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Autore: Lady R Of Rage    24/12/2013    4 recensioni
Dawn non rispose. Si limitò a prendere un coltello di piccole dimensioni, e a passarlo impercettibilmente sul proprio dito. Un sottile taglio si era aperto in corrispondenza del dito.
-E questo cosa sarebbe?- domandò Scott. Cominciava a chiedersi se Dawn fosse del tutto sana di mente.
Ma Dawn sorrise, placida, e si passò sul dito la miscela di erbe. In pochi attimi, la ferita era scomparsa.
-Lo vedi?- domandò la ragazza a uno Scott ammutolito e senza parole.
-Non basta saper uccidere, per vincere.-

Ventiquattro ragazzi innocenti sono stati sorteggiati, come ogni anno, per combattere negli Hunger Games, il reality infernale dove per vincere bisogna uccidere.
Dovranno lottare contro i loro nemici e contro le avversità, ma soprattutto contro loro stessi.
Saranno vincitori o saranno vinti.
E uno solo sopravviverà.
[AU| Crossover Total Drama/Hunger Games | Pairing: un po' tutti]
Genere: Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Contesto generale
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Capitolo 6 – prima
 
Dopo tre giorni di allenamenti, tutti i tributi erano giunti alla stessa conclusione: per quanto dura potesse essere, rimanere inerti e paralizzati ad aspettare che la morte giungesse era l’ultima cosa che dovesse essere fatta.
C’era una possibilità di sopravvivenza, per quanto esigua per alcuni. E bisognava tentare il tutto per tutto per raggiungerla.
Ed era esattamente per quello che, il giorno in cui ebbero inizio le sessioni private, nessun tributo si era fatto sorprendere impreparato.
 
La sala adibita alle sessioni private era silenziosa, immersa in un’atmosfera nebulosa di sogno.
Le luci stroboscopiche si riflettevano sulle superfici lisce e specchiate di spade e coltelli, sui bersagli, su archi e frecce, e sul nutrito assortimento di sostanze chimiche e venefiche.
Dall’alto della loro postazione, come avvoltoi pronti a piombare sulla preda, gli Strateghi guardavano la scena in attesa dell’arrivo del primo tributo. Chef Hatchet, il Primo Stratega, sedeva al centro, e le sue dita nerborute stringevano con forza i braccioli della sedia, come se dovesse scappare da un momento all’altro. I suoi occhi porcini squadravano la stanza vuota, impassibili e vogliosi.
-Molto bene.- disse dopo una lunga pausa. –Fate entrare il primo.-
 
Una porta scorrevole, nell’angolo della stanza, si aprì, ed entrò Sam, con sguardo terrorizzato.
Quando i suoi occhi incontrarono quelli scuri e crudeli del Primo Stratega, il ragazzo deglutì e fu scosso da un brivido.
Comunque ormai era fatta: era entrato, e non poteva tirarsi indietro.
Così, preso un grande respiro, si incamminò verso un mucchio di lunghe lance dal manico d’acciaio e dalla letale punta metallica. Ne prese in mano una, e si voltò verso il bersaglio.
“Ora o mai più” pensò, prima di scagliare l’arma verso il manichino.
La lancia andò a piantarsi all’esterno del manichino, a poca distanza dal ventre. Nel silenzio imbarazzato si udì Chef Hatchet che sghignazzava.
Col battito del cuore accelerato, Sam prese una seconda lancia, e la scagliò subito dopo la prima. Non andò affatto meglio: l’arma sbatté malamente contro il bordo del bersaglio, e rotolò per terra miseramente.
Sam sentiva la tensione sulla pelle. Le mani gli sudavano e voleva soltanto andarsene via di lì. Ma aveva il tempo di un ultimo tentativo. Prese una terza lancia, e la scagliò verso il solito manichino.
Un coro di “oooh” si alzò senza preavviso dal palco degli Strateghi. Sam si voltò verso il manichino, e trasalì.
Forse era un colpo di fortuna, o forse i geni di Favorito erano misteriosamente riaffiorati in Sam: fatto sta che, sorprendentemente, la lancia era andata a piantarsi esattamente al centro della testa del manichino.
Sam tirò un sospiro di sollievo, e si voltò per andarsene.
-V-visto?- domandò agli Strateghi. –Non era poi così male.-
Poi sparì alla velocità della luce attraverso l’uscita.
 
Subito dopo l’uscita di Sam, anche Dakota fece la sua comparsa nella stanza.
Non era meno preoccupata del compagno: le sue capacità belliche erano decisamente ridotte.
Ma dopo pochi passi, si ricordò di quello aveva detto lei stessa a Sam durante il viaggio verso Capitol: “spunterò tutti i coltelli con il mio fascino”.
“E perché no?” pensò Dakota. Sarebbe potuto funzionare.
Si avviò, quindi, fin sotto al palco degli Strateghi, e si fermò di fronte a loro. Poi si infilò una mano nei capelli, e li agitò con un gesto fluido, facendoli scorrere sulle sue spalle come un fiume dorato.
Alcuni uomini ammiccarono, Chef invece rimase a guardarla di sottecchi. Non pareva persuaso.
Dakota se ne accorse, e rabbrividì. Cercando di mantenere la calma, si incamminò verso un mucchio di armi, ancheggiando con grazia come se stesse sfilando su una passerella.
Poi prese dal mucchio la più aggraziata delle armi, un fioretto dall’elegante manico curvilineo, e cominciò a rotearlo in direzione di un manichino. Senza mai colpirlo: l’obbiettivo di quella danza aggraziata era soltanto quello di mostrare le sue qualità fisiche.
Appena si rese conto che il tempo stava per finire, posò l’arma, e ravviatasi i capelli si incamminò verso l’uscita, con la sua solita andatura da modella.
 
Erano tutte un gioco di estetica, le Sessioni Private. E fu Alejandro a confermare quella tesi.
Quando il ragazzo fece il suo ingresso nella stanza, il suo sguardo sicuro non degnò di un’occhiata gli Strateghi seduti in fondo alla stanza. Si limitò a voltarsi in modo teatrale, poi si passò una mano nei capelli ed esclamò: -Fa proprio caldo, qui dentro!-.
Effettivamente, le temperature sfioravano i trenta gradi: il freddo era mal visto a Capitol City. Ma Alejandro non si scompose: si sfilò la maglietta, e la lanciò con noncuranza alle sue spalle.
I fari illuminavano il suo torace nudo, attraversato da sottili gocce di sudore.
Poi Alejandro prese in mano una delle spade, la più grossa. Era uno spadone a due mani, ma lui riusciva a tenerlo con una mano sola. Quindi estrasse dalla manica una striscia di stoffa nera, e se la legò sugli occhi.
Stringendo con forza la spada, si tuffò in avanti, dove sapeva essere i manichini da allenamento. Poi prese a roteare la spada, velocemente, facendo volare dappertutto pezzi di imbottitura e di stoffa. Non aveva bisogno di vedere, lui: il solo movimento dei manichini gli bastava per capire dove si trovassero.
Alla fine della sessione, accaldato e fiero di sé, si scoprì gli occhi e posò la spada.
Recuperata quindi la maglietta da terra, rivolse uno sguardo compassionevole alla porta dalla quale era entrato, e uscì senza voltarsi più indietro. Non aveva bisogno di conferme per la sua perfezione.
 
Heather non deluse le aspettative in lei riposte.
Si diresse senza esitazione verso un mucchio di coltelli di tutte le forme, lisci e seghettati.
Squadrò con sicurezza il bersaglio dei lanci, e scagliò la prima arma verso la testa della sagoma umana che faceva da bersaglio. Centro perfetto: in mezzo agli occhi.
Il secondo coltello penetrò con esattezza nel mezzo del ventre del bersaglio. Il terzo nel collo. Il quarto e il quinto nel mezzo dei palmi delle mani. Il sesto arrivò nel centro del petto.
Heather squadrò teatralmente il banco degli strateghi, e sbadigliò.
Non che fosse realmente annoiata: era tutto un gioco di impressioni, non dissimile da quello di Alejandro.
Heather afferrò due coltelli insieme, e li lanciò in contemporanea verso un secondo bersaglio.
Si piantarono entrambi nei palmi delle sue mani.
Ma Heather non aveva ancora finito: afferrò due coltelli per mano, e li lanciò non verso il bersaglio, ma verso i manichini imbottiti che servivano per le armi a mano.
Le lame affilate recisero di netto le corde che assicuravano i manichini al sostegno, facendoli cadere a terra come cadaveri staccati dalla forca.
Heather si ravviò i capelli, compiaciuta. –Vorrei proprio vedere se Alejandro ha saputo fare di meglio.-
 
Con l’arrivo di Harold, l’esibizione era ormai nel pieno della sua durata.
Il ragazzo entrò nella stanza confusetto, come se fosse entrato per errore in una stanza errata.
-Ehilà, salve!- esclamò verso gli strateghi, forse in un tentativo di battuta. Inefficace.
Poi si voltò verso il mucchio delle armi, e scelse gli stessi nunchaku con cui si era allenato in precedenza.
Quindi fronteggiò un manichino, squadrandolo con aria di sfida, e cominciò a roteare l’arma.
Il nunchaku roteò veloce, sempre più veloce, sbattendo con un rumore soffocato di percussione contro la testa imbottita del pupazzo.
Veloce, sempre più veloce…
Fino a che l’arma non si abbatté, con un colpo secco, sul mento di Harold.
Il ragazzo mugolò di dolore, lasciando cadere l’arma. Gli strateghi presero a rumoreggiare.
Nessuno parve sorpreso: il distretto 3 non aveva una grande fama dal punto di vista del combattimento.
Harold, che dopo il colpo subito si era ritrovato (chissà come) seduto per terra a  massaggiarsi il mento, si rialzò. Guardando gli strateghi con un’espressione quanto più orgogliosa possibile, unì le mani e compì un perfetto inchino orientale.
Ovviamente, nessuno di quegli omoni ottusi sapeva nulla dell’Oriente. Non che fosse strano: già le conoscenze di Harold erano sopra la media.
Harold pronunciò uno stentato “namasté” e si involò attraverso l’uscita.
 
Leshawna, da parte sua, fu quanto meno accettabile.
Entrò quasi a passo di carica nella stanza, come se avesse il desiderio di finire il prima possibile quella prova.
Recuperò quindi la sua mazza chiodata dal consueto mucchio di armi, e come aveva prima fatto Harold, fronteggiò il manichino con fierezza.
Strinse febbrilmente la mazza, cercando di concentrarsi. Doveva immaginare un bersaglio concreto, qualcosa o qualcuno che le stimolasse la voglia di colpire.
Il suo primo pensiero andò ai Favoriti: come li odiava! In particolare quella ragazza mora del distretto 2… era così perfetta, con quel corpicino flessuoso… e sembrava così desiderosa di uccidere qualcuno il prima possibile. La odiava, oh, come la odiava!
-A noi due, Heather.- mormorò appena.
Poi si lanciò contro il manichino, e cominciò a menare colpi su colpi.
Andò avanti furiosamente, senza pensare a nient’altro che a colpire il suo obbiettivo, finché Chef Hatchet non le disse di smettere.
Poi se ne andò, silenziosa e minacciosa come era venuta.
 
Prima di entrare, Geoff lanciò uno sguardo alla sua Bridgette. La ragazza stava seduta su una panca, dondolando avanti e indietro sulle gambe, con aria nervosa.
Il ragazzo le fece un rapido sorriso per confortarla, e varcò la soglia.
Un brivido lo percorse alla vista degli occhi da avvoltoio di Chef Hatchet. Prese un profondo respiro, e si avvicinò alla postazione dei tridenti.
Le prime parole che gli vennero in mente quando lo prese in mano furono “Okay… come si usa questo aggeggio?”. Geoff non sapeva maneggiare il tridente, e nessun’altra arma.
Ciononostante, si avvicinò a un bersaglio, e strinse con più forza l’arma, cercando di concentrarsi.
Allungò la mano col tridente verso di esso, e lo toccò un paio di volte.
Dopodichè si voltò verso gli strateghi, e domandò: -Va bene così?-
Nessuno diede segno di aver notato la sua presenza, tranne Chef Hatchet: l’omaccione puntò gli occhi in quelli di Geoff, e fece beffardamente segno di no.
Geoff deglutì. Si avvicinò nuovamente al manichino, e lo colpì più a fondo.
-E adesso?- domandò di nuovo.
Chef ripeté il segno di diniego, rendendo Geoff ancora più nervoso.
Il tributò puntò ancora più a fondo il tridente, e finalmente la punta passò dall’altra parte.
-Adesso?- domandò per la terza volta. E qui Chef parve cambiare espressione: il suo cipiglio arrabbiato si trasformò in un ghigno malvagio.
Geoff, a quel punto, non trovò di meglio da fare che andarsene.
-Beh… ci si vede, amico.- disse. E scappò via, come se fosse inseguito.
 
Bridgette, a differenza del compagno, era relativamente calma. Ormai aveva abbandonato da un pezzo la sua aria vulnerabile e rassegnata: la sua natura razionale aveva preso il sopravvento, e aveva capito che l’unica cosa necessaria da fare sarebbe stata agire, cercare di accattivarsi qualche sponsor e non lasciare nulla al caso.
Con quella filosofia, aveva volutamente smesso di tentare di diventare un’assassina: non ci sarebbe riuscita, nemmeno se le avessero dato intere settimane per prepararsi.
Nella stanza delle sessioni private, la ragazza si diresse subito verso il centro della stanza. Si era improvvisamente ricordata di un suo vecchio talento: la verticale.
E così fece: si rovesciò a testa ingiù, e camminando sulle mani fece il giro della stanza, senza cadere.
Bridgette aveva imparato a camminare sulle mani durante la pesca dei molluschi: aveva cominciato ad allenarsi nell’acqua bassa, per poi arrivare a padroneggiare la tecnica anche sulla terraferma.
Tuttavia, appena conclusosi il giro, la ragazza notò le espressioni degli strateghi farsi impassibili: non era esattamente quello che cercavano.
Per un attimo, la ragazza parve disorientata: poi le venne improvvisamente un’idea.
Si arrampicò senza troppa difficoltà su uno degli ostacoli, e lì rimase in equilibrio, a braccia aperte. Chiuse gli occhi, e immaginò di trovarsi sulla sua tavola da surf, nel distretto 4, lontana da Capitol e dalla morte.
Alla fine dell’esibizione, semplicemente saltò giù e se ne andò senza salutare.
Non era certa che gli strateghi avrebbero apprezzato il suo talento nell’equilibrio, ma una cosa la sapeva: non sarebbero mai riuscita a trasformarla in un’assassina
 
Owen entrò con aria disorientata, come se avesse sbagliato porta. Si guardò per un po’ intorno, e alla vista di Chef e dei suoi minacciosi compagni, impallidì.
In quel momento entrò un cameriere, che reggeva tra le braccia un enorme vassoio contenente un gigantesco arrosto di bue.
Owen si leccò le labbra:-Non ne potrei avere giusto un pezzettino, signor stratega? Sembra tanto buono e succulento…-
Chef ridacchiò, e con lui alcuni tra gli altri strateghi. Owen capì in quel momento di aver fatto una colossale sciocchezza. Così, senza indugiare oltre, si avvicinò alla postazione delle armi e scelse un lungo martello.
Lo afferrò con una mano, dubbiosamente, come se si trattasse di uno spiedo, poi cominciò a ruotare su sé stesso, trascinato dal peso dell’arma, che in quel momento sembrava superare il suo.
Gli strateghi stavano a guardare, con le forchette a mezz’aria.
Poi accadde: Owen traballò e cadde, come un bue abbattuto, e lasciò andare il martello, che volò dritto dritto verso il palco degli strateghi.
Si udì qualcuno gridare “via!” e un attimo dopo il martello piombò sul pavimento con un tonfo fragoroso.
Quando gli strateghi, con Chef alla loro testa, si avviarono ai loro posti, di fronte a loro c’era un Owen imbarazzatissimo, che si tormentava le dita delle mani.
Chef ridacchiò, poi afferrata una coscia di pollo la scagliò verso il tributo come se fosse stato un cagnolino affamato.
Il ragazzone lasciò in tutta fretta la stanza, sbocconcellando la coscia.
Chef sogghignò:-Questo non arriverà alla prima nottata. Tanto vale che ingrassi ancora.-
 
Con l’arrivo di Izzy, gli strateghi cominciavano a sembrare infastiditi. Con poche eccezioni, nessun tributo sembrava soddisfare le loro brame.
Izzy sembrava poco interessata alla loro espressioni corrucciate. Camminava saltellando, placida, e sorrideva.
-Buonasera, signori strateghi! Dai, cosa sono quelle facce arrabbiate? Ancora non è morto nessuno!-
Si guardò intorno per un attimo, poi si bloccò, e come se qualcuno l’avesse chiamata schizzò verso la postazione dei prodotti chimici. Si lanciò letteralmente verso di essi, e cominciò a mescolare polverine e liquidi colorati con lo sguardo di una pazza.
-Adesso facciamo bum bum!- mormorava lavorando. –Adesso Izzy e gli strateghi fanno bum!-
Uno degli strateghi sembrava preoccupato:-Chef, non dovremmo…-
Ma la frase fu tranciata a metà: improvvisamente si sentì una fragorosa esplosione, e un fumo denso e nero offuscò la vista a tutti gli strateghi, che cominciarono a tossire e lacrimare.
Quando il fumo si diradò, e Chef e gli altri strateghi si furono rimessi a posto, Izzy era comparsa chissà come nel mezzo della stanza, e saltellava sul posto ripetendo frasi prive di senso compiuto:-Bum! Bum! A Explosivo piace tanto il bum bum!-
Poi la ragazza incontrò lo sguardo di Chef, privo di ogni sfumatura amichevole. E il suo si fece più freddo.
-Hai visto che so fare, strateguccio caro? Stai attento, perché la prossima volta potrebbe non andarti così bene.-
E dette queste parole, se ne andò sempre saltellando.-
 
Quando Brick varcò la soglia della stanza, gli strateghi erano ancora accigliati a causa di Izzy e della sua esplosione. Il ragazzo, già di per sé poco tranquillo, si fece ancora più agitato.
-Va bene… adesso vado… faccio una cosa e…- biascicava visibilmente nervoso.
Il ragazzo si sdraiò per terra, su uno stuoino, e cominciò a fare le flessioni.
Andò avanti per svariati minuti, senza mai smettere, senza mai fermarsi a riposare. Nel frattempo, gli strateghi avevano iniziato a rumoreggiare: parevano seriamente infastiditi dalla monotona esibizione del ragazzo.
-Chef, questo è un mortorio.- imprecò uno di essi.
Brick lo udì. Si alzò di scatto dallo stuoino, e proprio allora tutta la fatica delle flessioni parve piombargli addosso, come un’ondata di nausea. Traballò per alcuni istanti, poi piombò a terra.
Come se non fosse bastato, improvvisamente cacciò un urlo: era atterrato esattamente sul braccio destro, torcendsi fortemente il polso.
Rialzatosi, massaggiandosi il polso, si trovò davanti le risate degli strateghi. Quello fu il colpo di grazia.
Improvvisamente un odore acre invase l’aria, e gli sguardi generali si puntarono impietosi sul povero Brick, e sui pantaloni del ragazzo, che misteriosamente si erano bagnati.
Di fronte a un simile imbarazzo, Brick preferì non attendere oltre, e schizzò fuori dalla stanza alla velocità della luce.
 
Jo si presentò con aria tracotante, a passo di marcia.
Squadrò per un attimo la bancata degli strateghi, con aria di sufficienza: lei, a differenza di Brick, non aveva paura di loro.
Si avviò verso il mucchio di pesi, e scelse tra quelli il più grosso. Alcuni strateghi cominciarono a ridacchiare: non era frequente che una tributa scegliesse proprio quella postazione, e nella maggior parte dei casi i risultati erano poco felici.
Ma Jo sapeva benissimo di essere assai superiore a quelle ragazze sciocche, incapaci di rivaleggiare coi maschi per forza. Sollevato il peso senza particolare sforzo, la ragazza lo scagliò dritto verso i manichini più lontani, abbattendoli come birilli.
Un coro di “oooh” seguì: nessuno prima, uomo o donna che fosse, aveva mai fatto una cosa simile.
Jo ridacchiò: aveva appena cominciato.
Afferrò due pesi inferiori, uno per mano, e li fece ondeggiare una paio di volte avanti e indietro: poi li scagliò nuovamente nella direzione di prima: un boato metallico diede a intendere che i pesi si fossero scontrati.
Jo si spolverò rapidamente gli abiti, poi fece un veloce inchino agli strateghi, e se ne andò sempre a passo di marcia.

Angolo Autrice:
Okay, potete anche ammazzarmi.
Fatemi male, fatemi molto male, riducetemi allo spessore di una sogliola, pestatemi finchè non ne posso più *porge mazza*. Dovevo pubblicare questa parte della FF molto tempo fa.
Ma... ecco, ero poco ispirata. La mia passione per HG e TD si era improvvisamente e inspiegabilmente ridotta.
Questo finchè sabato non ho visto Catching Fire al cinema. Allora SAPEVO che avrei dovuto scriverlo.
Ora, per una settimana, sarò senza PC, e non potrò postare un emerito nulla. Perciò godetevi il capitolo, e ditemi chi vi piace di più in una recensione.
Se vi va, passate a controllare le altre storie che ho postato.
Trattasi di: 
-Una OS di dubbia orgine su... okay, mi vergogno a dire su cosa e chi, ma vi dico solo che è un film della Pixar pieno di creature strane, classifiche impietose, comicità fisica e ragazzine pucciose.  Il mio soggetto presenta le seguenti caratteristiche: ha dei complessi fino agli occhi, un caratterino che più adorabile non si può (capito il sarcasmo?) e un'alter ego nerd con tendenze culinarie. Ah, abita nel mio armadio.
-Una OS su uno Youtuber, il suo joystick, e una creaturina in CGI gradevole come un sasso nella scarpa.
-Una OS su una rapper culona e amante del rosa e un rapper con i denti di Enobaria e la voce di un pappagallo. (#respect).


 

 
  
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