …».
«Weasley, ti ho detto ‘basta così’», ripeté la McGranitt per la quinta volta.
Ormai avevo finito le risposte, e le sopracciglia della mia professoressa si stavano arcuando sempre di più in modo che suonava assai pericoloso, almeno ad una prima occhiata. Sembrava avere voglia di fulminarci tutti se solo uno avesse osato controbattere.
Si guardò intorno con quegli occhi fiammeggianti per qualche secondo, poi si rivolse di nuovo a Harry. «Avanti, Potter. Seguimi».
In tutto questo, lui era rimasto come paralizzato, ancora stretto alla sua scopa, ma non aveva provato a protestare. Doveva ormai aver capito l’antifona: io, Ron e Calì avremmo potuto andare avanti a implorare per ore, e non sarebbe successo comunque niente. Con sguardo sconsolato, lasciò la vecchia scopa dalla mano, che cadde con un tonfo sordo sul prato e il cui eco sembrò riecheggiare in tutto il cortile. Poi diede la ricordella a Ron con la richiesta muta di consegnarla a Neville – e di fargli pesare per circa qualche decennio quanto era costata la sua sbadataggine, mi promisi –, si stiracchiò un po’ le nocche e ci fece un cenno stanco con la mano. «Ci vediamo dopo», mimò con le labbra.
Dopo.
Mentre prendeva il treno che lo avrebbe riportato a Londra.
Poi ci voltò le spalle, e a testa alta seguì la professoressa McGranitt fuori dal cortile.
Probabilmente verso il suo ufficio. A seguire, verso quello di Silente.
E verso l’espulsione.
«Oh, madama Bumb! Ho bisogno di Potter per qualche minuto, ti spiace?».
La McGranitt si era fermata di scatto, e Harry, preso com’era dai suoi pensieri, le era quasi finito addosso: la professoressa di volo era appena tornata tutta trafelata dall’infermeria, con i corti capelli grigi scarmigliati, il mantello nero tutto storto e le mani bagnate, e stava venendo incontro alla McGranitt.
«Minerva!», esclamò, e la raggiunse quasi correndo. «Proprio te cercavo … Paciock, il signor Paciock si è fatto male durante la lezione, si è rotto il polso, ora è in infermeria … per la barba di Merlino, quanto può essere maldestro?». Nell’alzare gli occhi al cielo, incontrò lo sguardo della McGranitt; e dall’occhiata di fuoco che lei le rivolse, dovette capire che non le importava molto delle disavventure di Paciock su un manico di scopa, perché si affrettò ad accorgersi che la professoressa aveva Harry alle calcagna. «Oh, non dirmi che un altro lascia il cortile! Cosa diavolo è successo, Potter? Ti sei fatto male? Anche tu? Ma non avevo detto che dovevate tutti rimanere a terra? Non dovete giocare per la nazionale da qui a cinque minuti: che fretta avete tutti quanti di salire su queste dannate scope? Che poi funzionano anche male … probabilmente le vecchie Scopalinda funzionerebbero molto meglio, e sono anche di serie … e costano solo una quarantina di galeoni, perché nessuno dice a Silente che sarebbe una buona idea comprarle?».



«Mia cara Rolanda», la interruppe la McGranitt, «so bene quanto tu sia informata sulle scope e mi piacerebbe davvero ascoltarti, ma al momento devo …».
«Oh, certo che sono informata, e Silente farebbe bene a starmi a sentire, per una volta!», ribatté madama Bumb senza ascoltarla. «Scopalinda non produce grandi scope, questo ormai lo sanno tutti – la compagnia dei fratelli Ollerton era innovativa nel ’26, non ora – ma la 2 e la 3, che ormai risalgono a una sessantina d’anni fa, potrebbero anche andar bene per degli studenti che desiderano avvicinarsi per la prima volta ad una scopa, dato che hanno una buona capacità di curvare e sono state prodotte appositamente per uso sportivo, e poi …».
«Rolanda». Quella volta la McGranitt parlò con tono deciso, suscitando le risa di alcuni ragazzi intorno a me. «Ho bisogno di Potter per qualche minuto».
«Cosa?», rispose lei, ancora presa nel suo mondo di manici di scopa. «Cos– … ah, sì, va bene. Perché?». I suoi occhi indugiarono su Harry, passarono distrattamente sulla sua cicatrice e si spalancarono lentamente quando notò che aveva la divisa sporca di terra. Aveva capito. «Hai volato durante la lezione, vero?», esclamò. «Vi avevo detto di non farlo! Ma ti sei fatto male? Non dirmi che devo portare anche te in infermeria … ti prego, un altro proprio non lo reggo …».
La McGranitt intervenne prima che incominciasse un’altra tiritera. «No, neanche un graffio», disse con tono sbrigativo, trascinando Harry per un braccio, «ma ti spiegherò tutto dopo. Ora è fondamentale che ci avviamo … dai, Potter!».
Con Harry che minacciava di cadere sotto le spinte della McGranitt e questa che continuava a incitarlo per evitare che le chiacchiere di Madama Bumb li rallentassero di nuovo, i due scomparvero.
L’eco dei passi affrettati dei due nel corridoio si spense lentamente, e calò il silenzio per qualche secondo.
Solo ora che se n’era andato mi ero veramente resa conto della realtà.
Harry sarebbe stato espulso.
Dopo neanche un mese, sarebbe uscito dalla scuola per non farvi mai più ritorno.
Ron e io saremmo diventati dei maghi o una sottospecie di essi senza di lui, e nessuno dei due poteva fare qualcosa per impedirlo.
Sul momento mi era parso meraviglioso che Harry avesse difeso Neville recuperando la ricordella per lui, specialmente perché aveva fatto un figurone davanti a tutti i Serpeverde, Malfoy per primo; ma ora … ora che fissavo senza vederlo il punto in cui prima era lì a festeggiare con la ricordella stretta in pugno, mi chiedevo perché a lui.
E, per conseguenza, perché a me.
Harry era un mio amico. Il mio primo vero amico dopo undici anni di solitudine e di finzione. Era il primo ragazzo che avevo conosciuto a Hogwarts e la ragione prima e ultima per cui avevo deciso di venirci invece di restarmene tra i babbani. Era stato lui a incuriosirmi, lui ad avermi fatto trovare il carrello, lui che poi mi aveva incoraggiato ad attraversare quel binario.
Se ora mi trovavo in un cortile a Hogwarts e stringevo un manico di scopa volante al posto di una ramazza per pulire il pavimento di casa mia, sotto lo sguardo vigile della mia vicina di casa, era solo ed esclusivamente merito suo. Lui non aveva mai avuto veramente idea di quanto tutto questo significasse per me, e io non avevo mai trovato le parole giuste per dirglielo, specialmente perché temevo che, nel farlo, le mie guance sarebbero diventate di una fluorescente tonalità di fucsia che avrebbe svelato più di quanto io ero disposta a confessargli.
Quella paura in quel momento mi sembrava stupida e insensata. Credevo di avere anni a disposizione per parlargliene e per dimostrargli con i fatti, più che con i discorsi, cosa pensavo di lui; e invece lui era costretto a lasciare quella stessa scuola che con tanta determinazione mi aveva spinto a raggiungere.
E tutto questo perché aveva cercato di recuperare qualcosa che Neville aveva perso e che Malfoy aveva rubato.
Provai per un attimo a immaginarmi come mi sarei sentita se in quel momento mi avessero ordinato di andarmene da Hogwarts. Fortunatamente fu solo per un attimo, perché non credevo che avrei retto al colpo.
Harry era costretto a lasciare Hogwarts per colpa di Malfoy.
Io sarei rimasta senza Harry per colpa di Malfoy.
Non tutto era perduto, certo: sarei diventata una wimag coi fiocchi e avrei imparato tutto quello che lui non era riuscito a capire, per poi magari insegnarglielo; gli avrei scritto tutti i giorni, utilizzando tutti i gufi che sarei riuscita a convincere;  e poi ci sarebbe stato sempre Ron a farmi compagnia, e Hermione, che imparava molto più in fretta di me e che avrebbe potuto aiutarmi con le spiegazioni per Harry … e soprattutto avrei avuto un biondino apparentemente perfetto e curatissimo da fare in tanti pezzettini ventiquattr’ore su ventiquattro, in barba a qualunque cosa potesse provare per me il primo giorno. Con appena un po’ più di allegria, pregustai tutto quello che avrei potuto fargli per vendicarmi: spaccargli la faccia, come prima cosa; e farlo scivolare lungo dodici rampe di scale di fila, sperando che una di loro decidesse di spostarsi all’ultimo per farlo cadere nel vuoto; e costringerlo a farsi bersagliare da tutti i fantasmi in una volta; e … e …
Dopo una settimana, già lo sapevo, quel passatempo sarebbe venuto meno, o per mancanza di idee sulla nuova tortura, o per morte da parte del torturato. La soluzione era risparmiarlo – anche se l’idea mi faceva rizzare immediatamente i capelli in testa – oppure combinare un bel disastro che avesse molto a che fare con la sua permanenza in infermeria per qualche decennio davanti a tutta la scuola, così da farsi espellere seduta stante e poter raggiungere Harry, dovunque fosse in quel momento. Ammetto che nessuna delle due ipotesi mi allettava, perché sì, volevo molto bene a Harry, ma Hogwarts era Hogwarts.
La voce di Madama Bumb mi raggiunse come da molto lontano.
«Molto bene. Molto … bene. Molto bene».
Aveva un tono indecifrabile: un po’ un misto tra confusione, irritazione, spavento e isteria, senza una prevalenza effettiva di uno dei quattro sentimenti.
«Bene!».
La quarta volta, si era aggiunto anche il tipico tono da professoressa arrabbiata da non contraddire, che doveva aver preso dalla McGranitt. Fossi stata un pelo meno lucida, probabilmente avrei incominciato sin da subito a perseguire il mio obiettivo “facciamoci tutti espellere per salvare il-Ragazzo-Che-È-Sopravvissuto”, ma considerato il tutto era meglio incominciare dal giorno dopo: poteva esserci comunque una minima possibilità che non venisse espulso. Dopotutto, madama Bumb si era sorpresa di vedere la McGranitt che trascinava via Harry, e quindi potevo addirittura azzardarmi a pensare che l’una non sapesse dei progetti dell’altra. O forse era solo una mera utopia.
Comunque sia, alle parole della professoressa alzai stancamente lo sguardo per fissarla, e la vidi che si aggirava irrequieta tra le nostre scope adagiate per terra, cercando di richiamare l’ordine. «Ricominciamo l’esercizio. E per piacere, cercate di non rompervi altre parti del corpo prima della fine dell’ora. Di corsa, muoversi!».
In quei due secondi, come risvegliati da una trance, tutti i miei compagni di Grifondoro e gli altri di Serpeverde erano riusciti a mettersi di fianco alle proprie scope, a dire velocemente «Su!» e a portarle alla suddetta posizione con una buona dose di imprecazioni in sostituzione della formula, o quel che era. Oltre a quello, però, non sembravano aver voglia di fare altro. La recente e probabile scomparsa di Harry pareva averli tutti pietrificati nella sua stessa ultima posizione: con le nocche bianchissime nello sforzo di tenersi alla scopa.
«Al mio fischio …», gridò Madama Bumb, che non si era accorta di nulla. « … Tre, due, uno …».



Fischiò per due secondi di fila, finendo il fiato e sputacchiando; ma nessuno si era ancora alzato in volo.
Ci guardò, sorpresa e incapace di credere che nessuno di noi avesse anche un solo neurone concentrato sulle sue parole.
Io mi ero completamente dimenticata di scopo e modalità dell’esercizio che aveva dato inizio a tutto quel casino, e ad essere sinceri non me ne importava assolutamente niente. Se la professoressa non fosse stata lì, con i suoi occhi gialli che mi inchiodavano sul posto; e se fosse stato permesso mandare allegramente a cagare un professore, in quel momento l’avrei fatto e avrei ricorso la McGranitt per tutta Hogwarts, urlando a squarciagola … avrei tirato giù metà quadri di Hogwarts, costringendola ad ascoltarmi … avrei tirato giù un putiferio e coinvolto metà del corpo insegnanti, il preside e alcuni fantasmi, ma lei non poteva espellere Harry, non poteva … e invece ero lì, apatica e senza vita, a rifare quello stesso esercizio che era stato la causa indiretta di tutto!
Madama Bumb si guardò un po’ in giro, analizzò velocemente gli studenti e dovette arrivare a dedurre che nessuno di noi si ricordava un granché dell’esercizio. «Ma cosa avrà fatto Potter di così eclatante?», sbottò all’improvviso.
Il mio cuore mancò un battito. E poi un altro. E un altro ancora.
Poi riprese a battere furiosamente, salendomi quasi in gola per ribadire la sua autorità e rischiando di uscire dalla bocca.
Il fatto che la professoressa, con voce molto seccata e con molte imprecazioni trattenute di mezzo, incominciasse a rispiegare tutto l’esercizio per filo e per segno, prendendo persino Malfoy come cavia, era assolutamente irrilevante.
L’unica cosa che aveva importanza in quel momento era che madama Bumb non era per niente al corrente dell’azione – che io chiamerei impresa se non fossi spudoratamente di parte – di Harry e delle sue conseguenze.
Il che significava che la McGranitt, qualunque cosa avesse visto, aveva fatto tutti i suoi ragionamenti per conto suo.
Il che significava ancora che probabilmente non conosceva la minaccia di espellere Harry da Hogwarts e che forse – ma solo forse – non aveva mai pensato di farlo.
Forse Harry non sarebbe stato espulso.
Forse io non dovevo necessariamente spaccare la faccia a Draco Malfoy nelle successive ventiquattro ore.
Forse non c’era la certezza, ma per lo meno c’era la speranza.
Lanciai un’occhiata raggiante a Ron; ma prima di farlo, mi accorsi che era talmente depresso che aveva alzato lo sguardo solo in quel momento dopo un’interessata analisi dei ciuffi d’erba vicino alle scope – i quali, nelle ultime ore, sembravano avere acquisito un particolare interesse per tutti – e che quindi probabilmente si sarebbe offeso, se io mi fossi rivolta a lui in quel momento con un viso così illuminato e gioioso. E non sia mai che Sylvia Green pecchi di tatto, o no?
In ogni caso, la mia mente, per la prima volta, si concentrò veramente sulle parole di madama Bumb.
«E non dimenticate che dovete salire di un metro. Non di più! Una leggera spinta, e il peso in avanti prima che scivoliate a terra. Tenete la scopa ben salda! E le ginocchia devono essere leggermente piegate, in modo da evitare bruschi ritorni al suolo! Esattamente così!». Afferrò Malfoy per le spalle e lo abbassò con una tale forza da farlo gemere silenziosamente per il dolore, mentre rimetteva a posto le rotule nell’articolazione e piegava le gambe. Sorridendo, cercai di memorizzare l’idea: avrei potuto replicarla, semmai si fosse presentata l’occasione.
«Spero che sia chiaro per tutti!», esclamò alla fine, dopo un quarto d’ora di spiegazione. Non si era mai dilungata tanto fino a quel momento e immaginai che l’ultima cosa che desiderasse in quel momento era un’ennesima gitarella in infermeria.
«Ora, pronti … al mio fischio!».
Malfoy sfuggì alla sua presa e riafferrò la sua scopa, mettendovisi a cavalcioni. Ron, mogio mogio, lo imitò; e tutti gli altri ragazzi fecero lo stesso, chi più e chi meno eccitato.
«Tre … due … uno …».
Montai anche io sulla scopa e strinsi il manico con tutta la forza che avevo: era dopotutto il primo volo, e io non volevo cadere da sei metri come Neville. Purtroppo tra le dita tenevo del legno talmente marcio che temevo che si modellasse e accartocciasse al mio tocco. Sperai che reggesse per il tempo rimanente della lezione.
Madama Bumb fischiò una seconda volta e io, come molti altri insieme a me, piegai le gambe e mi accinsi a darmi la spinta.
Tanto non voli, mi dissi improvvisamente mentre lo facevo.
Fui talmente sorpresa di me stessa da rimanere paralizzata un’altra volta.
Nonostante le rassicurazioni del Cappello, nonostante il fatto che seguissi lezioni metà magiche e metà babbane e nonostante tutto ciò che mi aveva detto Silente, una parte di me era ancora convinta che sarei rimasta a cavalcioni sulla scopa, saltellando come un coniglio paralitico, a guardare Ron volare senza poterlo raggiungere, e Harry, che volava benissimo senza aver mai preso lezioni da nessuno. La possibilità che venisse espulso mi colpì di nuovo con un pugno in pancia, e per un attimo contemplai di nuovo l’idea di farmi espellere apposta; ma alla fin fine tutto si riduceva al volere o no restare a Hogwarts, e se non ci fossero state altre complicazioni, non ci sarebbero stati dubbi sulla mia risposta a quel dilemma.
Risentii la voce di Silente, ovattata dal sonno che avevo quella sera: «A quanto mi è stato riferito dal professor Piton e da madama Bumb, non ti occorrono particolari capacità magiche per seguire queste lezioni». E quel giorno, Piton mi aveva fatto un complimento sulla mie esecuzione della pozione scaccia brufoli.
A ben vedere, quell’esercizio con la scopa era l’ultima, definitiva prova che non ero una babbana – o almeno non del tutto – e che avevo il diritto di frequentare Hogwarts più o meno come gli altri.
Mi chinai, feci due lunghi respiri profondi, e finalmente saltai.
E mi alzai in volo non appena i miei piedi lasciarono la terra.
Senza ritornare giù.
Con la felicità più estrema, mi accorsi che era una cosa che avrei saputo fare senza bisogno di studiare. Un po’ Harry me l’aveva insegnato nel suo primo tentativo, un po’ era come se il mio istinto stesso avesse la piena coscienza di quello che stava facendo e sapesse come dirigermi. E io, contro qualunque forza di gravità esistente, stavo fluttuando in aria, sempre più in alto. Nonostante il mio peso considerevole, viste le quantità di cibo che trangugiavo ogni volta che ne avevo l’occasione, mi sentivo leggerissima nell’aria, come una piuma sospinta dal vento; ma a differenza di questa, ero io a decidere dove andare, ed era la scopa ad eseguire. Il manico mezzo marcio rispondeva ai miei comandi e ai miei pensieri come una parte del mio corpo perfettamente efficiente.
Infatti ero talmente eccitata che stavo rischiando di salire di venti metri senza neanche rendermene conto.
A differenza sua, però, io sapevo cosa fare anche se non avevo ascoltato una parola tra quelle di madama Bumb. Avevo il controllo della mia scopa e sentivo che sarei scesa quando lo avessi voluto, quasi immediatamente.
Ma chi aveva voglia di scendere?
Avevo sempre desiderato volare, e da piccola Peter Pan mi aveva sempre affascinato per quella sua meravigliosa possibilità di spiccare il volo con un semplice salto; e ora che anche io potevo, seppur con un mezzo, imitarlo, non avevo nessuna intenzione di rimanere con i piedi per terra. Avrei potuto restare in aria per ore e non mi sarei stancata, mai.
«Ehi, Sylvia! Funziona! Ce la facciamo!».
In questa grande esaltazione, le parole di Ron si insinuarono nella mia testa come da molto lontano, come fosse stato il ticchettio di una sveglia mentre stavo ancora dormendo; ma lui non era affatto distante da me.
A ben vedere, era quasi a un metro di distanza.
Era più malfermo sulla scopa di me e si teneva con entrambe le mani e meno sicurezza, ma il peggio era passato: non era caduto. Non aveva e non avrebbe mai fatto la figuraccia di Neville, e non l’avrebbe raggiunto in infermeria.
Gli sorrisi; e per la prima volta da quando Harry se n’era andato, lui ricambiò. Era un sorriso debole e incerto, come se si sentisse in dovere di trattenerlo, ma non poteva fare a meno di esibire, in un impercettibile movimento delle labbra, quanto fosse felice e soddisfatto di se stesso; e io neanche.



Dall’alto, potevo vedere anche la situazione dei miei compagni di casata, e non se la stavano cavando molto male: Dean Thomas era alle calcagna di Ron, stringendosi talmente forte alla scopa che sembrava la volesse stritolare ma ostentando uno sguardo spavaldo tutto intorno e fulminando chiunque avesse anche solo la minima intenzione di prenderlo in giro; Hermione tentava di seguirlo a ruota, con la paura dell’altezza contrapposta al desiderio ardente di compiacere la professoressa, e per calmarsi stava stritolando il manico della sua scopa: il risultato era un buffo su e giù. Ron scoppiò in una risatina affrettata, guardandola mentre tentava disperatamente di rimanere alla stessa quota, e Seamus Finnegan, dal basso, lo guardò male: lui, a differenza di Hermione, non era riuscito nemmeno ad arrivare in alto, dato che la sua spinta non era stata abbastanza forte, e ora ci osservava con un misto di invidia e ammirazione. Pensai che fosse una gran fortuna per la sua autostima non sapere che persino una mezza babbana ci era riuscita prima di lui.
Per quanto riguarda i Serpeverde, gli unici ancora a terra erano Tiger e Goyle, che si sforzavano di attraversare con le gambe grassocce il manico di scopa per montarlo, e Draco Malfoy, che aveva appena finito di dire loro qualcosa di apparentemente molto divertente e ora stava salendo sulla sua scopa tenendola quasi verticale.
«Malfoy, non fare il gradasso!», gli urlò madama Bumb con tono leggermente isterico. «Tieni quella dannatissima scopa dritta, o finirai anche tu in infermeria!».
Lui ridacchiò e, in sella alla sua scopa, la guardò con quello che voleva essere un gentile stupore e che invece era sarcasmo e disprezzo. Poi, per tutta risposta, si diede una spinta talmente forte che si sollevò di dieci metri in un colpo solo, schizzando davanti a noi: Ron lo evitò per un soffio e Hermione si sottrasse dalla sua traiettoria solo perché la paura che le venisse addosso l’aveva fatta di nuovo scendere di mezzo metro.
«Per la barba di Merlino, Malfoy!», urlò di nuovo madama Bumb, imbufalita. «Torna subito giù!».
Lui sorrise nuovamente ed eseguì con una lentezza esasperante, un centimetro alla volta; e quando finalmente toccò terra, tentò di scendere dalla sua scopa mimando un inchino.
Fallendo miseramente, perché per poco non si tuffò di testa sul terreno e atterrò invece con il sedere, girandosi all’improvviso.
A quella vista, il sorriso incerto di Ron si allargò di nuovo e lui scoppiò in una tosse poco convincente. Io, molto meno delicata di lui, scoppiai a ridere nel vero senso della parola, e Hermione, contagiata, sorrise e risalì del mezzo metro che aveva perso prima.
Proprio mentre le sorridevo, cercando di incoraggiarla a raggiungermi …
Niente.
Era sparito tutto.
Ero improvvisamente diventata cieca e non vedevo più niente se non un nero opprimente intorno a me.
Non percepivo più la scopa sotto di me, non stavo più tenendo il suo manico; ed era come se stessi fluttuando dolcemente verso un’altra dimensione, in un altro universo … dopo poco avrei visto le stelle … sì, dovevano essere stelle, c’era della luce … si accendeva sempre più … ora era grande, vasta, come il sole … stava illuminando uno spazio chiuso … forse ero in un altro pianeta, ed ero una viaggiatrice dello spazio che andava a portare notizie alle altre civiltà …
Misi lentamente a fuoco lo spazio intorno a me.
C’erano mattoni a vista color terracotta intorno a me … un pavimento in pietra, che sentivo sotto i miei piedi … molti quadri appesi alle pareti, con vari personaggi che non riconobbi … e la luce, ecco la luce del giorno che illuminava tutto.
E improvvisamente mi accorsi che stavo camminando con passo affrettato in qualcosa che sembrava proprio … un corridoio.



Ma perché? Che scopo aveva?
Improvvisamente mi fermai. Non sapevo perché e non avevo la minima idea di quello che stesse accadendo. Dove mi trovavo? Chi stavo seguendo? Perché stavo seguendo qualcuno? Chi ero?
Davanti a me risuonò una voce, distorta dall’eco della strana visione.
«Mi scusi, professor Vitious, mi presta Baston per un attimo?».
Era la voce della McGranitt, eccitata come non l’avevo mai sentita prima d’ora. Ma a cosa le serviva un bastone? E perché era lì, e perché era con il professor Vitious? Aveva forse intenzione di picchiarmi? Come sapeva che ero lì con lei?
Come scoprii poco dopo, Baston era una persona. Più precisamente, era un ragazzo corpulento di circa sedici anni, dalle spalle larghe come quelle di un nuotatore e i capelli castano chiaro tagliati cortissimi, e me lo ritrovai nel campo visivo dopo che era uscito da una stanza.
Molto simile ad un’aula, in effetti.
Incominciavo ad avere una certa idea su quello che stava succedendo.
«Voi due, venite con me!», disse la voce della professoressa McGranitt, e poco dopo mi ritrovai a seguirla dietro un corridoio. Sentii che Baston mi guardava incuriosito, ma non osai fargli neanche una domanda.
«Qui dentro». La professoressa ci indicò una stanza – anche questa molto simile ad una classe, in effetti – che sarebbe stata vuota se non fosse stato per un essere trasparente molto simile ai fantasmi, con un buffo cappello a sonagli in testa e un sorrisetto furbo sul volto incorporeo, tutto intento a scrivere parolacce sulla lavagna.



«Fuori, Pix!», gli gridò la McGranitt con un tono che non ammetteva repliche. Lui si voltò, seccato per essere stato interrotto, e non appena riconobbe la professoressa, si accorse che non era il caso di controbattere. Così lanciò il gessetto in un cestino, facendolo risuonare rumorosamente con un’eco che rimbalzò per la stanza, e si dileguò attraverso una parete, imprecando. La McGranitt entrò altera nella stanza e si voltò a guardare me e Baston. Ogni traccia di severità sul suo volto era sparita.
«Potter, questo è Oliver Baston. Baston …», e qui sorrise raggiante, «ti ho trovato un Cercatore!».
Da perplesso che era, Baston divenne il ritratto della felicità; ma io quasi non me ne accorsi.
In un unico, formidabile istante, la McGranitt aveva dissolto tutti i miei dubbi in una volta e mi aveva resa la persona più felice di Hogwarts, e solo con un’unica, piccola parola di sei lettere.
Mi aveva chiamata Potter.
Non Green: Potter.
Il che significava solo una cosa: ero entrata nuovamente nella mente del mio amico.
In quel momento, mi trovavo nella testa di Harry, a Hogwarts, e avevo appena sentito i piani che la McGranitt aveva per lui.
Che non parlavano di espulsione.
Credo che avrei potuto toccare il soffitto della Sala Grande con un dito; tanto era come toccare il cielo. E avevo persino imparato a volare con la scopa: tempismo perfetto!
«Dice sul serio, professoressa?».
«Ci puoi giurare», rispose lei, risoluta. «Il ragazzo ha un talento naturale. Non ho mai visto niente di simile. Era la prima volta che salivi su una scopa, Potter?».[iii]
Io ed Harry annuimmo, entrambi sollevati per ragioni diverse. Io avevo voglia di saltellare per tutta Hogwarts e di gridare a tutto il mondo e anche alle altre galassie quanto fossi felice della novità, mentre Harry incominciava a credere che forse non l’avrebbero espulso e si sentiva più fermo sulle gambe.
Sì, beh, non è che fosse proprio sveglio e pronto di mente, ma potevo capirlo: anche io non sarei stata molto lucida, dopo aver passato un momento di terrore secondo il quale avrei rischiato di essere espulsa da Hogwarts.
«Ha afferrato quella palla con una mano sola, dopo una picchiata di quindici metri», continuò la professoressa McGranitt a Baston. «E non si è fatto neanche un graffio. Neanche Charlie Weasley ci sarebbe riuscito».
Ora Baston aveva l’aria di uno che vede all’improvviso realizzarsi tutti i suoi sogni.
«Hai mai visto una partita di Quidditch, Potter?», gli chiese, euforico.
«Baston è il capitano della squadra dei Grifondoro», spiegò la McGranitt[iv], compiaciuta.
«E ha anche la corporatura di un Cercatore», commentò Baston, girando intorno a Harry e osservandolo attentamente per valutarlo. «Leggero, veloce … dovremo procurargli una scopa decente, professoressa … una Nimbus Duemila o una Tornato Sette, direi».
«Parlerò con il professor Silente e vedremo di fare un’eccezione alla regola per gli studenti del primo anno. Sa il cielo se abbiamo bisogno di una squadra migliore di quella dell’anno scorso. I Serpeverde ci hanno stracciato nell’ultima partita … per settimane non ho avuto il coraggio di guardare in faccia Severus Piton …».[v]
Ero talmente interessata alla conversazione, come Harry, che quando qualcuno parlò, le sue frasi mi raggiunsero come da un’enorme distanza, insinuandosi lentamente nel mio cervello e facendosi strana tra i neuroni annodati.
«Green! Dove credi di andare? Torna subito qui! Sbrigati!».[vi]
Chi era? Cosa voleva? Ero in un corridoio di Hogwarts e impersonavo Harry, non dovevo tornare da nessuna parte …
Tentai esitante di muovere le gambe, forse per eseguire agli ordini.
E mi accorsi con orrore che non ero affatto nel corridoio.
Ero a cavalcioni di una scopa volante mezza scassata, ed ero a circa dieci metri di altezza. Più in alto di tutti gli altri.
Più in alto di quanto effettivamente doveva essere, in effetti.
Con una gran fatica, mentre ancora le parole della professoressa McGranitt mi risuonavano in testa come un buffo eco contrapposto alle parole di madama Bumb – perché era lei ad avermi richiamato, giusto? –, ricordai.
Inclinarsi leggermente in avanti.
Era quello che dovevo fare.
Strinsi saldamente la scopa tra le gambe e spostai il peso in avanti.
Il parco sparì di nuovo …
«Voglio che tu ce la metta tutta negli allenamenti, Potter, altrimenti potrei cambiare idea sul fatto di non punirti».[vii]
… sbattei le palpebre, decisa a concentrarmi. Dovevo restare nel cortile, almeno finché ci tenevo al mio collo.
Mi tenni aperti gli occhi con la mano e mi concentrai sulla discesa, mentre tutti gli altri mi guardavano. Per un attimo mi passò per la testa che cosa avrei potuto dire o fare mentre ero praticamente in trance, e poco mancò che non ci finissi di nuovo per la vergogna. In alternativa, ammirai – come molti altri prima di me – il ciuffo d’erba ormai vip, e me lo immaginai tirare fuori un cappellino con visiera e occhiali da sole e sorridere ai flash dei fotografi babbani.
Con questa buffa immagine, toccai terra e scesi dalla scopa.
Riflettendo sulla mia situazione fino a quel momento, tutto sommato non me l’ero cavata molto male. Sì, ero salita nove metri in più del dovuto come Malfoy e avevo rischiato di cadere di faccia per via di un’intromissione nei pensieri di un mio amico, ma per il resto ero andata bene. Più o meno.
Madama Bumb forse aveva supposto per un attimo che io fossi una totale incapace, dato che mi aveva visto andare così in alto e rimanere a tale quota per più tempo del previsto; ma dopo aver visto la mia discesa esemplare avrebbe dovuto ricredersi, per forza. Così io non sarei stata sgridata e avremmo vissuto tutti felici e contenti.
E fu in quel preciso momento che la McGranitt disse l’ultima frase fatidica a Harry.
«Tuo padre sarebbe stato orgoglioso: anche lui era un ottimo giocatore di Quidditch».[viii]



Un gran sorriso, contemporaneamente consapevole e inconsapevole, mi si dipinse in volto.
«Green, mi fa piacere che tu sia felice, ma ti ricordo che sei tornata a terra venti minuti in ritardo rispetto agli altri, quindi ti consiglio di stare attenta alla lezione».
Quella seconda volta, madama Bumb non ci mise molto a riportarmi con i piedi per terra.
La guardai come si guarda di solito la Spezzindue di turno. [ix] «Sì, mi scusi», mormorai a voce bassa.
Forse non mi aveva scusato proprio del tutto – in fondo i professori non perdonano mai gli studenti, e lo si vede dai voti finali – ma comunque era un dettaglio irrilevante e, come aveva detto George quelli che sembravano secoli prima, quella era la prima e ultima lezione di volo che avremmo mai frequentato a Hogwarts. Non era un gran problema, dopotutto.
L’esercizio successivo, che la professoressa spiegò in modo molto più conciso, consisteva nel fare il giro del cortile volando.
L’effetto fu immediato: Lavanda Brown, una ragazza dai riccioli biondi un po’ in carne, lasciò cadere la scopa che teneva in mano con un tonfo e si rifiutò categoricamente di farlo; Calì Patil, dai lineamenti asiatici e con i capelli neri, che stava sempre appiccicata a Lavanda, la imitò subito dopo con un risolino, facendosi prendere in giro dalle ragazze di Serpeverde; Hermione guardò alternativamente loro, madama Bumb e noi, e poi fece un lungo respiro e mise su una faccia che sarebbe dovuta essere convinta e determinata; Seamus Finnigan, quel ragazzo dai capelli color sabbia che non era riuscito a volare nell’esercizio precedente, si dichiarò sicuro e pronto, ma in realtà continuava a guardare il manico della sua scopa come se fosse fatto di spine lunghe dieci centimetri; Dean Thomas, l’amico di Seamus, dalla pelle scura e dai capelli ricci, restò praticamente indifferente.
La professoressa scrutò i recidivi per un momento – Lavanda Brown sembrava pronta ad affatturarla, se solo fosse stata capace di farlo – e decise che per la sua e loro incolumità era meglio lasciar perdere. Così acconsentì a farli accomodare su una panca che fece apparire lì vicino, facendosi riconsegnare le scope e senza assegnare nessun punto in meno a Grifondoro, con grande disappunto di Serpeverde. Non aveva neanche dato il via che Malfoy si offrì a fare l’esercizio per primo e, purtroppo, lo eseguì alla perfezione, facendo anche una piroetta all’atterraggio; madama Bumb non disse nulla, incerta se sgridarlo o complimentarsi con lui, e alla fine optò per lo sfogarsi con l’incapacità di Tiger e Goyle, il cui peso era talmente esagerato che rischiavano di rompere il manico. Ron, che venne chiamato subito dopo di loro, si sentì molto più insicuro di Malfoy – purtroppo aveva potuto constatare che lui, benché raccontasse un sacco di frottole, indubbiamente volava bene – ma se la cavò senza problemi di sorta, se si esclude il tremore incontrollato delle braccia e le orecchie che splendevano.
Non ce ne furono neanche quando io svolsi l’esercizio, subito dopo Hermione, il che dissipò i sospetti della professoressa sul fatto che io non stessi attenta e non fossi capace. Non ebbi squarci del pensiero di Harry – e sinceramente non potevo dire di esserne dispiaciuta, dato che questi avevano una particolare abilità nell’arrivare quando io ero meno pronta per riceverli – e l’unico evento degno di nota fu uno stridio infastidito di gufo proveniente dalla Foresta Proibita che aveva l’aria familiare: non l’avevo già sentito, prima? Non era stato un bubbolare ad aver squarciato il silenzio tra la McGranitt e Harry? E non era stato lo stesso bubbolare ad avermi distratto durante la lezione di trasfigurazione?
No, pensai subito dopo. Era diverso.
Inizialmente non me n’ero accorta, dato che ero troppo impegnata a vedere gli effetti sulla professoressa della mia distrazione, ma ora che avevo appurato di essere in grado di comprendere – almeno per sommi capi – gli animali, potevo dire qualcosa di più: nel primo caso, era seccato, come se fosse successo qualcosa che non voleva che succedesse; nel secondo caso, invece, era terrorizzato. Chi lo rendesse così e perché restava naturalmente un mistero.
Dopo che anche Blaise Zabini, un ragazzo di colore alto, dagli zigomi pronunciati e gli occhi lunghi e obliqui, ebbe svolto l’esercizio più o meno bene, madama Bumb spiegò l’ultimo: bisognava salire di cinque metri circa e poi ritornare indietro in una decorosa picchiata lenta, cercando di non spiaccicarsi contro il suolo. Non aveva neanche finito di parlare che Lavanda e Calì cacciarono un urlo in contemporanea prima di rendersi conto che erano esonerate; e mentre loro gridavano, tutti gli altri fecero un passo indietro talmente profondo che la professoressa si ritrovò con un metro di distanza da noi su tutti i fronti.
Madama Bumb decise di incominciare con uno studente alla volta e di convincerli personalmente: impiegò tanto di quel tempo a costringere Dean Thomas ed Hermione a montare sulla scopa – lei venne spinta sul manico praticamente di peso – che quando entrambi ebbero finito l’esercizio, il sole era già basso sull’orizzonte. Pansy Parkinson, una ragazza corpulenta dai lineamenti duri che stava sempre appiccicata a Draco Malfoy, rise sonoramente all’esibizione di Hermione, che si era praticamente messa a testa in giù sulla scopa per la picchiata, e per la paura di prendersi una capocciata contro il suolo aveva fatto una buffa capriola sul terreno che l’aveva fatta arrivare distesa su un lato con le braccia annodate alla scopa e ai capelli cespugliosi. Era molto arruffata quando si rialzò, ma fortunatamente viva e senza niente di rotto.
«Ti rendi conto?», mi sussurrò Ron, soddisfatto. «Abbiamo trovato qualcosa in cui non è capace!».
«Vorrei vedere te!», ribatté piccata Hermione, che si stava ancora risistemando i capelli.
Ron diventò tutto rosso, e Pansy rise anche a quello.
«Parkinson, vediamo te», la interruppe madama Bumb, e il ghigno le sparì dal volto mentre quello di Ron si allargò, «e dopo ci sarai tu, Weasley», aggiunse poi, e lui si agitò immediatamente.
A rincuorarlo fu la figura pessima di Pansy. Dato il suo peso, che era circa il doppio di quello di Hermione, non appena incominciò la picchiata tentando di mantenere un angolo di circa quarantacinque gradi, si inclinò inesorabilmente verso il basso fino a scendere quasi verticalmente. Le sue urla avrebbero svegliato una talpa a un chilometro sottoterra. Curiosamente, fu proprio il manico mezzo marcio della sua scopa a salvarla da un trauma cranico: all’ultimo momento, nel disperato tentativo di sopravvivere, lo inclinò talmente tanto da spezzarlo, e la forza dell’urto ribaltò la scopa nella direzione diametralmente opposta. La ragazza, che non se l’aspettava, perse la presa, scivolò all’indietro e cadde sul sedere, tra le risate generali.
Dopo una tale figura meschina, Ron non poteva che andare meglio; a dir la verità, però, non aveva bisogno di qualcuno peggio di lui subito prima per risaltare sugli altri. Era certamente un po’ malfermo sul manico: le braccia tremavano tanto da rischiare di spezzare anche lui il manico, e sulle sue orecchie si poteva cuocere un uovo sopra, da quanto erano paonazze; ma il momento cruciale – quello di stabilire l’angolo della retta rispetto al terreno lungo la quale sarebbe tornato – passò senza particolari difficoltà e atterrò più o meno parallelo al suolo. Era forse il primo a farlo decentemente.
Come c’era da aspettarsi, Malfoy si offrì di farlo subito dopo di lui e non sprecò il momento esibendosi in un’imitazione molto esagerata di Ron che si agitava sulla scopa, il quale sperò ardentemente che il manico andasse in pezzi come quello di Pansy. Purtroppo non accadde; anzi, con gran sfortuna, Malfoy eseguì l’esercizio alla perfezione, anche se il malumore di Ron fu attenuato dalla sgridata che Malfoy si beccò per aver fatto finta di cadere.



Dopo di lui, madama Bumb volle vedere me.
Il problema in realtà per me non era l’esercizio: Harry aveva già fatto una picchiata, e io sapevo di avere memorizzato, anche senza sapere come, la sua tecnica. Il vero fulcro della questione era un possibile squarcio della mente di Harry da un momento all’altro: se fosse arrivato mentre stavo scendendo, sarei caduta e mi sarei rotta l’osso del collo esattamente come aveva rischiato di fare la Parkinson. Era per questo che tremavo, mentre salivo sulla scopa.
Mi diedi la spinta e puntai verso l’alto, concentrandomi sul cielo azzurro. Due metri … tre metri … niente … quattro metri …
Ero arrivata, e ancora niente.
Mi fermai di botto e per un pelo non mi dimenticai di rimettere la scopa dritta e non scivolai al suolo.
Respira, Green, mi dissi. Ce la farai.
Afferrai il manico con entrambe le mani, puntai il ciuffo d’erba vip con cui ormai avevo una certa familiarità e spostai il peso in avanti, lentamente, controllando la discesa.
Quattro metri … tre metri … due metri e mezzo … incominciai a sollevare il manico per rimettermi dritta, spostando di poco il peso indietro … due metri … menomale che avevo imparato a sciare, perché altrimenti tutti quei cambiamenti di peso mi avrebbero fatto girare la testa … un metro e mezzo … stavo per scendere …
Eccolo.
L’avevo sentito di nuovo. Quello stridio.
Era addirittura più forte del battito del mio cuore.
E quella volta era veramente terrorizzato.
Ero talmente all’erta che misi un piede in fallo mentre scendevo, e per poco non ruzzolai a terra; all’ultimo momento, però, strinsi forte la scopa con tutta la forza che avevo e riuscii a rimanere in equilibrio. In qualche modo, scesi dalla scopa con disinvoltura,  cercando di nascondere la quasi caduta, e madama Bumb mi sorrise. Evidentemente non si era accorta di niente. «Bene, Green, ci siamo quasi», disse «Attenta solo a non prestare attenzione a tutto quello che succede intorno a te, e a concentrarti su quello che fai».
Sì, beh, se n’era accorta, ma era andata bene.
Questo voleva dire che per la prima volta da quando ero a Hogwarts avevo ricevuto nello stesso giorno ben due complimenti da parte dei professori su qualcosa che sapevo fare, e non che ascoltavo senza farlo. Non avevo mai avuto una media così alta.
E non solo: Tiger aveva appena spezzato la scopa che aveva usato Neville all’inizio, ed era caduto da quattro metri di altezza con un tonfo che aveva fatto rimbombare tutto il cortile e causato un mezzo terremoto; Goyle, nel tentativo maldestro di aiutarlo, si era ferito al dito mentre allungava una mano per sostenerlo; Millicent Bulstrode, un’altra robusta ragazza di Serpeverde dai capelli neri che faceva a gara con Pansy nell’idolatrare Malfoy, nel provare per ultima a eseguire l’esercizio, aveva rotto un’altra scopa nel darsi la spinta, e una scheggia di legno le era finita nel sedere, facendola ululare di dolore; e Harry non sarebbe stato espulso da Hogwarts.
Era una magnifica giornata, dopotutto.
La lezione finì dieci minuti dopo, con madama Bumb che esplodeva perché ora avrebbe dovuto portare qualcun altro in infermeria e con Malfoy che se ne andava con Pansy Parkinson e Millicent Bulstrode. Entrambe sembravano avere una tale foga nell’adularlo che c’era da sorprendersi se non era ancora stato spiaccicato da un abbraccio stritolante di una delle due, e in quel momento lui stava veramente rischiando la vita: stava parlando a proposito delle scope di Hogwarts che facevano schifo e che suo padre avrebbe dato di matto se l’avesse saputo, o qualcosa del genere, e Pansy Parkinson era assolutamente convinta che lui si stesse lamentando non perché era fatto così per natura, ma perché lei aveva rischiato la vita su una di quelle. Naturalmente Millicent aveva ancora il sedere dolorante, e quindi era altrettanto convinta che quello di Draco fosse un gesto dolce, e il risultato era che il suddetto ragazzo tanto gentile con loro rischiava di trasformarsi in una sottiletta da un momento all’altro.
Dopo essermi goduta quella meravigliosa scena, tornai con Ron verso il dormitorio dei Grifondoro. Entrambi eravamo soddisfatti della lezione – tutto sommato, potevamo considerarci i migliori, escluso Harry – e quando lui ci venne incontro in Sala Grande, il sorriso stupefatto di Ron migliorò ancora di più lo spettacolo. «Credevo ti avessero espulso!».
«Meglio!», esclamò lui. «Ora ti racconto …».
Finsi di essere molto interessata al racconto di Harry, anche se in realtà sapevo già tutto, e mi divertii segretamente un mondo a vedere Ron che passava dal meravigliato all’estasiato ad ogni singola parola dell’amico. Fred e George, che stavano passando in quel momento insieme a Lee Jordan – un loro amico dai capelli rasta e il sorriso smagliante, che aveva una fantasia per gli scherzi pari solo a quella dei gemelli – gli dissero che dovevano parlare un attimo con Harry e si aggiunsero silenziosamente al nostro gruppetto. Fred chiese con il labiale se Ron fosse caduto, e quando io negai strabuzzò gli occhi talmente tanto da rischiare di lanciarli in mano a George.
«Cercatore?», esclamò Ron alla fine della spiegazione di Harry. «Mai quelli del primo anno … Tu devi essere il più giovane giocatore della scuola da …».[x]
«Un secolo», completò Harry, soddisfatto. «Me l’ha detto Baston[xi]».
Ron era talmente stupito, talmente impressionato che non riusciva a staccare gli occhi da Harry e continuava a guardarlo a bocca aperta[xii]; non si era nemmeno accorto che i suoi fratelli si erano aggiunti a loro, e fece un discreto salto quando uno di loro iniziò a parlare.
«Complimenti», disse George a bassa voce. «Ce l’ha detto Baston. Anche noi siamo nella squadra: battitori[xiii]. Lui dice che sei la nostra arma segreta!»
Fred non ci lasciò il tempo di chiedere che cosa fossero i battitori. «Ve lo dico io, quest’anno la coppa del Quidditch la vinciamo noi», disse. «È da quando Charlie se n’è andato che non vinciamo più, ma la squadra stavolta promette bene. Devi essere proprio bravo, Harry: Baston stava praticamente saltando di gioia quando ce l’ha detto».



«Bene, ora dobbiamo andare. Lee Jordan è convinto di aver trovato un nuovo passaggio segreto per uscire dalla scuola».
«Scommetto che è quello dietro alla statua di Gregory il Viscido che abbiamo scoperto la prima settimana. Ciao!».[xiv]
I due erano appena scomparsi quando Harry si ricordò di una cosa. «A proposito di uscire da Hogwarts! Non ve l’ho detto: ho ricevuto una lettera da Hagrid mentre non c’eravate».
L’informazione mi colse di sorpresa, e aprii scioccamente la bocca per dire qualcosa, senza avere tuttavia le parole per dirlo. Avevo creduto di sapere tutto sugli eventi importanti che gli erano accaduti in quel pomeriggio: come mai non conoscevo quello?
Ron invece non era molto sorpreso. «Cosa dice?».
«Ci ha invitati a prendere il tè tutti insieme alle tre e mezza», rispose Harry, «ma non so se l’invito vale ancora … per qualche ragione, Edvige è arrivata in ritardo a consegnare la posta – me l’ha data neanche un’ora fa, quando sarebbe dovuta arrivare stamattina».
«Proviamo ad andare comunque», rispose Ron. «In fondo non ha ricevuto una tua risposta. Nel caso, sarà per un’altra volta».
Harry e io acconsentimmo senza parlare, e voltammo i tacchi, diretti da Hagrid.
Io non avevo ancora detto niente.
Ero troppo sorpresa: per quale motivo non avevo avuto il minimo squarcio che mi dicesse che era arrivata la lettera?
In pratica: come mai sapevo solo alcune cose e non altre?
La scelta era casuale oppure seguiva un criterio preciso?
E quale?

 
 


[i] Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 9.
[ii] Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 9.
[iii] Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 9.
[iv] Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 9.
[v] Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 9.
[vi] Non so come mai: mi sembra una figata assurda fare la scala delle parole J
[vii] Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 9.
[viii] Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 9.
[ix] Scusate, dovevo fare questo riferimento a Matilde, di Roald Dahl (1988).
[x] Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 9.
[xi] Harry potter e la pietra filosofale, capitolo 9.
[xii] Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 9.
[xiii] Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 9.
[xiv] Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 9.






*Angolone autrice, perché dopo tre mesi ne succedono di cose!*
Okay, direi che l’avvertimento Movieverse sta andando allegramente a farsi fottere; ma Pix il Poltergeist deve esserci. Deve.
D’altronde, che ci posso fare se amo il libro e mi piacciono solo alcune delle modifiche del film? Quando arriverò (se arriverò) alla Camera, giuro che la farò tutta filo-libro. E così tutti gli altri, fino ai Doni. Ma allora – nel 2394 circa – vi sarete già stancati di me e mi odierete per la lentezza negli aggiornamenti, e quindi io morirò triste e sola in un angolino buio a piangere perché il ragazzo che mi piace a malapena mi saluta. Comunque bisogna dirlo: almeno è diverso da quello precedente, che non mi conosceva neanche. Sto facendo decisamente dei passi avanti nel mondo dell’amore!
Anyway … questo angolino si chiama NdA quindi teoricamente dovrei parlare della storia e non della mia vita alias puntata di Beautiful: quindi ecco qui.
Allora:
1. il capitolo 4 ha 474 visualizzazioni e il capitolo 1 ne ha 477, mentre quelli in mezzo molte di meno: devo ancora capire come questa cosa sia possibile, dato che la gente non può passare dall’1 al 4 e contemporaneamente capire qualcosa della storia. Qualcuno sa darmi una spiegazione?
2. Avviso a tutti quelli che vogliono prendersi i punti per aver recensito tutti i capitoli della storia che, se non vi tornano i conti, il capitolo 3 è senza recensioni. E si sente tanto solo e triste. Noo, questa non è una richiesta non propriamente implicita di recensire anche quel capitolo lì, quando mai!
3. Il capitolo 7 al momento ha 394 visualizzazioni e vi amo tutti per questo *__*
4. Dato che scrivo capitoli lunghi, secondo me non è una cattiva idea mettere le immagini, in modo che spezzino la narrazione e diano una piacevole distrazione. Voi cosa ne pensate?
5. Cosa faccio dell’avvertimento Movieverse? L’aggiunta di Pix e tutte quelle altre cose dei capitoli precedenti bastano a giustificare questa modifica, secondo voi?
6. Alle persone che hanno messo questa storia tra le seguite: volete che vi avvisi?
7. Sette, sette, sette, settee!
L’apparente pazzia di questa ultima parte non deve farvi necessariamente supporre che sia vostro dovere esorcizzarmi: basta andare a vedere codesto video  e calarsi nell’ottica di deficienza della sottoscritta per capire quasi tutto. E comunque Scottecs mi deve amare, dato che sto facendo pubblicità a questo video ovunque io lo ritenga necessario, cioè sempre e comunque.
 
Ah, vi avviso: tutte le ‘u’ che vedete in questo capitolo e in questo angolone sono state scritte per pura fortuna, dato che il tasto delle ‘u’ della mia tastiera del computer è in agonia e io lo rimetto al suo posto con una cura materna circa cinque volte al giorno. Piangiamo tutti insieme per questa perdita imminente.
 
L’angolone autrice continua con i ringraziamenti! Perché in due mesi il numero delle persone che mi seguono è aumentato, cosa che non credevo possibile, quindi vi ringrazio tuuutti quanti!
Questo tuuutti è stata una tortura per il tasto della u, che ora piange. Consoliamolo tutti insieme!
 
Dunque, procediamo con ordine:
 
Per le recensioni del capitolo precedente.
Brinza_1993, Jinny_2000, emily132, Fleur Dolohov.
Per aver messo questa storia tra le preferite:
Chibime88; DiaIlovemylife; emily132; erm159; HoraN_LEllA; Jinny_2000; The Sound Of Rain.
Per aver messo questa storia tra le ricordate:
emily132; erm159; valepassion95.
Per aver messo questa storia tra le seguite:
Brinza_1993; cris325; dubhealex; emily132; Fleur Dolohov; HoraN_LEllA; marika silente; Mary Evans; pippi94; valepassion95; vale_misty.
 
Voi non avete idea di quanto mi rendiate felice quando vedo quei numerini vicino a ‘gestisci le tue storie’. Mi sento la persona più fortunata del mondo. Specialmente dopo aver considerato che non aggiornavo da tre mesi.
 
Bene, ora passiamo finalmente a voi, cari lettori anonimi che avete letto questo capitolo!
Cosa ne pensate? Vi piace? Vi fa cagare? Vi ha liberato l’intestino?
Ditemelo in una recensione! Anche con bandierina arancione: se la critica aiuta a migliorare invece di offendere e basta, è bene accetta!
Ricordate sempre il messaggio di elyxyz:

Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit
Dona l’8% del tuo tempo alla causa pro recensioni.
Farai felice milioni di scrittori.
(Chiunque voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio crede) 

Farete felice anche me, ve l’assicuro! ^_^
 
Dovrei aver finito. Così siete felici pure voi.
Sono leggermente logorroica e grafomane, ma cosa vogliamo farci? In tre mesi ne succedono, di cose!
Sì, questa dovrebbe essere una ragione in più per spingermi ad aggiornare più frequentemente. Lasciamo stare.
Ieri c’era un gigantesco arcobaleno dove vivo, e quindi ho passato metà pomeriggio a saltellare e a dire “Oggi c’è l’arcobaleno! C’è l’arcobaleno! C’è l’arcobalenooo!”. Spettacolo alquanto imbarazzante per chi mi stava intorno, ma non importa.
No, ora ho finito veramente.
Tanti arcobaleni a tutti quanti!
   
 
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