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Autore: La figlia di Ade    17/12/2013    1 recensioni
Adelaide ha 15 anni e una vita intera davanti, ma capisce che tutto sta per cambiare quando dei fenomeni iniziano, da quando è piccola, a insinuarsi nella sua vita. Questa è la storia di una ragazza che verrà travolta da un amore sbagliato, ma che la segnerà per sempre.
"Ti renderò più facile, decidere ciò che è inevitabile." Negrita- Destinati a perdersi.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Arrivò velocemente, senza preavviso e lasciando amaro nel suo cammino. Una notte troppo corta per decidere il mio destino, troppo lunga da non riuscire a farla passare: la notte prima del mio compleanno. Passò un’ora prima di far caso alle mie scarse possibilità di riuscire a vivere ancora un giorno.
Quella sera, mia madre venne per darmi la buonanotte. L’ha sempre fatto, anche se con freddezza. Appena entrò, illuminò la stanza con la sua bellezza. Notai ora e più che mai, come somigliasse a questa cosa mi faceva male. I suoi lunghi capelli castani evidenziavano i suoi occhi color cielo, sembrava quasi che non avesse mai lavorato in vita sua, che si fosse appena svegliata da un lungo riposo. Era stupenda, ma appena il mio sguardo si soffermò sul suo sguardo, non feci a meno di notare come fosse vuoto, senza vita. Mi si raggelò il sangue nelle vene.
“Buonanotte.”
Buio.
I pensieri mi correvano veloci nella testa, mi alzai di scatto, decisi di prendere una borsa e infilarci il più possibile, volevo fuggire.. volevo salvarmi.
Con la vista annebbiata dalle lacrime e la borsa in spalla, spalancai la finestra, presi un respiro e mi guardai avanti. “Devi essere forte.” Sussurrai a me stessa. Salii sul bordo, con una corda in mano, la legai alla finestra e presi un grosso respiro. Il vento mi scompigliava i capelli e la speravo di avere una speranza. Iniziai a calarmi lentamente. Ogni centimetro acquistato dalla finestra era un piccolo passo di libertà, ma, arrivata quasi alla fine: “ADELAIDE!” Mia madre. Spalancai gli occhi e caddi a terra dallo stupore. Lei mi guarda dalla mia finestra, furiosa. Urla, chiama mio padre e io sono ancora intorpidita per capire ed alzarmi. Finalmente riesco a correre, con loro dietro di me. “È l’ultima cosa che faccio.” Pensavo, mentre le mie gambe andavano da sole e sentivo l’alito bollente di mio padre sul collo. “Lasciatemi! Vi odio!” Continuavo a ripetere.
Cielo senza stelle, poco fiato, pioggia, paura.
Tutto si annebbia, le lacrime si mischiano al vento che mi vomita in faccia la pioggia. Le gambe cedono, ma io no. Li semino, mi blocco, respiro e riparto. La testa non sa dove sto andando, ma il cuore sì. I piedi si muovono da soli, stanchi, ma si muovono. Maestosi alberi mi avvolgono, mi seguono, mi giudicano. Mi volto di scatto, sono vicini abbastanza da percepire il vuoto che hanno negli occhi. Continuo a correre, ma inizio a rallentare, a sentirmi esausta. Non riesco più a correre, vado piano, cammino, poi smetto di muovermi, mi blocco, sono senza forze e, infine, cado sulle ginocchia. Mi sento afferrare, strattonare. Sento voci vicine, che mi parlano, ma non capisco. Alzo la testa: Villa Atena. Ero così vicina alla salvezza, ma lei così lontana da me.
Non potei fare a meno di piangere, piangere molto forte, mentre venivo trascinata per i capelli al mio destino.
Buio.
Capii che era tutto reale solo quando mi tolsero la benda dagli occhi. La luce si fece intensa, risvegliando i miei sensi. Ci misi qualche minuto per capire quello che stava succedendo.
L’asfalto gelido mi accarezzava la pelle nuda, mentre delle corde mi legavano i polsi ed i piedi talmente forte da farmi sanguinare a terra. Tutto intorno a me si estendeva una stella, anzi, non una stella, ma un pentacolo. Cercai di urlare ma mi avevano tappato la bocca con uno straccio. Vidi i miei genitori davanti a me. Sorriso vivo ed occhi morti. Non mi scordai mai quell’immagine.
Ero ricoperta di lividure violacee, che sporcavano la mia pelle immacolata in modo aggressivo, ma allo stesso tempo di una bellezza dalle sfumature macabre.
Tutte intorno a me si pavoneggiavano delle candele, mentre mia madre mi accarezzava la pelle incrostata di sangue e sudore con le dita. Mi accarezzava la pancia e mi guardava con occhi spiritati. “Sei sempre stata bellissima.” Sussurrava.
Arrivò mio padre, non mi guardò, prese un coltello e lo passò a mia madre, ne prese un altro e mi trafisse la carne. Mi passo la lame sulle cosce, mentre mia madre mi graffiò il viso. Provai un dolore atroce, insopportabile. Ma, successe una cosa strana: mentre mio padre ripeteva una strana filastrocca, iniziai a piangere, a piangere sangue. Mia madre si bloccò, prese un vecchio libro che era posato su di uno scrittoio e iniziò a leggere agitata.
“Giulio, qui non c’è scritto niente su lacrime di sangue.”
“Tu continua e zitta.” E così fece. Ma, prima che potesse ritoccarmi con la punta del coltello, un’ombra comparve sul muro. Occhi spaventosamente profondi e voce altrettanto inquietante.
I miei genitori lasciarono i coltelli e caddero sulle ginocchia. L’ombre si allungò, con un leggero tremolio e prese mio padre con la sua possente mano, come fosse un giocattolo. Lui urlava, piangeva e chiedeva pietà, ma con un sol soffio, l’ombra, rese mio padre un mucchio di polvere nera. Mia madre scoppiò in lacrime. Davanti a quella scena sembrava quasi umana.
“Laura Verga, -Tuonò l’ombra- ho un compito per te.”
“Dica, padrone.”
“Prendi il coltello e trafiggitelo nel cuore.”
“Ma... ma, il sacrificio?”
“STAI PER CASO DUBITANDO DEL TUO SIGNORE E PADRONE?!”
“No... mai.”
“Allora obbedisci!”
E, a mia sorpresa, lei prese il coltello e non esitò un solo istante prima di conficcarselo nel cuore. Ebbe qualche spasmo e poi cessò del tutto di muoversi e vivere.
Rimasi sconvolta, tremante ed ebbi una perfetta, magnifica sensazione di libertà. Sembra cattivo e egoistico da parte mia dire queste cose, ma i miei genitori non lo sono mai stati davvero. Smetto di pensare alla loro morte solo quando l’ombra inizia a fissarmi.
Ero lì, immobile, legata e nuda; ma non ci pensavo.
L’ombra iniziò a dimenarsi, come se fosse stata appena colpita e, sotto i miei occhi, iniziò a tramutarsi. La rugosità nera si fece sempre più chiara, e si allungò, fino a diventare pelle di un color carne molto chiaro. Gli artigli si tramutano in grandi mani e le zanne divennero un dolce sorriso, con lunghi canini, quasi da vampiro. L’ombra malefica si trasformò in un ragazzo, poco più grande di me, da una bellezza inquietante.
Il ragazzo mi si avvicinò, mi prese tra le mani il viso e mi slegò la bocca, mi passò un dito sulle labbra, togliendomi alcuni grumi di sangue e se li passo nella lingua. Poi mi slegò le braccia e le gambe, mi guardò negli occhi: erano di un nero più scuro dell’aldilà, con alcune sfumature rosso sangue. Mi prese la mano e mi alzò in piedi dolcemente; con un colpo di mano fece comparire la camicia di mio padre e me la mise sulle spalle. Poi, tenendomi ancora la mano stretta, mi portò fuori da casa e si mise a correre. Corremmo veloci con il vento che ci accarezzava la pelle e il cielo nero che tremava sotto la nostra bellezza. Ed eccoci lì, mano per mano senza nemmeno guardarci. Ancora correndo ed io con i piedi nudi sull'asfalto che poi divenne erba e il bosco si materializzò davanti a me. Poi, un'ultima immagine: Villa Atena.
  
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