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Autore: Rucci    20/05/2008    7 recensioni
Le fiabe non saranno più le stesse, e la vostra infanzia verrà stravolta. O almeno questo è quello che spero.
{Barbablù} [RHADAMANTIS/KANON]
{Biancaneve} [AIOROS/SAGA]
{Cappuccetto Rosso} [DEATH MASK/APHRODITE]
{La bella addormentata nel bosco} [MILO/CAMUS]
{Cenerentola} [HYOGA/SHUN]
Genere: Parodia, Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Sorpresa
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Gemini no Kanon

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Aquarius Camus & Scorpio Milo in

 

« La bella addormentata nel bosco »

 

 

Introdotte da una lunga strada, una diramazione di quella via polverosa che solca la campagna, eccole stagliarsi, le mura, contro cieli azzurri e bigi. Giù, più giù, seguendo boschi che si diradano ai piedi delle torri, alti pini silvestri sino alla superba cancellata che racchiude giardini più preziosi. È suggestivo, lo scenario che lo contorna. Si dice esso sia il maniero della bella addormentata.

 

Ora, diciamocelo. Sua regia maestà o meno, il principe Aioria sentiva l’urgente bisogno di una vacanza. Non che avesse dovuto sopportare poco, durante il corso di quell’anno, comunque, a farci due conti: in autunno, le nozze di uno dei suoi conti. E non erano le nozze in sé a turbarlo, quanto piuttosto il fatto che la sposa in questione si trattasse di un uomo. Un uomo, da qualsiasi parte lo si guardasse, rimaneva decisamente un uomo. Durante l’inverno, ad ogni modo, le attenzioni della corte avevano dovuto spostarsi sulla minaccia del condottiero Arles, in un assedio che aveva dovuto essere seguito passo passo, dato l’anormale e imprevedibile susseguirsi delle sue vicende. Il fatto che Arles, in quel momento, si aggirasse tranquillamente per le stanze del palazzo al fianco del suo nobile fratello, poi, non aiutava a chiarire la faccenda (anzi, il giovane principe trovava ancora più inquietante il fatto che il generale gli sorridesse, bello e invincibile, sfoggiando con naturalezza il suo aspetto identico a quello dell’altra… stramberia che nel mentre sorbiva beatamente il tè nel palazzo di Lord Rhadamantis). E ora, come se non bastasse, dall’inizio della primavera il capitano Shura impegolato in quella missione senza capo né coda, per la quale ogni settimana partiva ed ogni settimana ritornava, in un inspiegabile gioco dell’oca…

“C’è abbastanza di che farsi venire un esaurimento nervoso” stava appunto spiegando il principino al suo giovane amico d’infanzia. Milo ridacchiò, e gli lanciò due solide pacche alla schiena come si fa con gli amici, principi reali o meno. Nobili di grande origine, di grande stirpe, da sempre diretti vassalli del re, il riflesso naturale era trattare l’amico coetaneo da pari a pari:

“Te l’ho detto, io. Ti ci vuole una bella vacanza, ecco cosa.”

“E tu te ne vuoi approfittare per fare baldoria.”

Milo scosse le spalle. Il sorriso malizioso di qualche secondo dopo probabilmente stava a significare: e se anche fosse? Aioria, il serio Aioria, sospirò, dandosi un contegno.

“È solo un vecchio castello di famiglia.”

Inarcava le sopracciglia bionde, tornando al discorso intavolato dal giovane atletico che gli sedeva di fronte giocherellando distrattamente con un prezioso tagliacarte.

“Ebbene? Non è forse il luogo di villeggiatura estivo prediletto dalla tua famiglia? Non puoi aver dimenticato i giorni felici che vi passammo assieme da bambini, Aioria. Fu lì che ci conoscemmo, appena ragazzini. Non vedo posto più adatto.”

“D’accordo, d’accordo. Alla prima occasione buona…”

“Che devi fare ancora?”

“Presenziare ad una cerimonia.” Tentò di togliergli di mano il tagliacarte, ma Milo non ne voleva sapere. Si allungò sul tavolo, deciso a riprendersi ciò che era suo, sbuffando: “Onorificenze per merito. Dammi qua.”

“Per merito, eh?” L’altro si tirava all’indietro, dondolandosi sulla sedia. Il tagliacarte gli piaceva. Mano a mano che si tirava indietro, si allungava verso la porta semichiusa, e gli capitò di buttare uno sguardo fuori. Una figura attendeva nei corridoi, che il giovane nobile poteva bene intravedere dalla porta aperta dello studio.

“E dimmi…” distrattamente, soggiunse, allungando di più il capo, curioso. C’era qualcosa di famigliare in quelle lunghe chiome. “Per caso è una nostra conoscenza?”

“La è.” Con uno scatto felino, Aioria ne approfittò per riprendersi l’ambito tagliacarte. “Te lo ricordi, Camus?” Ne saggiò la punta con l’indice. Il sorriso sulla bocca di Milo si allargò, sino a scoprire i denti bianchi. Un ghigno più marcato, o l’illuminarsi degli occhi?

“Certo che me lo ricordo.”

 

Camus si guardava attorno, sbattendo gli occhi, senza insistere per non apparire maleducato.

Non riusciva esattamente a capire come avesse fatto ad ottenere un invito tanto prestigioso, pur tenendo conto delle onorificenze di grande merito che gli erano state conferite – assieme ad un titolo nobiliare che l’avrebbe senz’altro elevato di condizione sociale. Sicuramente i suoi studi avevano attirato parecchio interesse da numerose istituzioni ed accademie, ma non riusciva a spiegarsi quest’episodio in particolare sino in fondo. Erano stati giorni piacevoli, comunque, passati a rievocare. Sedeva a tavola in compagnia di giovani uomini con cui aveva trascorso parte dell’infanzia in quel vecchio maniero, in onore dei vecchi tempi, ed ora stava ascoltando per l’ennesima volta la vecchia favola della bella addormentata.

“Ancora con questa storia, Milo! Quante volte devo ripetere che è solo un vecchio castello di famiglia?”

“Perché non ci racconti la storia?”

“Eh?” sospirò sconsolato, il giovane principe. Guardò interrogativo la dama al suo fianco, che non gli sorrise direttamente, ma gli fece capire con gli occhi che a lei sarebbe piaciuto ascoltarla. Si trovò così in preda ad un grosso dilemma: “Di nuovo?”

Ogni volta che riceveva ospiti nell’antico castello, il quale era considerato popolarmente il palazzo colpito dalla maledizione della strega trecento anni addietro, era di rito raccontare la leggenda della bella addormentata. Tutti, senza esclusione, gliela chiedevano. Non la si scampava. Sospirò di nuovo, per prendere tempo.

“Dai, Aioria, per piacere! Non ce la racconti da quando eravamo bambini!”

“Sarebbe carino” suggerì per la prima volta la giovane, tirandosi discretamente indietro una delle ribelli ciocche fulve dietro l’orecchio. Aioria si rivolse di nuovo a lei, consapevole di essere sul punto di cedere. Cedette.

“D’accordo, d’accordo.”

Milo lanciò un’occhiata vittoriosa a Camus. Camus gliela restituì, perplessa, per tornare ad ascoltare il padrone di casa. Milo non si diede per vinto. Da una settimana non faceva che gironzolare attorno all’amico ritrovato. Era più forte di lui, e gliel’aveva detto. Non ci era voluto nulla a ritornare in confidenza, nemmeno per Camus, Camus dai tranquilli occhi chiari. E il confine per passare dalla confidenza all’intimità per Milo era molto sottile. Per esempio aveva recentemente scoperto, negli ultimi tre giorni, quanto amasse ripetergli di essere felice di averlo di nuovo al suo fianco. E lo sentiva, Milo. Era una dolce primavera, per lui. Niente era più bello di seguire Camus lungo i viali alberati, lasciandosi prendere dai ricordi e considerare quanto elegante fosse diventata la sua figura, i suoi modi, quanto fosse adorabile il suo modo di sbuffare e altre mille piccole scemenze che Aioria (costretto ad ascoltarle) non poteva assolutamente tollerare. Milo non capiva perché. In soldoni, era innamorato. Non capiva perché la gente non ne fosse felice.

“C’era una volta un Re e una Regina che erano disperati di non aver figli, ma tanto disperati, da non potersi dir quanto. Voti, pellegrinaggi, le provarono tutte, ma nulla giovava. Dopo tanto penare alla fine la Regina rimase incinta, e partorì una bambina. Fu fatto un battesimo di gala: si diedero per madrine alla Principessina tutte le fate che si poterono trovare nel paese, perché ciascuna di esse le facesse un regalo; e così toccarono alla Principessa tutte le perfezioni immaginabili di questo mondo. Dopo la cerimonia del battesimo, il corteggio tornò al palazzo reale, dove si dava una gran festa in onore delle fate. Davanti a ciascuna di esse fu messa una magnifica posata, in un astuccio d’oro massiccio, dove c’era dentro un cucchiaio, una forchetta e un coltello d’oro finissimo, tutti guarniti di diamanti e di rubini. Ma in quel mentre stavano per prendere il loro posto a tavola, si vide entrare una vecchia fata, la quale non era stata invitata con le altre, perché da cinquant’anni non usciva più dalla sua torre e tutti la credevano morta…”

“E vi pare che sia questo il modo? Fare sì che non ricevessi neppure un invito!”

Qualcuno anticipava il racconto del principe. I presenti si voltarono, sorpresi, per un attimo colti in contropiede. Quasi si aspettavano di trovarvi la vecchia strega, adirata per l’esclusione alla cerimonia, e invece al suo posto si stagliava composta la figura di un giovane dai lineamenti d’angelo. Tutto di lui emanava bellezza, dalle preziose sete indiane dei suoi vestiti all’oro dei suoi capelli. Il suo viso sarebbe stato capace d’infondere la serenità più pura, insomma, e tuttavia dalla sua bocca uscivano improperi di una veemenza inaudita:

“Ah, ma quest’affronto non passerà impunito! Potete starne certi! Nessuno aveva mai osato tanto, e

ora qui, in vostra presenza, vi maledico!”

“Un momento, prego.” Camus era stato l’unico ad azzardare una risposta, alzandosi in piedi, composto, tra i compagni impietriti. “Siete voi che giungete qui senza preavviso, senza annunciarvi e senza esporre le vostre ragioni prima d’insultarci. Abbiate il coraggio di esporvi!”

Vi fu un breve silenzio, di una manciata di secondi, in cui l’improvviso ospite ritrasse appena il capo, come sconcertato da tanta audacia, ed infine aprì gli occhi, azzurri come il cielo e affilati come la lama di una scimitarra.

“Bada, Camus. Attento a quello che fai.” Tese un dito verso il giovane, sforzandosi di mantenere un rigido tono superiore. Milo si alzò in piedi a sua volta. Si conoscevano? O quel misterioso giovane aveva indovinato il suo nome per qualche oscura magia?

“In verità ti dico, a te e questa sciocca compagnia, che non dovrai aspettare né il tuo sedicesimo compleanno, né pungerti il dito col fuso d’un arcolaio per sprofondare in un sonno profondo! Ben più profondo della morte. Tu sai bene di cosa parlo” sibilò infine, per poi lasciare la stanza, misteriosamente come vi era penetrato.

I presenti erano ammutoliti. Che cosa significava quest’ultima, oscura maledizione?

“Aioria! Aioria, che cosa fai, presto, fallo inseguire! Ma Aioria! Sai chi è quell’uomo?”

Scosso dalle vivaci proteste della giovane promessa sposa, Aioria tuttavia non batteva nemmeno le palpebre, l’aria sconvolta. Milo si unì al coro delle proteste quasi immediatamente. Maledizione a quel biondino invasato! Aveva la pelle d’oca giù per la schiena!

“Ma Aioria! Chi diavolo era quello?”

“Fate silenzio” sbottò infine il principe, riportando la calma. Sembrava molto turbato. Rivolse lo sguardo a Camus, che gliene restituì uno impassibile.

“Non avrei mai pensato…” mormorava fra sé e sé intanto il giovane della casa reale. Ma non ci fu verso di cavargli un’altra parola di bocca. E il pranzo riprese.

 

Tutto per colpa di quel cretino di Aioria!, pensava freneticamente Milo riguardo al suo unico signore e padrone, in sella al suo cavallo. Tutta colpa sua, che non aveva voluto dirgli da dove era spuntata quella malefica strega… stregone… quello che era! E ora per colpa sua Camus si trovava in grave pericolo.

Il resto del periodo di svago in campagna era passato pigramente, tranquillamente, com’era normale aspettarsi. Niente di niente era successo, ovviamente. E Milo ci aveva fatto una bella risata sopra. Incosciente! Come un fulmine a ciel sereno, appena rincasato gli era stata recapitata un’infausta notizia: il nobile Camus, non appena rientrato nella sua dimora, si era chiuso in camera e da allora era sprofondato in un sonno innaturale, profondo, dal quale nessuno riusciva a svegliarlo. Lo stato di catalessi durava ormai da giorni. E lui era su un cavallo, che galoppava a tutta velocità.

Tuttavia, l’impresa presentava una lunga lista di ostacoli da superare.

Prima di tutto, trovare il castello nel quale Camus si trovava in quel momento. Ma era un problema al quale aveva presto ovviato, chiedendo indicazioni. Era solo stato tanto avventato da urlare di mettere la sella al cavallo e precipitarsi al salvataggio da non stare a pensare a dettagli come il luogo in cui si stava effettivamente recando, ma aveva rimediato a mezza via.

In secondo luogo, lì al galoppo, i capelli al vento, non riusciva a ricordarsi con esattezza se formalmente egli si potesse fregiare dei titoli di Principe Azzurro, Primo Amore e via dicendo. Il titolo nobiliare era di un gradino più sotto. E non avrebbe mai ceduto il posto ad Aioria. Aioria aveva la morosa. Per quanto riguardava il Primo Amore…

Tirò tanto bruscamente le redini al cavallo che questi ad avere la parola avrebbe volentieri imprecato e bestemmiato contro il suo padrone – probabilmente la giusta traduzione del suo nitrire, sbuffare e fermarsi con stizza puntando gli zoccoli infangati al suolo, più volte, a passetti nervosi, per fermare il proprio moto precipitoso. Uno sconvoltissimo Milo, nel frattempo, era in preda ai flashback più scomodi che la narrazione potesse regalargli in un momento come quello…

 

“Smettetela di prendermi in giro!”

“Perché? Solo perché sei il principino?”

“Smettila, Milo!”

La vocetta acuta ma decisa di Aioria era petulante, e tuttavia divertente. Milo rideva, rideva.

Com’era presuntuoso, quel bambino dai lunghi ricci. Camus se ne stava in disparte, senza parlare. Poi lo rimproverò:

“Milo, smettila. Non sta bene.”

“Ma dai, non è buffo? Aioria ha già la fidanzata!”

“Smettila!

“Ma è piccolo!”

“Smettetela!”

“Io non ho detto niente” fece notare il bambino dai capelli dai riflessi turchesi, con aria distaccata. Fissava Aioria in un modo che poteva sembrare perlopiù impassibile, ma in verità era sempre molto gentile con lui. Aioria era semplicemente arrabbiato, i capelli arruffati come la criniera di un leone. Era anche molto rosso.

“Il fratellone dice che è la mia promessa sposa! Non dovete permettervi di prendermi in giro!”

“Ma dai, è solo buffo. E poi Marin è un maschiaccio. Gioca sempre con noi col pallone.”

“Perché è forte e coraggiosa!”

“Aaah, allora ti piace, ti piace!”

“Sì, mi piace!” Arrossì di più, Aioria. Poi mandò giù e cominciò a sfregarsi il naso, con aria compiaciuta. Aveva una bella mossa con cui controbattere al moccioso suo coetaneo. Gonfiò tutto il petto e gli buttò giù: “Sei solo invidioso!”

“Invidioso?” spalancò la bocca Milo. “IO? E di che?”

“Perché sono il suo fidanzato e posso darle i bacini. E tu non puoi. Lo so che sei invidioso!”

Milo si offese a morte.

“Non c’entra un bel niente!” Strillò.

“E invece sì!”

“E invece no!”

“E invece sì!”

“Per piacere, calmatevi…”

Camus fece per mettersi in mezzo. Milo lo abbrancò per un braccio, gelosissimo. Camus era il suo migliore amico, Aioria lo stava facendo arrabbiare, e lui non si doveva mettere in mezzo! Doveva stare con lui!

“Sai che me ne importa della tua fidanzatina!”

“Ahia, Milo, mi fai male.”

“Io tanto ho Camus!”

“Ma scemo, non è mica la stessa cosa!”

Milo ringhiò mentre abbracciava il suo amico fin quasi a soffocarlo, e poi, presogli il viso con le manine, gli stampò sulla bocca un bacio maldestro, frettoloso, che servì solo per rivolgersi ad Aioria e fargli la linguaccia:

“Invece sì! Visto!”

“Ma Milo, che schifo! Siete due ragazzi!”

Aioria era affascinato e scandalizzato al tempo stesso. Era assolutamente, moralmente convinto che c’era qualcosa sotto e non era la stessa cosa. La sua faccia era molto dubbiosa. Milo gli fece un’altra linguaccia. E Camus si divincolava.

“Non c’entra niente!”

“E invece sì!”

“E invece no!”

“E invece sì!”

 

E invece sì, diede ragione Milo ad Aioria, oh, sì. Quella cosa faceva la differenza. Non poteva crederci. Rimase cinque minuti buoni barcollante in sella al cavallo fermo, come inebetito. Possibile che fosse stato un moccioso tanto imbecille?

“Non c’è tempo da perdere, su, su, al galoppo, al galoppo! Hah!

Incitò di colpo il proprio destriero, che partì di buona lena, con uno scatto sorpreso. Il padrone quel giorno era particolarmente nervoso. Sperava almeno di ricavarci qualcosa in biada e carote una volta rientrato in scuderia.

 

“Presto, conducetemi da lui” sillabò, col cuore in gola, mentre consegnava le redini ai servitori in cortile. Milo salì le scale con la netta sensazione che la terra gli stesse crollando sotto i piedi. Di tutta la confusione in quell’assurda vicenda, non riusciva a togliersi dalla testa che Aioria gli aveva raccontato mille volte che il primo bacio del vero amore avrebbe risvegliato la bella addormentata, ma qui non c’era nessun primo bacio, e Camus dormiva, bello ed immobile, il viso pallido, i lineamenti dritti e severi, eppure dolci, come li vedeva dolci, ora che entrava nella stanza, e l’amico giaceva inerte e composto fra i velluti color porpora e amaranto. Oh, Camus! Quante cose c’erano ancora da dire! E lui giaceva, immobile, e chissà se si sarebbe mai svegliato! Camus, che non aveva fatto in tempo a stringere tra le braccia!

“Camus!” si gettò su di lui, un’accorata invocazione, sollevandolo e stringendolo a sé, nella perfetta scena madre di un bacio appassionato e senza speranza.

“Ma che cos-Milo!” soffocò invece Camus, sulla sua bocca. Si separarono come se avessero preso la scossa elettrica. Milo finì seduto a terra, con un pesante tonfo.

“Ahia!”

“Ma sei pazzo?! Cosa ti prende?”

Camus, bello, non più algido Camus, seduto, si sfregava la bocca, guardandolo indignato, i capelli scomposti. Il giovane a terra boccheggiava.

“Camus… sei sveglio…”

“Certo che lo sono! Grazie a te! Hai interrotto la mia pratica!” sbuffò, finalmente infastidito.

Borbottò qualche cosa d’altrettanto oscuro, mentre si alzava da dov’era steso, barcollando un po’. Faticava a riprendere perfettamente l’equilibrio, abbandonato com’era nel torpore da giorni.

“Ma io… tu… dormivi da giorni… erano tutti preoccupati… e… e la strega del castello, voglio dire, lo stregone… e tu… e io… e…!”

“Strega? Stre… oh, ma no, ma parli di Shaka? Se ti sentisse ti strapperebbe i capelli.”

“Shaka?”

“Milo.” Si sedette, accavallando le gambe, un sospiro sconsolato. Il clima era cambiato. Camus aveva preso la parola. Muto, l’altro ebbe l’ardire di avvicinarsi, quieto quieto, come un gatto, standosene buono e fermo. “Shaka era l’altro studioso che assieme a me contendeva il titolo che la famiglia reale mi ha conferito per meriti di studio, in campo scientifico. Lavoravamo entrambi sullo stato di sonno apparente” cominciò a spiegare, interrompendosi per sbadigliare. “Shaka sostiene di essere capace di raggiungere questo stato tramite la meditazione, io sono capace di ottenerlo per autoibernamento.”

“Autoibernamento.” ripeté Milo.

Camus gli faceva paura. Poco ma sicuro. Ma era salvo!

“Autoibernamento, sì.”

“Autoibernamento. Ma sei vivo!”

“Sto benissimo.”

“Allora era a quello che si riferiva con quelle strampalate, ambigue parole! Io credevo ti stesse maledicendo!”

“Oh, mi stava maledicendo. Non mi può sopportare. E poi il premio l’ho ottenuto io” considerò l’altro in tono neutrale.

“Oh, Camus!” lo abbracciò di slancio, ignorando i suoi commentini acidi. Quant’era bello!

“Milo, mi fai male.”

“Quanto sono stato in pena!”

“Ma non potevi chiedere ad Aioria?”

“Quanto ho penato, Camus! Tu non ne hai idea!”

“Davvero, Camus, Aioria lo conosce, non ti ha spiegato…?”

“Camus, io ti amo!”

“Milo, per l’amor del cielo, sto bene, ti ho detto.”

Il giovane in ginocchio ai suoi piedi gli giunse le mani e lo guardò amorevolmente, appassionatamente, intensamente negli occhi: l’aveva risvegliato dal sonno con un bacio, e ora era suo. Tutti gli altri dettagli erano quisquilie burocratiche. Camus sospirò. Poi, incrociando le braccia con uno sbuffo divertito, gli rilanciò indietro un sorriso e un’occhiata ironica, che diceva: tu non ti arrendi proprio mai, vero?

Milo incassò, strinse la presa e ghignò. No. Mai.

 

“Voi lo sapete…”

“Ahn?”

“…che tutto ciò… è profondamente malato, vero?”

“A che ti riferisci, Aioria?”

Il sangue reale del principe gli permetteva di non scomporsi tanto facilmente. Ma Milo era suo amico. Era quello che lo prendeva a pacche sulle spalle, gli rubava i tagliacarte e gli lanciava le nespole dall’altra parte del cortile. Il minimo era mettersi le mani nei capelli e aspettare che tutto passasse.

“Non hai una buona cera, vecchio mio. Perché non ti prendi un’altra vacanza? Veniamo anche io e Camus con i bambini!” propose l’amico in tono innocente.

“Ecco! Ecco! È questo il punto! Non so se vi rendete conto…”

“Che cosa?”

“Milo, tu lo sai che alla fine della favola la bella addormentata e il principe hanno due figli?”

“Certo che lo so, sciocco, me l’hai raccontata tante di quelle volte…”

“Beh, vi sembra forse normale?”

“Oh, dipende dal punto di vista.” Milo si voltò a rimirare i due ragazzini, alti e forti, che seguivano passo passo la luce dei suoi occhi, l’elegante maestro che li precedeva ed indicava loro ogni forma e colore. Presto li avrebbe eruditi sui principi della fisica. Era già qualche tempo che avevano preso a vivere assieme a loro, per mettersi sotto l’ala protettiva del mentore di prestigio più alto nel regno, e… beh, il castello di Milo era grande. “Si chiamavano Aurora e Giorno, nevvero? Beh, un maschietto e una femminuccia. Che tenerezza. Comunque trovo che anche Isaac e Hyoga siano due bei nomi.”

Naturalmente Aioria non intendeva nulla di tutto ciò. Prese un profondo respiro e decise di lasciar correre. Ci si era tanto abituato, negli ultimi tempi…

“Allora? Un’altra bella villeggiatura al maniero?”

“Per carità. Shaka l’ha preteso come laboratorio personale. È ancora oltraggiato dal fatto che l’Accademia Reale abbia prediletto Camus a lui nell’assegnazione di quel tipo di…”

“E ti fai mettere i piedi in testa così facilmente?”

“Tu forse non hai capito che stiamo parlando di un personaggio molto importante, di grande fama, e…”

“Oh, lascia che rosichi ancora un po’, in questo caso. Bene. Dove potremmo andare per l’estate, allora?”

Gli brillarono gli occhi. E dietro di lui sfilava con maestà una figura la cui sagoma era impossibile da confondere, e si avvicinava ai due giovani, e Aioria sapeva che di lì a due minuti tutto sarebbe stato perduto, e qualche cosa di ancora più assurdo si delineava all’orizzonte per quell’estate calda e soleggiata, e nemmeno osava immaginare cosa il destino avrebbe potuto preannunciargli dietro a quelle tonanti, chiare ed innocenti parole:

“Giovani cavalieri che qui siete giunti! Sbaglio o vi ho sentito parlare di villeggiatura estiva?”

 

 

And they all lived happily ever after. ~

 

 

 

 

 

 

{ Ever after }

 

Vi confesserò un torbido segreto. All’epoca della stesura di questo capitolo, io odiavo profondamente Shaka. Non gli ho fatto fare una bruttissima figura, alla fin fine, cerco di essere imparziale coi personaggi; ma mi stava proprio sul cazzo. Questa cosa, a distanza di tempo, mi fa lollare tantissimo e progettare una sua ricomparsata decente. Mica per altro, è che Shaka può essere molto più antipatico di così. Mi sembra tutto potenziale sprecato.

Il mio problema più grande, alla fine di questa favola, era che ci tenevo veramente molto a citare più o meno tutti. Se notate, infatti, anche nei precedenti capitoli uno dei bronze saint è perlomeno nominato. Solo che a questo punto, dopo un intermezzo, sceneggiatura voleva che ci fosse una fiaba molto più lunga delle altre, a chiusa del ciclo di storielle; molto carina, tra l’altro, e me la serbo proprio per ultima, solo che non mi offriva un cast poi così ampio di personaggi da sfruttare. Dovete agli imput maledetti di Shinji e di Stateira se vedrà presto la luce un capitolo in più, che mi ha dato lo sprono a ripartire. Sempre siano benedetti.

E con questo, finisco di rivangare nostalgicamente, e passo al nuovo. Ci si vede. <3

  
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