1. Heaven
Heaven
era il paradiso.
Non
contava più di un migliaio di abitanti ed era un puntino
così minuscolo sulla
cartina che erano in pochi quelli che erano a conoscenza della sua
esistenza.
Tuttavia,
tutti quegli automobilisti che, leggendo il nome della cittadina su un
cartello
verde ad un’ uscita della strada statale poco distante,
avevano preso la decisione
di fermarsi proprio in quel luogo sconosciuto, si erano immediatamente
resi
conto della fortuna di quella scelta dettata dal caso e dalla
curiosità.
Heaven
era il paradiso.
D’inverno,
ricoperta di neve ed illuminata dalle luci natalizie, sembrava una
succursale
della fabbrica di giocattoli di Babbo Natale.
D’estate,
contornata da campi di girasole e dai carretti dei gelati pronti a
diffondere
nell’aria musiche allegre, non faceva per niente rimpiangere
di non essersi
potuti permettere una vacanza su delle esotiche spiagge su sperdute
isole del
Pacifico.
In
autunno, con le foglie secche scricchiolanti sotto i piedi dei
passanti,
l’odore di caldarroste nell’aria e gli ombrelli
colorati degli abitanti,
sembrava il set di una commedia romantica.
In
primavera, con i prati verdi pieni di margherite e le famiglie sedute
su
tovaglie a quadretti rossi per i tranquilli picnic della domenica,
aveva un
aspetto così idilliaco che nessuno si sarebbe domandato il
perché del nome che
le era stato dato.
Heaven
era il paradiso.
E, in
una città tanto piccola, non era inusuale che gli abitanti
si conoscessero
tutti per nome e che vivessero le loro vite secondo un copione preciso
di
incontri e relazioni.
Per
esempio, tutti sapevano che Pamela Barnes, l’ex ballerina che
ora dirigeva
l’unica scuola di danza e recitazione della città,
in seguito alla sua
decisione di rimanere single dopo aver lasciato il suo ultimo marito,
Jesse,
aveva l’hobby di flirtare scherzosamente con qualsiasi essere
maschile fra i
diciassette e i sessant’anni che si imbattesse sulla sua
strada.
Tutti,
inoltre, sapevano che se volevano conoscere gli ultimi avvenimenti
della città
avrebbero semplicemente dovuto recarsi a casa di Becky Ronsen per un
tè, certo,
solo se si fosse stati disposti anche a venire in contatto con i suoi
dieci
gatti e il suo irrefrenabile bisogno di chiacchierare di personaggi
immaginari
appartenenti a libri, film o serie televisive e alle storie alternative
da lei
inventate su di essi.
O,
ancora, che il signor Zacharia Adler, direttore del consiglio cittadino
e
proprietario dell’unico supermercato della città,
amava l’ordine e le regole in
modo quasi ossessivo.
O che,
se proprio si riteneva necessario fare affari con il signor Fergus
Crowley, era
sempre bene fare attenzione anche alle più piccole clausole
dei suoi contratti.
Comprese quelle scritte con inchiostro simpatico fatto in casa.
Ad
Heaven, insomma, tutti conoscevano tutti. Quindi non era del tutto
innaturale
che, il giorno in cui i Winchester fecero il loro ingresso in
città, non fu per
niente il sommesso ritorno in terra natia che i tre si aspettavano
quanto più,
loro malgrado, una parata con tanto di fanfara che fece girare la testa
a
qualsiasi persona che si fosse imbattuta in quel vecchio pick-up color
ruggine,
l’aggressiva Chevrolet Impala del ’67 e il piccolo
camion di traslochi prima
dell’arrivo alla loro meta designata: il vecchio locale dei
Campbell.
I tre
Winchester, tuttavia, non badarono alle decine di paia
d’occhi puntati, non
affatto discretamente, su di loro. Una volta scesi dalle loro auto
cariche di
tutti i loro beni materiali, si fermarono sul marciapiede di fronte a
quella
che, diversi anni prima, era stata una tavola calda a conduzione
familiare e
che in quel momento non era altro che un vecchio locale abbandonato con
i vetri
delle vetrine oscurati dalla polvere.
“Quindi
è questo?” domandò Sam, il
più giovane dei due ragazzi, mentre strizzava gli
occhi per riuscire a scorgere qualcosa all’interno.
Alla
problematica età di quindici anni, il giovane non era
affatto entusiasta
dell’improvviso trasloco da Lawrance, Kansas, ovvero
dall’unica casa che avesse
mai riconosciuto come tale. Sam Winchester era arrabbiato per aver
dovuto
abbandonare la scuola che frequentava, e gli amici della sua classe, in
pieno anno
scolastico, ma non si poteva dire che non comprendesse appieno e
condividesse
le motivazioni che avevano portato suo padre a prendere una decisione
di tale
entità.
John
annuì con quella gravità che lo perseguitava da
diverse settimane “Già.
L’appartamento è sopra il locale.- li
informò- Anche se non sembra molto
grande, è più che sufficiente per noi
tre.”
Al suo
fianco, Dean si sistemò meglio la propria sacca sulla spalla
muscolosa “Sei
sicuro che riusciremo a gestire una tavola calda?”
Sam si
voltò verso il genitore “Non sei molto ferrato su
come gestire un locale, papà.
Era la ma-”
“Ce la
caveremo.- lo interruppe con tono risoluto John- Dean mi
aiuterà, non è vero?
Il maggiore dei due
fratelli annuì “Certo,
papà.”
“Papà,
dici che ci piacerà vivere qui?”
domandò di nuovo il quindicenne, una luce
incerta nello sguardo.
Suo
padre gli rivolse un sorriso incoraggiante “Ne sono sicuro.-
gli assicurò,
prima di pronunciare in modo sommesso e malinconico la frase
successiva- Mary
adorava questa città.”