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Autore: kannuki    30/11/2013    2 recensioni
Io non corro, è stancante e fa ballare le tette ma sto ingrassando e il dottore mi ha prescritto un rigido regime alimentare e tanta attività fisica. Ho una strana malattia non ben identificata, ma per loro, finché non vomito sangue è tutto a posto.
Genere: Dark, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ehh, salve a tutte! Storiella corta (ci provo), è da un po' che non mi cimento con un'originale... fatemi sapere cosa ne pensate. Vai col cast: Charlie Bewley (su Nashville è niente male davvero! ^^) per Konstantin, Jane Levy (Suburgatory) per Tris e Tupac Shakur per Firoze.
Buona lettura!



Sei dentro per droga?”

Eh?”

Ho detto, sei dentro per droga?”

Tu per cosa sei dentro?”

Per droga.”

Sbuffo e tiro su le gambe. I polpacci gridano una protesta sommessa. Lascio scivolare di nuovo le caviglie in avanti. Il ragazzo mi guarda dall’alto, dall’ultima sedia di una fila di quattro. Ha i jeans che finiscono ben sotto le scarpe e il tessuto è stracciato ai talloni. Una catena metallica penzola dal passante anteriore e sono certa finisca agganciato al portafogli. Una vecchia maglietta dei Pantera. Il solito giubbottazzo di pelle liso sui gomiti e con le tasche sformate. Anche io andavo in giro conciata così. Poi ho messo ‘la testa a posto’: vesto sempre male ma ho dipinto i capelli di rosa. “Hanno sbagliato, stavolta” sbuffo trascinando indietro il ciuffo della fronte. La mamma mi ucciderà.

Io non corro, è stancante e fa ballare le tette ma sto ingrassando e il dottore mi ha prescritto un rigido regime alimentare e tanta attività fisica. Ho una strana malattia non ben identificata, ma per loro, finché non vomito sangue è tutto a posto.

Le stronze fighette del liceo mi prendono per il culo quando attraverso i corridoi. Un anno fa, ho piazzato un serramanico senza filo sotto il naso della più civetta. Volevo solo spaventarla, (quell’affare non taglia neppure per i fili penzolanti dei maglioni!) ma la stronzetta ha spifferato tutto al preside e sono stata sospesa a pochi mesi dagli esami. Ho perso l’anno. Mia madre non mi ha rivolto la parola per tutta l’estate.

E devi startene seduta sul pavimento?”

Il ragazzo di colore ha il cranio rasato e il pizzetto. Le dita piene di anelli. Due orecchini al lobo sinistro. Mi fa un cenno col capo e sospirando mi alzo e traballo fino alla seduta libera accanto alla sua. “Aspetti il tuo avvocato?”

Più o meno...”

Non sono stato un buon affare nel mercato delle adozioni. Scommetto che quei due si stanno pentendo di aver scelto la mela più bacata del mucchio. “Triska.”

Jon. Senza h.”

Ciao, Jon senza h.”

Ci stringiamo la mano nel momento esatto in cui il padre adottivo si affaccia nella stanzetta in cui siamo alloggiati. Noto subito il suo sguardo cadere sulle mani unite. Vedo altra delusione sul volto.

Andiamo.”

Giro il marsupio attorno alla vita e tiro su il cappuccio della felpa. Jon si infossa ancora più nella sedia. Ci salutiamo con un altro cenno invisibile. Cammino a testa bassa dietro mio padre, evitando di lanciare occhiate intorno a me. Entriamo in macchina e lui chiude la portiera con un gran tonfo. Ora parte la ramanzina.

Non siamo più disposti a tollerare le tue stravaganze!”

Stravaganze?! Stavolta non centro niente! Uno stronzo ha provato a scipparmi l’Ipod ed io mi sono difesa! “Ho solo applicato alla lettera il corso di autodifesa che la mamma…”

Lo hai ferito e sfregiato.”

E allora? Se lo merita! Dovrebbero essere fieri che la loro ‘bambina’ sia in grado di cavarsela da sola! Il bastardo ha strappato il filo delle mie cuffiette, sono priva della paghetta da mesi, non posso ricomprarle ed isolarmi dal mondo attraverso la musica è l’unico modo che ho di sopravvivere. Cristo, ho quasi diciotto anni e sono la pecora nera della scuola! Ingoio la valanga di ovvietà e alzo il mento. “Ora ci penserà due volte, prima di aggredire una ragazza.”

Ha sporto denuncia, dovrai comparire di fronte al giudice” mormora, funereo.

Arriviamo a casa e ancora non mi sono ripresa dalla shock. Se il figlio di puttana avesse cercato di stuprarmi e gli avessi staccato le palle a morsi, mi avrebbe accusata di lesioni personali?

Niente tv per un mese.”

Non la guardo, la tv…” borbotto scendendo dalla macchina. La mamma sta facendo finta di mettere in ordine la sua agenda. La saluto a mezza bocca. Non mi risponde. Stringo le labbra e salgo le scale fino alla mia cameretta, due gradini alla volta. Sento uscire dalla bocca dell’uomo che ha pagato la mia adozione ‘quei capelli devono sparire’ e penso ‘che si fotta!’ Sto già cercando la mia sacca sotto il letto, quando la porta si spalanca e mio padre mi sorprende in ginocchio e con il braccio ficcato sotto la reversina della coperta.

Triska, hai quasi diciotto anni. Sei un’adulta e la prossima volta che finirai in galera, verrai processata come un’adulta.”

Li vedo anche io, quei telefilm. “Beh, meglio per voi, no? Un pensiero in meno al mattino” soffio crudele afferrando la sacca e tirandola fuori. Il ceffone che mi arriva non fa più male del pugno allo stomaco del rapinatore. Solo che questo brucia di più.

***

Ha detto bene il vecchio. Se l’appello del giudice non viene fissato prima di due mesi, sarò processata come un’adulta. Porca puttana. Sfoglio il calendario guardando il cerchio colorato attorno alla data del mio compleanno. Scommetto che non riceverò regali, quest’anno. Ho accantonato il solito desiderio ‘mollo tutto e me ne vado' e rificcato la sacca sotto il letto. Aspetto che tutti siano andati a dormire ed esco di soppiatto, mollando lo skateboard a terra solo quando solo molto lontana da casa. Lo so che tutti mi ridono dietro, quando lo uso, ma i vecchi non ci pensano proprio a procurarmi un mezzo di locomozione adeguato. So guidare… più o meno. In teoria so farlo, mi manca la pratica e il foglio rosa. Arrivo al Old Wild Jack a mezzanotte passata. C’è un nuovo gruppo metal che suona, stasera. Ci sono i motociclisti con le pupe da sballo sul sedile posteriore delle moto. C’è il buttafuori amico che mi lascia passare perché condividiamo la triste storia dell’orfanotrofio e poi, davanti a me, c’è il ragazzo più bello che abbia mai visto in vita mia. Dio, ti prego fa che sia di queste parti e non un fomentato che segue i gruppi musicali ovunque vadano! Giro attorno ad una colonna pelosa con il giubbotto di pelle e la scritta Harley Davidson sulle spalle, saluto le ragazze del bar con una smorfia e mi avvicino di soppiatto al ragazzo che sta appoggiato al bancone. Muove la testa su e giù seguendo il ritmo sincopato imposto dalla band. Quando si accorge di avere il bicchiere vuoto, fa un cenno a Melanie. Lei mi guarda e alza le sopracciglia e gli angoli della bocca. Pensa la stessa cosa che penso io: carino da morire!

Sono bravi, eh?”

Lui mi lancia un’occhiata distratta e annuisce, allontanandosi e portando via il bicchiere. Melanie mi guarda. Alzo le spalle ma il rifiuto un po’ mi ferisce. A nessuno piace la stramboide grassa con i capelli rosa.

Dai, non sei grassa...”

No, eh?”

Sei… in via di definizione!”

Melanie è una bionda naturale con il faccino a cuore. Potrebbe avere chiunque, ma sta con Derek da sei anni e sembra proprio felice. Dice che le cose migliorano, crescendo. Lei ha venticinque anni e il fisico di un’acciuga sotto sale. Scommetto che i suoi non le hanno mai detto che è ‘un’enorme delusione’. Io mi guardo allo specchio e vedo una triste ragazzina. Di bello ho solo gli occhi, una via di mezzo fra il blu e il viola. Guardo le mani di Melanie, perfette, lunghe, le unghie smaltate di nero. Guardo le mie: un disastro di pellicine strappate e croste insanguinate. Stringo i pugni e poggio i gomiti sul bancone, dondolando un po’ avanti. Poi, con un giravolta forzatamente disinvolta, mi rimetto a guardare lo show. Scrocco una birra gratis e ascolto la musica dal mio angoletto, il piede che muove lo skateboard piano piano. Quando finisce la scaletta, la band si fionda al bar per una gran bevuta. Mi sento di troppo, ingombrante e completamente fuori posto. Raccolgo il mio futuristico mezzo di locomozione e cerco di farmi spazio fra la folla senza farmi notare dal boss. Se mi becca con la birra in mano…

A-ah!”

Merda! Mi arresto appena sento la felpa tirare sulla schiena. “Ciao, capo…”

Non ti avevo detto di squagliarti, ragazzina?”

L’Old Wild Jack è di proprietà di Jack Tredenti. Non che abbia davvero tre denti, ma gli piace farsi chiamare così. Saltello indietro fino ad arrivare faccia a faccia con lui. L’ultima volta, il fiato puzzava di tabacco. Noto che è insopportabile anche stavolta. Quell’uomo non deve tenere particolarmente all’igiene personale. Mi strappa la birra di mano e mi lascia andare. Jack Tredenti è alto poco più di un metro e sessantotto centimetri ma si crede un gigante. Gloria e onore ad un uomo così sicuro di se.

Fila, topetta.”

C’è andato gentile, stavolta. Melanie dice che posso tornare quando voglio, che Jack ha piacere di vedermi perché quando sono al locale, ha la certezza che mi sto tenendo lontano dai guai. Peccato che nell’ultimo anno, mi abbiano raggiunto ovunque andassi.

***

La mattina dopo mi guardo alla specchio e mi scopro stufa della capigliatura rosa. Esco di casa dicendo di andare a scuola, invece rubo un flacone di tinta scura al supermercato e mi rinchiudo a casa di Fin. La madre fa la parrucchiera, perciò è pratica di quella roba. Finnicella mi batte di tre lunghezze: i suoi capelli sono un arcobaleno di viola, blu e rosso sapientemente armonizzati. Ha la pretesa di studiare stregoneria, perciò sta sempre su Internet a cercare incantesimi magici. Tutto quel che riesce a fare, è sprecare una gran quantità di candele.

Mi piacevi di più a colori” decreta dopo avermi lavato la tinta dalla testa. Mentre lo faceva, guardavo i rivoli scuri che colavano nella vasca da bagno, raggiungendo lo scarico e perdendosi nel buco nero. E se quella roba arriva il mare e avvelena tutti i pesci? Quanto torno a casa, la mamma mi ferma a guardarmi sul pianerottolo. Sì, mi hanno anche sequestrato le chiavi di casa. E’ arrabbiata perché è stata avvertita dalla scuola che ho marinato. Ma tanto, ormai…

Avresti potuto dirmelo” mormora lasciandomi passare. “Ti avrei fissato un appuntamento nel salone di Sabine.”

Mi detesta. Dice che spavento le clienti” borbotto lasciando scivolare dalla spalla lo zaino con i libri. “Lo dirai a papà?”

Non glielo dirò ma voglio che getti quei jeans.”

Mai! Sono gli unici che mi entrino e che mi facciano sentire un minimo carina. Il mio silenzio si protrae.

Facciamo un patto. Io non ti dico come comportarti e come vestire… e tu righi dritto due mesi, fai la tua scenetta di fronte al giudice e concludi l’anno senza complicazioni.”

Più facile a dirsi che a farsi. Annuisco, un po’ colpevole. La mamma mi porge la mano, come fanno gli adulti nei telefilm. Esito, poi gliela stringo.

Ora fa i compiti. Si cena fra un’ora.”

***

Due mesi dopo, sono agghindata di tutto punto, ho il musetto della brava ragazza accusata ingiustamente e, miracolo dei miracoli, la sfiga non si è accanita su di me. Niente incidenti fuori e dentro scuola, niente aggressioni in palestra, neppure una parola scortese nei miei confronti. Sembra che tutta la città sia coalizzata per darmi una mano. Però ci credo poco nei lunghi periodi di serenità. Ho imparato che la tranvata arriva tutta insieme e quando meno te l’aspetti. Tre giorni dopo, festeggio il mio diciottesimo compleanno. La mamma prepara la torta (dietetica, sono dimagrita quasi quattro chili), Fin porta i palloncini e il mio skateboard viene rimpiazzato da una coupè usata. Papà mi mette seduta e sciorina il discorsetto sulla responsabilità, ma io vedo solo il mostro rosso parcheggiato nel vialetto e sento prudere le mani. Parla di lezioni di guida e foglio rosa ed io non ho il coraggio di dirgli che già so guidare grazie a Melanie. Farebbe troppe domande, perciò mi limito ad annuire e a promettere che seguirò diligentemente le lezioni. La sera in cui succede il patatrac, i miei sono fuori per il lutto improvviso di una parente lontana. Finnicella mi chiama sul cellulare (ho anche il cellulare, ora!) e legge il flyer che ha trovato in bacheca a scuola. Il party è in un locale della città confinante. Possiamo andarci in macchina e dividere la benzina. Che ne pensi? Eh, Tris?

E’ una cattiva idea” rispondo a mezza bocca, coprendo un po’ il microfono. “Ok… ti passo a prendere alle sette…”

Ok!” urla e riaggancia e un brutto brivido mi corre giù per la schiena. Hanno detto che finché non vomito sangue va tutto bene. Ma che devo fare per la vista annebbiata e il resto? Misuro la febbre, ho una lieve alterazione. Forse è il ciclo. I ritardi sono diventati anticipi sconcertanti e sono così abbondanti da togliermi le forze e persino il colorito. Sta a vedere che mi trasformo in una non-morta a un momento all’altro…

***

No, sei fresca.”

Eppure ho il batticuore, le mani sudate e tremo dalla testa ai piedi. Sta peggiorando, non avrei mai dovuto uscire di casa. Il guaio è che Fin non sa guidare e se mi fermano in queste condizioni, mi ritirano a vita la patente che ancora non ho preso. Il party si è rivelato un mezzo disastro. Persino la birra era scadente.

Ce la fai?”

Più o meno...”

Tremo come una pazza, neppure fossi rinchiusa in una cella frigorifera. Urto un tipo che sta defilandosi dal locale come noi ma non ho la forza di scusarmi. Continuo a guardare il terreno, perché le persone si muovono troppo in fretta per i miei sensi alterati. Fin mi prende per le spalle. Brava, stavo per finire lunga distesa…

Che la tua amica? E’ drogata?”

Le canne non sono davvero droga. Alzo la testa e mi accorgo che non è Fin a sostenermi ma un ragazzo che non conosco. Carino. Al di fuori della mia portata. Sento Finnicella risponde al posto mio.

Tu hai visto droghe girare a questa festa?”

Il ragazzo mugola un ‘magari’. Mi concentro a fissare la sua maglietta. “Ho una malattia del sangue…”

AIDS?”

No… è genetica…”

Sento il mento sollevarsi – troppo in fretta, mi viene la nausea! – e intravedo due occhioni azzurri che mi scrutano incerti. Ti conosco, ti ho visto… ti ho visto, sì…

L’ondata sale di colpo e faccio appena in tempo a scansarlo. Mi piego e vomito pure l’anima. Non ho bevuto un goccio, ne mangiato alcunché, ma il colore non lascia dubbi. Gli occhi mi si riempiono di lacrime e balbetto un ‘merda’ con le labbra sporche di sangue. Credevo scherzassero. Credevo fosse un modo di dire! “Fin…”

Ti prendo dell’acqua… occazzo, Tris!!”

Cellulare… tasto tre… Chiama il dottore…”

*^*^*

La prima volta che l'aveva visto, aveva avuto sedici anni.

Era successo al centro commerciale, mentre ciondolava fra le scansie poco illuminate del reparto vinile di un negozio di musica. Triska ricordava di averlo notato nel reparto gothic metal. Era carino e il suo sguardo aveva vagato un po' troppo sui capelli castani chiari fino alla barbetta folta sul mento. Il ragazzo le aveva strizzato l'occhio, fatto la linguaccia ed era svanito in un battito di ciglia.

L'anno dopo si stava rifornendo – non proprio legalmente – di braccialetti e orecchini, quando l'aveva visto, fermo sul marciapiede al di là della vetrina del negozietto. Due fossette si erano formate sulle guance quando aveva sorriso, disarmandola. Non era uno di quei sorrisi che ti fa innamorare, no. Era simpatico, accattivante. Sexy. Triska non era riuscita a fermarlo neppure quella volta.

A diciotto anni e un giorno, Tris l'aveva sognato: il ragazzo l'attendeva seduto sui gradini della villetta. Aveva fatto amicizia con Pato, il cane scemo della mamma. Triska si era bloccata in mezzo al vialetto, l'ospite si era alzato, strofinando una mano sul fondoschiena per ripulire i jeans dall'eventuale sporcizia. Cosa rara e del tutto improbabile. Sua madre tirava la casa così a lucido che si poteva quasi mangiare sui pavimenti!

Ti ricordi di me?”

La sua voce era gentile, chiara. Tris aveva sentito un nodo sciogliersi ed era finalmente riuscita a sorridergli.

Mi aiuterai?”

A fare che?

Solo una volta.”

Il ragazzo l’aveva baciata, ma come succede sempre nei sogni, Tris non aveva provato niente. Solo una nostalgia infinita al risveglio.

*^*^*

Come ti senti?”

Schifosamente. Mi fa male il braccio dove è conficcato l’ago della flebo, gli occhi - sebbene mi abbiano assicurato che le luci sono ridotte al minimo - e la gola sta bruciando. Tutto il mio corpo sembra andare a fuoco. Tranne i piedi. Quelli sono freddissimi. “Sto morendo?”

Ti abbiamo fatto una trasfusione di sangue e ti stiamo reidratando.”

Sto morendo, sì o no?”

Sei stabile.”

Non è una risposta…”

Non ho la risposta, Tris.”

Allora dirlo, diamine.

Abbiamo avvertito i tuoi genitori, stanno tornando a casa. Puoi vedere i tuoi amici, ma solo per cinque minuti”

Amici?

Il dottore lascia la porta aperta e appena Finnicella mette dentro la testa, sento gli occhi riempirsi di lacrime. L’imbarazzo cresce quando noto il ragazzo dagli occhi azzurri fermo sulla soglia. E’ serio. Forse non gli piacciono gli ospedali.

Konstantin ci ha portate all’ospedale.”

Grazie…” mormoro con la voce che gratta la gola. “Mi prendi un po’ di acqua?”

Il ragazzo si scansa da un lato quando Fin vola in corridoio in cerca di una brocca di acqua. Infila le mani in tasca e avanza cauto verso il letto. “E’ sempre così?”

E’ la prima volta” sussurro cercando di immaginare il mio aspetto. Non sono una gran bellezza, ma ora devo essere proprio orribile. Sento le guance appiccicose di lacrime, di conseguenza anche il mascara deve essere andato. Il ragazzo sorride all’improvviso e due fossette gli scavano le guance. “Sei bellissima, non angustiarti.”

Ma come parla? E come fa a sapere a cosa stavo pensando? “Sei straniero?”

Di origini slave, ma vivo in questo paese da molti anni.”

Quanti ne avrà? Neppure venticinque, penso analizzando ogni centimetro di pelle.

Stai sudando.”

Sono i piedi freddi ad uccidermi…”

Konstantin siede ai piedi del letto ed infila le mani sotto la coperta. Sgrano gli occhi. Ma che fa?! Sto per protestare quando le sue mani bollenti strusciando i dorsi del piedi in modo alternato e accurato. E’ la cosa più assurda e imbarazzante che mi sia mai capitata! Vuoi vedere che è un feticista… ma Fin quando torna?! “Ehm… non c’è bisogno…”

Ti infastidisce?”

Sì, cazzo! Mi imbarazza e mi fa sentire…

Konstantin mi guarda, bloccando il movimento. Le sue mani sulle caviglie fanno pulsare le vene fino… oh, merda! Arrossisco, nervosa. 

Mi aiuterai, Tris?”

Mi aiuterai?

Una valanga di immagini mi sommerge: C’è sempre stato un uomo biondo accanto a me. Fin da quando ho memoria, ricordo il suo sorriso, lo sguardo chiaro, le fossette…

Chiudo gli occhi quando le sue labbra toccano le mie. Esalo un gemito sorpreso e le sue mani si infilano fra i miei capelli, bloccandomi la testa. Resto immobile, completamente annientata dal gesto e dalla sorpresa. Al primo bacio se ne aggiunge un altro, più lento e morbido. Il primo è stato di prova. Ha captato la mia disponibilità ed ora sta esplorando il territorio. Il suo odore è fantastico e porta alla mente altri ricordi. Quando la punta della lingua tocca la mia, la scarica arriva ovunque. Ho già baciato un ragazzo – a quindici anni, al campeggio, per penitenza – ma non era stato così. Me lo godo per un po’, cerco di ricambiarlo ma non sono certa di farlo bene, le sue labbra abbandonano le mie, si spostano piano piano sul collo e poi risalgono il mento. “Solo una volta…” sussurra vicino al mio orecchio.

Ok, è decisamente troppo. Non riesco a respirare e neppure a muovermi. Reagisco solo quando mi tocca il seno. Gli blocco il polso e guardo la sua mano, stretta attorno al seno sinistro. Fammela imprimere nella testa perché non succederà mai più. “Smettila” gorgoglio con la gola chiusa e un bel po’ impaurita. Ma dove sta prendendo l’acqua, Fin? In Siberia?! “Tu non puoi pretendere… io non ho… non sono…”

Konstantin gira il polso, intrappola il mio e lo spinge sul cuscino. Sorride. Cazzo… mi trema tutto, persino lo scheletro.

Non c’è fretta” sussurra a pochi centimetri dalle mie labbra.

Tris?”

Trasalgo e mi aggrappo al materasso. Fin?!

Ti eri imbambolata.”

Mi guardo attorno, stordita. “Dov’è andato?!”

Chi?”

Konstantin” sussurro e i ricordi mi piombano di nuovo addosso. “Il ragazzo che ci ha portato qui…”

L’ambulanza ti ha portato qui. Lui si è limitato a chiamarla dal tuo cellulare.”

Cosa?! La guardo, sempre più spaventata. Non posso essermi sognata tutto, non è possibile! Sento ancora il suo odore nel naso e le mani che massaggiano i piedi!

Hai freddo? Prendo un’altra coperta?”

Non ho freddo. Sto andando a fuoco. “Dov’è il mio cellulare?”

Fin si guarda attorno come una spia cospiratrice e me lo passa di soppiatto. “Non vorrai far saltare qualche peacemaker, vero?”

No no, penso scorrendo le ultime chiamate. Il 911. La mamma subito dopo. Apro la rubrica pigiando la K. Eccolo lì. Konstantin. L’uomo biondo che ha disincastrato la palla dai rami del sicomoro quando avevo sei anni. Che mi ha insegnato ad andare dritta in bicicletta a sette. Che portava il pane per le trote dello stagno, a otto. Sono cambiati i vestiti, il taglio di capelli… lui è sempre rimasto lo stesso. Non è possibile!

 


  
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