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Autore: Trick    02/12/2013    3 recensioni
Correre all'indietro è come gettarsi in un dirupo a braccia aperte.
Sai che cadrai.

Il Signore del Tempo corre come chiunque altro innamorato dell'universo - ma per lui ogni occhiata rubata è un ostacolo che non può saltare.
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Doctor - 11, River Song
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: Mi scuso in anticipo perché per me è ancora impossibile riuscire a capire la logica che regola la storia fra Eleven e River. No, dico davvero, c'è qualcuno in questo universo che l'ha capita? Nel caso dovessi aver scritto qualche allucinante stupidaggine, vi sarei grata se me le faceste notare... questo telefilm non smetterà mai di confondermi.
So che è più corretto scrivere la Tardis, ma purtroppo ho iniziato a guardare Doctor Who in italiano e l'abitudine di chiamarlo il Tardis non mi è ancora passata. Chiedo scusa. (:





Pronti, partenza, via
*


All'inizio è sempre una questione di occhiate.
Il Dottore è un Signore del Tempo – l'ultimo – ma nemmeno lui ha fatto eccezione. L'ha osservata di sottecchi compiere le azioni più ordinarie – scostarsi un ricciolo dal viso, sorseggiare un goccio di tè, aggiustarsi il polsino della camicia.
Fremiamo tutti nell'attesa di scoprire se siamo a un passo dalla verità o dall'illusione, davanti a qualcosa di straordinario che cambierà per sempre la nostra vita o davanti a un nessuno che si scosta i capelli, che beve e si aggiusta la camicia e che si rivelerà essere soltanto qualcuno di passaggio.
Innamorarsi è una corsa a ostacoli molto interessante.
Qualcuno raggiunge il traguardo, qualcuno si ferma, qualcuno inciampa all'inizio e qualcuno alla fine; qualcuno parte già stanco, qualcuno arriva rinato, qualcuno fa il contrario e spreca ogni forza nel tentativo di rimediare. Prima o poi corriamo tutti in milioni di gare diverse su cui non abbiamo il coraggio di scommettere.
Il Dottore non voleva correre – correva da secoli, correva da troppe vite, avrebbe solo voluto fermarsi - ma quando aveva capito di non avere altra scelta se non quella di partire era già arrivato al traguardo e la gara si era già conclusa.
Correre all'indietro è come gettarsi in un dirupo a braccia aperte.
Sai che cadrai.
Non sai ancora quando, non sai ancora come, sei quasi certo di sapere perché e sei fin troppo certo che farà più male di ogni altra precedente caduta... ma lui ha corso lo stesso.
Era il solo modo in cui poteva sbirciarla scostarsi un ricciolo, bere il tè o aggiustarsi la camicia.



Washington D.C.
1969

Non dovrebbe essere lì, ma non è riuscito a impedirselo.

Si sporge per scrutare nel vicolo e si sistema distratto il cravattino. A River piace che lui sia in ordine – anche se è oggi è solo una bambina sperduta che cerca aiuto sotto le luci dei lampioni, anche se ha paura e non sa né chi sia lei né che sia lui, anche se ogni cosa è appena terminata e ogni cosa è appena iniziata.
«Aiuto».
Il Dottore serra gli occhi e sbatte la nuca contro il muro alle proprie spalle. Non fa abbastanza male, non quanto restare fermo nell'unico tempo che non ha mai avuto il potere di cambiare.
«Per favore, aiutatemi...».
Per la mente gli passa il folle pensiero di prenderla con sé e regalarle tutti gli universi che merita. Potrebbe portarla in Scozia e farle sentire l'abbraccio dei genitori che crede di non aver mai avuto; potrebbe regalarle le stelle, gli astri, ognuna delle vite che gli sono rimaste. Potrebbe crescere con lui e diventare la donna straordinaria che è destinata a diventare – a chi mai importerebbe cos'è mutato e cosa no?
Essere il Signore del Tempo costretto ad assecondarne le leggi è tremendamente ingiusto.
Guardaci correre”.
Il Dottore la sbircia un'ultima volta – ha le calzette bordate di pizzo bianco, i capelli biondi scompigliati, il piccolo viso pallido e spaventato – e la lascia andare.


Berlino
1938

Non dovrebbe essere lì, ma lei sta dormendo.

La osserva dall'altro capo della stanza, seduto su una scomoda sedia. Il diario nuovo di zecca che le ha appena regalato è appoggiato sul comodino, in attesa che ogni cosa inizi e finisca per l'ennesima volta.
River mormora nel sonno. Il Dottore sospira – è come avere cento coltelli piantati nei cuori – e si avvicina a passo felpato. Le sfiora una mano, intreccia le sue dita con le sue e resta lì, fermo, in un altro dannato secondo che non può essere cambiato.
Eppure sarebbe facile. Ci pensa ancora, pensa a quanto sarebbe semplice svegliarla e trascinarla in una delle tante mirabolanti avventure che lei deve ancora vivere, e lui potrebbe accompagnarla ancora una volta, ancora cento e mille volte, perché lui è il Signore del Tempo e non è giusto che alla fine debba sempre uscirne sconfitto.
«D-Dottore...».
La fissa con una smorfia triste – ha un ricciolo davanti al viso, le labbra appena dischiuse e non gli è mai sembrata più fragile e sola – e la lascia andare.


Università Lunare
5123

Non dovrebbe essere lì, ma ci sono centinaia di giovani attorno a lui e dubita di poter essere visto.

La guarda mentre risponde con incredibile prontezza alle domande del professore, senza alcuna incertezza, senza sbagli. Sagace, decisa, perfetta.
«Ne sa più del professore».
Il Dottore si volta verso il ragazzo di colore seduto accanto a lui. Ha i capelli scuri e folti, l'espressione ammirata – e l'ha già visto, ne è certo, ma è difficile ricordare in quale angolo e in quale momento dell'universo.
Il ragazzo scrolla le spalle.
«Sei nuovo? Non ti ho mai visto».
«Sono solo un tipo curioso».
Lui annuisce divertito.
«Ti capisco. River incuriosisce sempre tutti. Hai sentito della sua ricerca sulle convergenze dei buchi neri nella dimensione Gamma Centauri? Geniale» aggiunge con enfasi. «Vorrei poter lavorare con lei, un giorno».
Il Dottore lo osserva con un cipiglio pensieroso.
«Come ti chiami?».
«Dave».
È come un lampo.
Altro Dave”.
Vorrebbe ridere – o forse tutto il contrario – ma non aggiunge altro e torna a concentrarsi su River. Quanto gli costerebbe alzarsi il piedi e farle un fischio? Lui potrebbe portarla dentro i buchi neri di Gamma Centauri, alla fine e all'inizio del mondo, stando ben attento a non portarla mai alla fine del loro. Ma la lezione ormai è terminata, il tempo scocca e sibila e lo irrita. E vince ancora lui, sempre il tempo, barando sempre alla stessa maniera. Che senso ha essere il Signore del Tempo?
La scruta con orgoglio – ha i capelli raccolti in una crocchia che ricorda un Big Bang di riccioli e schiocca le dita per enfatizzare un concetto che deve sembrare elementare solo a lei – e la lascia andare.


Pianeta Uno
Inizio dei tempi

Non dovrebbe essere lì, ma nell'intero universo c'è solo una persona che potrebbe accorgersi della sua presenza.

Ed è proprio lì a qualche metro, e fin tanto che non si volterà il Dottore sarà tranquillo. La osserva rimirare soddisfatta il lavoro appena compiuto – la sente ridere e fa più male di quanto non avrebbe mai potuto pensare.
Ciao, dolcezza”.
Le prime parole dell'universo sono tutto il suo universo e non ha mai potuto dirglielo. Spoiler, spoiler, spoiler... sempre quei dannati spoiler a frenare ogni altra parola che avrebbe dovuto seguire le prime.
Cambierebbe qualcosa se corresse da lei e la portasse da qualche parte? Niente di pericoloso per una volta, niente che rischi di far esplodere l'interno Commonwealth a causa di un pesce rosso... un hamburger, magari. O un altro concerto di Stevie Wonder.
Odia essere il Signore del Tempo.
Le rivolge una labile occhiata – lei si sta allacciando una scarpa e non ha ancora smesso di ridacchiare – e la lascia andare.

La Biblioteca
51° secolo

Non dovrebbe essere lì, perché un solo sbaglio, un solo errore, qualunque cambiamento di un qualunque istante potrebbe condannare ogni suo futuro istante – o passato, o magari pure presente. Distinguere il tempo trascorso con River ha smesso da molto di avere importanza: contano solo gli attimi.
Contavano, in effetti, perché ormai il passato è solo passato e quello conta eccome.

La scruta mentre suggerisce ai suoi compagni di infilare i caschi protettivi, mentre aiuta la signorina Evangelista con il suo... probabilmente lo fa con una battuta di spirito, perché gli altri scoppiano in una risata nervosa.
Il Dottore si lascia scivolare contro la porta del Tardis e resta seduto a terra, con i gomiti appoggiati alle ginocchia e le dita fra i capelli.
Conta solo l'attimo – ed è quello, è quello che fa più male di tutti, quello dal quale non riesce più a rigenerare nulla.
Vorrebbe gridarle di non farlo, di non andare avanti da sola, di non lasciarlo indietro, ma sta lì, fermo e immobile nell'occhio del ciclone mentre il suo universo esplode.
La sbircia fra le lacrime un'ultima volta, l'ultima davvero – ed è meravigliosa e per un attimo, l'attimo che conta, lei si volta verso di lui e si acciglia davanti al fantasma di un Tardis che svanisce nel nulla.
Ma lui la lascia andare.



Alla fine della corsa, lei si era rivelata quella giusta. Era quella giusta anche all'inizio, ma lui non lo sapeva ancora e aveva scelto di correre.
Aveva corso in qua e in là, c'erano stati ostacoli sui quali era caduto e altri che era stato abile a evitare. Non era stata una gara lineare, la sua. Aveva cercato di tenersi lontano dal traguardo per quanto più tempo possibile, di non farla mai terminare – perché il traguardo era un'esplosione, era il dolore, era la fine dell'inizio – ma aveva fallito.
Camminare, correre, scappare... le aveva provate tutte, ma sempre all'indietro, sempre cadendo.
Non si era accorto che lei lo aveva visto.
Se sei il Signore del Tempo, il tempo può essere riscritto anche se ne sei succube, anche se hai appena perso la battaglia più importante... basta saltare l'ostacolo giusto per sistemare ogni cosa.
River si era voltata e si era detta di averlo solo immaginato – ma forse sarebbe potuto bastare, forse quello era l'attimo giusto che avrebbe potuto cambiare ogni cosa.
Il Dottore non se ne era accorto. Stringeva rabbioso i comandi del Tardis in preda a un pianto disperato, gli occhi serrati, la schiena curva e tremante, mormorando “spoiler, spoiler... spoiler” come se stesse maledendo ogni attimo di quel tempo che lo aveva fatto cadere.

«Guardami correre, River».



   
 
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