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Autore: Beatrix Bonnie    08/12/2013    2 recensioni
-Seguito de L'orologio d'oro-
I tempi spensierati sono finiti: con il ritorno di Colui-che-non-deve-essere-nominato, Mairead, Edmund e Laughlin, insieme ai loro amici del FIE, dovranno affrontare il crescente clima di razzismo dell'Irlanda magica, tra ansie per gli esami finali, nuovi caos a scuola e un Presidente della Magia che conquista sempre più potere. Per Edmund non sarà un'impresa facile, soprattutto visto che il ragazzo sarà anche impegnato nella ricerca di un leggendario manufatto magico di grande potenza, che potrà salvarlo dalla maledizione impostagli da Sigmund McFarren. Ma dove lo porterà la sua ricerca? E questo oggetto esiste davvero o sono solo farneticazioni di un vecchio?
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Trinity College per Giovani Maghi e Streghe'
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CAPITOLO 1
Il corteo






Gli uccellini cantavano le loro dolci melodie, posati sugli alberi da frutto dell'ampio giardino. Un leggero venticello fresco spirava attraverso la finestra aperta, facendo increspare le tende di velluto del suo letto a baldacchino. Il sole, così raro in Irlanda, illuminava quella tiepida mattina di fine luglio, irradiando la sua luce sul parquet di legno scuro.
Faonteroy O'Brian avrebbe goduto di tutte queste graziose attenzioni che la natura pareva volergli riservare, se solo si fosse svegliato nel letto di camera sua, al castello degli O'Brian. Invece, era da una settimana esatta che veniva gentilmente ospitato a casa dei suoi zii, il maniero MacGaril. Suo zio Giustinianus MacGaril, fratello di sua madre, e sua zia Grainne O'Brian, sorella di suo padre, felicemente sposati tra di loro, gli avevano offerto un breve soggiorno estivo alla loro villa, per passare del tempo insieme al suo adorabile cugino Belisar.
Ma Faonteroy aveva da poco compiuto i quattordici anni e non era affatto uno stupido; tanto per cominciare, suo cugino Belisar era tutto tranne che adorabile: un ventunenne delle dimensioni di un grosso orso con la parrucca bionda; a causa dei vari incroci matrimoniali, non era proprio quello che si sarebbe definito un tipo sveglio. Era un miracolo che riuscisse ad infilare una serie di parole una dietro l'altra per articolare una frase; in realtà, non che Faonteroy l'avesse mai sentito fare grandi discorsi, ma si immaginava che fosse almeno in grado di parlare.
Inoltre, i suoi zii non si erano mai dimostrati particolarmente premurosi nei suoi confronti. L'interesse -forzato- verso di lui aveva una ragione d'essere ben precisa: la spilla con il giglio che portava appuntata alla sua giacca rossa di sartoria. Ad essere sinceri, non l'aveva indossata per tutta la settimana che aveva passato a villa MacGaril, perché era certo che i suoi ospiti non avrebbero apprezzato (e un O'Brian sa sempre comportarsi da gentiluomo); tuttavia era quanto mai esplicito che suo zio Giustinianus fosse preoccupato dalla direzione che avevano preso le sue amicizie: Nati Inglesi, traditori del proprio sangue, figli di Babbani. Tutta gente sovversiva.
Non era colpa sua. Almeno, non inizialmente: era stato quel tornado di sua cugina Mairead a coinvolgerlo nelle sue varie iniziative sediziose, insieme a quel gruppo di facinorosi che erano i ragazzi del FIE. Nobili che non si comportavano come tali, gente con genitori Babbani, perfino qualcuno che discendeva da Inglesi! E i loro progetti erano tutt'altro che innocenti!
Un mago che ambiva ad una buona reputazione e ad una carriera nel Parliamint, come lui, avrebbe fatto meglio a stare alla larga da quei disgraziati. Eppure si sentiva stranamente legato a loro.
Era lodevole il modo in cui si impegnavano nelle loro iniziative, mettendo anima e cuore per ciò in cui credevano, per quanto ostacolati dai più.
Studiare con Dominique era stimolante, chiacchierare con Moira piacevole. Si era perfino affezionato a sua cugina Mairead, alle sue folli idee, alla stupida impulsività che governava le sue azioni. I suoi anni al Trinity, era costretto ad ammetterlo, sarebbero stati molto più noiosi senza di loro.
Era quasi certo di poter dire di aver trovato degli amici. Solo qualche mese fa, ognuno di loro era stato disposto a correre parecchi rischi per andare in soccorso di Edmund.
Se fosse stato lui ad essere nei guai, immaginava che gli altri avrebbero fatto lo stesso. O, almeno, Mairead li avrebbe costretti a farlo. Questo significava essere amici, no?
Faonteroy rimirò la sua immagine riflessa nello specchio. Un giovanotto consapevole delle proprie qualità, con una casacca rossa finemente lavorata e una spilla con un giglio appuntata al petto. Soddisfacente.
Richiuse con cura la porta della stanza degli ospiti alle sue spalle, dopodiché si affrettò a raggiungere la famiglia MacGaril in sala da pranzo per la colazione. Entrò con le braccia incrociate dietro la schiena e il petto in fuori: suo zio inorridì, lui si sentì stranamente soddisfatto.
Giustinianus abbandonò la copia del Corriere che stava leggendo e lo scrutò fin quando non si fu seduto al suo posto, di fianco a Belisar. «Cos'hai lì?» gli domandò, per quanto dovesse sapere esattamente cosa fosse.
«Una spilla, zio» rispose educatamente Faonteroy.
«C'è un fiore, sopra» grugnì Belisar, probabilmente orgoglioso della sua acuta osservazione.
Giustinianus distolse un attimo lo sguardo arcigno dal nipote per puntarlo sul figlio. «Cosa ti ho detto riguardo al parlare?» gli domandò. Il ragazzone, per ricordare le parole giuste, ci impiegò parecchi secondi, durante i quali sfoderò una serie di espressioni concentrate che non avrebbero stonato su uno di quei grossi scimpanzé vestiti di frac e cilindro che si vedevano dar spettacolo al circo.
E questo sarebbe il mio amabile cugino? si chiese Faonteroy. Grazie, preferisco Mairead.
«Che se non ho niente di intelligente da dire, devo stare zitto!» riuscì a formulare infine Belisar, con evidente soddisfazione.
«Appunto.» Giustinianus, messo a tacere il figlio, tornò a concentrarsi sul suo vero problema. «Perché indossi quella spilla?»
Faonteroy smise di spalmare la marmellata sul pane e guardò lo zio dritto negli occhi. «Perché lo ritengo un mirabile simbolo di chi combatte per ciò in cui crede» rispose in tutta onestà.
«E tu in cosa credi?» lo sfidò Giustinianus, cercando di costringerlo a confessare le sue simpatie per sasanachfuil e traditori.
«Nei valori della nostra Costituzione.» Faonteroy fu certo che quella risposta avrebbe chiuso la discussione in modo definitivo: dopotutto, rispecchiava davvero ciò per cui lottava e nessuno avrebbe potuto essere accusato di qualcosa se proclamava la sua fede nella Carta Costituzionale.
Il resto della colazione trascorse in silenzio. Belisar pareva particolarmente accigliato per un insetto che aveva deciso di affogare nel suo caffellatte ma, memore del divieto paterno, non aprì bocca e si limitò a tentare in ogni modo di ripescarlo dalla tazza. Zia Grainne non era mai stata una donna di molte parole e, in quel preciso frangente, Faonteroy le fu piuttosto grato per il suo mutismo: come ripeteva spesso sua madre, i commenti acidi di zia Grainne non erano i migliori per sbloccare le situazioni difficili.
Quanto a zio Giustinianus, il suo silenzio era sintomatico dell'indignazione verso il nipote. Era ovvio che non gli piaceva la piega che stavano prendendo gli eventi, ma Faonteroy era stato bene attento a non offrire alcun pretesto per accusarlo di qualcosa. Anche in quel caso, attese che i suoi ospiti finissero la colazione, prima di alzarsi dal tavolo, perché un vero gentiluomo aspetta sempre che tutti abbiano deposto la forchetta. Dopodiché, il ragazzino si alzò con un gesto elegante e si congedò con le parole di rito.
L'ostinato silenzio di Giustinianus MacGaril si interruppe poco prima che il nipote uscisse dalla sala da pranzo. «Presto ti sarà chiesto di scegliere da che parte stare, Faonteroy O'Brian.» Il pronunciare il suo nome suonò come una minaccia.
Faonteroy pensò a Mairead, che lo stava aspettando a Dubh Cliathan, pensò ai ragazzi del FIE che combattevano per ciò in cui credevano; pensò perfino a suo padre, che gli aveva insegnato a seguire sempre ciò che è rispettabile. Lasciò che gli angoli della sua bocca si piegassero in un leggero sorriso, il primo spontaneo dopo tanto tempo. «Io ho già scelto, zio.»

Mairead osservava orgogliosa il procedere dei lavori. Non poteva certo dire che fosse tutto merito suo, perché i ragazzi del FIE le avevano dato una mano, ma l'organizzazione generale se l'era sobbarcata lei. E stava tutto andando a gonfie vele.
Aveva deciso che il corteo dovesse partire dal grande atrio che collegava Dublino con la sua parte magica, Dubh Cliathan. Era un luogo di passaggio, dove avrebbero avuto la maggiore visibilità. Inoltre, aveva accolto una delle pazze idee di Dedalus con lo stesso entusiasmo con cui lui l'aveva proposta: potevano scrivere le lettere della parola CONSTITUTION su dei teli e indossare ciascuno una lettera. Così avrebbero formato una catena umana.
A tal proposito, visto che loro erano solo in undici (i dieci ragazzi del FIE e Rosalie, che era stata costretta dalla gemella), a Mairead era venuto in mente di coinvolgere anche Rohiall, che ora se ne andava in giro tutto orgoglioso indossando la lettera T.
«Guarda, Mairead!» la chiamò proprio in quel momento. Alle sue spalle aveva una ressa di gente chiassosa e disorganizzata. «Ho chiamato la mia famiglia e un po' di Lucht Siuil!»
Mairead sorrise a quella marmaglia di persone. «Benissimo, Rohiall. Più siamo, maggiore è la visibilità.»
La ragazza si sentì come un generale che passa in rassegna le sue truppe. Congedatasi da Rohiall e dalla sua famiglia, riprese il giro per controllare che tutto procedesse per il verso giusto.
«Non voglio indossare la O» stava protestando Rosalie, quando Mairead le passò davanti. «Mi ingrassa.»
Lily, esasperata, le rifilò il lenzuolo con la lettera N. «Ficcati addosso questa, allora!»
Rosalie parve indignata. «Ma la N è l'ultima lettera. Non voglio essere l'ultima!» Si imbronciò, con il labbro inferiore spinto fuori e l'ombretto rosa che luccicava.
Mairead sorpassò le gemelle Sharpaty con un sorriso.
«Complimenti per il lavoro» la richiamò il signor Maleficium, avvicinandosi. Era accompagnato da sua moglie, Reammon e il professor Saiminius. Un gruppetto piuttosto bizzarro.
«Grazie, signor Maleficium.» Mairead cercò di mascherare un po' del suo imbarazzo. «Io e gli altri ci abbiamo messo un sacco di impegno.»
«Ci credo» intervenne Daire, con un sorriso. «È stata la prima volta in tredici anni che ho visto Laughlin e Bearach collaborare senza alcun litigio.»
«Siamo molto orgogliosi di voi ragazzi.» Reammon si offrì di parlare per tutti.
L'imbarazzo di Mairead aumentò (anche perché era raro sentir dire da suo padre cose serie), ma da qualche parte in fondo al cuore si sentì invasa dalla soddisfazione. Era bello che degli adulti apprezzassero il loro lavoro e capissero il motivo che li spingeva ad agire.
Stava per rispondere al complimento, quando Dominique le si fece incontro con la lettera C in mano. Lui indossava già la sua. «Mairead» la chiamò. «Faonteroy non è ancora arrivato.»
La ragazza si lasciò sfuggire un sospiro. «Scusatemi» fu il suo sbrigativo congedo, per affrettarsi a raggiungere i compagni.
«Quella piattola di tuo cugino è in ritardo» la accolse Laughlin, con una faccia da schiaffi tale da meritarsi come minimo uno Schiantesimo.
Mairead indossò di fretta la sua lettera O (da qualche parte dentro di lei si chiese davvero se sembrasse più grassa) e riservò a Laughlin la sua peggiore occhiataccia.
«Se vuoi posso chiedere a uno dei gemelli di mettere la C» propose Dominique, sempre pratico, accennando con il capo ai suoi due fratellini che avrebbero cominciato il Trinity quell'anno.
Mairead soppesò per un attimo la proposta, poi scosse la testa. «No, Faonteroy arriverà. Mi ha dato la sua parola.»
«E un O'Brian mantiene sempre la sua parola» intervenne proprio in quel momento la voce leggermente atona del ragazzino.
«Faonteroy!» Mairead sorrise e gli gettò le braccia al collo. «Visto?» provocò Laughlin, con una smorfia, liberando il cugino dalla stretta.
«Dovremmo stabilire una regola contro gli abbracci improvvisi» commentò piatto Faonteroy, lisciandosi le pieghe della giacca.
«Bando alle ciance, indossa questa.» Laughlin strappò il telo dalle mani di Dominique e lo gettò in braccio ad un allibito Faonteroy.
Il ragazzino aprì il tessuto e osservò la lettera che vi era disegnata. «È una C» commentò ovvio.
«Be', sai, c-o-n-s-t-i-t-u-t-i-o-n» sillabò Laughlin, indicando i ragazzi del FIE che indossavano i teli. Sorrise. Aveva proprio una faccia da schiaffi, quel giorno.
Faonteroy lo ignorò. «È la prima lettera.» E c'era da giurare che il suo tono fosse leggermente incrinato verso lo stupore.
Mairead gli riservò un sorriso sincero. «Certo, guiderai tu il corteo.»

Il corteo, passando per le strade di Dubh Cliathan attirò parecchia attenzione: molta gente, incuriosita dalla bizzarria della cosa, li seguì fino a Piazza del Controllo, la piazza centrale della parte magica di Dublino, dove sorgevano i due palazzi gemelli del Governo e del Parliamint.
Mairead sentiva la mano del cugino Faonteroy sempre più sudaticcia mano a mano che si avvicinava il momento in cui avrebbe dovuto parlare. Allora aveva una sfera emotiva anche lui! Sorrise, stringendogliela più forte. «Vedrai che andrai benissimo» gli sussurrò all'orecchio, con una strizzata d'occhio, quando erano ormai giunti davanti al palazzo del Parlamento.
Faonteroy liberò la mano dalla presa e tentò di non far notare che se la stava asciugando sul telo con scritta la lettera C. «Ovvio che andrò bene. Sono un O'Brian, no?»
Edmund nel frattempo aveva creato con la magia una specie di cubo, su cui fece salire Faonteroy affinché fosse visto da tutti mentre pronunciava il suo discorso.
Il ragazzino, teso e forse un po' spaesato, strinse e riaprì i pungi un paio di volte, poi cominciò: «Cittadini di Eriu.» La sua voce suonò terribilmente infantile e di scarsa potenza di fronte al chiacchiericcio distratto della folla ai piedi del palco improvvisato.
Mairead vide Edmund avvicinarsi e lanciare un incantesimo toccando il collo di Faonteory con la punta della bacchetta: il successivo appello del ragazzino risuonò magicamente in tutta la piazza.
«Cittadini di Eriu» ripeté Faonteroy per la terza volta. Ormai quasi tutti gli occhi erano puntati su di lui. Vedendo la sua esitazione, Mairead si chiese se avesse fatto bene ad affidare al cugino un compito così impegnativo: dopotutto aveva solo quattordici anni! Ma poi Faonteroy cominciò a parlare con voce sicura e dissipò ogni dubbio: «Cittadini, oggi siamo qui per ricordarci dei grandi valori che la nostra Costituzione ci insegna. Cosa dice il primo articolo?» La domanda studiata restò sospesa a mezz'aria, perché Faonteroy fece una pausa, come per permettere ad ognuno di ripensarci e rispondersi.
«Il primo articolo ci dice che tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge. Uguali, senza distinzione di sesso, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali e soprattutto senza distinzione di origini. Dovunque siano nati, chiunque siano i loro genitori, nonni o antenati, tutti i cittadini irlandesi sono uguali.» Osservando le sue gote arrossate, si poteva capire come il discorso stesse cominciando ad animarlo.
«Ecco perché siamo qui oggi» continuò, con sempre maggiore convinzione. «Siamo qui perché la proposta di legge sul censimento dei Nati Inglesi è contro i valori della nostra Costituzione. Non solo: propone di trattare in gruppo di cittadini in modo diverso in base alla loro origine. Diremmo: è razzismo. Ma io dico qualcosa che nessuno può negare: è anticostituzionale!»
I ragazzi del FIE applaudirono entusiasti, ma Faonteroy non si fermò, ormai preso da un'estasi comunicativa senza pari. «I cittadini sono uguali davanti alla legge. Non può esistere alcuna proposta di legge che discrimini un gruppo di cittadini. Il Parliamint non può approvare nulla del genere!» Il ragazzino scaraventò un pugno in basso, come se lo stesse picchiando su un tavolo immaginario. «Irlandesi!» gridò e la sua voce rimbombò nella piazza. «La Costituzione ci ricorda che siamo tutti Irlandesi, tutti animati dallo stesso amore per la patria, indipendentemente dalle origini.» Lo sguardo di Faonteroy indugiò su Mairead e un'ombra di sorriso illuminò i suoi occhi di solito così austeri.
Finalmente si calmò: il suo tono divenne più tranquillo e smise di gesticolare. L'ultimo appello pareva quello di un genitore amorevole ai pargoli che imparano ad affrontare il mondo. «Non lasciate che la paura di un nemico straniero accechi le vostre menti e vi faccia dimenticare i grandi valori di cui siamo figli.»
Con un cenno d'inchino, Faonteroy scese dal piccolo palco. I ragazzi del FIE e i pochi simpatizzanti accompagnarono la sua uscita di scena con eccitazione, ma nel complesso l'applauso che seguì fu più educato che entusiasta.
C'era qualcosa che impediva alla gente di condividere davvero fino in fondo i valori messi in campo da Faonteory, ma Mairead non riusciva a capire di cosa si trattasse. Cosa poteva esserci di più importante dell'uguaglianza?
Quando anche l'applauso del FIE si spense, rimase una persona che continuava insistentemente a battere le mani. La folla si aprì a cerchio intorno all'uomo e comparve nel mezzo il presidente Adolphus McPride. Applaudiva e sorrideva, un sorriso da squalo.
«Grazie, io dico grazie a questo giovanotto!» esclamò e non ebbe bisogno di usare alcun incantesimo perché la sua voce raggiungesse tutti: pareva scaturire dal mare che rimbomba in una caverna nella scogliera. «Ha risvegliato le nostre coscienze intorpidite. Ci ha dato una scossa con la sua innocente freschezza.»
McPride fece qualche passo verso il cubo che Edmund aveva evocato, ma non vi salì, come per dare l'impressione di una chiacchierata col popolo più che non di un discorso istituzionale. «La Costituzione! Come potremmo dimenticarla?»
Si voltò sorridente verso Faonteroy. «Come dicevi?» gli chiese, fingendo di volerlo coinvolgere. Ma prima che il ragazzino potesse dire alcunché, il Presidente riprese: «La Costituzione ci insegna i grandi valori. Sono d'accordo: l'uguaglianza di ogni cittadino viene prima di tutto. Infatti il primo articolo dice che il Ministero deve impegnarsi ad eliminare le differenze con provvedimenti mirati.»
Fino a lì, il ragionamento filava: si trattava di ribadire concetti della Costituzione. Tuttavia Mairead aveva l'impressione che presto il discorso avrebbe preso tutt'altra piega. McPride doveva pur trovare il modo di giustificare l'operato del suo governo come qualcosa di legale.
Il Presidente si rivolse incoraggiante ai suoi cittadini. «Ed è quello che stiamo facendo. Tutte le leggi che proponiamo sono per il vostro interesse. Vogliamo proteggervi dalle minacce esterne. E soprattutto vogliamo proteggere coloro che sono più esposti al pericolo. Per eliminare le differenze. Registrare coloro che hanno origini inglesi è un tentativo di tutelarli, loro che sono esposti a un rischio maggiore, ora che Voi-sapete-chi è tornato. Per renderli uguali agli altri cittadini, proprio come ci insegna la Costituzione.»
Ecco come ribaltare il tutto. Ecco come far sembrare costituzionale una legge che non lo era per niente. Mairead strinse i pugni, indignata. Quell'uomo stava facendo leva sulla paura degli Irlandesi per convincerli che la sua politica xenofoba si fondava su principi validi. Ecco perché il discorso di Faonteroy non aveva avuto la stessa presa sulla gente: perché lui non aveva l'aria di uno che avrebbe potuto difendere la patria in caso di attacco da parte dei Mangiamorte.
Come per dar conferma ai pensieri di Mairead, McPride assunse un'espressione da padre protettivo e concluse: «Non dovete temere nulla: siamo qui per proteggervi. Io sono l'uomo di cui avete bisogno per la vostra sicurezza.»
Lo scroscio di applausi che seguì non aveva nulla a che vedere con quello educato e rispettoso che aveva accompagnato la discesa di Faonteroy dal palco improvvisato: ora il pubblico ruggiva la sua approvazione. Com'era possibile che ideali tanto sbagliati avessero una presa simile sulle coscienze dei cittadini?
Faonteroy aveva mostrato una capacità oratoria niente male per i suoi quattordici anni e era parso anche davvero appassionato, forse per la prima volta in vita sua. Inoltre aveva parlato di diritti fondamentali, di grandi valori. Eppure McPride aveva detto l'esatto contrario, facendola sembrare la cosa più giusta e naturale del mondo. Perfino Mairead si rendeva conto dell'incredibile ascendente che quell'uomo aveva sulla folla.
La ragazza, sconsolata, mise una mano sulla spalla del cugino con l'intenzione di confortarlo: il suo primo discorso pubblico era stato un disastro e non certo per colpa sua. Doveva averla presa molto male, lui che aveva tutta una sua scala di valori legati all'onore e alla rispettabilità.
«Sono particolarmente costernato» sibilò Faonteroy. E, per quanto quelle fossero esattamente le parole che ci si poteva aspettare da lui, il tono era in assoluto la cosa meno appropriata alla figurina del giovane nobile. E nemmeno lo sguardo: stava mandando scintille nella direzione del Presidente.
Stupidamente, Mairead si sentì orgogliosa del cugino. Ecco il vero O'Brian che c'era in lui. Ma proprio nel momento in cui lo realizzò, capì anche che era il caso di arginare la rabbia di Faonteroy, perché un O'Brian arrabbiato rischiava di provocare un uragano di disgrazie. «Ehi, cugino, lascia stare» gli consigliò, facendo un po' più di pressione sulla sua spalla.
«È giusto che un uomo onesto combatta le ingiustizie» replicò Faonteroy, recuperando il suo tono atono, ma senza perdere il furore nello sguardo. Poi, senza alcun preavviso, si liberò dalla presa di Mairead e avanzò a passo di marcia verso McPride. «Signor Presidente?» lo richiamò, con tutta l'educazione possibile.
L'uomo, che stava stringendo mani e sorridendo alla gente, si voltò verso Faonyeroy senza perdere il suo fascino lupesco.
«Signore, ciò che ha fatto è deplorevole.» Il tono di Faonteroy fu educato, le sue parole molto meno, ma non per questo scalfirono il sorriso di McPride. Il ragazzino, ancora più intestardito dalla mancata dimostrazione di rimorso del Presidente, continuò: «Lei ha manomesso il mio discorso, facendo apparire le sue parole una naturale conseguenza delle mie, quando non era per nulla mia intenzione approvare la proposta di legge sul Censimento dei Nati Inglesi. Tanto più che far passare quella legge come una protezione nei confronti di coloro che discrimina è la macchinazione più disonesta che abbia mai visto.»
Gli occhi blu di McPride si tinsero di una vena di scherno. «Questa è la politica, ragazzino» gli sussurrò, piegandosi in avanti, perché solo lui potesse udirlo. «Non metterti a giocare con i grandi, potresti farti male.»
McPride si raddrizzò: sembrava accattivante e fascinoso come sempre.
«Faonteroy.» Mairead raggiunse il cugino quando ormai il Presidente aveva deciso che non valesse più la pena sprecare il suo tempo per loro. «Mi dispiace.»
Faonteroy non smetteva di fissare la schiena di McPride. I suoi occhi verdi erano una tempesta di cime di abeti squassate dal vento. «Non sa che cos'ha scatenato» sibilò, la bocca ridotta ad una fessura.
Mairead guardò di sottecchi il cugino, indecisa se essere intimorita o ammirata. Lui non lo sa, ma io sì: ha scatenato un O'Brian.








Buongiorno a tutti!
Ben ritrovati ai vecchi e ben arrivati ai nuovi! Ebbene sì, comincia la sesta avventura dei ragazzi del Trinity, nonché il loro ultimo anno di scuola.
Che dire? Qui mi sono divertita un po' con l'adorabile cuginetto Faonteroy. Ricordo che Mairead aveva detto di lui "è un O'Brian, c'è una vena di follia in lui. Io devo solo aizzarla"; credo che ci stia riuscendo benissimo e prima o poi potrete gustare appieno la follia di Faonteroy (ho in mente una scena finale bellissima per lui!).
Quanto a McPride, non ci si poteva aspettare niente di meglio da lui! Che cattivo adorabile! Ha solo un unico difetto: sottovaluta troppo il nemico; per quanto piccolo come una formichina, il FIE rosicchierà alla base la stabilità del suo governo. Vedrete come!
Vi lascio qualche immagine, giusto per completezza (oltre alla copertina del racconto, disegnata da me!):
QUI Faonteroy a villa MacGaril, in tutto il suo splendore;
QUI villa MacGaril
QUI il caro Giustinianus (prima o poi troverò qualche prestavolto anche per Belisar, promesso!)
QUI l'albero genealogico dei MacGaril, se qualcuno non l'avesse ancora visto.

Con le vacanze natalizie di mezzo, sono un po' ingolfata. Il prossimo capitolo sarà fra un mese, domenica 5 gennaio; dopodiché prometto un aggiornamento in tempi più brevi. Vi auguro dunque un sereno Natale e un buon inizio d'anno.
Alla prossima,
Beatrix Bonnie

   
 
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