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Autore: serelily    21/12/2013    6 recensioni
Uno strano ragazzo con una macchia marrone sulla guancia si presenta al funerale di Carter Andrews, mettendo in agitazione il figlio di quest’ultimo.
Chi è il misterioso ragazzo? Come mai è andato al funerale di suo padre?
Questa storia è arrivata seconda al Character death contest (slash)
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Buondì :D Questa os ha partecipato al Character Death contest (slash), classificandosi seconda e aggiudicandosi il premio Lacrima :D. So che non è proprio indicata per il periodo natalizio, ma sto scrivendo qualcosa di fluffoso e più adatto, sperando di riuscire a finirlo in tempo!
Un bacio e alla prossima
Sere



Nome su EFP e sul forum dell’autore: Serelily
Titolo della storia: Il ragazzo con la macchia marrone
Lunghezza della storia: 4720 parole
Genere: Generale, Drammatico
Rating: Arancione
Avvertimenti: Lime
Note: Tematiche delicate
Introduzione (breve): Uno strano ragazzo con una macchia marrone sulla guancia si presenta al funerale di Carter Andrews, mettendo in agitazione il figlio di quest’ultimo.
Chi è il misterioso ragazzo? Come mai è andato al funerale di suo padre?
(Eventuali) Nda:
 
IL RAGAZZO CON LA MACCHIA MARRONE

 
Il rumore dei tacchi riscosse Ben dai suoi pensieri, mentre la sorella lo raggiungeva e stringeva una mano sulla sua spalla.
Davanti a loro, la bara aperta del padre li richiamava, come una sirena.
Ben non voleva vederlo; ne aveva avuto abbastanza in vita, di quella faccia. Di sicuro non voleva rivederla anche da morto.
Quello che invece voleva scoprire era l’identità del ragazzo in fondo alla stanza. Non l’aveva mai visto e non aveva la più pallida idea di chi fosse, per cui era rimasto abbastanza stupito di vederlo piangere silenziosamente durante l’elogio funebre che sua madre aveva letto con malavoglia.
Era un ragazzo strano: non indossava abiti neri, ma un paio di jeans, una felpa e un paio di sneakers rosse, per nulla adatte alla situazione in cui si trovavano.
Ma la cosa più curiosa di lui era quella macchia. Una macchia marrone, proprio al centro della sua guancia destra. Doveva essere una voglia, dedusse Ben.
Non riusciva a togliergli gli occhi di dosso, cercando di capire perché un perfetto sconosciuto fosse andato a piangere suo padre quando tutta la sua famiglia era lì solo per fare presenza.
Sua sorella guardava nella stessa direzione e doveva essere attanagliata dagli stessi dubbi.
Il ragazzo si mise una mano tra i capelli color miele, mentre continuava a piangere e a torturarsi il labbro inferiore. Portava un piercing al lato sinistro, che mordicchiava di continuo.
Anche da quella distanza, Ben poté vedere che aveva degli occhi bellissimi, color cielo. Erano ancora più chiari per effetto delle lacrime.
Si chiese chi fosse, sebbene dall’aria smagrita e sciupata non doveva essere un tipo che se la passava bene.
I suoi occhi tornavano a guardare quella macchia marrone, così particolare sul viso del giovane.
Non avrebbe certo dimenticato un volto come quello, vista la particolarità. Per cui era sicuramente uno sconosciuto per lui, e sebbene fosse consapevole che il padre aveva dei segreti, non poteva credere che nascondesse da qualche parte un ragazzo con una macchia marrone sulla guancia vestito come un barbone.
Che fosse un figlio illegittimo? Non aveva dubbi che suo padre tradisse sua madre, ma non poteva essere sicuro che fosse così.
Certo, era la soluzione più probabile, ma con una punta di dispiacere notò che era davvero bello e sarebbe stato sprecato, se fosse stato il suo fratellastro.
Poi scosse la testa, rendendosi conto di quanto fosse improbabile la cosa. Suo padre non si sarebbe mai messo in contatto con un figlio illegittimo, non gli avrebbe mai permesso di conoscerlo.
No, quel giovane doveva essere qualcosa di diverso, nei confronti di suo padre.
Strinse la mano della sorella, costringendola ad abbassarsi per parlarle all’orecchio.
«Chiama Gomez e chiedigli di indagare sul ragazzino vestito di stracci in fondo alla stanza. Voglio sapere tutto di lui».
«Esta bien» rispose la ragazza, allontanandosi velocemente.
 
Noah si morse il labbro, toccando con la punta della lingua il piercing e tirandolo. Era stata una serata buona e finalmente poteva comprarsi qualcosa di più sostanzioso da mangiare.
Si sentiva letteralmente a pezzi, quando arrivò davanti alla porta del suo appartamento. Una figura scura stava in attesa, e Noah pensò che fosse l’ennesimo cliente di quella sera.
«Scusa amico» disse, mordendosi ancora il labbro. «Sono troppo stanco questa sera, torna domani».
«E’ urgente» rispose quello con una voce che il ragazzo non aveva mai sentito, ma che gli sembrò famigliare, «devo solo parlarti qualche minuto».
Noah sospirò, inquieto. Però non aveva scelta; già due volte quella settimana la padrona di casa l’aveva beccato in corridoio con uno dei suoi clienti. Se l’avesse fatto di nuovo, l’avrebbe sfrattato seduta stante.
Estrasse le chiavi dalla tasca dei jeans e aprì la porta, facendo segno allo sconosciuto di seguirlo.
«Accomodati pure, vuoi qualcosa da bere?» chiese, solo per cortesia.
«Hai del vino?»
Noah guardò lo sconosciuto con un sopracciglio alzato. Viveva in una bettola, non beveva vino.
«Ho solo questo» disse, estraendo una bottiglia di rum scadente dal mobiletto sgangherato. «Fattelo andare bene».
Lo sconosciuto declinò con un gesto della mano, mentre Noah rimediava un bicchiere e si versava da bere.
«Posso sapere cosa vuoi, ora?»
Lo straniero si tolse il cappello e si sfilò i guanti neri che indossava, rivelando un giovane molto bello, sicuramente di buona famiglia.
I capelli castani erano perfettamente pettinati all’indietro, mentre gli occhi scuri fissavano severi la stanza attorno, giudicandola sicuramente.
Portava vestiti su misura che fasciavano il fisico atletico come un guanto. Era molto alto, decisamente una spanna più di Noah, e sicuramente faceva sport, a giudicare dai pettorali che si intravedevano.
La sua pelle era naturalmente ambrata, lasciando intendere un’origine latina.
Noah dovette ammettere che lo trovava molto sexy e, se non fosse stato stanco morto, si sarebbe sentito lusingato di avere un cliente così bello.
«Quello che voglio sapere io è cosa vuoi tu, Noah Arder».
Noah lo guardò perplesso e lievemente spaventato.
«Io non voglio niente da te, nemmeno ti conosco» rispose con una nota di panico nella voce.
«No, non mi conosci» asserì l’altro, «ma l’altro giorno ti ho visto al funerale. Sei venuto lì a piangere come se l’uomo in quella bara fosse la persona più importante dell’universo, per te. Quindi, mi sono chiesto, che scopo ha questo ragazzo per comportarsi così?»
Noah non chiese nemmeno a quale funerale si riferisse, ma rispose subito:
«Ero andato a dire addio a una persona cara, non penso sia proibito…».
«Carter Andrews non era caro a nessuno, men che meno ad un estraneo che aveva sì e no la metà dei suoi anni. Ora dimmi perché eri al funerale in realtà?» lo interruppe con rabbia.
«E’ la verità» sospirò Noah. «Non conoscevo bene Carter, ma con me è sempre stato gentile e mi sembrava giusto salutarlo. Non so gli altri, ma io sono stato sinceramente addolorato dalla sua morte».
«Non dire fesserie» lo derise lo sconosciuto, «vuoi farmi credere che Carter Andrews era un tuo cliente? E poi nessuno sente la mancanza di Carter Andrews. Era un figlio di puttana bastardo, e tutti hanno fatto un sospiro di sollievo quando finalmente ha deciso di andarsene».
«Carter non era un cliente» disse Noah tristemente, ricordando l’uomo. «L’ho conosciuto per caso, quando uno dei suoi amici ha richiesto i miei servigi. Era un uomo buono, e non capisco come tu possa parlare di lui in questo modo».
Lo sconosciuto si alzò, avvicinandosi a Noah in modo così minaccioso che il ragazzo temette seriamente volesse ucciderlo.
«Forse stai sbagliando persona. Credimi, era un autentico stronzo. E poi, perché dovrebbe essere stato gentile con una puttana se non era nemmeno un suo cliente?».
«I-io…» balbettò Noah, cercando di calmarsi. «Lui mi disse una volta che gli ricordavo suo figlio. Penso che mi aiutasse perché rivedeva lui in me, anche se non ne ho mai capito il motivo».
Lo sconosciuto alzò una mano, posandola sulla guancia di Noah, toccando i contorni frastagliati della sua voglia.
«Tu non hai niente in comune con suo figlio, credimi» disse con voce più pacata. «Non tornare mai più davanti alla sua tomba e sta lontano dalla sua famiglia. Questo è un avvertimento».
Senza che nemmeno se ne rendesse conto, Noah fu liberato dalla presenza ingombrante dello sconosciuto, che si era diretto a gran velocità verso la porta e l’aveva lasciato solo.
 
Due giorni dopo, davanti alla porta di Noah apparve di nuovo lo sconosciuto.
«Mi dispiace di averti spaventato» esordì prima che Noah potesse dire qualcosa. «Ero solo spaventato che potesse scoppiare uno scandalo e non ho riflettuto…».
«Non c’è problema» lo interruppe tristemente il ragazzo più giovane, cominciando a giocherellare con il piercing come faceva sempre quando era nervoso. «Sono abituato alle minacce che mi fanno i parenti di alcuni clienti. Non posso dire di non essere stupito, per il fatto che Carter non era un mio cliente, ma sono abituato».
Era così triste la sua voce che lo sconosciuto parve dispiacersi ancora di più.
«Senti, per farmi perdonare, posso invitarti a pranzo?».
Noah lo guardò sconvolto, scannerizzando letteralmente i vestiti che l’uomo portava.
«Mi hai visto, per caso?» chiese acidamente. «Non mi farebbero mai entrare in nessuno dei ristoranti in cui sei abituato ad andare e poi…».
«Senti, so che magari non ti fidi, ma se mi lasci l’opportunità di spiegare vorrei che tu venissi a casa mia, per parlarne».
Noah lo guardò di sbieco, preoccupato.
«Non è che vuoi uccidermi e buttarmi in un fosso, per nascondere il fatto che Carter Andrews mi desse dei soldi?»
L’uomo rise.
«No, te lo giuro. Senti, se non ti fidi, possiamo anche stare qui da te, ma alla fine non cambierebbe molto. Ci tengo a parlare con te di una cosa che riguarda Carter e vorrei farlo a casa mia».
«Va bene» acconsentì finalmente Noah.
Non poteva negare di essere agitato, ma l’attrazione che provava per lo sconosciuto era più forte della paura che volesse fargli del male.
«Ok, se ti va, possiamo andare ora. Il mio autista ci aspetta di sotto».
Noah si guardò i vestiti, rendendosi conto quanto ancora si sentisse inadeguato. Portava solo un paio di jeans che avevano visto giorni migliori e una felpa slargata. Solo le sue converse erano abbastanza sane, uno degli ultimi regali di Carter prima di morire.
Si morse un labbro.
«Non preoccuparti» disse lo sconosciuto, intuendo i suoi pensieri, «nessuno ti giudicherà per come sei vestito».
«Va bene!».
 
La casa dell’uomo era proprio come Noah aveva immaginato. Era un loft immerso nella luce del pomeriggio, pieno di vetrate, arredato con mobili ultramoderni e con costosissimi quadri astratti.
L’uomo, dopo essersi chiuso la porta dietro di sé, poggiò con noncuranza il cappotto sul divano in pelle e si slacciò il nodo della cravatta per mettersi comodo.
«Fa come se fossi a casa tua» disse.
Noah avrebbe voluto prenderlo in parola, ma aveva paura persino di toccare i mobili, per cui rimase in piedi, al centro della stanza.
Era nervoso, così cominciò di nuovo a mordersi il piercing e una mano andò in automatico a coprire la macchia marrone sulla guancia.
Era un gesto che compiva ormai senza rendersene conto, come se il coprire la macchia rendesse tutto più semplice: era abituato a farlo da quando andava a scuola e veniva preso in giro per quella voglia così evidente sul suo viso.
Quando lo sconosciuto tornò, indossava un paio di jeans e un maglione a collo alto. Era comunque molto elegante, sebbene fosse in “tenuta da casa”. Non servì certo a mettere Noah a suo agio.
«Hai preferenze sul cibo?» chiese l’uomo strofinandosi le mani l’una con l’altra. «Così posso ordinare».
Noah alzò un sopracciglio.
«Non sai cucinare?».
Al cenno negativo dello sconosciuto, si avviò verso la cucina a vista, dimenticandosi del suo disagio.
«Visto che hai insistito tanto per invitarmi a pranzo, permettimi almeno di prepararti qualcosa io».
Per fortuna il frigorifero era ben rifornito, e Noah poté presto mettere su un’omelette coi fiocchi, come sua madre Caroline gli aveva insegnato.
Intanto, lo sconosciuto continuava a guardarlo, sorpreso.
«Non so nemmeno come ti chiami» rise Noah ad un certo punto, rendendosi conto dell’assurdità della situazione.
Anche l’altro uomo rise, scuotendo il capo.
«Mi dispiace, non mi sono nemmeno presentato a dovere» ammise. «Il mio nome è Beniamino Andrews, ma tutti mi chiamano Ben».
Noah voltò il viso verso l’uomo, completamente sconvolto.
«Sei il figlio di Carter?» chiese stupito.
«Sì» disse Ben con un sospiro. «Mi dispiace davvero per come mi sono comportato l’altro giorno da te. Stavo solamente cercando di proteggere mia madre. Non volevo spaventarti o farti del male. Mia sorella Caterina mi ha fatto riflettere e sono giunto alla conclusione che ti dovevo delle scuse. Ho voluto che tu venissi qui per dirti questo e per dirti che se vuoi, puoi andare a visitare mio padre ogni volta che ne senti il bisogno».
Noah non sapeva cosa dire. Aprì lo sportello della credenza per prendere un piatto e versarci l’omelette, che poi tagliò a fette e mise sopra il bancone della cucina.
Intanto, Ben aveva apparecchiato e si era seduto su uno degli sgabelli, aspettando che Noah lo raggiungesse.
«Che cosa ti ha fatto cambiare idea?» chiese poi, quando entrambi furono pronti per mangiare.
Ben si mise un attimo a riflettere, assaporando l’omelette con lentezza.
«Come ti dicevo, è stata mia sorella Caterina. Cat mi ha trovato le informazioni su di te, e non appena io ho saputo del tuo lavoro sono corso a casa tua, minacciandoti di non provare ad avvicinarti alla mia famiglia. Non le ho lasciato nemmeno il tempo di continuare a dirmi cosa aveva scoperto».
«Ah sì? E cosa aveva scoperto?» Noah era completamente stupito da quello che stava sentendo.
«Ha scoperto che tua madre, Caroline, aveva lavorato qui un paio di anni prima che tu nascessi, e che quando era andata via si trovava in difficoltà economiche. Mio padre non aveva più saputo niente di lei finché non ha provato a cercarla, due anni fa».
«E’ stato allora che è venuto da me» fece Noah perplesso.
«Esatto» continuò Ben. «Mia madre adorava la tua, e aveva sempre rimproverato mio padre di averla licenziata. Così, lui aveva deciso di rimediare. Visto che era troppo tardi e tua madre era già morta, ha deciso di farlo attraverso di te».
«Allora perché continuava a dirmi che gli ricordavo te?».
«Non credo intendesse me» spiegò Ben con uno sguardo triste, «mio padre si riferiva sicuramente all’ultima gravidanza di mia madre. Ha perso il bambino a sette mesi, ed era un maschio. Nella sua testa salvando te avrebbe riscattato il debito con tua madre e quello verso il bambino».
«Io non capisco» fece Noah. «Mi hai detto che tuo padre era una specie di mostro».
«Io…» Ben sospirò, «io ho avuto gravi problemi con mio padre. Quando ho fatto coming out voleva disconoscermi, e solo grazie a mia madre questo non è successo. Con me è sempre stato duro e inflessibile, perché voleva che prendessi in mano le redini dell’azienda e che diventassi uomo prima possibile. Non lo credevo capace di simili gesti, sebbene mia madre l’avesse sempre difeso. Credevo che l’amore che lei nutriva per lui la rendesse cieca. Invece mi sbagliavo. A quanto pare mio padre aveva problemi solamente con me».
Noah non rispose, ancora scombussolato da tutte quelle informazioni.
«Io… pensi che… mia madre e tuo padre…» balbettò, cercando di esprimere l’orribile pensiero che si stava formando nella sua mente.
«No, no!» disse subito Ben. «Dopo essere venuto da te, ho parlato con mia madre. Ricordava bene Caroline, perché sapeva parlare spagnolo e mia madre l’adorava perché le dava lezioni di inglese. Tua madre è andata via ben prima che tu nascessi».
Noah sospirò sollevato.
«Sai, io non ho mai conosciuto mio padre» gli spiegò. «Per un attimo ho pensato che Carter lo fosse. Insomma, altrimenti per quale motivo era così buono con me?».
Ben ridacchiò.
«Quando sono tornato da casa tua, mi sono sentito tremendamente in colpa» disse con voce seria. «Ti avevo accusato senza nemmeno sapere nulla di te, ma sai, sono protettivo verso mia madre. Lei è sempre stata vista come l’accessorio di mio padre, soprattutto perché era straniera e faceva fatica ad integrarsi. L’hanno sempre vista come la figlia di un ricco messicano venduta ad un ricco americano. Non volevo che uno scandalo dopo la morte di mio padre contribuisse a renderla ancor più un oggetto».
Noah sorrise, avvicinandosi e mettendogli una mano sulla spalla.
«Anche io avrei fatto la stessa cosa, per mia madre. Non preoccuparti, non ce l’ho con te. Hai solo difeso la tua famiglia».
Dopo quella sera, Ben prese a frequentare Noah molto spesso. Aveva preso a cuore quel ragazzo, sostituendosi in qualche modo a suo padre.
La prima volta che Noah aveva rifiutato di vederlo perché doveva lavorare, Ben era andato a prenderlo di peso e l’aveva portato in un ristorante di lusso, dopo avergli regalato un completo.
Noah aveva cercato di protestare, ma a nulla era servito.
«E’ un regalo» aveva detto per convincerlo. «Se non lo accetti mi spezzerai il cuore. E poi ho appena perso mio padre, vuoi davvero rendermi triste?».
«Sei uno stronzo» era stato il commento di Noah, ma aveva accettato comunque.
Sempre più spesso Noah si fermava da Ben, prima di tornare a casa sua.
C’era stata anche una sera strana in cui erano rimasti a vedere un film sul divano di pelle di Ben, sorseggiando vino.
Erano brilli entrambi ed erano finiti abbracciati, Noah con il volto sul petto di Ben. Erano rimasti così tutta la sera; ogni tanto la mano di Ben si apriva sulla sua schiena e lo carezzava con dolcezza, quasi volesse calmarlo.
Noah continuava a chiedersi che significato mai potesse avere e se ce l’aveva, ma poi decise di staccare la spina e prendersi quello che Ben gli dava.
 
Due mesi dopo, Noah era di nuovo a cena da Ben. Ormai stava diventando di casa e aveva pure conosciuto Cat, l’altra figlia di Carter.
Le cose tra di loro stavano andando bene, anche se Noah non capiva se Ben voleva essere un suo amico o ci stesse provando con lui.
La maggior parte del tempo era ambiguo, soprattutto quando lo abbracciava o inaspettatamente gli faceva una carezza sulla guancia.
Quella sera Noah si sentiva particolarmente triste e, quando Ben gli chiese il motivo, fu costretto a raccontare.
«Oggi è l’anniversario della morte del mio fratellastro» spiegò. «E’ morto di overdose cinque anni fa. Fui proprio io a trovarlo. Ero legatissimo a lui, perché quando eravamo piccoli eravamo entrambi presi in giro per la macchia marrone che avevamo sulla guancia. Mio fratello era più grande di me e mi proteggeva sempre, ma da quando era entrato nel tunnel della droga, non lo riconoscevo più. Ho provato ad aiutarlo, ma ho fallito miseramente».
«E’ terribile» disse l’altro.
«E’ proprio per questo che ho iniziato a vendermi. Volevo racimolare abbastanza soldi per aiutarlo a disintossicarsi, ma non ci sono riuscito».
Ben si avvicinò a lui, carezzandogli dolcemente la guancia con la macchia.
«Mi dispiace che tu abbia dovuto passare tutto questo».
Noah deglutì, voltandosi leggermente a guardarlo e accorgendosi che era fin troppo vicino.
«Ben che stai…».
Non fece in tempo a dire altro che le labbra di Ben furono sulle sue. Lo costrinse ad aprire la bocca per assaporarlo meglio, e Noah, completamente sconvolto, lo lasciò fare.
Sentiva brividi in tutto il corpo, man mano che il bacio diventava più profondo, più lento ed eccitante.
Ben era uno che amava comandare. Si vedeva da come baciava, forte e imperioso. Voleva mantenere lui il controllo e non lasciava a Noah nemmeno lo spazio per pensare.
Non seppe per quanto tempo rimasero in piedi a baciarsi, nel mezzo della sala di Ben. Noah aveva perso il conto dei minuti, aveva perso completamente la consapevolezza del tempo che scorreva e del mondo che andava avanti.
Fecero l’amore sul divano, con gesti veloci e ansiosi. Ben l’aveva preso con spinte secce e profonde, troppo eccitato per pensare anche solo lontanamente di andare più piano. Ma a Noah andava bene così, voleva che lo prendesse in quel modo.
Quando entrambi vennero, Ben si accasciò sull’altro ragazzo, baciandogli dolcemente il capo e carezzandogli i capelli chiari.
«Non dovevamo» mugugnò subito Noah, sull’orlo delle lacrime.
Non poteva andare a letto con Ben, con il figlio di Carter Andrews. Stava sbagliando tutto e doveva uscire da quella situazione il prima possibile.
«Perché?» chiese Ben perplesso. Lui non riusciva a capire cosa ci fosse che non andava.
«Andiamo» disse Noah cercando di divincolarsi, «tu sei il figlio di Carter e io ero la puttana che veniva aiutata da tuo padre, pensi che sia giusto?».
Ben si alzò da lui, senza lasciarlo andare però.
«Noah, se mio padre ti aiutava è perché vedeva qualcosa di buono in te. Non avrei mai creduto che mio padre sarebbe stato capace di farlo, ma doveva essere buono, in fondo al cuore. Ma questo non ha niente a che vedere con me e te».
«Non la pensavi così la prima volta che mi hai visto».
Ben sospirò.
«Noah, lo ammetto. Ero venuto con l’intenzione di dirti di sparire, ma in cuor mio ero rimasto incantato da te. Già al funerale non riuscivo a staccarti gli occhi di dosso. C’era qualcosa in te che…».
«E’ per la macchia marrone?» chiese di getto Noah. «A molti miei clienti eccita, anche se non capirò mai come possa accadere una cosa simile».
Ben rise, come se trovasse la cosa totalmente assurda.
«No, Noah. Quello che vedo in te è una meravigliosa creatura, querido. Anche se ammetto di aver fatto pensieri veramente poco casti su quella macchia. Mi piacerebbe passare ore a leccarla».
Noah arrossì, sentendosi improvvisamente in imbarazzo.
«Se ti fa piacere…».
 
Il giorno in cui successe, Ben era felice. Non si sarebbe mai immaginato che le cose sarebbero cambiate così in fretta.
Noah era rimasto a dormire da lui e presto si sarebbe svegliato. Ben cercò di godersi i pochi minuti che lo separavano da quel momento, stringendosi al corpo nudo dell’altro e assaporando la pelle salata della spalla sottile.
Amava venerare il corpo di Noah, mentre questi era addormentato.
Quello che Ben non poteva immaginare era che sua madre avesse deciso di usufruire della sua copia delle chiavi proprio quella mattina.
La donna, infatti, aveva così tanta urgenza di parlare con il figlio che non si era minimamente preoccupata di avvertirlo del suo arrivo.
Proprio nel momento in cui Noah aveva aperto gli occhi e si era lasciato baciare a fondo, la porta della loro camera venne spalancata.
Entrambi si bloccarono, congelati nel terrore, mentre la madre di Ben li osservava disgustata.
«Sapevo che c’era qualcosa di sbagliato» disse con voce velenosa. «Mio figlio che mente e nasconde le cose come suo padre. Dovevo immaginarlo…».
Noah aveva preso a tremare, inorridito. Avevano deciso di comune accordo di tenere la loro relazione segreta, almeno finché non fosse diventata più seria.
«Madre…».
«Madre un corno» urlò la donna. «Come ti sei permesso di disonorare così la tua famiglia? Con quella puttana…».
«Mamma, ti prego» Ben si era alzato, cercando subito i suoi boxer e infilandoseli. La donna intanto era uscita dalla stanza, aspettandolo nel salotto.
«Vado a parlare con lei» aveva detto.
Noah si vestì, sentendosi improvvisamente molto depresso. Le cose con Ben stavano andando fin troppo bene, doveva immaginare che presto sarebbe accaduto qualcosa di brutto.
Quando li raggiunse, i due stavano litigando furiosamente. Si zittirono all’improvviso quando lo videro entrare, e Ben si scusò un attimo, lasciandoli soli.
Noah capiva che discutere mezzo nudo non lo metteva a suo agio, ma avrebbe preferito rimanere con qualcuno, in quel momento.
Essere da solo alla presenza di quella donna che sembrava odiarlo con tutto il suo essere non lo faceva per niente sentire bene.
«Sai, quando tua madre se ne andò, in realtà ero contenta» sibilò quella, avvicinandosi pericolosamente a lui.
Noah la guardò perplesso e un po’ spaventato.
«Insomma, mio marito non le staccava gli occhi di dosso. Sapevo benissimo cosa facevano nello studio, quando io andavo a dormire. Quella puttana di tua madre era più giovane, più esperta…».
Un sorriso malevolo si dipinse sul volto della donna, mentre Noah sbiancava sempre di più.
«Non resterò qui a sentirle parlare così di mia madre» balbettò il ragazzo, raccogliendo il cappotto e preparandosi ad uscire.
Non gli importava di restare. Avrebbe chiamato Ben più tardi, quando quella donna se ne sarebbe andata.
«Ah, no?» lo seguì malevola «Quella puttanella… ho dovuto fingere che mi stesse simpatica per scoprire la verità. Era rimasta incinta, quella bastarda».
Noah si bloccò quando aveva una mano sulla maniglia.
«Eh sì, si era fatta ingravidare e voleva che mio marito riconoscesse quel rifiuto umano che era tuo fratello. Ma io le ho sempre impedito di vederlo. Non potevo permettere che Carter si rovinasse la reputazione. Solo una volta morta gli ho permesso di cercarla. Ormai non c’era più niente da rischiare».
Allibito e sconvolto, Noah non si voltò nemmeno.
Aprì la porta con foga e si diresse verso l’ascensore, che purtroppo era occupato. Senza perdere altro tempo, cominciò a scendere le scale, fino a che la donna non parlò di nuovo.
«Sai quanto mi è costato, fare tutto questo?» parlava ancora sibilando. «Ho lottato perché Ben avesse tutto quello che meritava e non ti permetterò di portarlo a fondo con te. Prima tua madre, poi tuo fratello e ora tu. Siete l’unico ostacolo che ha mio figlio per diventare grandioso. Ho dovuto uccidere suo padre, ho dovuto sbarazzarmi di qualunque cosa collegasse la tua sporca famiglia a Ben… e tu ti presenti al funerale di Carter?».
«L-lei ha ucciso Carter?» balbettò il ragazzo, improvvisamente impaurito.
«Sì» rispose la donna, mentre i suoi occhi neri erano spalancati e fiammeggianti. Noah ebbe paura, perché quella donna era il ritratto della pazzia.
«Ho fatto tutto quello che era in mio potere, per favorire mio figlio, e non permetterò a una nullità come te di rovinarmi il lavoro».
La donna ormai l’aveva raggiunto senza che nemmeno se ne accorgesse. Se ne rese conto solo quando sentì le sue mani appoggiate alle spalle, che lo spingevano giù con tutta la forza che avevano. E Noah sentì lo spigolo di un gradino che colpiva la sua tempia.
 
Ben osservava con occhi sgranati sua madre in cima alle scale, non riuscendo a muoversi. Ora c’era un silenzio sinistro, che non lasciava presagire nulla di buono.
Riscossosi, cominciò a correre, scendendo gli scalini due a due, finché finalmente non vide la gamba di Noah, quasi due piani più sotto.
Con il cuore tremante, si avvicinò, capendo subito che qualcosa non andava.
C’era del sangue, intorno alla testa del ragazzo. Si vedeva chiaramente che un gradino di marmo era macchiato, segno che doveva aver battuto lì durante la caduta.
Ben provò a voltarlo e capì che non c’era più niente da fare.
Il ragazzo più giovane giaceva con gli occhi spalancati, freddi e vuoti. La vita era sparita dal suo corpo, ormai.
Sua madre lo aveva raggiunto, ancora sconvolta per quello che aveva fatto. A Ben bastò un’occhiata verso di lei per capire cosa fare.
«Io non volevo» piangeva la donna. «E’ stato un’incidente… stavamo solo litigando sulle scale e lui è scivolato…».
Ben la abbracciò.
«Lo so, mamma. Mi occuperò io di tutto».
 
Era notte fonda quando Ben aveva dato fuoco a quel sacco della spazzatura. Aveva dovuto fingere un viaggio oltreoceano, per occuparsi personalmente della faccenda.
Gli faceva male al cuore far sparire così Noah, ma non poteva permettere a sua madre di finire in prigione, visto che la donna non voleva certo ucciderlo quando lo aveva spinto lontano da lei.
In quel momento sentì che stava davvero diventando come suo padre, freddo e calcolatore. Disse addio per sempre a quel ragazzo che aveva amato per così poco, non riuscendo a versare nemmeno una lacrima.
Sua madre era più importante; l’avrebbe aiutata con i migliori psicologi, per superare la cosa. Non doveva essere facile per lei essere la responsabile della fine di una vita umana.
Senza dire nemmeno una parola, osservò Noah bruciare, poi se ne andò senza voltarsi indietro.
 
Carmen prese la foto del ragazzo e, con un pennarello indelebile, disegnò sopra di essa una X rossa. Poi, aprì il suo portagioie e la mise assieme ad altre tre foto, anche loro segnate allo stesso modo.
Una era del marito, una era di Caroline Arder e l’altra era del fratello di Noah.
Aveva cancellato quella macchia marrone, aveva cancellato la vergogna per sempre.
La sua vendetta era compiuta.
 
Questa è la fine del ragazzo con la macchia marrone, un ragazzo che aveva solo la colpa di essersi innamorato della persona sbagliata, figlio delle persone sbagliate.
Ben non seppe mai che sua madre aveva ucciso il ragazzo che amava perché temeva che lo limitasse, come non seppe mai che la donna aveva anche ucciso il marito e la sua amante, Caroline.
L’unica morte di cui non era responsabile diretta era quella del fratello di Noah, ma ne aveva goduto immensamente.
La macchia marrone, che per anni aveva tormentato i sogni di Carmen, era finalmente sparita.
Nessuno cercò quel ragazzo; la sua vita era troppo poco importante per essere ricordata. Neppure quella voglia sul viso così caratteristica servì a ricordarlo.
Anche se Ben, nel suo cuore, non si sarebbe mai perdonato per il modo in cui gli aveva detto addio.

FINE
   
 
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