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Autore: solandia    17/12/2013    4 recensioni
In occasione della recita di Natale alla scuola della figlia, un giovane padre separato ripensa alla propria vita.
Genere: Malinconico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un regalo di Natale per le mie lettrici, che ho lasciato a bocca asciutta per un anno intero.
Scusatemi...e Auguri a tutti!

Notte d’argento

L’orologio della sua Golf nera segnava le 21.45.

Era in ritardo.

Come sempre, del resto.

Andrea si strinse nelle spalle e sbarcò dall’auto sospirando: ora gli toccava almeno mezzo chilometro a piedi, visto che un parcheggio più vicino proprio non l’aveva scovato.

Il giorno precedente aveva nevicato e i marciapiedi erano ingombri di una fanghiglia nerastra che rendeva difficoltoso l’incedere. Tanto per migliorare le cose.

Arrivò alla scuola coi piedi umidi e le mani completamente intirizzite, anche se il freddo non era particolarmente pungente: il cielo era nuvoloso e la temperatura si manteneva sopra lo zero, ma l’aria era gonfia di gelida umidità dicembrina, che penetrava senza difficoltà sotto il suo giaccone di marca, alla faccia di quello che lo aveva pagato.

Forse avrebbe dovuto indossare un maglione più pesante: in fondo mancavano solo tre giorni a Natale. Ma sapeva per esperienza che, una volta dentro alla palestra, pigiato fra un centinaio di altri genitori, sarebbe andato praticamente a lesso.

La recita (se “recita” la si poteva definire) doveva essere iniziata almeno da quaranta minuti, a giudicare dal numero di persone già assiepate sulla porta in pausa-sigaretta.

Sapeva bene come funzionava la cosa: era ormai la quinta volta che assisteva allo spettacolino messo in scena dagli alunni delle elementari in occasione del Natale, quindi quella sarebbe stata anche l’ultima.

La prima volta stava ancora con Cristiana.

Ci erano venuti insieme e insieme avevano accompagnato la piccola Giada negli spogliatoi prima di prendere posto sugli spalti.

Era stato solo quattro anni prima, ma in quell’istante gli sembrò trascorsa una vita.

Eppure ricordava quell’episodio in modo sorprendentemente nitido.

No, non la recita o la poesiuola recitata dalla sua bambina. Di quelle non serbava alcun ricordo.

Ad essersi fissato in maniera indelebile nella sua testa era stato proprio quel breve intervallo di tempo trascorso fra l’istante in cui erano scesi tutti e tre dall’auto e quello in cui lui e sua moglie avevano preso posto. Ricordava le scarpe coi tacchi alti di Cristiana, il freddo di quella serata limpida, il luccichio dell’asfalto gelato sotto le stelle; poi l’afa spaventosa dentro la palestra e l’odore di gomma che aleggiava sovrano lì dentro. Ma, soprattutto, ricordava i loro volti sorridenti, Giada che saltellava, Cristiana che non la finiva più di richiamarla e infine, impotente davanti all’esaltazione della piccola, si voltava verso di lui abbandonandosi a un sorriso dolcissimo.

Istantanee di una gioia delicata e sincera mai entrate in un album di foto, eppure più vive di tutte le immagini che conservava sul suo cellulare.

Si ritrovò a pensare a quanto fosse buffo che la sua mente selezionasse fotogrammi di vita apparentemente insignificanti e si desse la pena di serbarli per un’esistenza intera, quando invece lasciava che i ricordi dei momenti davvero epocali si sfocassero giorno dopo giorno fino a sparire.

Il primo bacio a Cristiana, per esempio, com’era stato?

Era successo in macchina, questo lo sapeva. Ma solo perché lei, tante volte, amava riparlarne quando erano soli nell’abitacolo.

Ma non ricordava il sapore delle sue labbra né il tepore che doveva aver provato stringendola fra le braccia. E nemmeno quanto, poi, gli battesse il cuore.

Eppure dovevano essere state emozioni intense. E la gioia nello scoprirsi ricambiato doveva essere stata grande, anzi enorme. Perché allora non era diventata eterna, almeno nella sua memoria?

E la prima volta che aveva preso in braccio Giada?

Anche quella era sparita, ingoiata da tutte le notti in bianco che aveva passato in seguito, destreggiandosi fra biberon e pannolini.

Dei primi mesi di vita della sua bambina ricordava distintamente solo l’odore stomachevole dell’omogeneizzato di pollo, e quella volta che Cristiana era a un corso di aggiornamento e lui aveva dovuto praticare tutto da solo un clistere alla neonata dopo tre giorni che non si scaricava.

Quello lo ricordava bene.

Sai che gran ricordo!… Degno del grande padre che era stato, probabilmente.

Scosse il capo e si decise a entrare nella palestra, sperando che la classe di sua figlia non si fosse ancora esibita.

Dentro, la stessa folla annoiata di sempre.

I posti a sedere erano ovviamente esauriti, ma Andrea trovò facilmente un posto in piedi nell’angolo vicino alla porta dei cessi, proprio a ridosso della balaustra che dava di sotto. La cosa migliore di quella sistemazione era che aveva poca gente attorno, il che significava anche che pochi rompicoglioni gli si sarebbero avvicinati per chiedergli come andava la vita e per fargli gli auguri di buone feste.

Si liberò della giacca e si dispose a capire qualcosa della recita. Ma da quella posizione, anche appoggiando i gomiti alla ringhiera, la vista gli era quasi interamente preclusa dal tabellone del canestro.

Poco male, si sarebbe accontentato del sonoro e di qualche immagine periferica. Tanto non era una gran perdita.

Lo spettacolo di Natale messo su dalla scuola era sempre stato penoso, al punto che ogni volta Andrea finiva per chiedersi perché mai le maestre insistessero a proporlo, se poi lo curavano coi piedi.

Avrebbero risparmiato tempo, fatica e scazzo per tutti, se avessero lasciato perdere.

Spesso chi si mette a far fare di queste cose ai bambini ha la pia illusione che, qualsiasi schifezza ne venga fuori, tutti saranno sempre entusiasti di vedere il proprio pargoletto nei panni dell’arcangelo Gabriele, con tanto di alucce di carta e aureola in testa.

Invece, a giudicare dai volti di tutti quei genitori mezzi addormentati, non era affatto così.

Dai bambini ci si aspetta qualcosa a misura di bambino, certo, ma ci si aspetta anche qualcosa. Soprattutto dopo che ci si è scomodati a uscire al freddo e al gelo invece di restarsene pacificamente in TV sotto a un plaid.

Se la trama è inconsistente, la recitazione già pessima interrotta per passarsi un unico microfono da un lato all’altro del palco e la scenografia immaginaria, il risultato sarà deludente comunque, anche se tuo figlio interpreta il gran capo di tutti i pastorelli.

In quel momento Andrea si domandò seriamente se non fosse un torto applaudire a quei bambini facendo loro credere di aver fatto qualcosa di bello, quando, una volta sbattuti nel mondo degli adulti, nessuno avrebbe mai avuto la stessa cortesia di facciata di fronte a qualsivoglia loro fallimento.

Dire “bravi” a prescindere è reale incoraggiamento?

O è solo che a pretendere qualcosa dai propri figli si diventa antipatici, quindi fa comodo a tutti evitare?

Forse.

O forse era tutto perfetto così: in fondo, è proprio nel mondo dei grandi che più qualcuno ti dice “bravo” con enfasi, più lo sta facendo solo per esortarti a distogliere lo sguardo dai tuoi fiaschi peggiori.

Sta a te non cascarci.

E lui non poteva annoverasi certo fra quelli che non ci erano cascati.

Abbandonato ogni interesse per lo spettacolo, lasciò vagare lo sguardo fra la gente del pubblico.

Gli ci volle un po’ prima di trovarla, ma poi la vide: Cristiana era là, in terza fila, con due o tre amiche.

Rideva con loro. Sembrava allegra.

Dio, com’era invecchiata.

Dimostrava vent’anni di più di quando l’aveva lasciata.

Andrea provò una stretta al cuore.

Lui non era cambiato molto, negli ultimi tre anni. Glielo dicevano tutti.

Anzi, qualcuno gli aveva pure fatto notare che, dopo la separazione, sembrava ringiovanito: più dinamico, più atletico, più leggero. Un po’ di palestra per mandar via la pancetta e un nuovo taglio di capelli avevano fatto miracoli, a detta degli amici.

E anche delle signore a cui era solito accompagnarsi.

Cristiana invece era sciupata. Il trucco pesante non riusciva a nascondere le borse sotto gli occhi e il vestito nero non mimetizzava affatto la decina di chili che aveva messo su di recente e che appesantivano la sua corporatura, soffocando l’innata grazia nei movimenti che l’aveva sempre caratterizzata.

Andrea provò un moto di ribrezzo nel vederla così rovinata, misto a una sorta di sollievo per il fatto che quella non fosse più la sua donna: sarebbe stata imbarazzante, da presentare agli amici del tennis.

Era una bella donna, quando l’aveva conosciuta. E quando l’aveva sposata.

Ed era rimasta molto bella anche dopo aver dato alla luce Giada.

Aveva iniziato a sfiorire quando fra loro le cose avevano smesso di funzionare, quando pian piano avevano smesso di fare l’amore, si ritrovavano a discutere per dei nonnulla e lui spesso dormiva sul divano per non dover sentire il suo odioso respiro tutta la notte.

Non avrebbe saputo dire quando il loro rapporto aveva iniziato ad incrinarsi. Non avrebbe nemmeno saputo dire perché si era incrinato.

Sapeva solo che, un bel giorno, si erano scoperti estranei e distanti, così distanti che nessuno dei due aveva la minima voglia di sbattersi per colmare l’abisso che ormai li separava.

Così una mattina di marzo lui se n’era andato di casa, con gran sollievo per tutti quanti, soprattutto i suoceri.

Si era preso un monolocale in affitto, si era iscritto in palestra, aveva frequentato un master in azienda ed era stato promosso a direttore amministrativo.

Aveva avuto sedici o diciassette amanti, teneva conferenze sul merchandising, faceva una vita dinamica e a volte si sentiva uno arrivato.

Almeno finché non si fermava e non si guardava indietro.

E infatti non amava guardarsi indietro.

Cristiana invece sembrava essere stata incapace di andare oltre il fallimento della loro storia.

Era ancora un donna piacente quando lui se n’era andato di casa, ma, invece di rifarsi una vita e trovarsi un altro, si era lasciata andare.

Non solo era ingrassata, ma non era minimamente riuscita a migliorare la propria posizione lavorativa, accontentandosi di stare allo sportello in una banca di periferia, e per darsi un contegno passava le giornate a stressare Giada criticandola per la sua resa scolastica mediocre e per i suoi gusti nel vestiario.

Probabilmente Cristiana avrebbe desiderato che la ragazzina restasse in eterno quell’incrocio fra una Barbie e una Winx in cui l’aveva trasformata ai tempi dell’asilo a colpi di vestitini griffati.

Ma la piccola si era dimostrata una tipa tosta e da due anni a quella parte non ne voleva più sapere di abitini rosa e stivaletti da Bratz, e preferiva girare per la scuola vestita da rapper.

Aveva anche voluto la skateboard.

A lui piaceva, sua figlia. Ne era orgoglioso, per quanto si rendesse conto che non era certo per merito suo se aveva deciso di ribellarsi allo stereotipo della bambolina rosa. Probabilmente non era neppure per merito di Cristiana: semplicemente, Giada doveva aver sofferto della loro situazione familiare e qualcosa in lei si era acceso anzitempo.

Eccola laggiù, coi jeans blu e la maglietta bianca come tutti gli altri, a cantare nel coro. E quell’espressione corrucciata stava probabilmente ad indicare che avrebbe preferito mille volte un pezzo rap a quello strazio di “A Natale puoi”.

Andrea agitò una mano per farsi notare.

Giada ricambiò il saluto: sembrava contenta di vederlo.

Lui invece sentiva un peso sul cuore.

Tornò a fissare Cristiana e si accorse che la donna lo stava guardando. Evidentemente si era accorta del cenno di Giada e non aveva faticato a scovarlo.

Uno sguardo severo, quello di lei. Quasi un rimprovero.

Andrea si disse che glielo avrebbe fatto cambiare in un momento: distolse l’attenzione dall’ex moglie e assunse una posa virile, mettendo un piede sulla ringhiera e abbandonandosi con le braccia sul corrimano, lo sguardo apparentemente assorto nello spettacolo.

Era un bell’uomo, e lo sapeva.

E a quanto pare lo sapevano anche le due signore dell’ultima fila, che se lo stavano mangiando con gli occhi da un bel po’.

Non gli sfuggivano mai, le reazioni che provocava nell’altro sesso, e sapeva ben approfittarsene.

Forse troppo.

Gettò un altro sguardo a Cristiana, di sottecchi: evidentemente adesso con le amiche stava parlando di lui. Lo capiva dai loro gesti, dalle occhiate fugaci nella sua direzione.

Bene, benissimo.

Bingo.

Doveva rimpiangere, il pezzo d’uomo che si era lasciata sfuggire.

Per un attimo fu soddisfatto del risultato ottenuto, ma subito quel peso sul cuore tornò a farsi sentire. L’aria gli sembrò di colpo afosa ed asfissiante.

Aveva caldo.

Si liberò del maglione con un gesto ampio, che non mancò di attirare l’attenzione di una donna in piedi a pochi passi da lui.

Non era un volto nuovo: la mamma di qualche compagno di Giada, probabilmente. Doveva averla incrociata a qualche riunione. Era giovane e provocante. E, se la memoria non lo ingannava, single.

Le rivolse un sorriso a cui lei non mancò di rispondere con l’improvviso impulso di togliersi la sciarpa per mettere in mostra la propria scollatura.

Andrea sorrise fra sé e sé: la cosa non gli era nuova. Peccato che in quel momento non fosse proprio in vena.

Anche senza guardare nella sua direzione, sentiva lo sguardo di Cristiana addosso e questo bastava a togliergli la poesia.

E poi si sentiva un po’ triste, per dirla tutta.

Ma non aveva alcuna voglia di stare a rimuginare ulteriormente, così si impose di dedicare la propria attenzione allo spettacolo.

In fondo era venuto per quello, no?

Non si trattava della classica messa in scena del presepio con il bue, l’asinello e tutti gli arcangeli in colonna. Anzi, per dirla tutta, con la Natività non aveva proprio niente a che fare.

Ma erano anni che Gesù Bambino era sparito dalla recita scolastica, quindi non c’era di che stupirsi.

Era stato sostituito dalle bandiere di tutte le nazioni e da angioletti multietnici che affrontavano un lungo viaggio intorno al Mondo per portare la Pace a tutti i popoli.

O qualche altra melensaggine del genere.

D’altronde, bisognava pure propinare qualcosa di valido anche per gli alunni atei, induisti o musulmani, e la pace era sempre un tema che metteva tutti d’accordo.

Lui non era mai stato un frequentatore di chiese, tuttavia trovava molto interessante osservare come i primi cristiani si fossero dati un gran daffare per ammantare di significato religioso le ricorrenze pagane preesistenti, e come ora ci si stesse invece adoperando per scristianizzarle e trovare in esse un senso che andasse oltre quello voluto dalla fede cattolica.

Chissà quante altre volte la storia si sarebbe ripetuta. Chissà quante altre volte gli uomini si sarebbero affannati per ricercare un senso ultimo in una notte che, in fondo, era tal quale a tutte le altre, alla faccia di quello che dicevano i film su Babbo Natale.

Però era quasi dolce stare a sentire quei bambini recitare a stento tutte quelle battute sulla fratellanza.

Era quasi commovente lasciarsi cullare dall’illusione che quell’ideale di comunione potesse avverarsi.

Era quasi angosciante ripensare a come da ragazzo avesse fatto fuoco e fiamme per tutte queste utopie, scendendo a gridare nelle piazze, e constatare come poi le avesse tranquillamente lasciate ammuffire in fondo a qualche cassetto per inseguire un buono stipendio e una cravatta di Armani.

Si ritrovò, le mani a scompigliare i capelli, con gli occhi lucidi e un gran groppo in gola.

E non riusciva nemmeno a capire il perché.

Ma era quasi straziante sentirsi ricordare che tanto tempo prima aveva sognato di diventare un adulto migliore.

Oh, no. Non si sarebbe certo messo a piangere, questo no.

Figuriamoci.

Era solo un po’ turbato. Tutto qui.

Levò di nuovo lo sguardo verso il punto dove sedeva Cristiana e ne incrociò gli occhi.

Restarono a guardarsi a lungo.

Senza sorridersi, senza maledirsi.

Senza giudicarsi.

Restarono a guardarsi finché la recita non finì, poi finì anche la canzone di coda e il bis di “A Natale puoi”.

I loro occhi si lasciarono solo quando, infine, tutti si alzarono e si avviarono giù per le scale.

Si erano persi di vista.

Ma in quel momento, pigiato fra la folla con il maglione ributtato addosso in qualche modo e la giacca in mano, Andrea si ritrovò di colpo a pensare che forse Cristiana era sfiorita per colpa sua.

Lui aveva promesso di amarla in eterno, ma non era durato un anno.

L’aveva sempre tradita.

E se all’inizio se la scopava con gusto, era solo nel disperato tentativo di placare i propri sensi di colpa e non farle scoprire la verità.

Le aveva promesso un mondo, tutto il suo mondo, ma in verità le aveva solo concesso la scorza. E anche quella solo per una manciata di mesi.

La routine è faticosa da vivere. E la vita di famiglia è routine, per questo lui non la sopportava.

Amava la sua famiglia, a tratti ne era persino orgoglioso, eppure al contempo la destava come una tigre detesta la propria gabbia. Così ne aveva preso le distanze, lasciando che fosse Cristiana a gestire ogni cosa, soprattutto la bambina. E sbuffando puntualmente ogni volta che lei glielo rinfacciava.

Certo, Cristiana non era una santa, era un donna e aveva tutti i difetti delle donne, dal vizio di saperla troppo lunga a quello di voler sempre avere ragione. Per non parlare poi della fissa per l’alimentazione biologica e il training autogeno.

Era una gran palla al piede, a volte.

Ma era sempre la stessa ragazza che lui aveva creduto di poter amare per tutta una vita quando l’aveva aiutata con la tesi di laurea, o quando le era stato accanto dopo la morte della sorella, o ancora quando aveva temuto di perderla per un tumore al seno, fortunatamente rivelatosi benigno. Era la stessa ragazza che lo aveva fatto innamorare portandolo a ballare ogni santa sera per un’estate intera. Ed era la stessa donna con cui adorava fare all’amore sul divano della taverna, sotto un plaid e col caminetto scoppiettante acceso.

Eppure la sua memoria si era mangiata tutti questi ricordi e li aveva fatti finire nella fogna ancora prima che ci finisse definitivamente la loro storia.

Non c’era più niente fra loro. Non avrebbe avuto senso ricominciare.

Erano arrivati ad odiarsi negli ultimi anni, mentre si scannavano per la quota degli alimenti.

Ma ora no, ora non gli sembrava di odiarla.

Sentiva solo di averle fatto del male.

E sentiva che gli mancava.

Gli mancava lei, il suo sorriso.

O forse solo l’idea di avere qualcuno che ti aspetta a casa la sera. Qualcuno che non sia una collega che ti sei rimorchiato due ore prima.

Andrea scrollò il capo come a scacciare quei pensieri molesti.

Avrebbe pagato oro, in quel momento, perché il suo cervello la smettesse di arrovellarsi su questi partiti persi.

Si accorse che qualche gradino più avanti c’era la bella single di prima e fece in modo di affiancarsi a lei.

“Ehilà, da quanto tempo! Tutto bene?” le chiese, sfoderando il suo miglior sorriso.

“Discretamente.” si mantenne sul vago la donna.

“Vai a recuperare tuo figlio agli spogliatoi?”

“No, lo saluto soltanto: stanotte è col papà.”

“Capisco. Sono nella stessa situazione.” buttò lì lui, con un tono tutt’altro che innocente.

“Oh. Che ne dici allora se ci vediamo fuori? Ti offro un drink da me, se ti va.” sorrise lei.

Andrea si finse appena indeciso: “Non saprei…Quasi quasi… Ma sì, dai. Ci sto. Ci vediamo all’uscita.”

Era fatta.

Liscia come l’olio.

Almeno quella notte non avrebbe dormito da solo e non avrebbe avuto più modo di pensare a cose deprimenti.

Tanto Cristiana non era in vista: probabilmente stava ancora cercando di districarsi nella bolgia degli spalti.

Si separò dalla donna solo una volta aggiunto il pianterreno, per dirigersi verso gli spogliatoi femminili.

Giada gli corse incontro quasi subito: era svelta a cambiarsi, la sua ragazza. Gli volò fra le braccia, felice di vederlo, scontenta della colonna sonora della recita, irritata per il cappottino rosso che sua madre l’aveva costretta a mettere.

Andrea annuiva e la condiva con mezze frasi e mezzi complimenti e mezze intercessioni a favore di Cristiana. Ma non la stava veramente ascoltando.

D’un tratto si era reso conto che stava tradendo anche lei.

La tradiva perché si mostrava sempre fiero della sua piccola rapper, ma in cuor suo si attendeva che, crescendo, sarebbe diventata una determinata manager in tailleur e tacchi a spillo.

Il peso sul cuore riprese a farsi sentire, più opprimente di prima.

Strinse Giada per le spalle, senza risponderle più niente. E forse la sua espressione era corrucciata, in quel momento.

“Papà?” chiese con aria interrogativa la ragazzina, intuendo che qualcosa gravava il respiro del genitore.

“Tutto ok, miss. Non farci caso.”

“Posso venire da te stanotte? Così non resti solo.”

Andrea si ricordò dell’appuntamento rimediato solo due minuti prima e quasi arrossì.

Ma fu bravo a dissimulare: “Sono grande, Giada, non è un problema se resto solo.”

“Ma se sei triste lo è.”

Andrea si accucciò per guardarla dal basso verso l’alto.

“Forse. O forse no: sono i momenti migliori per stare soli, servono a fare il punto.”

“Punto?”

“Su noi stessi. È doloroso, a volte, ma serve a crescere.”

Accidenti, a sparare perle di saggezza era veramente un mito. Peccato che non lo fosse altrettanto a viverle…

“Allora posso venire domattina?” insistette sua figlia: “È vacanza.”

“Ma io sarò al lavoro. E poi…”

E poi come la si metteva con la tizia che lo aspettava fuori?!

“E nel pomeriggio?” rilanciò la ragazzina, speranzosa.

“Giada, smettila di importunare tuo padre. Andrai da lui dopo Santo Stefano, per tre giorni, come ha deciso il giudice.”

Si voltarono entrambi. Cristiana era alle loro spalle, chissà da quanto tempo.

“Ma mamma, a me piace il papà. Fammici andare più spesso!”

Ad Andrea si contorsero i visceri.

“Tuo padre ha i suoi ritmi, Giada, non puoi scombussolarglieli per i tuoi capricci.”

La donna lo guardava con aria di sfida.

Evidentemente si aspettava una risposta a tono, come sempre era successo di recente quelle poche volte che avevano avuto occasione di scambiare qualche battuta fra loro.

Era pronta a dare battaglia.

O forse aveva già capito che programmi aveva lui per quella notte, e in qualche modo cercava di coprirlo, per il bene della figlia.

Andrea sospirò. Si levò in piedi e sorrise a Giada.

“Ho dei ritmi, è vero. Ma non li amo, sai miss? E forse è proprio perché non li amo che non sono riuscito più a vivere con voi.”

La bambina lo guardò con due occhioni stupiti. Era la prima volta che uno dei suoi genitori accennava ai motivi che avevano portato alla loro separazione. Con lei avevano sempre fatto finta di niente, sperando che capisse da sola la nuova situazione e la accettasse come un dato di fatto.

E lei non aveva fatto domande.

Il che non significava che non ne avesse, ma le era chiaro che nessuno dei due gradiva parlarne, e soprattutto parlarne con toni che andassero oltre le frecciatine velenose contro i vizietti dell’altro.

Così si era adeguata: bisognava avere pazienza, con gli adulti. Erano esseri limitati, poveretti.

“Quindi sentiti padrona di scombussolare i miei ritmi ogni volta che vorrai, se mamma sarà d’accordo.” concluse Andrea passando una mano fra i capelli della piccola e scarmigliandoli irrimediabilmente.

Poi si voltò verso Cristiana, senza attendere cenni di risposta da parte di Giada.

La donna lo guardò un po’ stranita, un po’ commossa, o forse solo turbata dal ritrovarselo d’improvviso così vicino. Così addosso.

“Cristiana…”

“Cosa c’è?” fece lei stupidamente, indietreggiando di un passo.

Andrea allungò una mano e le sfiorò una guancia.

Aveva gli occhi lucidi.

“Scusami. Sono stato un cretino.”

Cristiana restò a guardarlo a bocca aperta.

“Anzi, no.” si corresse lui: “Sono un cretino ancora adesso.”

Sorrise e lasciò sfumare la carezza, andando ad accomodarle una ciocca di capelli.

Poi le diede le spalle e fece per allontanarsi.

“Andrea.” lo richiamò la donna.

Il tempo di fermarsi e Cristiana gli era di nuovo davanti.

“Aspetta, Andrea. Hai il colletto della camicia tutto storto, ora te lo sistemo.”

E così dicendo, con gesti gentili, gli accomodò il collo sotto al maglione.

Lui si schermì, ringraziandola con un cenno del capo, e tornò a dare loro la schiena.

“A che ora ti mando Giada domani?” sentì Cristiana domandare.

“Dopo le cinque, se vuoi.”

“Voglio. Buona notte, Andrea.”

“Buona notte anche a voi.”

Si voltò appena, per un mezzo sorriso.

Poi abbandonò la zona degli spogliatoi, portandosi nell’atrio.

Appena fuori dalla porta d’ingresso principale della palestra poteva vedere la sagoma della donna che lo aspettava, avvolta in un un giaccone da quattro soldi e con una sigaretta in mano.

Esitò un attimo.

Poi strinse i pugni e sgattaiolò nel corridoio che portava sotto gli spalti.

Uscì dalla porta sul retro.

Da quel lato del giardino non c’era nessuno. Erano le undici passate e tutto era silenzioso e immoto.

Le nuvole si erano diradate, le strade e l’erba erano gelati e, a tratti, qualche stella faceva capolino nel cielo. La luna splendeva di un nitido candore.

Una luce d’argento illuminava la notte.

Surreale, alchemica.

Era una notte come tutte le altre.

O, forse, come tutte le altre, era una notte unica, che si svolgeva per lui dal nastro del tempo, come un miracolo.

Era una notte come nessun’altra.

Si asciugò una lacrima e si avviò verso casa.

  
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