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Autore: Dark_Blame    21/12/2013    1 recensioni
Un angelo è venuto a sapere ciò che non avrebbe mai dovuto scoprire. Nel caos e nello sconforto, può scegliere di dimenticare ... oppure cadere dal Paradiso, e trasformarsi nella caduta in qualcosa mai visto prima.
Genere: Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Inesorabile. L'acqua, che in teoria avrebbe dovuto formare un'elegante curva verso il suolo, gocciolava dal piccolo scivolo dorato sopra la sua testa.

 

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A ritmo cadenzato, poche gocce stanche scandivano il tempo della sua dannazione.

 

 

 

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Nella superficie specchiata di fronte a lui, l'eventuale passaggio di una di quelle gocce era l'unico elemento in moto di un'immagine altrimenti immobile. Fossile.

 

 

 

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Il suo riflesso gli rimandava uno sguardo attonito: l'essere – qualunque cosa fosse stato in precedenza – non si riconosceva. Aveva un nome, che però non lo rappresentava più; aveva un volto impassibile e austero, che non riusciva a esprimere nulla del suo caos interiore; aveva un gruppo di appartenenza, una razza, degli ideali, la cui esistenza era stata per sempre spogliata di un senso logico.

 

 

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Avrebbe potuto prendere il Favore dell'Oblio e ritornare ad avere la sua identità: si sarebbe trattato di ingerire una semplice fiala di liquido ambrato. Oppure … oppure non sapeva. Il concetto di scelta era sempre stato elusivo per quelli del suo genere. Vincendo la paralisi in cui sembrava versare il suo corpo, alzò un braccio, le vene pulsanti in rilievo sotto la pelle, e si portò una delle grandi mani alla fronte.

 

 

 

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La sua testa urlava. La sua mente urlava. Qualsiasi cosa l'avesse guidato fino a quel momento, nella sua esistenza, stava urlando, e stava scaraventando terribili attacchi contro il contenitore in cui era conservata. Scelta o non scelta, avrebbe preferito avere un corpo che potesse generare un urlo simile. In qualche modo, avrebbe voluto che un dolore fisico attenuasse quel dolore dell'anima.

 

 

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Seguendo il ragionamento, le unghie sulle sue dita diventarono più spesse e lunghe. L'essere le conficcò nella pelle sottile della fronte e cominciò a tirare giù la mano. Lentamente, scavando. Il sangue gli ricoprì l'occhio destro prima ancora che gli artigli della sua mano ci passassero sopra, segnando quattro linee dritte che continuavano dal suo ciglio alla guancia.

 

 

 

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Non era nemmeno vagamente abbastanza.

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Il sangue scuro dai quattro solchi di quelle ferite cominciò a espandersi su tutto il volto, come una piaga. Brandelli di pelle caddero morti sul pavimento. La sua mano artigliata si fermò nella sua corsa masochista, e cominciò a tremare, a mezz'aria, senza alcuno scopo. Arricciò il labbro superiore in una smorfia, e istantaneamente una sostanza nera cominciò a colargli tra i denti.

 

 

 

Così era meglio. Così era già decisamente meglio.

 

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Il suono del suo sangue cominciò a mischiarsi con quello dell'acqua. Le ali sulla sua schiena si aprirono di botto, poi tremarono, poi piuma per piuma iniziarono ad avvizzire e marcire finché tutta l'ossatura non fu altro che un ammasso di ossa e carne marcia. Ancora, alla fine, lo scheletro che ne era rimasto si sciolse in pece bollente sulla sua schiena. La macchia nera che gli ricopriva il viso nel frattempo si stava estendendo al collo, al torace, al petto, fino a ricoprirlo interamente; al suo passaggio la vecchia pelle si spaccava e raggrinziva e cadeva.

L'essere urlò, e il cielo tremò nel suo urlo. Non c'era un'altra scelta. Non ci sarebbe stato oblio.

Un colpo nelle reni lo fece piegare in avanti: uno dopo l'altro fiotti di materia scura gli risalirono la gola, spruzzando sul pavimento come acido. Mandibola e mascella si aprirono in maniera innaturale, squarciando la pelle e i muscoli attorno alla bocca; continuò a vomitare, l'immagine allo specchio che gli rimandava il suo volto – ormai del tutto inumano, in quella posizione.

Ad un certo punto il carico fu troppo, e qualcosa gli ostruì la gola minacciando di soffocarlo. L'essere spinse e soffrì, ma alla fine espulse una massa scura - che una volta era stato un suo organo. Al primo ne seguì un secondo, e poi un terzo e svariati altri, tutti accompagnati dalla stessa sensazione di soffocamento e dolore. Con grossi tonfi caddero nella pozza fetida che si era creata ai suoi piedi.

Svuotato del suo contenuto, il suo addome si sgonfiò e si restrinse su se stesso. L'ombelico si allungò in una crepa, una voragine frastagliata a forma di bocca, i cui angoli arrivarono fino al punto in cui i fianchi incontrano la cassa toracica.

 

« Non puoi più stare qui » disse una voce, forse proveniente da quella gola orrenda nella sua pancia. La creatura si guardò un'ultima volta allo specchio: ormai la sua pelle si era stabilizzata su un grigio molto scuro, che diventava nero perfetto nei capelli corti. « Non posso più stare, » disse in un latrato. Con uno scatto squarciò la parete di fronte a sé e iniziò a correre – i muscoli che gridavano si allungavano dolevano – e arrivò al margine del cielo; dopodiché, si gettò nel vuoto.

Le fiamme lo avvolsero nella Caduta, sciogliendogli gli occhi.

 

 

 

Metatron cadde, e come lui nessuno era mai caduto prima.

  
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