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Autore: Charlotte McGonagall    01/12/2013    3 recensioni
La Fata Turchina sa di avere grandi responsabilità e che questo le impone il distacco da ogni genere di sentimento; ma come si comporterà nel momento in cui, suo malgrado, si innamora? Quale sarà la cosa giusta da fare?
Archie/Fata Turchina
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Archibald Hopper/Grillo Parlante, Madre Superiora/Fata Turchina
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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NdA: Questa è la mia prima ff su OUAT e non potevo non esordire nel fandom col mio OTP (sì, lo so. Ho gusti strani). Comunque - per quanto ne so - questa è la prima ff con questo pairing mai scritta (io non ne ho mai trovata una su nessun sito, almeno, ma forse su tumblr potrebbe esserci qualcosa), il che mi sembra strano, visto che Archie è stato accoppiato un po' con tutti e la Fata Turchina mi sembrerebbe la scelta più ovvia.
Non sono presenti spoiler della terza stagione, mentre è necessario aver visto la seconda.
Comunque, la storia è raccontata dal punto di vista della Fata turchina/Madre superiora. Spero che vi piaccia.

La cosa giusta

La mia vita non è stata affatto semplice come molti potrebbero pensare. È stata piena di fatica, pericoli e preoccupazioni. La magia ha sempre un prezzo: il mio è stato la rinuncia a ogni genere di emozioni, a ogni legame che non fosse la compassione verso chi mi chiedeva aiuto e quello del mentore nei confronti delle mie allieve.
Avere a cuore il benessere delle persone e delle fate era il mio dovere, ma per farlo dovevo proteggere me stessa: ho conosciuto la comprensione, il rispetto, l'empatia, il senso di protezione, ma ho sempre cercato di tenermi lontana dall'amicizia e dall'affetto. Non che questo mi impedisse di provare tenerezza per le fate a me affidate, ma era proprio questo legame ad impormi il distacco. Sapevo cosa succede ad una fata quando smette di pensare con lucidità, quando si lascia sconvolgere dai sentimenti: la rovina. Lo avevo visto accadere a molte fate, che avevano perso le ali per il capriccio di un momento, per una simpatia o un'inimicizia.
Io sapevo che le fate non sono fatte per mescolarsi al mondo, che non sono fatte per il vero amore; il loro vero amore può essere solo la dedizione al lavoro.
Se sono stata severa con le più giovani, se io stessa ho dovuto privare alcune delle ali, è stato solo per proteggere loro e gli altri. Una creatura dotata di magia che si lasci trasportare dall'istinto è un potenziale pericolo per chiunque.

Avevo impiegato secoli a cancellare dal mio animo ogni possibile pulsione e ogni interferenza emotiva dal mio operato. Poi venne la maledizione e divenni umana. Per mia fortuna, il destino volle che fossi una donna dedita alla preghiera e alla contemplazione, a contatto coi problemi terreni, ma non assillata da essi.
Tuttavia, allo spezzarsi della maledizione, le barriere che avevo faticosamente costruito in entrambe le mie vite crollarono miseramente, lasciandomi vulnerabile, come in un limbo: né fata né suora, né creatura magica né persona comune.
Mi sentii improvvisamente smarrita, senza identità.

Fu allora che lo rincontrai. Mai avrei sospettato che quell'uomo potesse diventare così importante per me.
Quando lo conobbi, non era altro che una delle tante anime disperate che si rivolgono a me per esaudire il loro desiderio. Era solo, disgustato da se stesso, così infinitamente triste... Ne ebbi pietà e cercai di aiutarlo. Pensavo che non l'avrei mai più rivisto. Invece ci incontrammo più volte, in seguito, dapprima occupandoci di Pinocchio, poi come consiglieri presso la corte di Biancaneve.

Ormai erano trascorsi anni e lui era molto diverso dal nostro primo incontro: era più sicuro di sé, felice di rendersi utile in ogni modo possibile, cercando di essere saggio e buono come avrebbe sempre voluto essere. Allora, la pena che avevo provato per lui divenne stima e collaborazione.

Ora che la maledizione è stata spezzata e l'ho ritrovato, in lui rivedo l'ombra dell'uomo tormentato e spaventato scontrarsi con l'uomo ideale che vorrebbe essere. Tuttavia, è ancora dolce e buono, desideroso di rendersi utile, anche se spesso sembra solo un bambino impacciato e impaurito, bisognoso di protezione.

Ricominciai a provare pena per lui, ma in un modo differente: stavolta sentivo di provare un dolore affine. Sentivo di aver perso me stessa e sentivo che lui mi capiva.
Divenimmo confidenti, amici persino, come può accadere solo a due persone che si sono conosciute per anni, ed io - scioccamente - non me ne preoccupai finché non era già troppo tardi.

Non ero abituata alle emozioni di un corpo pienamente umano, alla forza che possono raggiungere, e ne fui spiazzata. Non mi spiegavo il lieve tremore alle mani, né il battito del mio cuore quando ero con lui. Non capivo perché sentissi un tale desiderio di sorridergli, perché - se inavvertitamente mi sfiorava - il mio stomaco si contorcesse e il respiro si facesse irregolare.
Sapevo cosa significasse l'innamoramento, ma non mi aspettavo nulla di tutto questo, non credevo che le sensazioni sarebbero state così nitide.

Cercai di allontanarmi da lui, di prendere le distanze, ma semplicemente non volevo, una parte di me desiderava solo averlo accanto.
Avrei voluto strapparmi il cuore dal petto pur di interrompere quella tortura, quella lotta interiore tra il desiderio e la ragione.

Finii per convincermi che ciò che provavo fosse solo attrazione fisica, uno scherzo della mia parte umana, ma mi sbagliavo.
In poco tempo sperimentai un'altra verità della natura umana: non si apprezza mai appieno ciò che si ha, finché non lo si perde.
Dopo la notizia della morte di Archie, piansi per giorni, anche se era da secoli che non piangevo.
Compresi cosa significasse l'espressione "avere il cuore spezzato": il dolore era reale, fisico, come una lama sottile conficcata nel petto, come se il mio cuore stesse implodendo, accartocciandosi come una foglia morta, inutile.

La notte lo sognavo e mi svegliavo in lacrime, perché il pensiero che non lo avrei più rivisto, che non avrei più udito la sua voce e non avrei mai avuto l'occasione di toccarlo mi distruggeva. Sentivo di avere bisogno di lui come non avevo mai avuto bisogno di nessuno, come non avevo mai voluto averne.
Ne ero innamorata, ormai non potevo più negarlo, e dubitavo che avrei mai smesso. Se può essere possibile accantonare i sentimenti per un vivo, un defunto è capace di legarti a sé per sempre, con la forza che solo la fatalità sa aggiungere alle passioni umane.

Se fosse vivo - mi ripetevo - potrei sistemare tutto; se potessi parlargli ancora, chiarirei ogni cosa, non lascerei nulla di non detto.
Tuttavia, quando scoprii che era vivo, non feci nulla di ciò che avevo immaginato. Quando lo rividi ero così felice, mi sentivo improvvisamente invulnerabile, come se nulla di brutto potesse mai più accedere ora che lui era tornato da me. Lo abbracciai, persino, e lui non mi respinse. Allora ebbi paura, ma non so se temessi di cedere ai sentimenti più di quanto temessi di perderlo. Dunque, non dissi nulla e lasciai che il nostro abbraccio si sciogliesse, lasciai che l'occasione di prendere una decisione mi scivolasse tra le dita.

*

Avevo detto alle mie consorelle che erano libere di andare, di trascorrere gli ultimi minuti della loro vita come desideravano, ma nessuna se ne andò. Rimasero tutte sedute nella cappella del convento, a pregare e confortarsi a vicenda. È questo che facciamo noi fate: restare unite, legate da uno spiccato senso di appartenenza alla comunità. Nel momento del bisogno, è alle altre fate che istintivamente ci rivolgiamo e a loro sono dedicati gli ultimi pensieri e gli ultimi momenti prima della morte.
Allora perché io stavo pensando ad Archie?
Perché avrei voluto correre per le strade a cercarlo, per poter morire accanto a lui? Era inconsueto, era folle, era sbagliato.
Io, la Fata Turchina, che ero stata la fata più potente, venerata per secoli con mille nomi diversi, sarei morta rimpiangendo la compagnia di un uomo. Se avessi avuto ancora le mie ali, me le sarei strappate io stessa per la vergogna.
Eppure, mentre Storybrooke veniva distrutta, io pensavo a lui e sentii di essere stata una sciocca a non avergli detto la verità quando ne avevo avuto l'occasione.

Una mano si posò sulla mia spalla. Era Nova: la dolce, goffa e ingenua Nova, alla quale avevo insegnato che, per diventare una buona fata, avrebbe dovuto dimenticare l'amore, alla quale avevo fatto spezzare il cuore cercando di fare la cosa giusta; Nova, che non mi aveva mai serbato rancore nonostante questo.
Chissà se i suoi ultimi pensieri erano rivolti a quel nano come i miei ad Archie?
Se solo avesse saputo... Di certo, non avrebbe mai potuto immaginare che proprio io mi sarei innamorata esattamente come era successo a lei. Nemmeno io avrei mai potuto. Mi sentii improvvisamente in colpa: se quella notte avessi saputo che presto il sortilegio avrebbe cambiato le nostre vite, che avremmo trascorso ventotto anni nell'oblio, per poi morire poco dopo la fine della maledizione, forse avrei lasciato partire Nova, avrei lasciato che sperimentasse brevemente le gioie della vita umana, invece di pianificare per lei un futuro che non avrebbe mai potuto vivere.
"Turchina, mi senti?".
Ero così assorta nei miei pensieri che non mi ero accorta che Nova mi avesse parlato.
"Il dottor Hopper vuole parlarti".
In quel momento lo vidi: giocherellava nervosamente con la sciarpa, sulla soglia della cappella, come a disagio.
"Grazie, Nova," dissi, cercando di nascondere la gioia che avevo provato nel vederlo. Tuttavia, quel momento di felicità si trasformò immediatamente in una profonda tristezza; è qui per dirmi addio - pensai - è l'ultima volta che lo vedrò.

Mi avvicinai e lui mi invitò a seguirlo fuori dalla cappella con un cenno.
Lo superai e percorsi il corridoio fino a svoltare al primo angolo.
"Sono contenta di vederti," dissi.
Lui sorrise.
"Era giusto che venissi," disse lui. "Dovevo...".
Si bloccò, come se ciò che avrebbe dovuto fare fosse un mistero anche per lui stesso.
Non saprei dire chi fu il primo ad avvicinarsi, ma, prima che me ne accorgessi, eravamo stretti in un abbraccio.
"Mi dispiace," mi disse, accarezzandomi la schiena. "Non avrebbe dovuto finire così".
"Non è colpa tua," gli dissi, "era destino".
"Invece sì," rispose, con voce rotta. "Avrei potuto lasciare che usassimo il fagiolo magico, ma ho voluto fare la cosa giusta e ho detto ad Emma che avrebbero dovuto tentare di salvare Regina".
Lo fissai incredula e lui mi raccontò trai singhiozzi ciò che era appena accaduto: il ritrovamento di un ultimo fagiolo magico, la decisione di Regina di sacrificarsi e l'estremo tentativo di salvarla.
"Mi dispiace," ripeté. "Forse, se non avessi detto nulla, a quest'ora saremmo tutti tornati nella Foresta Incantata, saremmo salvi; e tu avresti di nuovo le tue ali, so quanto ti manca la tua vecchia vita".
Lo strinsi a me con maggiore forza.
"Archie," gli dissi, con dolcezza, "non devi scusarti di nulla, non devi scusarti per avere detto la cosa giusta. Non mi importa delle ali, non voglio riaverle abbandonando Regina, che ha dimostrato di avere ancora un cuore. Non devi vergognarti di aver preso questa decisione, Archie: dimostra solo che sei una brava persona".
"Sono egoista, invece! Io non voglio...".
"Nessuno vuole morire, Archie, non c'è niente di cui vergognarsi".
"È te che non voglio perdere, Turchina," disse, quasi in un sussurro. "È orribile da dire, ma riesco solo a pensare che non ti parlerò mai più. Sento già la tua mancanza".
Nel mio animo vibrarono emozioni contrastanti: tristezza, innanzitutto, così profonda che la sentivo scavare solchi nel mio petto; poi un sentimento di struggente tenerezza per l'uomo che mi teneva fra le braccia; e infine un subdolo orgoglio, perché, in punto di morte, aveva pensato a me come io a lui.
Lo amavo - ora lo percepivo in modo nuovo, più consapevole e più disperato - e provai un senso di trasporto e urgenza.
Lacrime silenziose mi colarono lungo le guance e si mescolarono alle sue.
Mi passò una mano sulla nuca e trai capelli e non lo fermai. Non lo feci neppure quando mi prese il viso tra le mani e mi baciò.
Fu un bacio breve e incerto, come trattenuto. Si ritrasse per studiare le mie reazioni. Ero innamorata e disperata, stavo per morire e non avevo nulla da perdere, così lo baciai a mia volta.
Non avevo mai provato nulla di simile; le mie emozioni erano così intense che credevo avrei perso i sensi. Improvvisamente, nulla esisteva all'infuori di noi dei nostri baci disperati.

*

"Archie, non c'è bisogno di spiegare nulla, davvero. Credevamo che saremmo morti, abbiamo agito entrambi in modo avventato. Possiamo fingere che non sia mai successo".
"Quindi per te non significava nulla?".
Sospirai, stringendomi nelle spalle, a disagio. Quando lo avevo baciato, non avevo contemplato la possibilità che saremmo sopravvissuti. Invece, era accaduto e - dopo i primi momenti di confusione - sapevo che Archie avrebbe cercato di parlare del nostro incontro. Nessuna delle fate che avevano scelto di rinunciare ai loro poterei per vivere come umane era stata felice a lungo, ma erano divenute insoddisfatte e avevano reso infelici anche le loro famiglie, perciò decisi di fare l'unica cosa che mi apparve giusta in quel momento: spezzargli il cuore.
"Io ti considero mio amico, Archie," dissi, combattendo coi miei sentimenti ad ogni parola, "e ti voglio bene, ma sono una fata e le fate non si innamorano".
Non c'era rabbia sul suo volto, solo una profonda delusione. Avrei preferito che mi avesse urlato contro, perché quell'espressione ferita era più dolorosa di una coltellata. Non poteva immaginarlo, ma lo stavo facendo anche per lui, per evitare che ci rendessimo infelici a vicenda.
"Mi dispiace," aggiunsi, con sincerità, abbassando lo sguardo.
Lui si allontanò senza una parola.

Appena fui sola nella mia stanza, piansi a lungo.
Lo amavo? Sì, assolutamente e non nutrivo dubbi neppure sulla sincerità dei sentimenti di Archie.
Desideravo stare con lui? Con tutta me stessa, ma non dovevo lasciare che l'istinto offuscasse il mio giudizio.
Aveva fatto la cosa giusta, anche se entrambi stavamo soffrendo.
Ma ero sicura che fosse la cosa giusta?

NdA: Vi è piaciuta questa storia? Vi è sembrata orribile? In ogni caso, sarò felice di saperlo. Critiche e suggerimenti sono sempre apprezzati. La storia non è stata betata, quindi, se avete trovato degli errori di battitura che mi sono sfuggiti, comunicatemeli e provvederò a correggerli.
Vi aspettavate che alla fine si sarebbero messi insieme? Eh, no, troppo facile! Anche se non attribuisco alla Fata Turchina la crudeltà che le attribuisce buona parte del fandom, sarebbe stato troppo pretendere che dopo due baci fosse pronta a lasciarsi andare. Sta a voi decidere se il povero Archie un giorno riuscirà ad uscire dalla friendzone. XD
Comunque l'idea di questa storia nasce guardando la 3x07 (se non avete visto la puntata NON leggete oltre). Ricordate il finale della seconda stagione? Archie e i nani sono da Granny, ma poi tutti lasciano il locale. Nella 3x07, ad andare da Belle, sono Archie, i nani, e la Fata Turchina, che in qualche punto del missing moment tra le due puntate si è aggiunta al gruppo. Da questa constatazione sommata al fatto che lei e Archie si sono scambiati sguardi per tutta la puntata, nasce questo trip mentale. Il momento in cui Archie la affronta per parlare del bacio si colloca circa dopo aver lanciato l'incantesimo di protezione.

EDIT: Questa storia avrebbe dovuto essere una OS, ma mi è stato chiesto di scrivere un seguito, quindi un secondo capitolo potrebbe essere aggiunto presto.

   
 
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