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Autore: Finnick_    14/12/2013    3 recensioni
I Giochi della Fame sono cambiati.
Ogni persona può essere offerta come tributo negli Hunger Games.
John e Sherlock, Amy, Rory e il Dottore.
Nessuno è al sicuro.
POSSIBILI SPOILER HUNGER GAMES (Catching Fire & Mockingjay).
Genere: Avventura, Drammatico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nota:
Ok, ok, è vero, sono in ritardo.
Chiedo umilmente venia, ma non ho potuto scrivere e pubblicare il tutto prima perchè sono stata fuori per tutta la settimana (vacanzina invernale ^^).

Spero di farmi perdonare con questo capitolo nuovo di zecca.
Comunque credo che questi saranno più o meno sempre i miei tempi di pubblicazione.
E, tanto per darvi qualche anticipazione, mi è venuta un'idea per l'arena.
Ma, come direbbe la nostra amica River, questo è SPOILER.
Ultima nota: nessun personaggio di questo capitolo mi appartiene, eccetto Tilla e Cloe.
Detto questo, buona lettura, "tributi wholockians"!






Capitolo 4:Capitol City
 
Gli alloggi dei tributi si trovano proprio di fronte alla pista della sfilata.
Adesso è vuota, ma gli spalti si stanno riempiendo lentamente.
Il nostro primo campo d’azione, qui a Capitol City, sarà esattamente quello: ci faranno salire a coppie sui carri, sfilare di fronte alla maggior parte della popolazione cittadina, sicuramente vestita con i più sgargianti colori che esistono, e fermare in pompa magna sotto il balcone del Presidente che, con grande onore e gloria, tesserà le lodi di ognuno di noi.
Ma non quest’anno.
Non so esattamente perché, ma sento che l’edizione di quest’anno sarà diversa.
Non credo che il mio presentimento si riferisca tanto al fatto che a partecipare siamo sia io che Sherlock, quanto all’idea di aver scombussolato notevolmente gli animi dei Capitolini.
In fondo, ed è un pensiero che ho sviluppato durante tutto il viaggio in compagnia di un silenziosissimo Sherlock, noi siamo il pretesto che spinge ancora più gente a stare incollata davanti agli schermi delle tv.
E più gente c’è, più il popolo e il Presidente stesso si aspettano da noi.
E più si aspettano, più le possibilità di deludere tutti aumentano.
Non che m’interessi far battere le mani alla gente di qui, ma m’interessa la sorte delle persone dei Distretti.
So che Panem ha sfiorato la rivolta una decina di anni fa.
Ricordo bene quei giorni.
Il Presidente Snow ricorse a qualsiasi sotterfugio per reprimere la scintilla e ci riuscì.
Adesso, la confusione che si è venuta a creare nel nostro Distretto e nel Distretto 11 ci mette in cattiva luce di fronte ai suoi occhi. E questo non mi piace.
“Ogni piano corrisponde al numero di Distretto dei tributi che vi vengono ospitati.”
Finnick ha ricominciato a parlare. Siamo in ascensore ed ancora una volta mi stacco a mala pena dal mio flusso di pensieri.
Preme il pulsante con su scritto “4” in azzurro e le porte di acciaio lucido si chiudono di scatto.
“Noi ovviamente andiamo al 4” conclude appena in tempo per vedere le porte che si spalancano su una sala enorme, completamente ammobiliata da ricchi divani, tavoli e sedie.
Notando la mia faccia costernata – sicuramente non quella di Sherlock, che è rimasto impassibile di fronte a tutto – Finnick sorride. Attraversiamo l’appartamento, mentre il nostro mentore ci spiega la disposizione delle stanze.
La sala da pranzo è rialzata di qualche gradino e situata in un gradevole soppalco che si affaccia proprio sulla pista della sfilata.
Potrei prendermi il tempo di apprezzare tutto questo, ma sono troppo impegnato a pensare a quanto trasudi ipocrisia da ogni angolo.
“Immagino che anche il Distretto 11 sia al piano corrispondente” dico, senza pensarci troppo.
Finnick si volta e alza un sopracciglio.
“Beh, sì. Certo.”
Probabilmente ha la tentazione di chiedermi perché mi interessa, ma non cede e ricomincia a camminare.
Mentre Sherlock mi guarda di sottecchi, Finnick si volta di nuovo, mi punta un dito contro e sorride.
“Un consiglio. E prima che tu lo dica, Sherlock, non è inutile.”
Sherlock chiude la bocca che aveva aperto nel tentativo di contraddirlo.
“Pensate a voi stessi. Almeno finchè non sarete al Centro di Allenamento. Lì potrete guardarvi intorno e pensare alle alleanze, adesso no.”
Faccio per replicare, ma Finnick agita il dito e si volta per continuare a mostrarci l’appartamento.
Sherlock mi rivolge uno sguardo contrariato, sembra quasi che i suoi occhi abbiano assunto la forma di due punti interrogativi.
Mentre siamo nel salotto intenti a far parlare Sherlock, le cui ultime parole sono state quelle pronunciate sul treno, Tilla fa il suo raggiante ingresso dall’ascensore.
Quando mi volto a guardarla, mi aspetto di leggere in lei la medesima costernazione e la soffocata disperazione che mi aveva quasi vomitato addosso sul treno. Ma non ne trovo traccia.
Tutt’altro: il suo volto è sorridente, si è cambiata d’abito e adesso indossa un vestito corto dalla forma di una bomboniera, color verde acqua.
I capelli colorati di azzurro sono lasciati cadere sulla schiena e sono tanto lunghi da sfiorarle i polpacci.
E’ una donna estremamente affascinante e me ne rendo conto solo adesso.
Quando entra, sventola la sua mano tatuata di bianco e chiede:
“Bene bene, il nostro Finnick vi ha mostrato l’appartamento?”
Finnick annuisce, mentre Sherlock si volta altrove, disgustato.
“Ottimo lavoro. Adesso tocca a me. Sedetevi tutti qui.”
Da due colpetti al divano di pelle e costringe tutti a mettersi a sedere.
Ora che la guardo meglio mi rendo conto che il sorriso è forzato. Certo, più naturale di quello sul treno, ma… quanto alcool c’è dietro?
Tilla comincia a parlare con voce squillante, sparando a raffica tutti gli impegni che abbiamo nei prossimi giorni: la visita dallo stilista, la preparazione alla sfilata, la sfilata stessa, gli allenamenti… E qui prende la parola di nuovo Finnick che ci illustra come cercare le alleanze, cosa dobbiamo fare per impressionare la commissione di strateghi ecc ecc.
La metà delle informazioni mi entrano da un orecchio e mi escono dall’altro, per cui sono estremamente sollevato di avere almeno un’ora a disposizione prima di essere catapultato con Sherlock dallo stilista.
Tilla e Finnick rimangono a parlare, mentre io mi rivolgo a Sherlock:
“Hai bisogno di qualcosa?”
Con una smorfia mi rendo conto che il mio tono è titubante.
Sherlock non risponde. Rimane immobile, a fissare, dalle grandi vetrate della sala, la città che scorre sotto i nostri piedi.
Mi avvicino, lievemente innervosito.
“Sto parlando con te, Sherlock. Hai bisogno di…”
Lui non muove un muscolo.
“… Qualcosa?”
Niente. Per tutta risposta, infila le mani nelle tasche del cappotto e se ne rimane immobile.
“Va bene… Va bene, lascia perdere.”
Giro sui tacchi e mi vado a chiudere nella mia stanza, determinato a passare l’ora di aria che ho lì dentro.
I miei pensieri sono stati interrotti troppe volte e, sebbene ancora non abbia realizzato di essere realmente entrato nel bel mezzo della preparazione ai giochi, ho bisogno di tempo per me stesso.
Mi siedo sul letto.
Sento il respiro che si fa affannoso.
Mi tolgo il maglione e apro il primo bottone della camicia. Mi manca l’aria. No, non adesso.
Non un attacco di panico. Comincio a voler tossire, ma non ci riesco e sento caldo.
E’ la sensazione peggiore. Credere di aver tutto sotto controllo, per poi rendermi conto di essere piombato nel panico senza accorgermene. Mi succedeva spesso in guerra e l’ultima volta che ho provato una sensazione simili è stato quando…
Mi ritrovo agonizzante per terra. Non riesco a respirare.
“Sherl…” provo a chiamare Sherlock, ma non ci riesco.
Ok, niente male, John Watson. Stasera la notizia sarà ovunque: muore tributo del Distretto 4 per attacco di panico. Si ripete la mietitura nel Distretto.
Cerco di aggrapparmi al pavimento, ma le mie unghie scivolano.
Tutto si fa sfuocato e non ne sono sicuro, ma credo di aver visto entrare Tilla di corsa. Adesso è vicina a me e sta chiamando qualcuno a gran voce. Io cerco di chiamare Sherlock, ma dalla mia bocca non esce alcun suono.
Chiudo gli occhi e quando li riapro non vedo nient’altro che nero. E buio.
Una voce conosciuta mi sussurra qualcosa all’orecchio:
“Insieme. Mai da soli, insieme. Andremo in quell’arena insieme.”
Sherlock…? Non capisco niente.
“Mantieni il contatto uditivo con me, John.”
Ma io crollo e per un momento penso che sia per sempre.
 
**
 
E’ tutto dannatamente perfetto.
Non c’è una macchia sul letto, non un graffio sul pavimento o sulle pareti.
Lo specchio è talmente lindo che mi viene il dubbio che lo rinnovino ogni anno.
E’ tutto troppo perfetto.
Tocco le coperte sotto di me, ci giocherello con le dita e lascio che lo sguardo si perda nel soffitto verde chiaro, che al momento mi sembra uno spazio senza fine.
Non riesco a smettere di pensare alle parole che River mi ha borbottato in pochi istanti sul treno.
Per poco non ho avuto la possibilità di chiederle di più e da quel momento siamo perennemente state divise, oppure insieme a noi c’è sempre stato qualcun altro.
Mi chiedo se, in ogni caso, sul treno avrebbe continuato il discorso, dato che entrambe siamo consapevoli dell’assillante presenza di telecamere in ogni singolo punto dei nostri alloggi, dei mezzi di trasporto e persino dei bagni.
In questo momento, per esempio, sono assolutamente certa che mi stiano osservando per verificare che non prenda un coltello e mi faccia fuori. O cose simili.
C’ho pensato, devo essere sincera, ma non l’ho considerata un’opzione tangibile.
Non è da Amelia Pond arrendersi senza aver lottato.
E’ come se la voce del Dottore mi risuonasse in testa e al momento mi fa solo piacere.
Rory è là, nel Distretto 11, con accanto il Dottore che probabilmente lo tiene per le spalle, mentre davanti a loro, in tv, passano e ripassano la scena delle mietiture.
Sono talmente Rory-dipendente, che quando qualcuno bussa alla porta della mia stanza, salto su come una molla e mi aspetto di veder sbucare il suo stupido muso da dietro lo stipite.
E invece entra Cloe, la nostra accompagnatrice, che, con un ampio sorriso fin troppo sincero, mi fa cenno di uscire.
“Dobbiamo andare, gli stilisti vi aspettano” dice, spalancando del tutto la porta.
La delusione di non vedere Rory è stata improvvisamente sostituita dalla bramosa voglia di sapere del Dottore quello che River sa, ma che non ha modo di dirmi.
Scendo dal letto tanto in fretta che si direbbe abbia voglia di prepararmi per la sfilata.
“Bene, adoro le persone scattanti!”
Cloe fa eco ai miei pensieri.
Una volta fuori dalla stanza, raggiungiamo River e Seeder che ci aspettano per accompagnarci ai piani inferiori. Io e mia figlia lasciamo che le altre ci mostrino la strada e intanto mi sporgo verso un suo orecchio:
“Devo saperne di più sul Dottore.”
River si guarda intorno e rimane immobile quando Seeder si volta a guardarci.
“Non adesso.”
Cloe ci spinge entrambe nell’ascensore e, quando siamo dentro, bisbiglio di nuovo:
“Dobbiamo trovare il modo. Che cosa sai tu che io non so?”
Cala il silenzio e io mi zittisco.
“Come siete taciturne, ragazze” osserva Cloe, con il piglio di chi si aspetterebbe gioia ed entusiasmo da dei condannati a morte.
River si schiarisce la voce e, giusto in tempo, Seeder e Cloe ricominciano a parlare animatamente.
“Troveremo il luogo, ma adesso non posso dirti niente.”
“Il luogo sarà l’arena?” replico seccata.
“No. Ma tutto il resto adesso è SPOILER.”
Faccio una smorfia.
“Non vi sopporto. Tu e tuo marito. E’ tutto uno SPOILER per voi.”
River non ha nemmeno il tempo di aprire bocca, che l’ascensore si ferma di botto facendo perdere a tutti l’equilibrio. Io mi attacco alla maniglia per non cadere e, fortunatamente, nessuno si fa male.
“Che diavolo è successo?” mi esce spontaneo.
Cloe fa un gesto acrobatico per rimettersi al posto giusto il vestito e si sporge dalla parete di vetro alla sua destra.
“Non capisco, siamo ferme al quarto piano.”
Seeder allunga un dito verso i bottoni e spinge il tasto “0”, ma non ci muoviamo di un millimetro.
Prova ripetutamente, ma non succede niente.
In quel momento si sentono due forti colpi dall’altra parte delle porte chiuse.
Silenzio.
Poi altri due colpi violenti.
“C’è qualcuno che cerca di entrare” dice River.
Seeder si sporge verso la porta, l’afferra all’estremità e si sforza per aprirla.
Dopo pochissimi secondi, le porte si spalancano e una voce femminile irrompe con tutta la sua forza dal quarto piano.
“Giuro che se tiri di nuovo dei colpi all’ascensore chiamo la sicurezza!”
In un attimo veniamo inondati dalla luce dell’appartamento del Distretto 4.
Due uomini stanno tenendo tra le mani una barella probabilmente rimediata sul momento da uno stanzino dell’appartamento e sopra di essa è disteso un uomo che si rivolta come un calzino in preda a spasmi che non riesco a definire.
La donna rimane impalata con i capelli che le arrivano ai polpacci e di colpo li riconosco quasi tutti: i tributi del 4 e i loro accompagnatori. L’uomo sulla barella è quello che si è offerto volontario al posto di Jena, la figlia di Tilla.
Non ho il tempo di formulare un pensiero coerente: l’uomo alto col cappotto entra con forza all’interno dell’ascensore, seguito dal giovane coi capelli rossi, e noi ci ritroviamo a spiaccicarci contro la parete di vetro per far spazio agli infermieri improvvisati.
Cloe tenta di farsi sentire:
“No, no! Che state facendo?”
“Stiamo salvando un uomo, se non le dispiace” interviene il ragazzo con i capelli rossi.
“Ma non-”
“Ah, al diavolo!” grida l’uomo col cappotto. L’espressione di chi non ascolta prediche, “Non me ne importa niente di quel che è legale e di quel che non lo è! Se avessi tempo avrei qualche parola a riguardo della legalità in questo posto, ma siccome non ce l’ho, non ho intenzione di sprecare questi pochi secondi per dire cose che già tutti sanno, ma che nessuno dice!”
La sua velocissima e decisa invettiva mi lascia un attimo a bocca aperta.
E’ esattamente il tipo di uomo che mi ero aspettata dal video della mietitura, eppure da vivo fa un altro effetto. Per un terribile attimo mi rendo conto che è temibile.
Con uno scatto secco si volta e preme il pulsante “0”. L’ascensore riparte a tutta velocità con un sussulto poco piacevole.
“Cosa gli è successo?” chiede Seeder, approfittando dell’attimo di silenzio.
L’uomo dai capelli neri rotea gli occhi: “Non è ovvio? Ha avuto un attacco di panico e questa non è la sede per parlarne.”
In quel momento l’ascensore arriva al piano terra e tutti loro scendono per primi correndo come dei folli alla ricerca di qualcuno che li ascolti.
Io e River usciamo dall’ascensore per ultime, completamente costernate da quello che è appena successo.
Non appena vedo persone col camice bianco avvicinarsi alla barella e trasferire l’uomo su un letto con le rotelle, mi viene l’impulso di seguirlo per vedere coma va a finire.
Come mi avvicino, il tizio coi capelli neri si volta verso di me e mi spinge via con una mano.
“Come sta? Voglio…”
“No!” grida, “Che te ne importa? Tanto ci uccideremo tutti a vicenda nell’arena, ti importa davvero di sapere come sta?”
Rimango a fissarlo, mentre i suoi occhi spalancati mi esaminano per poi voltarsi verso l’uomo sul lettino e corrergli dietro.
Improvvisamente ricordo i loro nomi.
Sherlock Holmes, il tizio col cappotto.
John Watson, l’uomo con l’attacco di panico.
“Mi importa…” dico, quasi sussurrando. Ma Sherlock Holmes sicuramente non mi ha sentita.
River mi si avvicina, mentre rimango ad osservare il gruppo sparire al di là di una porta.
  
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