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Autore: Red Raven    02/12/2013    1 recensioni
Secondo posto nel concorso "L'Orto...e la Stella" indetto da Original Concorsi
Io non sapevo cosa fossa una cometa, ma pensavo che Sara fosse perfetta per rappresentare qualsiasi tipo di stella.
Anche un ortaggio prova dei sentimenti. E a volte agisce per coloro che ama.
Genere: Angst, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
- Questa storia fa parte della serie 'Original Tales'
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Nick dell’autore: Rolly Stardust
Titolo: Sara
Tipologia: One-Shot
Lunghezza: 1028 parole (secondo word)
Genere: Drammatico, fantasy
Avvertimenti: Angst, Character Death
Rating: arancione
Credits://
Note dell'autrice: le rimando a dopo la storia perché non vorrei fare spoiler ^^
Introduzione alla storia: Io non sapevo cosa fossa una cometa, ma pensavo che Sara fosse perfetta per rappresentare qualsiasi tipo di stella.


Sara





Era il mio primo inverno. La neve era arrivata presto quell’anno, o almeno così mi avevano detto. Io ero nato da poco, non potevo saperlo. Quando quella strana cosa bianca e fredda era scesa dal cielo, ammetto di essermi spaventato. Credevo ci avrebbe seppelliti tutti, e invece si era limitata a imbiancare il terreno fuori dalla serra. Ero curioso, volevo vederla meglio, ma quando sei un peperone non hai una grande possibilità di movimento. Al massimo potevo guardarmi intorno e comunicare con i miei fratelli e con gli altri dell’orto.
Eravamo organizzati in file. Ogni fila era occupata da una sola famiglia, e tra una fila e l’altra c’era uno spazio dove passavano i bipedi per curarci, darci da bere e strappare le erbacce, quando ce n’erano. In realtà era solo un bipede a fare tutto questo, una signora anziana che veniva una volta al giorno. Io la osservavo: i bipedi mi incuriosivano molto, forse perché sapevo che il mio destino era di essere mangiato da uno di loro.
La cosa non mi disturbava più di tanto: quando me l’avevano detto, all’inizio, mi ero spaventato, ma poi avevo capito che sarei morto comunque, prima o poi. E sacrificarsi per consentire a un altro essere vivente di vivere era una morte degna di onore.
Così, passavo il mio tempo cercando di godere di ogni istante, in quieta attesa dell’inevitabile.
Eravamo tutti peperoni nella mia fila, ma davanti avevamo i pomodori e dietro i cavoli. I pomodori non mi sono mai stati simpatici, troppo vanitosi: si credono i migliori perché quando maturano diventano grossi, lucidi e rotondi, più belli di qualsiasi altro ortaggio. Poi erano i primi a essere presi, ma immagino che fosse il prezzo da pagare per la propria bellezza.
I cavoli, invece, erano di tutt’altra pasta: parlavano poco, e quando lo facevano borbottavano a mezza voce, ma sapevano cose che nessun altro sapeva. Fu uno di loro a spiegarmi ciò che era successo a Sara.
Sara era una piccola bipede: aveva i capelli castani e gli occhi luminosi come due stelle. Veniva spesso nella serra a giocare, soprattutto adesso che era inverno. La serra era spaziosa e calda, e la piccola Sara amava stare con noi. Parlava spesso con noi: raccontava di come era andata all’asilo, dei giochi che avevano fatto. Ci parlava del presepe vivente che avrebbero interpretato, e che lei era stata scelta per fare la stella cometa. Tutti i giorni veniva e si portava dietro il suo hula-hop e si esercitava, cercando di non farlo cascare giù miseramente dal suo corpicino magro. Diceva che gli serviva per la recita, che doveva far girare un hula-hop con attaccate tante strisce, per rappresentare la coda della stella. Io non sapevo cosa fossa una cometa, ma pensavo che Sara era perfetta per rappresentare qualsiasi tipo di stella. Era sempre così gioiosa e splendente, e rideva, rideva di continuo.
Poi cominciarono le botte. All’inizio erano gli unici segni era pochi lividi leggeri: uno sul braccio, uno sul ginocchio. Cose di poco conto. Poteva anche esserseli procurati giocando.
Poi cominciarono ad aumentare di numero, a essere sempre più grossi e vistosi. Il sorriso di Sara cominciava a non estendersi agli occhi, abbandonava il suo hula-hop dopo pochi tentativi, parlava sempre meno. Fu quando venne a nascondersi in serra piangendo, che capii effettivamente che le era successo qualcosa di brutto.
Era una mattina luminosa, e Sara avrebbe dovuto trovarsi all’asilo. Invece era lì, in un angolo della serra, a coprirsi la bocca con le mani cercando di non fare rumore. Grossi lacrimoni le rigavano le guance, e il suo corpicino tremava, coperto dal vestitino miseramente strappato.
Sentii delle grida all’esterno: un uomo avanzava minaccioso, calpestando malamente la candida neve. Gridava, chiamava Sara con epiteti ingiuriosi e volgari.
La bambina si rannicchiò ancora di più, si coprì gli occhi con le mani, nella speranza di non essere vista.
L’uomo entrò nella serra, facendo un fracasso d’inferno. Si avvicinò a Sara con occhi minacciosi, le prese un braccio e cominciò a trascinarla via. Lei gridava, piangeva disperatamente, si divincolava, cercava di sfuggirgli a costo di staccarsi il braccio. L’uomo le tirò un manrovescio: il suono terribile di carne picchiata con violenza, e la piccola Sara non si muoveva più. Pareva non respirasse nemmeno.
L’uomo continuò a trascinarla per il braccio, noncurante del corpo che strisciava sul terreno e poi sulla neve, all’aperto.
Da quel giorno Sara non venne più alla serra.
Non sapevo cosa le era successo. Non sapevo chi fosse quell’uomo, nè perché si fosse comportato così. Sapevo solo che il tempo passava, che io maturavo e che presto sarei andato incontro al destino di tutti gli ortaggi della serra.
E’ un destino amaro: ma tutto sommato, sarei stato ben contento di morire per nutrire Sara, che ci aveva voluto così bene. Ma Sara non c’era più. Era rimasto solo l’uomo che ce l’aveva portata via. E, francamente, non avevo la minima intenzione di permettere a una persona così di continuare a vivere con la mia morte.
Quando ne parlai con il mio amico cavolo, lui mi disse che c’era una cosa che potevo fare. Che era rischiosa, e che avrebbe potuto non funzionare. Ma quale altra scelta avevo?
Così cominciai a prepararmi al momento della vendetta. Quando mi raccolsero, ero pronto.

Una settimana dopo, sul giornale del paese comparve questo articolo:
PADRE OMICIDA MUORE SOFFOCATO: VENDETTA DIVINA?
Il giorno 14 Gennaio scorso è stato rinvenuto il cadavere di uomo nella propria villetta in via Dante. La tragica scoperta l’ha fatta la signora Rosangela Cappiano, 74 anni, suocera della vittima, che quotidianamente si recava nella villetta per curare l’orto. La vittima, Rocco Perroni, 36 anni, già indagato per la misteriosa scomparsa della figlia Sara di 4 anni, è stato trovato riverso sul tavolo della cucina, insieme ai resti della sua cena. L’autopsia non ha ancora dato esiti certi, ma è plausibile che le cause della morte, avvenuta per soffocamento, siano da imputarsi alla peperonata che stava consumando.
Continua a pagina 16.


Note finali: questa storia…non so come mi sia uscita. Ringrazio le bambine dell’asilo del mio cuginetto per avermi dato l’input. Che sarebbe l’hula-hop con le strisce per fare la stella cometa, intendo.
Orbene, io spero che sia capita. Praticamente il nostro peperone ha ucciso il signor Rocco. Come? Francamente, non lo so neanch’io. Immaginatevelo come volete ^^
Il concorso e i giudizi li potete trovare a questo link
   
 
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