<< -Salve a tutti, tesorini coperti di
profumato caramello zuccheroso. Con una carica di allegria che tanto mi fa
venir voglia di affogarmi in una piscina di miele vi do il benvenuto alla prima
giornata di questo nuovo, fantastico videogioco. Ancora non abbiamo deciso il
nome, ma siamo felici lo stesso, vero? La voce che sentite appartiene a me,
Goth. Si, lo so, è un nome ridicolo, ma ho sempre sospettato che i miei
genitori facessero parte di un complotto ordito per rendere la mia vita
miserabile.- >>
Non riusciva a capire: quella voce apparteneva ad un maschio
o ad una femmina? Il nome non dava un aiuto a rispondere a quella domanda, e la
voce era strana: o era un po’ mascolina oppure fin troppo femminile, non
riusciva bene a capire.
Non che per Shadi cambiasse davvero qualcosa: maschio o
femmina che fosse, se avesse voluto gli sarebbe comunque bastato un semplice
gesto per far cadere quel… Goth ai
suoi piedi. Goth come chiunque altro.
Si guardò di nuovo allo specchio, cercando di vedere se
c’era qualcosa che non andava nel suo aspetto: controllò ogni centimetro di
stoffa alla ricerca di un qualche granello di polvere, si accertò che i suoi
capelli fossero ancora lucidi e perfettamente pettinati, e quando finalmente
decise di essere ad un livello accettabile di bellezza ammiccò al proprio
riflesso.
Irresistibile. Shadi sillabò la parola, lentamente, senza
però emettere un suono: era ir-re-si-sti-bi-le.
<< -Io sono
Los, e non so voi ma mi sto già annoiando.- >>
<< -Los, oltre
a fare evidentemente parte del suddetto complotto, è anche il secondo speaker
di questo gioco. Insieme commenteremo, parleremo e guarderemo tutto ciò che
accade.- >>
Bambole. Ninon si ritrovava in un negozio di bambole.
Milioni di occhi di vetro la fissavano. Pietre di ogni
colore, verde, blu, marrone, incastonate in un freddo involucro candido come la
neve coperto con deliziosi vestitini di pregiata fattura. Piccoli contenitori
vuoti che l’osservavano, con un fragile sorriso dipinto in rosso scarlatto.
Ninon, tenendo per mano il suo orsacchiotto, si avvicinò ad
uno scaffale, attirata da una bambola in particolare. Aveva i capelli neri-
come lei. Gli occhi blu- come lei. La pelle bianca- come lei.
La bambina posò una mano sulla guancia della bambola,
trasmettendole il suo calore- poi la buttò a terra, seguendo la traiettoria di
ogni singolo pezzo di porcellana.
L’unica spiegazione che decise di dare al suo orsacchiotto,
per spiegare quello strano comportamento, fu che lei era la regina delle
bambole. Lei poteva farlo, e lo aveva dimostrato.
Strinse l’orsacchiotto al petto, chinandosi di fronte ai
cocci della bambola, e cominciò a raccoglierli uno per uno.
<< -Noi vediamo
ognuno di voi, ovunque esso sia. Noi siamo onniscienti. In questo gioco, noi
siamo Dio.- >>
Corey sorrise ascoltando la frase del secondo speaker- Los.
‘In questo gioco, noi siamo Dio ’.
Era vero per loro come era vero per tutti: nei giochi
chiunque poteva essere chiunque.
Ecco perché i videogiochi erano così amati: perché si poteva
essere qualcun altro. Quello era l’unico modo in cui Corey potesse essere
importante, temuto.
Non che nella realtà virtuale il suo aspetto fisico fosse
cambiato, era sempre un debole bambino di undici anni. Tuttavia quello era il
suo posto, il suo habitat naturale: sapeva cosa fare e come agire.
Aveva solo bisogno di comprare le attrezzature adatte e di
collegarsi al programma: due operazioni che probabilmente avrebbero richiesto
un giorno di gioco.
Alla fine di quel giorno, però, tutti avrebbero cominciato a
tenere in considerazione quel debole bambino di undici anni.
<< -…Certo,
Los. Ad ogni modo, noi non possiamo intervenire mai.- >>
<< -Come Dio.-
>>
<< -Vorrei
approfittare di questo momento per ricordare che avendo firmato il contratto
avete accettato di non farci causa. Grazie per l’attenzione.- >>
Meredith era troppo occupata ad essere sicura che i suoi
biondi capelli color del grano baciato dal sole del mattino di una candida
giornata di primavera fossero morbidi e setosi per ascoltare una sola parola di
ciò che stavano dicendo i due speaker.
La risoluzione grafica di quel gioco era splendida:
riportava con precisione la perfezione delle sue curve, il candore della sua
pelle, riusciva persino a ricreare il
blu ‘mare profondo e tempestoso a mezzanotte mentre un faro lo illumina in
lontananza’ dei suoi occhi.
Sorrise, cercando di mostrarsi timida ma al contempo
noncurante: mentre tutte le altre ragazze, al suo posto, sarebbero andate in
giro a vantarsi di quel meraviglioso corpo, lei invece si comportava in modo
diverso. Lei era matura, intelligente, ma totalmente incompresa, sempre oggetto
delle prese in giro delle sue amiche perché invidiose del suo corpo perfetto.
Nessuna la capiva; ecco perché lei doveva vincere quel
gioco. Doveva riscattarsi, doveva far valere i suoi diritti, doveva dimostrare
di essere davvero diversa dalle altre.
Camminò verso la porta, prendendo un pacchetto di sigarette
dai suoi sicuramente anti-conformisti pantaloni a vita bassa, e cominciò a
pianificare i suoi movimenti per i giorni a venire.
<< -Le regole
sono semplici: l’ultimo che sopravvive vince. I partecipanti possono tentare di
uccidere gli altri, ma è stancante, inutile e fin troppo noioso. Dovete sapere
che le probabilità che accadano incidenti mortali sono state alzate di brutto:
in poche parole, se nessuno va in giro ad uccidere gli altri dovrebbe esserci
una media di due morti a giornata. Come vedete è inutile sprecare energie in
questo modo, perché fra, uuuh… cinque giorni di gioco più o meno dovrebbe
essere tutto finito. Rilassatevi e divertitevi.- >>
Oliver e Nicolas erano comodamente seduti su un divanetto di
un pub desolatamente vuoto, assorbendo passivamente le informazioni che uno
degli speaker – Los, se non si sbagliavano – stava dando.
Non avevano bisogno di parlare, per capirsi. Forse perché
erano gemelli, oppure perché, nella loro vita, non si erano mai separati per
più di cinque minuti: certo era che la maggior parte delle volte pensavano le
stesse cose nello stesso momento.
In quell’istante, ad esempio, non avevano neanche dovuto guardarsi per decidere che le prime ore
di quella giornata andavano spese nell’ozio più totale. Certo, Nicolas era
giunto a quella conclusione convincendosi che in realtà avrebbe pensato ad un
piano per vincere mentre Oliver cercava solo di godersi quella pace prima che
il fratello lo spingesse a fare qualcosa di stupido e pericoloso, ma ciò che
importava era il risultato: e come al solito, anche percorrendo diverse strade,
quello era lo stesso.
<< -A parte
l’ovvia incapacità di fare le tabelline del mio collega, vorrei solo aggiungere
che essere in un videogioco non vi libera da bisogni quali, ad esempio,
mangiare o dormire. Partite con una riserva iniziale di 500 monete, una somma
soddisfacente di crediti che probabilmente si esaurirà più o meno il secondo
giorno.- >>
<< -A meno che
non decidiate di dormire sotto un ponte e mangiare spazzatura.->>
Celia sorrideva ascoltando le parole degli speaker. Quella
specie di vacanza dal lavoro la rendeva felice; era davvero tutto più
divertente oppure era solo la sua immaginazione?
Non le importava, non tanto quanto ordinare un gelato.
Sapeva che non ne avrebbe sentito il gusto, ma – forse grazie all’eccellente
grafica – le coppe in fotografia erano semplicemente irresistibili.
Avrebbe speso delle monete per niente, però come poteva
resistere?
Il gelataio – un NPG, personaggio non giocante – era in quel
momento occupato, ma per Celia non era un problema. La semplice idea che il
giorno dopo non avrebbe dovuto andare al lavoro rendeva tutto più leggero, in
un qualche modo. Semplice.
<< -Per
guadagnare monete basta trovare un lavoro, fare qualcosa di utile nella città e
così via. L’affitto delle camere è giornaliero, ed avete un massimo di due
giorni di ritardo sul pagamento. ->>
<< -Il resto
potete pure scoprirlo da soli, buona giocata e divertiteci.- >>
Daniel era estasiato al pensiero di poter passare due giorni
senza far nulla. Certo, avrebbe dovuto lavorare, ma quanto poteva essere duro
il lavoro in un videogioco? Al massimo noioso.
Gli piaceva pensare che quella nuova esperienza potesse
dargli l’ispirazione per un nuovo libro: non aveva mai venduto dei best seller,
ma almeno aveva i soldi per mangiare.
Il problema era che i soldi stavano diminuendo in fretta, e
presto avrebbe dovuto chiedere dei prestiti per poter sopravvivere: quindi o
vinceva il videogioco, sperando che il premio fosse in denaro, o riprendeva
l’ispirazione.
Ma d’altronde Daniel era un ottimista. Se non vinceva e non
superava il suo blocco dello scrittore, almeno avrebbe vissuto una bella
esperienza prima di potersi impiccare.
<< -Un ultima
cosa…- >>
<< -Aah, basta!
Hanno capito, possono andare avanti da soli!- >>
Gwen non era particolarmente felice di essere li. Certo,
vincere era sempre bello, e se il premio poi era in denaro la cosa si faceva
anche interessante, ma non gli erano mai interessati i videogiochi. A parte per
venderli, ma quello era un altro conto.
Il vero motivo per cui si trovava lì era suo marito: neanche
i due figli, suo marito.
Perché sapeva che era inaffidabile, come sapeva che non
tutte le ragazze che adoravano i videogiochi erano così brutte: quindi, essendo
lei dell’idea che un tradimento rimane un tradimento anche se virtuale, voleva
essere presente per ucciderlo sia via gioco che in realtà.
Quello non voleva comunque dire che doveva sprecare quella
interessante esperienza, e poi doveva tenersi in allenamento: avrebbe avuto
bisogno di crediti, e la cassa del negozio ne era spaventosamente piena…
<< -Un ultima cosa. Potrete scommettere su
chi sopravvivrà fino alla fine o su chi sarà il prossimo a morire. La seconda
opzione, in caso di vincita, vi darà l’occasione di accumulare crediti, mentre
la prima vi darà una parte del premio finale. E ora, Los, so che scalpiti: dai
inizio al gioco.- >>
Sid era in un negozio di vestiti. Ironico, considerando che
era da una settimana che era vestito allo stesso modo.
Non importava. D’altronde non era di vestiti puliti che
aveva bisogno.
Uscì dal negozio e si guardò attorno, cercando il primo
vicolo scuro in cui rintanarsi: di solito quelli
si andavano a cacciare nei posti peggiori, quindi aveva più possibilità di
trovarne uno se cominciava a cercarlo da lì.
C’era anche la probabilità che non ci fossero. Sid ebbe un
brivido al solo pensiero, stringendosi così tanto il braccio destro da
piantarci le unghie.
Certo che c’erano- nell’annuncio dicevano che il gioco
riproduceva fedelmente la realtà, quindi un pusher c’era di sicuro. Ci doveva
essere.
D’altronde che male poteva fargli? Era vero che aveva deciso
di partecipare al gioco per tentare di smettere, ma era realtà
virtuale, quindi non si avvelenava davvero. Non poteva fargli male.
Quella sarebbe stata l’ultima pillola, poi si sarebbe
pulito. Sì, si sarebbe pulito- però aveva maledettamente bisogno di quell’ultima
dose.
<< -Era ora. Le
scommesse sono aperte: signori, faites vos jeux.- >>
Faites votre jeux: per Dodger non c’era una citazione più
azzeccata.
Si trovava in quello che era il suo paradiso e il suo
inferno insieme: una sala giochi. Un’enorme e abbastanza vuota sala giochi, a
parte per i croupier.
Con un sorriso da un orecchio all’altro ed il braccio destro
che, da solo, si era mosso a prendere una moneta, Dodger capì che molto
probabilmente sarebbe morto in quel posto- o avrebbe vinto in quel posto.
Si fermò, ragionando: perché doveva sprecare i suoi soldi in
quel modo? Era in un videogioco e quindi vinceva solamente crediti- senza
contare che, andiamo, quante volte gli sarebbe capitato ancora di trovarsi in
una realtà virtuale? Avrebbe dovuto godersi quella esperienza, no?
Scosse la testa, inserì la monetina nella slot-machine ed
abbassò la leva, gridando di gioia quando poi uscirono tre monetine.
(-*O*-)
Nota d'Autore: Allez, mon petite! Chi vincerà mai? Chi sarà il primo a dire addio alla storia? Ma soprattutto, qualcuno mi sa dire chi è mai la Mary Sue? Ho sentito che si è intrufolata nel mio scritto e non riesco a trovarla- OH MY GOD! T-T