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Autore: Vella    19/12/2013    19 recensioni
Una famiglia. Una contea. Una residenza.
Jenkins. Buckinghamshire. Winslow Hall. Anno 1896.
Tre storie apparentemente scollegate fra loro. Tre mondi. Tre amori. Tre, il numero perfetto.
Daniel Shaw è un poeta profondamente enigmatico, strano, seducente, romantico. Cerca la sua musa ispiratrice, trovandola d'improvviso in Wendy, una ragazza benestante e solare, con un segreto. Così nasce un amore sconfinato, senza vie, dal sapore della proibizione e dello sbagliato. Un amore fatto di sguardi e di intensi contatti umani.
Viktor Mitchell, uomo di ventotto anni, rude, agognato, senza alcuna forma di desiderio. Veterano di guerra. Ed ora divenuto professore per l'istruzione di famiglie d'alto rango. Un uomo davvero, forse troppo, sbagliato e pieno di peccati. S'innamora perdutamente di Katherine, una ragazza di diciassette anni, giovane, ribelle, forte, eppure la sua unica alunna.
E infine Gerard Collins, ventiduenne, senza tetto, soldi o famiglia. Un gigolò in cerca di amore tra persone che non lo completano. Per questo quando incontra Henry il tumulto di sentimenti che si forma nel suo cuore, lo confonde.
Henry, Wendy e Katherine sono fratelli. Sono la famiglia Jenkins. Sono sbagliati perché non seguono le convenzionali etichette ma lo struggente filo conduttore dell'amore più remoto.
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago, L'Ottocento
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Prologo


Fumo, fumo dappertutto. Fumo che confondeva le idee, fumo grigio e bianco che impediva di vedere oltre, più a fondo. Fumo, fumo non tanto generico; fumo che si sperdeva in ogni piccolo angolo della strada ostacolando chiunque, creando caos e bestemmie da parte dei passeggeri. Fumo, mischiato al sudore, agli strillanti lamenti dei bambini e al fischio esasperante che avvisava l'arrivo del nuovo fiume di gente. Ancora fumo, seguito da un sospiro e da un 'era ora'.
Il fumo, d'altronde, non riusciva a nascondere quei capelli neri, troppo lunghi ormai, e quegli occhi così scuri, così profondi ed enigmatici da portar soggezione a chiunque li osservasse troppo. Il fumo portava con sé anche le parole che componevano una poesia, lo strano sapore dell'amore e la terribile introversione di un uomo sul punto del crollo nervoso.
Per questo andò via, si allontanò dal fumo di sigarette, di motore e dal vapore acqueo che emanavano i bambini troppo piccoli per comprenderne l'alchimia.
Era arrivato, fu il primo pensiero che gli passò per la mente. In verità, era l'inizio di una nuova speranza, di incontrare, anche nelle rocce, ciò che cercava da troppo e immensurabile tempo.
Quando si avvicinò all'uomo in divisa, capì di aver attirato non poche attenzioni, sarà stato soprattutto per il taccuino che portava sempre con sé e dalla valigia poco più grande di una borsetta femminile. Sorrise, e poi aprì bocca per parlare dopo tante ore in cui sussisteva in quel muto silenzio.
―Salve signore, dove posso...―
―Lì, lì! Seguite sempre la folla, andate, andate!― rispose quasi urlando l'uomo, per poi enunciare la sua massa nel mondo con una fischiettata pazzesca nelle orecchie del povero poeta.
―Presuppongo di sì―, sussurrò. In effetti, poteva solo presupporre.
Lui era Daniel.
Così si chiamava, ed odiava permanentemente il fumo delle stazioni ferroviarie e i bambini inopportuni.
Lasciando in disparte il capo stazione, si diresse con la sua finta valigia verso l'ammasso di gente, sospirando e scuotendo la testa.
Era lì, immerso in quell'abominio di frivolezze e di eterna superficialità, gli scoppiavano, personalmente, i due unici neuroni poco funzionanti, ed aveva un gran sonno senza alcuna voglia di far qualcosa, di fare quellacosa. Era proprio lì, ad aspettare che tutto finisse al più presto, che una carrozza si fermasse il prima possibile e che, finalmente, potesse dileguarsi dietro uno scompartimento o in un prato fiorito dove nessuno avrebbe osato disturbarlo.
Ma era il 1896, cosa c'era di tanto sbagliato in quell'anno da mantener sulle spine chiunque? Apparentemente nulla, finché gli occhi non incontravano quei lunghi e ribelli capelli dal color fuoco più cocente.
Daniel Shaw, la prima cosa che pensò quando li vide, fu ''rosso sangue'' e dopo, senza sosta, ne uscirono altri versi, tra cui la rosa rossa, il tramonto del sole, un fiocco mal ridotto e una farfalla in piena primavera.
Daniel Shaw, la seconda cosa che pensò quando la vide, fu ''la desidero''e dopo, senza sosta, subentrarono nuove emozioni, tra cui l'amore, la paura e la lussuria.
In quei stessi momenti, di pura agonia, dove non si è sicuri di ciò che è appena successo, la giovane ragazza dai lunghi capelli ramati sorrise all'uomo ch'era davanti a lei.
―Wendy!― esclamò quest'ultimo; arrossì, come sempre era solita fare e si soffermò per pochi attimi sul viso guardingo di una persona il cui amore era meccanico e senza fonte.
Non disse nulla, si lasciò abbracciare delicatamente e poi impregnarsi un bacio forte e deciso, quasi di possesso, sul collo semi-nudo.



―Dite davvero, padre?― sussultò la giovane, ch'era in piedi davanti la scrivania. Aveva dei grandi occhi azzurri e i capelli più neri della pece, grosse labbra carnose e un viso leggermente allungato. La veste che aveva indosso richiamava i colori dell'inverno, era di una tonalità ghiaccio, candido e puro, decisamente l'opposto al suo animo.
―E perché dovrei dire una cosa del genere per finzione?― esclamò l'uomo di fronte alla giovane donzella. Solamente gli occhi erano una comunanza da non sottovalutare, per il resto, era apparentemente invecchiato e poco curato rispetto alla giovane.
―Ma è letteralmente un affronto! Perché mi volete far questo, padre?― ringhiò la giovane, era arrivata al punto di sbattere i piedi sul pavimento e dimenarsi con forza per la troppa rabbia che circolava nel corpo.
―Katherine!― tuonò Mr Jenkins, sbuffando sonoramente e scuotendo il capo,―non voglio una figlia sciocca!―
―Oh, per l'amore del cielo, come potete dire che io sia sciocca?― Katherine iniziò imperterrita a camminare da una parte all'altra della stanza, guardando di tanto in tanto fuori dalla finestra.
―Sei furba, ma pur sempre sciocca! Arriverà tra due giorni esatti, quindi comincia pure il lungo piagnisteo, la decisione è stata presa―.
―Ma perché? Cos'è che non andava in Miss Brouk?― strillò quasi la ragazza, il padre, questa volta, non lasciò fare ed alzandosi di getto le puntò il dito indice contro.
―Fuori di qui, ora!― la figlia divenne paonazza, digrignò tra i denti e soffocò uno dei tanti insulti. Non aveva le lacrime agli occhi, semplicemente li sentiva pizzicare e inoltre aveva appena perso l'ennesima educatrice da quattro soldi. Era certa, con tutta se stessa, che il vero problema consisteva nella donna: il padre non riusciva a star lontano dalle belle gambe che non fossero le figlie. La cosa disturbava la quiete di tutti, ed ovviamente, Katherine doveva cambiare ogni paio di mesi insegnante, tant'è che si era scocciata.
―Sarà la solita ragazzetta di campagna appena uscita da un collegio d'istruttorio femminile? Chissà, questa volta anche più giovane della precedente―. Fu acidità allo stato puro quello che disse, e prima che il padre la rincorresse per darle una delle tante sculacciate che ancora a diciassette anni si prendeva, uscì dall'abnorme biblioteca della tenuta.
Ebbe uno scontro breve e funzionale con un baldo giovanotto dallo sguardo più vacuo del solito e dai portamenti sciolti e diretti.
―Di turno?― sussurrò Katherine.
―Appena finisco ti raggiungo in giardino― sussurrò lui.
―Attento che il cane morde― sottolineò lei.
―Cosa confabulate voi due? Insomma, entra Henry!― ecco che si intrometteva il gran maestro e separava i due fratelli diversi. Il giovane lasciò passar la sorella e si chiuse la grossa porta alle spalle.
―Volevate vedermi?― sentenziò il giovane seguendo il padre su due poltroncine verdi e munendosi a sua volta di una lunga pipa e una sigaretta di ricambio.
―Sì, certo, volevo proprio discutere, anche oggi, sul solito―.
Henry sospirò senza darlo a vedere, essere un nullafacente alla sua età significava dire che le conversazioni col proprio padre diventavano sempre più ripetute, accese e sconvenienti; ma il giovane si era svegliato di buon umore per questo annuì e si lasciò cadere sulla comoda poltrona.
―Devi trovarti un lavoro―.
―Lo farò―.
―Quando, Henry? Quando? Tu non fai proprio niente, per te il futuro non arriverà mai e così facendo nessuna donzella vorrà prenderti come marito―.
―Sono io a scegliere le donne e non loro!― sghignazzò il ragazzo, era più una battuta ironica, e probabilmente il padre mai l'avrebbe capita.
―E allora vieni a lavorar con me, creati una carriera, io... sono affranto più di te vedendoti crogiolare in tal modo―
―Padre, oggi possiamo anche saltare la predica― Era, d'improvviso, molto più interessato al paesaggio fuori la finestra. Si alzò dalla poltrona e si avvicinò senza destare sospetti o scomporre la situazione, mentre il gran maestro continuava a frullare le parole in un discorso polemico. Aveva visto la carrozza fermarsi e il piccolo scompartimento aprirsi.
―Credo che sia arrivato― sussultò.
―E poi diciamolo! Convocarti ogni santo giorno è diventata una seccatura―.
Ed ora osservava quei capelli, quel viso, quel portamento, sorrise prima di girarsi di nuovo verso il vecchio.
―Avete più che ragione― furono le sue ultime parole prima di dirigersi fuori dall'aula e abbandonare alle spalle, l'ultima briciola di rispetto.


Spazio scrittrice:
Ed eccoci qua! Allora, questo prologo è stato scritto di getto, soprattutto la parte finale, è un'originale a cui ho lavorato mentalmente un sacco! E spero, davvero, che possa piacervi in qualche modo. Le storie principali sono tre, in quest'inizio se ne scorge a malapena una, molto presto rimarrete, di certo, ammaliati da questi strani ed enigmatici personaggi.
Spero di pubblicare nel week-end il primo capitolo, gli aggiornamenti non sono standard ma a seconda di ciò che ho pronto e salvato sul computer u_u.
Fatemi sapere cosa ne pensate d Henry, Katherine, Wendy e compagnia bella! *-*
Un bacione, aspetto dei vostri commenti :*
ps: perdonate qualche errore, appena ho tempo, rileggo tutto.



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