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Autore: millyray    15/12/2013    2 recensioni
Per chi odia le morti ingiuste anche se eroiche dove a sopravvivere sono i malvagi, perché le eccezioni esistono, esistono sempre. Per chi ama il trionfo degli amori, gli amori veri, quelli un po' platonici e un po' terreni, a volte anche scontati. Per chi odia i misteri e i segreti che si celano dietro gli occhi di qualcuno, ma ama l'aria tormentata che essi hanno.
Be', credo che siate nel posto giusto.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO UNDICIRADICI ALIENE

“Una lacrima sospesa che non voleva scendere,
un sorriso a denti stretti, questo prima di te,
prima di te…”
(Prima di te, E. Ramazzotti)

“Credevo… credevo di averne viste tante, di cose sconvolgenti, ma questa… questa le supera tutte” esordì Owen, appoggiandosi con le braccia al tavolo davanti a lui. Era sconvolto, parecchio sconvolto, e pallido. Erano tutti pallidi e sconvolti e Tosh aveva ancora il viso bagnato di lacrime.

Jack circondò Ianto per i fianchi con un braccio e lo accompagnò al divano facendolo sedere e accomodandosi poi accanto a lui. Il più giovane appoggiò la testa sul petto dell’altro, mentre il Capitano prendeva ad accarezzargli i capelli sulla fronte nel tentativo di farlo calmare.

“Tranquillo, sta’ tranquillo. È tutto ok adesso” gli sussurrò, poggiandogli un bacio tra i capelli.

Tutta la base sprofondò nel più totale silenzio, nessuno osava fiatare. Solo il ronzio dei computer e degli altri macchinari rompeva quella tranquillità.

Finalmente, dopo qualche minuto, Ianto sembrò essersi calmato, aveva smesso di piangere e singhiozzare e anche gli altri avevano recuperato un po’ di colore.

Gwen raggiunse i due fidanzati e si sedette accanto a loro. Poco dopo si avvicinarono anche Owen e Tosh. Volevano dire qualcosa a Ianto, rassicurarlo, confortarlo, ma non trovavano parole. Che cosa si poteva dire in quei casi? Mi dispiace? Ti capisco? Sì, certo, come no. A quanti era capitato di venire violentati dal proprio padre?

“Mi… mi dispiace, ragazzi” proferì Ianto, improvvisamente, senza guardare nessuno, rimanendo sempre abbracciato a Jack. “Non volevo… non volevo che assisteste a quella scena”.

“Oh no!” esclamò Tosh. “Non è certo colpa tua…” fece per dire qualcos’altro, ma alla fine rimase a boccheggiare come un pesce fuor d’acqua. Aveva paura di dire qualcosa di troppo o di sbagliato.

“Ianto?” lo chiamò Gwen dolcemente, prendendogli una mano. “Che cos’hai fatto dopo? Lo hai detto a qualcuno? Lo hai denunciato?” sapeva che con quelle domande avrebbe potuto risvegliare altri ricordi brutti nella mente dell’amico, eppure aveva bisogno di sapere, doveva sapere come si erano risolte le cose infine, come aveva fatto il ragazzo a superare tutto quello. E anche gli altri volevano saperlo.

Ianto scosse il capo lentamente. “No, non l’ho detto a nessuno” sussurrò. “Non l’ho denunciato, non ne avevo il coraggio. E poi… anche se l’avessi fatto, lui avrebbe… avrebbe negato tutto e nessuno mi avrebbe creduto. Non godevo di buona fama e avrebbero pensato che mi fossi inventato tutto”.

Gli altri si guardarono tra di loro con espressioni sconvolte.

“E allora che cos’hai fatto?” insisté Owen, riportando lo sguardo sull’amico.

Ianto deglutì prima di ricominciare a raccontare. Si vedeva benissimo che tentava di non piangere. “Sono andato via di casa. Dopo quella sera mi sono alzato all’alba, ho preso la valigia e sono uscito senza dire niente a mio padre. Bobby, il ragazzo con la bandana che avete visto, aveva una specie di rifugio in una casa abbandonata. Lui viveva lì, dopo che i suoi l’hanno cacciato e ogni tanto ci ritrovavamo insieme ad altri, anche più grandi. Sono stato lì per alcuni mesi”. Fece una pausa, come per cercare di ricordare quella vita che sembrava appartenere a una persona totalmente diversa e non a quel ragazzo pacato che conoscevano tutti. “Stavo male, tutte le notti avevo degli incubi… tremendi. Però non volevo parlarne con nessuno, neanche con Ray che era il mio migliore amico… mi vergognavo troppo.
   C’era la droga, però… c’era solo quella. Mi ha aiutato, nell’unico modo in cui la droga poteva aiutarmi: confondendomi il cervello e i ricordi. Quasi tutte le sere qualcuno veniva con della roba nascosta nei pantaloni. Coca, marijuana, hashish, eroina… e alla fine ero talmente fatto che non mi ricordavo neanche il mio nome.
   Solo che poi me ne pentivo perché sapevo che mi stavo facendo male. Allora cercavo di vomitarla. Poi però stavo di nuovo male e ne prendevo ancora. Era un tunnel senza via d’uscita, non riuscivo più a controllarlo.
   Una sera ci eravamo fatti tutti quanti, alla grande… io mi ero addormentato tra le braccia di Ray, non ricordo perché, e la mattina dopo l’ho ritrovato accanto a me freddo e morto. Era andato in overdose, credo.
   Betsy era rimasta sconvolta, lei era sempre stata innamorata di Ray, e si era spaventata. Aveva paura che succedesse anche a lei. Così aveva deciso di smettere e aveva convinto anche  me. Io all’inizio non volevo… desideravo solo morire, come Ray. Almeno quella situazione sarebbe finita. Però lei era stata testarda”.

Jack alzò lo sguardo verso il soffitto ringraziando mentalmente Betsy.

Ianto continuò, nessuno osava interromperlo. “Era stato difficile, molto difficile. Stavamo per ricascarci, arrenderci. Però, alla fine, ci siamo riusciti. Abbiamo mollato la droga, le rapine nei negozi e anche la compagnia di Bobby. Volevamo rifarci una nuova vita.
   Così, quando eravamo abbastanza puliti, lei decise di andarsene da Londra, non le piaceva più stare lì, e io mi trovai un lavoretto per poter vivere decentemente per conto mio.
   Però avevo ancora il ricordo di quello che mi aveva fatto mio padre e gli incubi mi tormentavano”.

“Come hai fatto a superarlo?” gli chiese Gwen.

“Lisa” rispose Ianto. “L’ho conosciuta un giorno, per caso. Le raccontai tutto, tutto quanto. Mi ha aiutato lei, mi ha regalato i momenti più belli della mia vita. Così sono riuscito a non pensarci più. E mi ha fatto entrare a Torchwood”.

Gwen, Owen e Tosh lo guardarono dispiaciuti. Jack lo strinse più forte a sé.

“E tuo padre? Hai saputo più niente di lui?” chiese Tosh.

Ianto scosse il capo. “Non l’ho più cercato e nemmeno lui l’ha fatto. Un paio di anni fa è morto, solo come un cane”, l’ultima frase la disse in tono duro, pieno di odio e disprezzo, un tono che i suoi compagni non l’avevano mai sentito usare.

“Posso chiederti quanti anni avevi quando… sì, quando è successo?”

“Diciassette”.

Gli altri spalancarono gli occhi.
Sei anni… erano passati solo sei anni da tutta quella vicenda.

Ad un tratto Ianto si staccò dall’abbraccio di Jack e, senza guardare nessuno, bofonchiò un: “Scusate, devo andare in bagno” e si alzò allontanandosi velocemente, forse per non dover rispondere ad altre domande, forse per non vedere più le facce sconvolte e piene di pena dei suoi amici o per non dover più sentire il cuore di Jack battere fortissimo nel petto e tutto il suo corpo che tremava di rabbia, dolore o chissà cosa.

“Ragazzi!” esclamò Owen ad un tratto, alzandosi. “Non so come abbia fatto Ianto, ma io probabilmente mi sarei già ucciso. Cazzo! Non ha nemmeno usato il preservativo e Dio solo sa come abbia fatto a non prendersi l’HIV con tutti quegli aghi”.

“Io credo che non mi sarei nemmeno rialzata da quel pavimento”, aggiunse Tosh.

Anche Gwen si alzò, dando le spalle agli amici. “Non credevo… non credevo che gli potesse essere capitata una cosa del genere. Non credevo che a qualcuno che conosco possa essere successo qualcosa del genere”.

Owen le si avvicinò e le mise una mano sulla spalla. La ragazza gliela accarezzò voltando il capo nella sua direzione.

“Jack!” esclamò Toshiko. “Tu… tu che cosa ne pensi?”

Il capitano inarcò le sopracciglia.

“Tu lo sapevi?” aggiunse Gwen, aspettandosi una risposta affermativa.

L’interpellato esitò un attimo prima di rispondere, fissando gli amici come se non li vedesse. Poi scosse il capo in un cenno di diniego.

“No. Non me lo ha mai raccontato”.

Nessuno però, dalla sua espressione, riusciva a capire che cosa provasse.

Ianto, nascosto dietro una porta, li guardava e li ascoltava. Non pensava che nella sua vita gli sarebbe capitato di rivivere quell’episodio che ormai aveva accantonato in un angolo remoto dei suoi ricordi e tantomeno si sarebbe potuto immaginare che anche i suoi amici, nonché i suoi colleghi di lavoro potessero venire a scoprirlo, persino vederlo. E la cosa non gli piaceva per niente. Non tanto per il fatto che ciò li aveva lasciati sconvolti, ma più perché ora sapeva che le cose sarebbero cambiate, ora lo avrebbero guardato con occhi diversi, forse trattato in modo diverso. Era come un terribile segreto che ora era venuto fuori, di fronte agli occhi di tutti. E faceva male pure a lui, di nuovo quel dolore, quella sofferenza che pensava di aver spento erano ritornati in lui, forti. Persino quella corazza di distaccata gentilezza e serenità sentiva che stava per cedere.
Che cosa sarebbe successo poi? Quanto ciò lo avrebbe danneggiato? Perché era sicuro che lo avrebbe danneggiato, profondamente. Già ora sentiva una crepa dentro di sé.

Lanciò un’occhiata a Jack… Jack, la sua ancora dopo Lisa. Lui avrebbe potuto aiutarlo nel caso fosse ricascato di nuovo in quel baratro? E che cosa aveva provato lui vedendo quella scena? Era rimasto sconvolto come gli altri? Forse per lui, che aveva vissuto tanti secoli, viaggiato in mondi diversi, visto cose aldilà del mondo, questo non era niente.

 

Torchwood si era messo di nuovo all’opera.
Se c’era qualcosa che avevano imparato da tutte le esperienze che avevano avuto era non lasciarsi abbattere né distrarre da niente. Avevano un lavoro, un compito importante da svolgere e non potevano distrarsi, dovevano tenere gli occhi puntati solo su quello e tutto il resto, i fatti personali, le emozioni, persino i sentimenti in taluni casi dovevano essere lasciati fuori.
Anche se non sempre era facile.

Tosh si era messa di nuovo ai suoi computer, a digitare bottoni, fissare lo schermo attraverso i suoi occhiali da vista, concentrata come sempre, Owen stava nel suo studio personale, a pulire i suoi attrezzi da lavoro e Gwen era seduta sul divano a guardare il cellulare, probabilmente scambiandosi messaggi con Rhys.
Jack, come al solito, era rinchiuso nel suo ufficio.

Tutto come al solito, apparentemente. Eppure era diverso. L’aria che si respirava e l’atmosfera erano diversi. C’erano ansia, inquietudine, la tensione si poteva tagliare con un coltello. E tutto giaceva nel silenzio, un silenzio spaventoso, si poteva quasi dire. Di solito Owen parlava ad alta voce quando faceva qualcosa, si faceva domande da solo e poi si rispondeva, faceva battute, scherzava, prendeva in giro. E Tosh correva sempre di qua e di là per la stanza cercando oggetti, carte, matite. Nemmeno Gwen stava mai zitta, rispondeva alle prese in giro di Owen, scambiava quattro parole con Toshiko.
Adesso, invece no. Sembrava che avessero perso tutti quanti l’uso della parola. E non sembravano molto concentrati sul lavoro, sembrava essere solo un buon modo per distrarsi, tutto qui.

Ianto si sedette sulle scale, dove nessuno lo avrebbe notato. Almeno sperava. Avrebbe tanto voluto avere qualcosa da fare per distrarsi, per non pensare… e poi… e poi sentiva tanto la necessità di un abbraccio, un abbraccio forte, sicuro, che gli dicesse che tutto sarebbe andato bene.
Forse Jack… guardò nella direzione del suo ufficio. Ma non aveva così tanta voglia di andare da lui, non con quello stato d’animo.

Non dovette starci a rimuginare molto. Fu Jack a venire da lui. O meglio, spalancò la porta dell’ufficio, facendogli fare un balzo sul posto, e si appoggiò con le mani sulla ringhiera guardando in basso, dove stava Toshiko.

“Tosh!” la chiamò. “Hai individuato segnali alieni?”

“No, è tutto piatto” rispose lei col suo solito tono vivace. “La macchina fotografica è immobile”.

Jack allora si voltò in direzione di Ianto e lo guardò con i suoi penetranti occhi chiari, come a volerlo sondare fin dentro l’anima. Poi gli regalò uno dei suoi soliti sorrisi sghembi per i quali Ianto impazziva sempre. Ma non in quel caso, il che faceva capire quanto a terra fosse il suo stato d’animo. E non solo quello.

“Mi prepari uno dei tuoi caffè?” gli chiese col tono più gentile possibile.

“Certo”, fece l’altro, contento di avere finalmente qualcosa da fare.

Scese giù rapidamente e si posizionò alla macchinetta del caffè, sentendosi gli sguardi degli altri addosso, ma fece finta di niente.

Rimase a osservare come il caffè bollente e fumante scendeva nella tazza. Aveva un colore stupendo secondo lui, quel marrone chiaro, quasi caramello. Per non parlare poi dell’odore: tiepido, inebriante… rassicurante.

Rassicurante.

Rassicurante.

Come le braccia di Jack.

Pensa alle braccia di Jack, Ianto, pensa alle braccia di Jack. Si imponeva di pensare. Ma era tutto vano.

Le sue grida, gli insulti di suo padre, il suo cazzo dentro di lui, il dolore, le lacrime… tutto gli tornò di nuovo fuori in un colpo solo.
Allora respirò profondamente e cercò di concentrarsi sulle voci degli altri che ora avevano preso a discutere di qualcosa. Ma non funzionò nemmeno quello, la voce di suo padre che gli urlava “Finocchio di merda” continuava ad echeggiargli nelle orecchie.

“Tu che ne pensi, Ianto?” sentì chiedere la voce di Gwen, ma sembrava provenire da molto lontano. “Ianto?” ripeté quando questi non rispose. Il ragazzo era rimasto a fissare un punto imprecisato di fronte a sé, il respiro leggermente accelerato.

“Ianto”.

Si sentì sfiorare una spalla e per poco non balzò in aria. Voltandosi, incontrò gli occhi di Jack che lo guardavano preoccupati. “Stai bene?” gli chiese questi.

Ianto annuì leggermente cercando di tornare a concentrarsi su quello che stava succedendo attorno.

“Ci stavamo chiedendo che potere potesse avere l’oggetto alieno, se è pericoloso. Tu cosa ne pensi?”

“Non lo so”, sussurrò il ragazzo, senza guardare nessuno dei compagni.

Allora Jack riprese in mano la situazione assumendo l’atteggiamento da Capitano e ordinò a tutti di mettersi al lavoro e provare ad analizzare la macchina fotografica. Infine disse a Ianto di venire nel suo ufficio. Quando questi entrò, chiuse la porta dietro di sé con uno sguardo parecchio afflitto.

“Che cosa vuoi?”

“Voglio che parliamo”, rispose il Capitano in tono perentorio, sedendosi dietro la sua scrivania.

“E di cosa?”

“Di mele e banane”.

Solo allora il ragazzo alzò lo sguardo verso il compagno per guardarlo confuso.

“Voglio che parliamo di quello che ti è successo”.

Ianto si avvicinò a lui e si sedette sulla scrivania. “Perché?”

“Perché tu non l’hai affatto superato, hai solo cercato di non pensarci. Devi parlarne con qualcuno”.

“Non voglio”.

In quel momento gli ricordava tanto un bambino capriccioso e a Jack veniva un po’ da ridere. Si alzò dalla sedia e poggiò le mani sui fianchi del ragazzo. “Perché non l’hai detto a tua sorella? Ti avrebbe aiutato”.

L’altro sospirò. “Perché… perché non volevo, lei aveva la sua vita e non poteva preoccuparsi di me. E poi ci vedevamo poco, non…”. Una lacrima gli scese lungo la guancia e il Capitano si affrettò ad asciugarla col pollice. Stava per aggiungere qualcosa, quando all’improvviso venne interrotto dall’urlo di Tosh.

I due si precipitarono immediatamente fuori dalla porta e quello che videro li lasciò paralizzati per qualche secondo: l’intera base era stata ricoperta di una strana pianta rampicante e piena di spine, come quelle delle rose, solo molto, molto più grosse e appuntite. Era andata ad annodarsi attorno alle ringhiere, alle scale e agli oggetti.
Gwen era schiacciata in un angolo, gli occhi pieni di paura puntati contro quelle strane radici, mentre di Owen non c’era traccia. Tosh invece era stata catturata dalla pianta che le si era attorcigliata su un piede. La ragazza cercava di districarsi, tenendosi con le mani avvinghiata alle gambe della sedia.

Jack corse subito ad aiutarla, seguito da Ianto.

“Dammi la mano, Tosh!” le gridò il Capitano. La ragazza afferrò la sua mano e cercò di tirare fuori il piede, ma più lei tirava più quella pianta si stringeva attorno a lei e ora le era già arrivata a metà coscia.
Allora Ianto tirò fuori la sua pistola e, tolta la sicura, la puntò contro la radice che teneva imprigionata l’amica e sparò qualche colpo. Quella si ritrasse subito e Tosh ne approfittò per spostarsi. Ma immediatamente un’altra radice spuntò da quella che Ianto aveva colpito.

“Andiamo via da qui!”

“Owen, dove sei?”

“Quaggiù!”

La testa di Owen spuntò da sopra le radici e la si vide spostarsi verso l’uscita. Si fermò però a dare una mano a Gwen. Quando tutti e cinque si furono ritrovati insieme, si diressero subito all’uscita richiudendo la ruota dietro di sé. Non si fermarono finché non uscirono in strada.

“Che diamine era quello?” chiese Owen, fermandosi in mezzo alla strada per riprendere fiato.

“Non lo so. Ma credo sia uscito dalla macchina fotografica”, rispose Gwen.

“Dove andiamo adesso? Il Nucleo è inaccessibile”.

“Possiamo andare nel mio appartamento”, propose Ianto. “E li decidiamo che fare”.

 

In poco tempo i membri del Torchwood raggiunsero l’appartamento di Ianto e lui li fece accomodare attorno al tavolo, offrendo da bere. Voleva tenersi occupato per non pensare.

“Allora, che facciamo?” chiese Gwen. “Qualcuno sa cos’è quella maledetta roba?”

“Ho dei libri di botanica, se a qualcuno va di dare un’occhiata”, propose Ianto in tono ironico.

“Non credo si parli di piante rampicanti aliene”, rispose Tosh. “Ma secondo voi sono anche carnivore”.

“Non ne ho idea e preferisco non saperlo”.

“Dobbiamo trovare un modo per liberarcene”, sbottò Owen, fissando intensamente il suo bicchiere.

“Tu che proponi?” fece Gwen.

“Il fuoco!”

Tutti gli sguardi si spostarono su Jack. Ianto fermò il suo andare avanti e indietro per la cucina.

“Come, scusa?”

“Di solito le piante si distruggono con il fuoco, specialmente quelle rampicanti. Insomma, non possiamo certo estirparla dal terreno”, spiegò lui.

“Ma non possiamo bruciare il Nucleo”, fece notare Ianto.

“Riflettiamo: quella pianta è cresciuta dopo che tre di noi l’hanno toccata e sono stati catapultati nei loro ricordi peggiori. Probabilmente si nutre della paura o del dolore che abbiamo provato in quei momenti, non solo dei nostri, ma anche di quelli che abbiamo provato vedendo i ricordi degli altri”. Il suo sguardo si spostò su Ianto. “E finché noi avremo in mene quei ricordi, quella pianta crescerà ancora”.

“Ne sei sicuro?”

“Sì”.

Calò qualche attimo di silenzio in cui ciascuno rimase immerso nelle proprie elucubrazioni.

“Io non… io non riesco a smettere di pensare a quello che ho visto”, concluse Gwen, evitando lo sguardo degli altri.

“Nemmeno io”, aggiunse Tosh.

“Dovete svuotare la mente, chiudetela. Non pensate a niente”.

Ianto chiuse gli occhi e provò a fare come Jack aveva detto, ma gli riusciva difficile.

“Come facciamo a ucciderla?”

“Ho un piano”.

 

Jack, Gwen, Owen, Ianto e Tosh tornarono di nuovo alla base, armati di lanciafiamme e qualche estintore. Parcheggiarono il Suv al solito posto e si diressero decisi alla baia.

“Allora, siete pronti?” chiese Jack voltandosi verso i suoi amici. Loro annuirono. Dopotutto, non si poteva fare molto altro.

“Ianto?” chiamò il Capitano, avvicinandosi al più giovane. “Sei sicuro? Puoi anche restare fuori”.

“No, vengo con voi”.

“Guarda che…”.

“Lo so, Jack. Ma voglio venire con voi”.

Era contento che Jack si preoccupasse per lui, ma non era un bambino e doveva affrontare le sue paure, soprattutto questa. Una volta per tutte.

“Mi raccomando, niente paura e niente ripensamenti. E speriamo che funzioni”.

Fecero girare la porta del Nucleo e si accorsero che i rampicanti erano ormai arrivati quasi all’uscita. Jack afferrò il lanciafiamme e lanciò un getto di fiamme contro le radici. Lasciarono che bruciasse un po’, poi Owen spense le fiamme spruzzandoci sopra la schiuma bianca dell’estintore. A quanto pareva il piano funzionava perché le radici si stavano ritraendo e non ricrescevano più.
Intanto, Gwen, Tosh e Ianto cercavano di tagliare la pianta per creare più spazio e permettere il passaggio.

A un tratto, però, Gwen, che era rimasta indietro, venne afferrata da una radice che le si attorcigliò attorno al braccio.
Ma rimase bloccata lì sul posto; le immagini che aveva visto nei ricordi di Owen e Ianto le tornarono alla mente prepotenti. L’odio di Owen verso una madre che non sopportava nemmeno la vista del figlio e il dolore e le lacrime di Ianto, ferito dal suo stesso padre. Sentì le lacrime affiorarle sul bordo degli occhi.

Improvvisamente, come era apparso, tutto scomparve e la sua mente tornò di nuovo al presnete.

“Tutto bene?” le chiese Ianto che, con il coltello, l’aveva liberata dalla pianta aliena.

Lei annuì e continuò col lavoro.
Allora era vero che si nutrivano del loro dolore.

 

In poco tempo riuscirono a disintegrare tutte le radici, giungendo fino alla loro radice, ovvero la macchina fotografica di quella mattina. Decisero di bruciare anche quella, tanto per non correre più rischi.
Non erano riusciti ad evitare però che il fuoco rovinasse qualcosa, anche se non c’erano stati danni troppo elevati.

Purtroppo, però, quella maledetta pianta aveva lasciato ovunque una sostanza violacea e appiccicaticcia e così dovettero passare gran parte del tempo e lavarla via.

“Direi che per oggi abbiamo fatto un buon lavoro”, concluse Gwen quando ebbero finito.

“In fondo non è stata così pericolosa. Forse non era nemmeno carnivora”.

“No, le piace semplicemente afferrare le persone”.

“Ho tanta voglia di tornare a casa a mangiarmi un bel piatto di pasta e farmi massaggiare i piedi da Rhys”, esalò Gwen, buttandosi sul divano.

“Beata te che hai qualcuno da cui tornare”, disse Tosh.

“Lo avrai anche tu, non ti preoccupare”.

Ianto, nel frattempo, si era allontanato dagli altri per raggiungere Jack nel suo ufficio. Il Capitano si stava infilando il cappotto.

“Torniamo a casa?” gli chiese. Il ragazzo annuì con aria stanca.

 

Quando Jack tornò in camera trovò Ianto seduto a gambe incrociate sul letto e lo sguardo perso nel vuoto con gli occhi che fissavano un punto indefinito delle lenzuola bianche.
Gli si sedette accanto, cercando di fare il più piano possibile, e gli prese una mano.

“Come stai?”

“Bene”, rispose l’altro anche se non sembrava molto convinto.

“A me puoi dire la verità?”

“Stavo solo pensando…”. Ianto tirò un sospiro e puntò gli occhi azzurri in quelli chiari di Jack. “A quello che ti ha fatto tuo padre?” chiese il Capitano.

“Anche”.

“Era a questo che si riferiva Lisa quando ha detto che io non sapevo cosa ti avesse fatto tuo padre?” Era già da un po’ che se lo domandava, aveva continuato a rimuginarci da quella volta che Lisa era tornata dal mondo parallelo ma non era riuscito a farsi un’idea. Sapeva che il padre di Ianto non era stato un grande esempio di padre e che più di una volta aveva maltrattato il figlio, ma non avrebbe mai immaginato che lo avesse anche violentato. Di solito non si intrometteva negli affari degli altri, non lo interessava e non lo riguardava, però adesso si trattava di Ianto, del suo ragazzo, e aveva il diritto di sapere che cosa lo turbava, i suoi segreti più dolorosi.

“Sì”, rispose il ragazzo debolmente. “Avrei dovuto dirtelo, ma…”.

“Ehi, ehi!” cercò di calmarlo l’uomo. “Sta’ tranquillo. Non è certo una cosa facile da dire, lo so e io non pretendo che mi racconti tutti i dettagli. Però dovresti parlarne con qualcuno, almeno con tua sorella”.

Ianto, a quelle parole, girò lo sguardo facendo intendere che non gli andava di affrontare quel discorso.

“Se tuo padre fosse vivo ti accompagnerei alla polizia per denunciarlo e lui la pagherebbe. E tua sorella ha il diritto di saperlo”.

“Non lo so, Jack”.

“Non serve a niente fare finta che non sia successo”, questa volta la voce del Capitano si era fatta più dura. “Tu hai solo messo da parte questo ricordo in un angolo del cervello e hai cercato di non pensarci, ma non funziona così”.

“E che vorresti fare? Mandarmi da uno strizzacervelli?” sbottò il ragazzo, allora, in tono provocatorio.

“Non ti manderò da nessuna parte se tu non lo vuoi. Puoi parlarne con me, se vuoi, quando te la sentirai. Ho visto le medicine che tieni in bagno”.

Ianto voltò improvvisamente il capo verso Jack e lo guardò leggermente sbigottito.

“Le prendo quando non riesco a dormire. Se dormo da solo ho gli incubi e, credimi, sono terribili. A volte cerco di restare sveglio per non farli”.

Il Capitano gli mostrò un sorriso dolce per rassicurarlo. “Ci sono io qui con te ora e non dovrai più dormire da solo. E se avrai paura potrai stringerti a me”. L’ultima frase la disse in un tono che fece scoppiare a ridere il povero Ianto che alla fine buttò le braccia attorno al collo di Jack che lo strinse in un forte abbraccio.

“Che ne dici se andiamo a dormire?” gli sussurrò all’orecchio.

“Ok”.

Quando si infilarono sotto le coperte, Ianto poggiò la testa sulla spalla di Jack usandola come cuscino e con una mano prese ad accarezzargli il petto, mentre il  Capitano lo strinse a sé, poggiandogli una mano sulla schiena.
E quella fu la prima notte, da quando vivevano insieme, in cui non fecero sesso. Semplicemente si addormentarono, ascoltando il rumore della pioggia che già da un paio d’ore aveva preso a battere sui tetti delle case.

 

 

MILLY’S SPACE

Hola, chicos!!

Ammetto che non sono pienamente soddisfatta di questo capitolo, ma le critiche preferisco lasciarle a voi. Spero recensirete in tanti.

Che altro posso dirvi? Volevo aggiornare prima ma purtroppo ho trascorso un periodo infernale e non ci sono riuscita. Spero che, ora che le vacanze stanno arrivando, troverò più tempo. Intanto vi auguro un buonissimo Natale, nel caso non riuscissimo a sentirci prima.

Un bacione,
Milly.

P.S. e non scordatevi di fare una capatina alla mia pagina facebook.

Bacioni.

AMAYAFOX91: eh sì, hai azzeccato il punto due, vediamo ora se hai azzeccato anche con il primo ^^ grazie mille per i complimenti, è importante per me rimanere in linea con i personaggi perché detesto quando sono troppo OOC. Spero di risentirti, un bacione. M.

HELLOSWAG: eh! Scusa per il ritardo, ma ho avuto tantissimi impegni. Spero ti sia piaciuto anche questo capitolo. Grazie mille per i complimenti. Pensavo di aver un po’ esagerato con la storia della violenza e della droga, ma la tua recensione positiva mi ha fatto cambiare idea. Grazie ancora. Un abbraccio, Milly.

  
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