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Autore: eugeal    08/05/2008    3 recensioni
Ho scritto questo racconto per un concorso. Il tema è "Suoni d'Acqua" Una donna sta morendo in una stanza d'ospedale e ricorda la sua vita, accompagnata sempre dal suono dell'acqua.
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La luce fredda del neon mi disturba.
Chiudo gli occhi e ascolto.
Una dopo l'altra le gocce scendono silenziose lungo il tubicino trasparente e scompaiono dentro di me, ma se trattengo il respiro mi sembra quasi di sentirle.
Goccia.
Rumore d'acqua.
Goccia.
Una lacrima che cade.
Goccia.
Suono di ricordi.
Resto immobile e all'improvviso non sono più in questo triste letto di ospedale, ma rannic­chiata sotto le coperte soffici del mio letto di bambina, nella camera della mia infanzia.
E' mattina presto e sono sola, ma le voci ovattate di mamma e dei nonni mi arrivano dalla cucina e mi tengono compagnia. Parlano piano per non svegliarmi, ma io li sento lo stesso e ne sono felice.
Papà è già andato al lavoro, muovendosi in punta di piedi per non fare rumore.
Avvolta nel mio nido caldo mi sento protetta e ascolto. La pioggia batte sul tetto e sui vetri e in lontananza brontola il tuono, ma non ho paura: il temporale è ancora distante con i suoi lampi spaventosi. Per sicurezza però stringo un po' di più la mia bambola.
Piano piano la pioggia smette di cadere, ma la grondaia intasata continua a sgocciolare e io la ascolto, goccia dopo goccia, mentre i primi raggi di sole si fanno strada attraverso le persiane di legno verde e disegnano macchie rotonde sulle lenzuola.
Fuori, lo so anche senza vederla, l'erba è tutta verde e lucida, lavata dall'acquazzone not­turno e sembra quasi nuova.
Più tardi, quando il sole l'avrà asciugata, uscirò a correre e giocherò a colpire i rami degli alberi per far gocciolare le fronde bagnate.
Più tardi...
L'estate dei miei quindici anni mi trova seduta su uno scoglio in riva al mare, gli occhi chiu­si per ripararli dal sole abbagliante e una mano stretta intorno allo stecco di un ghiacciolo al limone.
Un morso impaziente mi riempie la bocca di un freddo quasi doloroso, ma non importa, sto pensando ad altro, sono in attesa col cuore che batte e frulla come un uccellino impazzito.
Il mare si infila tra le rocce con un rumore sommesso e per un attimo ripenso ai giochi del­l'infanzia, quando credevo che il canto del mare fosse la voce delle sirene. Ma ormai quei sogni a occhi aperti sembrano lontanissimi, dimenticati e poco importanti, tutti i miei pensieri sono rivolti ad altro.
Eccolo!
Arriva!
Viene a sedersi accanto a me coi suoi capelli schiariti dal sole e la pelle abbronzata e un po' sudata.
Mi sorride e si fa più vicino finché le sue labbra sfiorano le mie.
L'estate dei quindici anni, l'estate del mio primo bacio.
Il ghiacciolo, ormai dimenticato, inizia a sgocciolare.
Goccia.
Goccia dopo goccia, un secondo dopo l'altro, passa ancora il tempo.
Non c'è il rumore dell'acqua questa volta, solo il silenzio. Le lacrime che cadono non fanno rumore, ma scavano piccoli solchi nel cuore.
Fa freddo in questa casa vuota, oppure è solo solitudine?
Perché sei andato via? Perché?!
Sembra la fine di tutto e ancora non so che è soltanto un inizio.
Il primo di tanti abbandoni è quello che brucia di più. Passano giorni inutili, aridi e congelati, poi, come ogni dolore, anche questo comincia a passare.
Il cuore si scioglie e ricomincia a danzare al suo solito ritmo, mentre il sangue che torna alla vita mi accende nelle vene un concerto di battiti.
E' la primavera dei miei amori e risuona del gocciolio del ghiaccio che si scioglie.
Gocce, ancora gocce.
Attimi che si inseguono a formare una vita intera, fotogrammi continui di un ventre che cre­sce.
Acqua, acqua dentro di me e dentro l'acqua un feto addormentato che cresce e attende, aspetta e sogna e che alla fine diventerà un bambino vero.
Mio figlio.
Aspetto insieme a lui, tranquilla e a volte ho la sensazione di galleggiare in un mare di gio­ia. A volte ho paura dei naufragi e l'oceano si tinge di abissi scuri, ma se non ci penso l'ac­qua, la vita, diventa limpida e senza ombre, azzurra e canta tutte le sue storie.
In questo mare non ho bisogno di un faro.
Passano le stagioni come le maree, onda su onda, goccia a goccia, passa la mia vita.
Superate le tempeste e smorzata la forza del mare, cosa resta?
Un esile ruscello, un rigagnolo secco che si esaurisce lentamente, sgocciolando via la mia vita insieme alle medicine della flebo.
Gocce di oblio.
Gocce di morte.
Goccia a goccia la mia vita si consuma.
Se apro gli occhi, ogni ricordo svanirà di fronte alle pareti vuote di questa stanza di ospe­dale e resteranno solo il dolore e la disperazione, ma se mi limito ad ascoltare questo sgocciolio sommesso posso ancora fingere di essere altrove.
Goccia.
Goccia.
Scivolo nei ricordi.
Ancora una goccia.
E poi la pace.

   
 
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